Ho già dato

Ho già dato, e scusandomi per la bassa soddisfazione, mi viene da ridere.

I più attenti nel mondo della scuola stavano aspettando.
Ora è arrivato: http://www.digiscuola.it

Vedete, l’introduzione dell’e-learning nel sistema scolastico (primarie e secondarie di 1° grado) è argomento delicato, perché stiamo parlando di un mondo chiuso, arroccato, forse arrogante, dove una qualsiasi scuola conduce la propria programmazione dell’offerta formativa senza ad esempio tener conto delle peculiarità territoriali in cui è situata e in cui acquista, appunto, senso (il quale è sempre contestuale). Se volete, esagero: ma la singola scuoletta dietro casa pensa veramente di essere fuori dallo spazio e fuori dal tempo.

Ora, la logica dell’e-learning obbliga a progettare l’apprendimento secondo strutture precise, impostate sui concetti di granularità e riusabilità delle risorse: da questo ne discende l’organizzazione a matrioska dei corsi, suddivisi in lezioni, suddivise in moduli, i quali contengono appunto learning object, ovvero contenuti di apprendimento (in teoria, non necessariamente digitali, ma nella pratica sì).

Gli insegnanti e la struttura-scuola si vedono ora costretti a riprogettare la propria erogazione di contenuti per l’apprendimento per adeguarla a questa scansione, visto che solo in questo modo è possibile ottimizzare il processo e trasferirlo su piattaforme per l’apprendimento a distanza: il nodo dolente sono proprio i learning object, ovvero quelle unità minime (eccessiva parcellizzazione?) veicoli di nozioni e posture all’apprendimento, che gli insegnanti dovrebbero produrre o procacciarsi per poter poi metterne in fila due o tre per ogni ora di insegnamento (ammesso che la scansione temporale abbia ancora un significato).

Mettiamo che io debba organizzare un corso (in aula oppure online, non cambia nulla) di giardinaggio, il quale contiene tra le altre una lezione dedicata alla preparazione del terreno, la quale contiene tra gli altri un modulo dedicato alla concimazione, il quale per poter essere svolto dovrà essere articolato per oggetti di apprendimento: ad esempio, mi servirebbe un .doc oppure un .ppt oppure una .jpg oppure un .mov in cui si spiega la differenza tra concimazione naturale e sintetica, un altro learning object in cui si racconta l’importanza di un giusto equilibrio tra azoto fosforo e potassio, un altro ancora in cui si stabiliscono i momenti giusti nel corso dell’anno per procedere a determinate azioni sul terreno.

Ecco, mi servirebbero solo per questo particolare modulo (durata di un ora), tre oggetti da proporre alla classe in presenza o a distanza: dove li trovo? sarebbe ottima cosa se li avessi prodotti io nel corso delle miei lezioni precedenti, rispettando i requisiti di granularità (ovvero dovrebbero essere oggetti della giusta dimensione, i quali potrebbero ciascuno essere affrontati dalla classe diciamo in circa 20 minuti) e di riusabilità (se il prossimo anno la mia scuola riorganizza un corso di giardinaggio, può allineare dei learning object pescandoli dal proprio server – quindi importanza dei metadata/metatags – dove tutti gli insegnanti depositano le proprie schede in siffatta maniera organizzate, oppure trovarli/comprarli da repository su web, vd. Merlot)

Qualche mese fa, facendo formazione a docenti delle superiori sull’argomento e-learning, avevo raccontato di come nel prossimo futuro sarebbero nate, pubbliche o private, delle banche dati ovvero dei “market elettronici” dove poter comprare dei learning object, da innestare nei percorsi di apprendimento scolastici (online o meno): gli insegnanti davanti a me hanno storto la bocca, o fatto risolini e spallucce, non comprendendo di cosa stavo parlando, come se fosse cosa che non li riguardava… e sto parlando dell’avanguardia della specie, ovvero quegli insegnanti passati attraverso i Piani nazionali per l’aggiornamento in campo informatico/multimediale Monfortic, insegnanti capaci di comprendere le logiche di un ipertesto, di realizzare siti web, di installarsi un server locale per provare i CMS e i Moodle, di gestire tecnica e comunicazione di una community scolastica su web o intranet.

