Ahh, il futuro del marketing

Gente, cosa ci aspetta.
Altro che stare attenti a non accettare mail dagli sconosciuti, qui si tratta di gestire la nostra vita.
La questione è molto semplice: ai mercati fa molto piacere sapere cosa ci piace; sapere cosa compriamo preferibilmente al supermercato, quali radio ascoltiamo, quali siti visitiamo.
I siti porno, i grandi avanguardisti delle tecnologie web (inventando i popup inchiudibili, i tracciatori, i pagamenti con carta di credito, le procedure di sicurezza), già da tempo leggono i nostri cookies e ci mostrano delle reclàme geotaggate. E ho anche gli esempi .)

OT: avevo in mente di fare un post sul fatto che da sempre i media veicolano immagini di sesso, ad esempio cosa credete che 3.000 anni fa abbiano dipinto sui vasi di terracotta? Gente a 90°, obviously. E un vaso di terracotta nell’antica Grecia è già buona multimedialità, diciamo la TV dell’epoca.
E cosa credete che abbiano inciso i litografi nelle prime stampe? E quando Daguerre 1837 inventò la fotografia, credete fossero vestite alcune delle modelle? E pare fosse anche un po’ pedofilo, ma è un’altra storia.
Per non parlare del cinema.

Ma appunto, non è di questo che volevo parlare, oramai mi sono giocato il post “Sesso e massmedia negli ultimi 3.000 anni”, e quello che ora a me interessa scrivere riguarda appunto le nuove frontiere del marketing, basate sulla personalizzazione spinta  dei contenuti offerti, tagliati e rifiniti direttamente su misura del fruitore. Nell’esempio della foto qui a fianco della graziosa signorina, il sito pornello (trovato googlando “erotic greek pottery”, mah) ha letto dal mio browser tutte le informazioni che gli servivano, e mi ha offerto un click commerciale in grado di attirare la mia attenzione.

L’ultima novità è questa: i decoder per la TV via cavo, o digitale terrestre, hanno un microfono incorporato.
Si tratta quindi di progettare e offrire social television, basata sull’identificazione in tempo reale dell’ambiente sonoro in cui la trasmissione televisiva viene fruita.
Questo permette (vedi il .pdf, i link sotto) almeno quattro applicazioni di “personalizzazione di massa”: offrire in sovrapposizione all’immagine dei contenuti personalizzati, creare communities ad hoc, fornire statistiche di gradimento in tempo reale, offrire servizi di media virtual library. Lo studio dice che in realtà l’audio preso dal nostro salotto viene processato in locale, e soltanto alcuni descrittori del file audio (realizzati da software già esistenti per il riconoscimento audio) vengono inviati ad un database su un server, per l’elaborazione e la successiva offerta interattiva (su TV, palmari, cellulari, web).
Ascoltare cosa dice la gente davanti la TV, e usare queste informazioni in tempo reale.
Oppure ascoltare cosa dice la gente davanti al PC, venduto con un microfono segreto.

E già se mi mostrano una tipa con il cartello con su scritto “udine rulez”, sono preoccupato. Figuriamoci se guardando il film “L’erba di Grace” mi scappasse per caso, parlando nel mio salotto con la mia fiancée, “sai, Gianfranco ha due piante di ganja sul balcone”, e in cinque minuti io e Gianfranco ci trovassimo i carabinieri sotto casa.

Tra poco, se la paranoia galoppa, scriverò sul blog criptando tutto a 512 bit, e dò la chiave di decodifica solo a chi viene prima a bere un paio di bicchieri con me.

http://www.mangolassi.org/covell/pubs/euroITV-2006.pdf
Government, Industry To Use Computer Microphones To Spy On 150 Million Americans

