Berlusclone #9

L’ultimo dubbio sollevato dai complottisti dietrologi ha fatto emergere in me prepotente la visione complessiva dell’intera questione, ha acclarato trentecinque anni e più di storia italiana dove come tutti sappiamo non solo i pezzi del puzzle non combaciano, ma ti accorgi che ogni singola tessera è a sua volta un puzzle.
Berlusconi è un clone.
Cioè, Berlusconi è molti cloni, avendo la CIA provveduto nel corso degli anni a sostituire via via l’ometto iniziale con personaggi versati nell’una o nell’altra materia. Certo, in Matrix ti connetti con lo spinotto a un software che ti passa tutto quel che ti serve sapere sul kungfu o sulle ricette di alta cucina francese a base di senape di Digione, ma la tecnologia non è ancora arrivata a quel punto, quindi per il momento, come si è peraltro sempre fatto, si sostituiscono le persone dando giusto loro una ritoccatina all’interfaccia. Cioè alla faccia.
Per fatti ancora ignoti, Berlusconi è stato scelto durante la seconda guerra mondiale quale bambino da clonare, colui che avrebbe costituito l’arma segreta degli americani per fronteggiare l’avanzata dei comunisti rossi in Occidente.
Ne han fatti una decina o forse più, di Berluschini, e li han tenuti lì in frigo a vari stadi di sviluppo, pronti a subentrare all’originale quando i tempi avessero richiesto un Berlusconi 2.0, poi il 3.0 e così via, e oggi siamo almeno arrivati al numero nove. Per distinguerli, i servizi segreti americani appellano differentemente il clone, cambiando la prima lettera del nome di battesimo del Nostro. Quindi, abbiamo avuto Ailvio, poi Bilvio, in seguito Cilvio, Dilvio e Eilvio. Il particolare sembra insignificante, ma lascia intuire la cura meticolosa e la maniacale organizzazione con cui negli anni è stata portata avanti la cosiddetta operazione S.I.L.V.I.O, ovvero la Super Intelligence Lifelong Vengeance Italian Operation.
Con altissima probabilità, il vero Berlusconi era quello che strimpellava sulle navi insieme a Confalonieri, quello della spider in giro per Milano, il paninaro del ’59.
Ma i tempi stringevano, arrivavano i turbolenti anni Sessanta, sarebbero nate le contestazioni giovanili, i movimenti operai, il sogno del boom economico italiano si sarebbe infranto, serviva un Berlusconi ferrato in cose di legge fin dalla laurea (secondo alcuni, già qui il vero Berlusconi sarebbe stato rimpiazzato con Ailvio, cresciuto con una educazione specifica in giurisprudenza), ed in seguito sicuramente entrò in gioco Bilvio, il clone imprenditore, quello con il fiuto degli affari che trova i soldi sugli alberi e inventa cittadine nuove di zecca, abilissimo in traffici finanziari.
Per la svolta mediatica dei fine Settanta è evidente ai più come sia stato convocato Cilvio, il terzo clone, quello cresciuto a letture forzate di McLuhan, Debord e Baudrillard, capace di comprendere il potere mediatico nella formazione e nel mantenimento del consenso delle masse, per stabilire sotto l’apparenza dell’innovazione sociale un piano politico conservatore, al fine di contrastare le balzane idee di lotta comunista che andavano prendendo eccessivamente piede in Italia. Eroina e TV han fatto finire l’epoca dei movimenti di piazza, come sappiamo, dove da una parte la mafia e dall’altra un clone eccellente quanto determinante, appunto Cilvio, erano in effetti entrambe realtà pilotate dagli americani, come la stessa loggia massonica P2 cui il clone prontamente aderì.
Cilvio aveva inoltre gusti sessuali più forti, era più intraprendente, più combattivo, pare a causa di una esposizione casuale quanto imprevista a fotografie di Little Tony e chansons e film francesi con Yves Montand durante la giovinezza in laboratorio: si innamora di una donna appariscente, e questo quasi compromette i delicati meccanismi di una pianificazione certosina… ma rapidamente tutto viene riportato nell’alveo della progettazione, cogliendo qualche anno dopo l’occasione di sostituire Cilvio con un quarto clone, quello preparato a puntino per fare i maneggi politici con i socialisti. Molto probabilmente l’acquisto del Milan e la famosa discesa su SanSiro con l’elicottero fu affidata ad un quinto clone, mentre dati sicuri trapelati da intercettazioni telefoniche di George Bush padre con il Gabibbo confermano l’ennesima sostituzione di quel Berlusconi con Filvio, il clone successivamente promotore di Forza Italia, nel corso dei primi mesi del 1993.
Negli ultimi anni le tracce si confondono, forse i tecnici di laboratorio americani, figli di quegli stessi inventori dei cloni negli anni Quaranta, non sono all’altezza della situazione, che sfugge loro di mano.
Filvio impersona quasi sicuramente sicuramente Berlusconi per tutti gli anni Novanta e i primi anni di questo secolo, mentre l’episodio della bandana nell’estate 2004 nasconde e rivela senza dubbio un’ulteriore sostituzione di clone. Entra in scena Gilvio, il quale però essendo stato tenuto in frigorifero per molti anni come embrione è effettivamente più giovane dell’ultimo clone: questo costringe i medici a operare su di lui delle operazioni chirurgico-estetiche di invecchiamento, a sostituirgli i capelli ancora tutti sani con camuffamenti atti a suggerire la giovinezza di un vecchio che si vuole giovane, ma dove nessuno deve sapere che si tratta veramente di un quarantaduenne.
Certo, le naturali pulsioni all’accoppiamento di un corpo ancora forte non possono essere trattenute, e Gilvio non può essere rimproverato per questo, tenendo conto che è stato allevato praticamente in solitudine per decenni, rincuorato solo da vallette del DriveIn misteriosamente scomparse nel corso degli anni Ottanta, ma in realtà rapite dalla CIA.
Pare chiaro a tutti, a questo punto, che sulla scorta delle insinuazioni di quei circoli complottisti e dietrologi cui più sopra facevo riferimento, l’occasione dell’ultimo grave attentato di piazza Duomo a Milano, quello della statuetta scagliata, non sia altro che l’abile mossa con cui coprire l’ulteriore scambio di persona. In quella macchina è entrato Gilvio, ma ne è uscito Hilvio.
Chissà per cosa l’han programmato, Hilvio, il Berlusclone #8.
Finora in tutto dovrebbero essere nove Berlusconi: a me vengono solo in mente i Beatles di Revolution #9, o forse i Clovers di Love Potion #9. Speriamo la seconda, delle due canzoni. L’amore vince sull’odio, ha detto Hilvio (la svolta mistica francescana? Ecco in cosa l’han programmato)