Ecco, ora c’è il market del Ministero. Certo anche i privati si stanno organizzando. E siccome gli insegnanti di queste cose non sanno nulla e fraintendono la filosofia del progetto, temo che per i prossimi 2 anni ci saranno scandali, incomprensioni, sfracelli, rivendicazioni, insinuazioni, truffe, disorganizzazioni, spreco di risorse, riallineamenti, conflitti sindacali, litigi in collegio docenti… ora partirà la grande gara dei fornitori di contenuti, dei furbi lupi del mercato, dei formatori pret-a-porter con un catalogo pronto in valigia di percorsi standardizzati, dell’offerta 3×2 di LO, di consulenti che proporranno piattaforme mirabolanti per la somministrazione dei contenuti di apprendimento…

Anni di risate, questi.
Basta, ora vado a inventarmi qualcos’altro da fare.

Sì, siamo nel web 2.0

Viva il social software
L’argomento è caldo, tutti ne parlano.
Ci siam traghettati nel web 2.0, e come al solito non ce ne siamo accorti… ma d’un tratto non è stata più solo questione di fare html, attaccare foto e audio e link, installare programmi.
Ora si tratta di comunicare, di usare servizi e non più applicativi, di trovare quello che non conviene più avere qua.

es: mi serve una chat su un sito? dovrei scaricare una chat in java o php e installarmela sul mio cms? nonono, la chat è un link con gabbly
es: devo gestire 4 messenger diversi? dovrei scaricare ed installare trillian o equivalente? no, uso meebo.

Imho, mi sembra un po’ il passaggio dall’industriale al postindustriale, quando si è trattato di passare dagli atomi ai bit, per intenderci; ecco, il web 1.0, pensato dentro una postura mentale che ancora risentiva della necessità di possedere il software, ha lasciato il passo all’uso remoto, alla gestione di risorse online, all’archiviazione a distanza, all’utilizzo di applicativi non presenti sul mio disco fisso (per le immagini, per scrivere testi, per fare audio, per fare radio online e podcast, per pubblicare blog, per condividere links e risorse, per chattare, per sviluppare progettazione e produzione collaborativa sincronica a distanza).

o meglio ancora



vi lascio qui dei link, per comprendere il fenomeno (ma è sufficiente scrivere web 2.0 dentro google):
http://www.oreillynet.com
http://www.digitalk.tv
Dion Hinchcliffe’s

il quale segnala anche delle novità e dei social software

come questi siti qui:
http://www.listible.com
http://web20.blogosfere.it
ma soprattutto
http://www.sacredcowdung.com
dove c’è tutto

In campo educational, ecco qui http://incsub.org/

Ah, ho cambiato lavoro: ora mi metto a fare il social software consultant, come Suw, ho deciso



Creatività

Riprendo da wittgenstein

Questo primo inizio d’articolo è preso dal Corriere della Sera:
“Dopo lo scontro con Berlusconi, dopo gli applausi che ne hanno accompagnato l’intervento al Convegno di Primavera, dopo le dimissioni di Della Valle, i vertici di Confindustria dovranno tornane a fare i conti con i proprio equilibri interni. E con la necessità di interpretare, se non una spaccatura, sicuramente un segnale che Vicenza ha voluto dare alla presidenza Montezemolo.

Quest’altro da Repubblica:
“Dopo lo scontro con Berlusconi, dopo gli applausi di parte della platea che ne hanno accompagnato l’intervento al Convegno di Primavera, dopo le dimissioni di Della Valle, i vertici di Confindustria dovranno tornane a fare i conti con i proprio equilibri interni. E con la necessità di interpretare, se non una spaccatura, sicuramente un segnale che Vicenza ha voluto dare alla presidenza Montezemolo.

Come fa notare lo stesso Luca Wittgenstein, i testi riprendono dispacci d’agenzia, le variazioni (nel continuo degli articoli) possono essere spiegate solo da un infantile tentativo di non copiarli paro paro cambiando dei sinonimi e qualche parola, ma soprattutto I REFUSI SONO GLI STESSI.