Grammatica e musica

Ecco un bell’articolo di Sergio Messina, aka RadioGladio.
Vi ricordate? Era la prima metà novanta, e questo pezzo che usava frasi televisive (Kossiga) su una base elettronica fece scalpore.
Ma Messina è musicista curioso e moderno, e inoltre scrive pure bene varie osservazioni di argomento musicale e non solo (encomiabili le ultime ricerche socioantropologiche sul porno amatoriale ed il sesso virtuale).
Lo conobbi a Bologna, quindici anni fa, ad una specie di dibattito organizzato dal collettivo Damsterdamned presso qualche centro sociale, poi ci siamo scambiati due mail nel 2000, dove gli chiedevo lumi riguardo la sua produzione musicale a 8 bit, visto che al tempo “portavo avanti” una sperimentazione musicale basata sulla creazione di pezzi che stessero obbligatoriamente dentro un floppydisk. E se il mega e 44 di spazio era insufficiente, non mi facevo nessuno scrupolo ad alleggerire i file, tipo rendendoli mono oppure abbassando le frequenze di campionamento. La riflessione sul contenitore era dentro quell’azione artistica più importante del contenuto.
Beh, in questo articolo Messina prova a delineare quella che può essere considerata una forma di grammatica moderna, adeguata a rendere esplicite le indicazioni per le “partiture” della musica moderna.
Come sarebbe possibile, infatti, scrivere sul pentagramma un pezzo di Tricky, o le complesse dinamiche interazionali che un Dj (o meglio un MC, Master of Cerimony) intrattiene con la folla danzante di una discoteca? Come indicare le parti del discorso, morfologia semantica sintassi, di un brano fatto di campionamenti e batterie elettrroniche e sweep realizzati cutoffando frequenze? Ed il Buco, quando tutta la parte ritmica (cassa e basso) vanno via, e rimane un sequencerino con un ostinato melodico, oppure dei sedicesimi di hi-hat, in attesa del Rientro? Occorrerebbe inventarsi un nuov omodo di scrivere le partiture, un po’ come John Cage cinquant’anni fa, oppure certe ricerche etnomusicologiche su popolazioni extraeuropee.
Dagli anni ’80, quando tra Sonic Youth e Tuxedomoon mi son messo ad ascoltare De La Soul (grandi avanguardisti) e produzioni dance di tipo house (fatte con i campionatori) utilizzo come categorie di giudizio musicale tre concetti che oggi ho ritrovato qui: si tratta di Groove, Beat e Sound.
Diciamo così: ogni pezzo musicale possiede per forza un beat, perché la musica è innanzitutto una organizzazione del tempo, foss’anche un’opera di Chopin, dove però l’elemento melodico (che è già ritmo) è certamente predominante. Altre musiche, di altre epoche e luoghi, hanno invece via via sottolineato maggiormente l’elemento armonico (tipo le fughe del ‘600, ma anche certo freejazz o le suite progrock dei ’70)… la forte cadenza ritmica è sempre stata invece carattere distintivo della musica popolare, da ballo, sia che si tratti di gagliarde, saltarelli, furlana, polka, rootblues, oppure tecno.
Non confondiamoci con il Beat come stile musicale batteristico dei Sixties, caratterizzato dal colpo secco sul rullante tipo Ringo Starr (rimshot: famoso è l’aneddoto in cui James Brown, che di ritmo se ne intende, apostrofa Ringo dicendogli che i bambini di Harlem suonavano la batteria meglio di lui, perché usano lo stile bouncing, ossia sfruttano il rimbalzo della bacchetta).

Ecco, ci sono dei beat che a parità di bpm e di struttura ritmica (l’incastro peculiare di bassdrum e rullante) fanno subito muovere il piedino e venir voglia di ballare, altri no. Perché manca il Groove, ovvero la capacità di coinvolgere l’ascoltatore (ecco perché nella mia grammatica musicale concepisco il groove come elemento della Pragmatica, ovvero di quella parte della grammatica che si occupa dell’effetto dei linguaggi sul mondo e sulle persone, sui comportamenti).