Neanche rileggere, insomma; bel lavoro fare il giornalista, oggidì.

La prima causa

Siamo troppi. Troppa gente.
Non si può certo fare ecologia (oikos-logos) in queste condizioni.
Proporrei la metà delle persone: potrebbe essere un buon numero.
Trenta milioni in Italia, tre miliardi nel mondo.
La tecnologia ci permette di nutrire tutti, in maniera sana, senza provocare impronte ambientali insostenibili.
Lavorare tutti meno, diciamo 20 ore alla settimana, spendere meno in sciocchezze, e dedicarsi alla cura di sé, spirito mente e corpo, e degli altri.
Dobbiamo essere consapevoli dell’impatto demografico sul pianeta, e lavorare alla sua riduzione:
senza aver soddisfatto questa fondamentale necessità, nessun altro scopo potrà essere realmente raggiunto: non il risanamento degli eco-sistemi, non la pace, non il benessere della persona, non l’affermarsi di una economia più assennata, consapevole ed educata, e per questo motivo perfino molto più benefica e fruttuosa dell’attuale.

Vivere è un po’ morire

Marco Cappato (from Associazione Coscioni) dice che “… studi specifici portano a stimare che in Italia ci siano tra i 15mila e i 50mila morti per errori medici; quelli per le sole infezioni ospedaliere sono almeno 7000 l’anno (i morti per incidenti stradali sono “solo” 5000 l’anno)”

A questi aggiungo i circa 1500 morti sul lavoro all’anno in Italia.
Ditemi: stiamo scherzando, vero?

Significati stabili, senso negoziabile?

Già qui si disse dell’importanza di una chiara percezione e distinzione tra il pensiero scientifico ed il pensiero tecnologico o meglio tecnoterritoriale.
Perché la matematica e la fisica classica, spina dorsale e dizionario al contempo per i ragionamenti scientifici, costruiscono un linguaggio gergale, ripulito e potente, per affermare verità sì incontrovertibili, ma solo dentro quel linguaggio.
perché la tecnologia è Cultura Tecnologica, non certo solo tecnica, ed è portatrice di pari dignità di valori esistenziali e situazionali, i quali inoltre agiscono proprio in questo mondo, quello in cui viviamo, altamente tecnologico. Intelligenza dell’Occhio e della Mano.

Perché sia chiaro: in tutta italia difficilmente troviamo un luogo “naturale”, ovvero fatto così da Natura senza intervento umano e che sarebbe così tale e quale anche se l’uomo non fosse mai esistito.
Il paesaggio è un oggetto tecnologico, lo dice la parola stessa.
Anche in cima ad una montagna, troverete un tipo d’albero o di cespuglio o di spora o di animaletto che mai avrebbe potuto arrivare fino lì senza una spinta dagli Umana.

Per fare un esempio, qui da me degli alberi che sembrano schiettamente friulani come i gelsi (arrivando in autostrada vi accorgete di quando comincia la mentalità friulana perché i campi sono mossi da filari di gelsi, anziché tavole da biliardo infinite tipo veneto-emilia) in realtà sono alberi cinesi, importati qui nel ‘700 per ricavarne alimento per le larve dei bachi da seta, da cui l’industria tessile: questa è tecnostoria, ovvero percepire una filiera – un reticolo – economica in un ragionamento tecnoterritoriale.

Fatto sta che la velocità tecnologica modifica il senso della realtà (l’ambiente in cui viviamo) in modo così rapido che i significati di eventi e situazioni faticano a stare attaccati, come post-it che si scollano dai documenti di cui intendono rappresentare un nodo concettuale.
in un clima di crisi del significato permanente, l’uomo, in quanto soggetto cosciente che deve necessariamente (?) darsi un senso stabile, vive la sua stessa crisi. Sfaldamento e frammentazione di certezze, credenze, identità, linguaggi, tempo.

Per i patiti di letteratura, la presa di coscienza esplicita di tutto ciò viene spesso indicata da “Uomo senza qualità” di Musil, scritto dopo ma ambientato nel 1912/1913, quando l’Ottocento finisce con il Titanic che va giù. Tutto il Novecento si dibatte in queste tematiche.