La mia ultima categoria è il Sound, ovvero semplicemente la pasta sonora (elementi morfologici) degli strumenti utilizzati nel brano da analizzare.
Un gioco simpatico è questo: quando si lavora con dei sequencer midi, una volta create le tracce con una tastiera o con un altro tipo di interfaccia, diventa semplice cambiare il suono dell’esecuzione, sostituendo ad esempio le congas con i timbales, i pianoforti con i clavicembali, una chitarra acustica con una elettrica (che in midi tuttora non suonano bene)… si tratta quindi di ragionare sull’arrangiamento, e si giunge a comprendere come la sonorità del pezzo, il suo Sound, influenzi completamente il tipo di storia che quella canzone sta per raccontarci.
Sergio Messina aggiunge nel suo articolo due interessanti elementi, tipici della musica dance elettronica, ovvero il Buco appunto e il Capatone, che però a mio avviso riguardano più le configurazioni discorsive del testo, ovvero la superficie del racconto, il suo modo di presentarsi e di narrarsi (essere narrato), quindi elementi di una grammatica situazionale maggiormente legata alla circostanza di enunciazione (vi sono casi di debrayage, per esempio, proprio nel modo in cui il DJ sul palco, sentendo il polso della dancehall, modifica la propria esecuzione in relazione al contesto).
Vedremo, ne parlerò.
In ogni caso, bravo Messina.

InLoop » Blog Archive » Andante con Groove

…non riconosceremo il prossimo Mozart dalla bontà delle sue cadenze o dalla sublime arte delle sue fughe, ma dalla velenosa inesorabilità dei suoi Groove

Jason Lee, con e senza skate

Oh, un altro tipo molto simpa. Nei film di Kevin Smith mi fa morir dal ridere.

Jason Lee (actor) – Wikipedia, the free encyclopedia

Perché la storia è questa: prima Jonze ha fatto un documentario sul mondo dello skate, ed il protagonista era proprio Jason Lee, l’inventore del flip a 360° o chessoio.
Poi arrivano i Sonic Youth, che devono fare un video un po’ alternative, per ammaliare quelli dei college americani e fare quindi un po’ di soldini.
Ora, la canzone è “100%”, i Sonic sono le super icone indierock che suonano ad una festicciola con patonze e birra (notevole la moretta ricciolona con una coscia lunghissima seduta sul bracciolo di una poltrona, mentre beve birra) , e chi ti arriva garrulo e ridanciano? Jason Lee, appunto, perché il regista del video dei Sonic è sempre Spike Jonze e Jason Lee ci sta dentro.
Un super campione di skate che poi ha fatto tre o quattro film di Kevin Smith (nelle parti del fumettaro furbetto, oppure del diavoletto nel film in cui Alanis Morrissette era Dio), e ora fa l’attore a tempo pieno.

Aggiornamento 18/9: non faccio in tempo a scrivere questo post, che comincia in TV un serial “Earl” dove Lee è il protagonista. Ogni puntata dura 20 minuti, ovviamente italia1 ci ha messo uno spot in mezzo. Vedremo come farà Earl a redimersi: deve rimediare a 259 (ora 258) cattive azioni compiute nel passato, ha appreso il concetto di karma.

L’arpeggione

Ahhh, che piacere trovare questa notizia su Wikipedia.
Dovete sapere, e forse da qualche link qui già lo sapete, che io sono un fanatico dei Sixties, forse non tanto per la musica in sé quanto per l’atmosfera di quegli anni, per il contorno, per gli aspetti sociali della rivoluzione londinese del 1963/1967. Tant’è che il mio blog precedente su Splinder si intitolava Sociomusica.

Insomma, un giorno scarico e ascolto gli Hollies, e mi accorgo di questa canzone, la cui progressione armonica della strofa (Sol maggiore/Si maggiore/Do maggiore/Do minore) è la stessa del pezzo d’esordio dei Radiohead, la celeberrima Creep. Chiaramente, tutti a prendermi per il culo.
Ma io confido nel tempo galantuomo, ed ecco qui la notizia: sul disco dei Radiohead, la loro canzone è firmata sì dai componenti della band, ma sono indicati anche come autori Hammond e Hazelwood, ovvero gli autori di “The air that I breathe”.
Quasi quasi ora cerco i brani in questione e vi butto giù un remix .)

The Air That I Breathe – Wikipedia, the free encyclopedia

… e pensare che Arrigo Boito era uno scapigliato

From Giulia
perché io vorrei sapere chi di voi ritiene con me che quell’ispettore siae sia un essere potenzialmente in grado di compiere le peggiori atrocità.
mah. un rettile con la zampa tesa a chieder soldi.

Blitz della Siae alla festa multati i bimbi di Cernobyl – Local | L’espresso

Poi i bambini, che da giorni si organizzavano con le due accompagnatrici, hanno indossato abiti buffi fatti di carta igienica e piatti di plastica e dalle casse del portatile era partita la musica.

AGGIORNAMENTO: ecco il link per la puntata di Report sulla SIAE. Amo la Gabanelli.

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Meditate, gente, meditate

Bene, noi che viviamo in Rete abbiamo conosciuto John Beer da Padova quando “Nota disciplinare”, aka “7 in condotta” era un blog su Blogger.

Tempo due settimane, e Giovanni Birra si era già comprato un dominio.
Tempo due settimane, e si era su 5.000 contatti al giorno.
Tempo due settimane, e dopo un’intervista con le Jene, siamo sui 50.000 contatti giornalieri.
Bene.
Adesso i post migliori di quel blog diventeranno un libro, edito da Rizzoli: “La classe fa la ola mentre spiego”.

«Indossa francobolli al posto dei vestiti» – Corriere della Sera

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A saperlo prima – è tutta un’aspettativa

Narrazioni? Storie? Trame.

“Il vecchio pompiere alcolizzato che picchia la moglie e i figli ma poi di fronte alla tragedia riscopre il senso del dovere e sacrifica la propria vita in un tripudio di lacrime e sangue”.

“Il generale guerrafondaio plurimedagliato che vuole buttare il bombone, e lo scienziato che cerca di fermarlo fino all’ultimo secondo”

“Il bambino che preannuncia il terremoto con uno strumento trovato nel Topolino ma i genitori giustamente lo perculano”

Aggiungo
“Lo sfigato umile si rivela eroe saggio e un po’ manesco, salva tutto, scompare” (oppure fugge con la “scienziata bona”, ruolo dalle caratteristiche chiare e distinte, riconoscibilissime in ogni filmone che si rispetti)

http://www.daveblog.net/2006/08/29/strategie_del_terrore.html

Il contrario di un blog

Il contrario di un blog

il contrario di un blog
è un blog
che va sparendo
è lo stesso strumento che si usa per redigere e archiviare un blog
che può produrre il contrario di un blog
cancellare un post, di tanto in tanto, quando hai del tempo o quando proprio non puoi farne a meno
quando il contrario di un blogger ha un’Impellenza Autoriale sceglie cosa cancellare e preme delete entry.
e se un blogger è quello che pensa per post la sua vita
io passo ore ad arrovellarmi per decidere cosa cancellare
adesso che ho il contrario di un blog
E senza voler innescare alcun paradosso: vi basti sapere che voi non leggerete mai questo post.

Bambolescente: Il contrario di un blog
Riprendo e volentieri pubblico questo post