Ecco, è cambiato il ritmo della narrazione, del nostro raccontarci il tempo di ieri e di domani.
ieri il senso della realtà era mediato dalla tradizione e dalla temporalità del racconto tramandato, che permetteva di incorniciare il significato crudo degli eventi modellandolo su significati condivisi e resi vivi dall’intera comunità.
oggi l’uomo si trova insensato di fronte agli eventi (in numero sempre maggiore: infomation overload), senza alcuna sicurezza di poter dare alle cose un senso stabile… un uomo dislocato, continuamente esposto alla velocità del mutamento e al sopraggiungere dei più diversi accadimenti.

E visto che il mondo è tecnologico, credo proprio che la cultura tecnologica e tecnoterritoriale (la sua consapevolezza dei limiti ambientali, il suo ragionare sulla trasformazione e sulla connessione, la sua vocazione reticolare e multidisciplinare ed ecosistemica) potrebbe dare delle indicazioni e dei saperi utili alla comprensione del funzionamento semiotico della modernità.

Proliferano

Riprendendo un vecchio post su DeliriSemiotici che ho letto ieri, devo ammettere che mi fa ridere veramente la “semiotica del podcasting” e anche “semiotica del doppio schermo” non scherza quando si tratta di scherzare. Tutto a partire da “semiotica dell’e-learning”, ahimè.
A cui aggiungo “semiotica delle mappe concettuali”, per soprammercato.

Trieste capitale d’Europa

Certo. Intanto, darebbe senso ad una città monca, privata del suo retroterra sessant’anni fa, eppur bella, con palazzi umbertini, storia mitteleuropea, multietnica.
Città di mare, in posizione unica, eccellenza nelle arti e nelle scienze, piena di interpreti e traduttori, ben connessa (tranne le ferrovie, ma si può rimediare), situata sulla cerniera che fino a ieri divideva est ed ovest. Simbolica eppur efficiente.
Pensateci: sarebbe la cosa giusta.
In secondo luogo, Trieste la smetterebbe di guardare solo al proprio “giardino produttivo”, ovvero il Friuli, e potrebbe finalmente stendere le gambe rapportandosi con quella dimensione europea a cui deve la sua notorietà. Già qui in regione parliamo cinque lingue (italiano, friulano, sloveno, tedesco, ladino) non sarebbe molta fatica aggiungerne un’altra ventina.

Metodo e fanatismo

http://it.wikipedia.org/wiki/Sospensione_del_giudizio

… Nei contesti sociopolitici essa [la sospensione del giudizio] è una pietra miliare dello sviluppo civile delle società, basata sulla convinzione che nessun punto di vista parziale può essere immediatamente (in assenza di consenso) elevato ad universale. Rimedio al fanatismo, permette di risolvere, e più spesso di evitare, i conflitti dovuti all’incomprensione reciproca.

Sarà dura, ma si può far qualcosa.

Passano i tempi

Ieri ero uno scrittore, ma non tanto di romanzi o novellista o poeta, quanto redattore di liste, centoni, cataloghi, schede, elenchi… certo, vi erano anche le mie stesse schede, frutto di anni di paziente scrittura ed espressione del mio giudizio sui fatti e sulle persone mie contemporanee e non solo, in vari campi dello scibile.
Morii, lasciando i miei ventiduemila volumi alla biblioteca comunale, la quale mi intitolò una stanza con sul soffitto un affresco di tiepolo o cose così.
Al giorno d’oggi sono uno che ha pubblicato molte schede online, siti personali ma ricchissimi di informazioni (penso a Scaruffi e a Homolaicus, per esempio), giudizi, punti di vista.
Morendo, potrei donare il mio sito, tutta la mia mediateca online, a wikipedia, la quale mi intitolerebbe una partizione di memoria da qualche parte in rete.