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PornoTube e camgirls

Dài, parlo ancora un po’ di sesso.
Qui, su PornoTube, trovo questo video che poi è la “messa in rete” (aspetto ancora quella di qualche parroco innovativo) di un pezzo di Lucignolo, trasmissione che ora che è morto il regista spero smetta ma son sicuro continuerà producendo anche una bella epigrafe mediatica, concludendo sullo show che myust go on.
Insomma, in questo video c’è una tipa che fa pornochat a pagamento, offrendo la visione delle sue curve dentro un sito, che di ragazze così iscritte ne conta tremila. Siamo in italia, eh, mica in california. Moltiplicato per il numero di siti possibili, per un numero di ragazze x, così a naso secondo me in italia diciamo che ventimila ragazze arrotondano la paghetta (il servizio dice che quelle che si impegnano possono guadagnare qualche migliaio di euro al mese).
La ragazza è una studentessa di informatica, di Sirmione (quindi tutti ora lì sanno cosa fa), tranquilla, che non si vede pornodiva nel futuro, che soprattutto dice di sentirsi a suo agio nella situazione, perché sa cosa può succedere e cosa no, e nessuno la può toccare. E’ un lavoro come un altro, dice, e ha ragione. Poi penso alle allieve di terza media, ora alle prese con powerpoint e communities, e comincio a fare statistiche. Proprio 20 giorni fa, in una scuola media nella Bassa è esploso lo scandalo di una ragazzina di terza che offre servizietti orali ai sedicenni mosconi che sciamano intorno alla scuola, in cambio di ricariche telefoniche. Chissà se ha imparato da Report, oppure ha avuto l’idea imprenditoriale, ha redatto un business plan, e ha provato a confrontarsi col mercato. En passant, ho notato come i docenti lo sentano come un problema della scuola, di rispettabilità, e a nessuno interessi ragionare un po’ su questa ragazzina evidentemente ingenua. Ho sentito un’insegnante, che forse si sente molto moderna e disinibita (tenete presente che metà delle insegnanti che conosco ha la stessa visione morale sulle cose di sesso di una perpetua credente) dire che bisognerebbe andare dalla ragazzina e farle comprendere che se fa così tutto il paese in poco tempo saprà della sua puttanaggine… forse dimenticando che per una tredicenne un po’ sviluppata con aspirazioni da velina essere riconosciuta troia e vantarsene fa parte proprio della sua strategia identitaria.

Sempre da PornoTube, scopro l’interessantissima pagina dei tags, dove si possono  vedere le etichette più segnalate per identificare un video.
Siamo quindi di fronte alle forme del desiderio (ok, sarebbe da fare la tara al ragionamento, limitandolo al pubblico di questo sito, se gay o straight, e al tipo di materiale offerto) espresse in tempo reale, in quanto questa bacheca di tags rappresenta una fotografia dell’esistente, dei percorsi di sensualità, della fantasia masturbatoria, i tormentati fiumi dell’immaginario erotico. E si può notare come japanese sia piuttosto altino in classifica, come anche fat, e masturbation sia proprio in evidenza, come i video di tette. Per il resto, le solite cose.
Chi ha pruriti di moralità e di vittorianesimo, si dia una mossa: qui in capo a tre anni scoppia il mondo, sappiatelo.

Video e universi di senso

Tra vent’anni un giovane intellettuale, magari francese, con un linguaggio creativo ci spiegherà finalmente cos’è il cybersex, per noi che ce lo siamo trovati d’un tratto dentro il telefono e sugli schermi della rete, e per quelli che ci sono cresciuti dentro, come gli attuali diciassettenni.
Poi magari cose come in questo video sono veramente accadute, e non mi stupisco, e non mi indigno, e penso sempre alla scuola di oggi, e a cosa significa insegnare, ovvero educare, ovvero promuovere l’apprendimento, ovvero provare a metterci del proprio (intelligenza, sensibilità, lealtà, serietà, protezione, ideali, stile, dignità, esempio) nel cercare di far arrivare delle persone a quattordici anni, magari senza essere cretine.
Educare alla modernità, quanti docenti sono in grado?
Il video è solo uno spunto, ma quanti docenti sarebbero in grado di eleborare una posizione personale sull’argomento, consapevole delle implicazioni etiche, informata sul significato mediatico del gesto? Altrimenti è facile qui sputar sentenze, e non sapere di cosa si sta parlando.

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Non leggere cosa, ma leggere dove

… e non intendo leggere in un luogo, tipo in bagno o a letto o presso un tavolo sbilenco di legno sul cocuzzolo di una collinetta con vista ottima di qui e di là; intendo il supporto.

Rifacciamo il tipico ragionamento dell’educatore, che vorrebbe che i giovani leggessero di più; in realtà avendo più di trent’anni, quasi certamente il nostro laudator temporis acti (fondamentalmente, quelli che dicono che una volta si stava meglio) sta pensando a leggere libri, o comunque lettere stampate con l’inchiostro su un supporto cartaceo (anche simil-), ovvero ha in mente la bellezza della propria esperienza con la lettura, il lasciarsi coinvolgere, l’instaurarsi di un ritmo, di un dialogo tra il testo e il lettore, l’azione del riempire le altrimenti vuote righe di emozioni e posizioni esistenziali, e sta pensando ripeto a carta e inchiostro.
Tutti quelli con più di venticinque anni sono perlopiù fatti di libri e di tv e di cinema, chiaro.
Scendendo con l’età, sappiamo che le cose cambiano, perché sono arrivati telefonini e la rete, come testi con cui negoziare e patteggiare spunti identitari individuali e gruppali e sociali, appartenenze e affinità, mediate educazioni sentimentali.

Quindi anche se come educatore invitassi un quindicenne a prendere confidenza con i libri, devo tenere in considerazione la differente formazione di questa personcina, e mi sto riferendo ripeto solo ai supporti, tralasciamo i contenuti. Magari la mia proposta potrebbe avere successo, ma non devo pensare di aver creato un altro lettore sul pianeta, perché il ragazzo non leggerebbe i libri come li ho letti io, oppure mio padre, e potremmo andare indietro fino alla letteratura di massa dei paperbacks o prima ancora dei romanzi d’appendice a fine ottocento o fino a gutemberg e cambiando qualcosa possiamo ragionare anche prima della stampa e insomma questa personcina è una persona diversa geneticamente (parlo di DNA culturale, eh) perché cresciuta e formatasi in un’epoca in cui ci sono gli schermi -soprattutto televisivi e monitor – oggetti decisamente preponderanti come supporto per veicolare idee e emozioni e ritmo narrativo, foss’anche da leggere una pagina di testo in rete, che come sappiamo è tutta un’altra cosa rispetto alla carta.

Il famoso schema di lettura a forma di F della schermata, l’abilità (la necessità) di cogliere rapidamente le parole chiave di una preposizione nel testo di una pagina web, e costruire nebulose di contenuto vagamente sensate surfando ad esempio sui blog ha modificato il ritmo e la profondità dell’azione del leggere, e quindi oggi leggere è un’altra cosa, per chi è cresciuto leggendo su schermo.
Prendo una frase interessante da un post di Culodritto:

Sono sempre stata veloce nella lettura, ma da quando passo buona parte delle giornate a fissare blog su un monitor la cosa è peggiorata. Ormai non scorro più le frasi per capirne il senso: fisso tre righe alla volta e il mio cervello registra le parole chiave dei periodi, poi passa oltre. E’ fastidioso: mi ritrovo a leggere frasi delle quali conosco già vagamente tutte le informazioni rilevanti, e nei pochi secondi che impiego a concentrarmi sulle varie sillabe la lettura mi viene a noia, perché è troppo lenta.

Se questo capita a chi è cresciuto con i libri, figuriamoci come il meccanismo funzioni per chi tra blog e pagine web ci è cresciuto, nutrendosi e coltivando sé stesso.

BrainGate: come si diventa cyborg

Prima gli hanno messo un chip elettronico sulla corteccia cerebrale, nemmeno troppo sofisticato; poi i medici hanno registrato e studiato gli impulsi nervosi sensomotori, e come risultato Matthew Nagle, paraplegico, riesce “con la forza del pensiero” ad aprire e leggere una mail, a giocare a videogame, a regolare il volume del televisore, ma soprattutto a comandare un arto protesi robotica, che gli permette di afferrare e manipolare oggetti. Mi sembra tutto bellissimo.

Chip nel cervello, tetraplegico muove oggetti – Corriere della Sera