Tutti bravini

Ecco, la gara bastarda per i giovani professionisti delle Pubbliche Amministrazioni. creativini, bravini, facile che abbiano una mini (se uomini, intendo l’auto; se donne, intendo al contempo sia l’indumento sia l’auto, di pari passo).
Non ci voleva.
Il tempo che queste generazioni di preparati multimediali giovinotti e ragazzotte capiscano come far carriera, e le PA diventeranno come un cielo con i fuochi d’artificio, dove vedremo un sacco di effetti speciali e poca sostanza. Certo, continuo ad essere sospettoso… vedo poca cultura di netfilosofia, e una mentalità webagency in queste persone, mah. Non dispero, però.
Mi han detto, non ho visto, che Laurenti da Bonolis, abbia paragonato la vita piuttosto a Linux, perché tutti contribuiscono. Questo è indubbiamente il segno di uno sgocciolamento, e un nuovo modo di innescare sentieri di senso nell’opinione pubblica.
Vi sarà anche un incremento dell’efficienza, sì?

Innovaccination

Ero a Innovaction qui dalle mie parti, tutto un robonòn di fiera dedicata all’innovazione (conoscenza, idee, innovazione) di portata europea.
E ci saran state anche due scintille di innovazione qua e là, ma di creatività ne ho vista poca.
Pochi colori, pochi profumi.
Più che altro applicazioni concrete di idee note (da reti LTSP a rendering 3D), di punti di vista conosciuti (approcci alle bestpratiche, politiche regionali poco orientate alla sperimentazione), insomma poca roba.
e poi queste persone sembravano tutte lavorare per il berlusconi imprenditore ’80, ecco.
tanto per dire, credo che le giacche di velluto fossero in rapporto di una a cento, sennò tutti i maschietti dai 20 in su con completino e cravatta terribol; le fanciulle, molte in minigonna oppure la very terribol combinazione “stivale zuavo” (aahh, adesso ho preso il via, mi sfogo con il post/gossip di mondanità), studentesse bravine o siorette un po’ oltre di trentacinque.
Poi uno, romagnolo, che all’inizio si è fatto coraggio con un “tenere per le palle”, poi ha preso l’abbrivio con un “puttanate” quasi urlato nei toni alti di una finediscorso, e da lì in poi è crisi mistica.
Per trovare uno coi capelli lunghetti ho dovuto andare fino allo stand del DAMS di gorizia, ovvio.
Sembrava un’esibizione di “quanto siamo bravi, se vogliamo” però fatta un po’ col tono di chi ci vuole credere, per darsi ottimismo. la creatività (ragiono di social designing e cultural designing, sì) per me è qualcosa di libero, divertente, meno retto da regole.
No, cambio tutto. sapete? forse i contenuti c’erano. Era la fiera che era malfatta, poco creativa, piatta esibizione etc. etc.
Vabbè, vedrò. intanto mi sono vaccinato. 

Articolo 19

Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
E basta. 

Fw: (nessun oggetto)

Idee per installazione: si tratta qui di stabilire un cortocircuito tra l’interpretazione del mondo, il conseguente comportamento espressivo degli individui e delle collettività, la modificazione indotta nel mondo dalla pratica espressiva.

Il segnale video di una webcam puntata su un incrocio stradale viene elaborato digitalmente per produrre a partire dall’immagine stessa degli impulsi random, i quali alimentano degli strumenti elettronici (o anche reali, con sistemi elettromeccanici) il cui suono, a sua volta filtrato digitalmente e interpretato mediante un’ulteriore interfaccia, condiziona il timer delle sequenze dei semafori dell’incrocio stesso.

Friuli esotico

Mettiamo dunque voi siate un mongolo, una visigota, un vandalo (quello sono io), un longobardo o prima ancora una celta che adorava Beleno… comunque sospinti verso ovest sareste giunti in quella che gli austroungarici chiamavano Galizia, dietro i Carpazi, e quindi risalendo fiumi dal lento fluire dell’Europa orientale su fino alla Drava, al Vipacco, all’Isonzo, e sentendo l’odore del mare avvicinarsi, il caldo Mediterraneo, vi sareste affacciati sull’Italia da qui. Oppure dalla valle contigua a questa. Qui siamo dove latini, slavi e tedeschi si incontrano, di qui sono passati tutti. e han visto questo

il posto è rimasto selvaggio: vi rallegro la visione con questo cartello stradale (a me talvolta il Friuli sembra il Nebraska)

 

 

Friuli_ Umana_