27 milioni di dubbi

L’articolo che trovate qui a fianco è stato pubblicato dal Messaggero Veneto verso la fine di settembre.
L’argomento trattato riguarda il finanziamento di 27 milioni di euro per la progettazione e la realizzazione dei primi cantieri di una viabilità alternativa all’esistente, che sia in grado di collegare Udine e Pordenone in 35 minuti di automobile.

Innanzitutto, oltre ad utilizzare strade già esistenti come descritto nell’articolo, verranno anche creati nuovi svincoli e “tangenziali” di paesi lungo il percorso, un tunnel, nonché verranno ex-novo tracciate nuove direttrici nel mezzo di una campagna friulana ancora intatta, quale quella in prossimità di Barbeano e Tauriano, e quella splendida nelle vicinanze di Plasencis e di Mereto di Tomba.

Ora, potrebbero essere fatti dei ragionamenti sulla cultura passatista che porta sempre a individuare come soluzione al problema del traffico la creazione di nuove strade, come se lo spazio fisico fosse infinito. Come se queste infrastrutture non avessero un impatto ambientale notevole sul territorio, anche in termini ecologici. Come se anni di ragionamenti non suggerissero l’impiego di sistemi alternativi di trasporto di persone e cose, come ad esempio una sana progettazione della rete dei treni locali.

Ma pragmaticamente, quello che mi preme dire è questo: per andare attualmente da Udine a Pordenone lungo la statale, 50km in automobile, si impiegano dai 40 ai 60 minuti, a seconda delle condizioni del traffico. Da venticinque anni, da quando ho la patente, so che se devo andare a Pordenone in macchina per un appuntamento parto un’ora prima.
Questa nuova opera mi permetterà di risparmiare (forse, perché sappiamo che poi il problema del traffico si ripresenterà anche sulle nuove strade) un quarto d’ora, venti minuti.
E tutto questo vale 27 milioni di euro, che a opera finita saranno diventati 40 (quaranta)?

Non si potrebbero utilizzare parte di quei soldi per ottimizzare il tracciato esistente, e per potenziare alternative maggiormente sostenibili?

Quell’idiota mi ha colpito

Su Facebook migliaia di cretinetti all’ora cliccano per diventare fan di pagine inneggianti a quel problematico che ha colpito berlusconi.
E’ realtà, mi chiedo ancora, quella dentro Facebook? Come fare la tara di protagonismi, emulatori, giocherelloni, menti leggere, obnubilati facinorosi, dinamiche di gruppo? Qual è l’effetto di realtà che a ricaduta questo evento mediatico suscita, per come viene ripreso su altri socialcosi e sulle televisioni, sui giornali? Conferma o sconferma? Quanto puoi usare queste informazioni per costruire una tua strategia del dire, a supporto di una tua tesi?

A caldo, leggo due post che si interrogano sul valore di quelle immagini, sulla loro capacità di veicolare effetti di realtà, nel mondo delle apparenze mediatiche. Matteo Pelliti e Giovanni Polimeni.
Si parla di svelamento in senso filosofico, si parla di autenticità del dolore su una maschera, e si tratta di interrogativi che ci siamo sempre posti, i quali nell’epoca della rappresentazione simbolica dei massmedia si moltiplicano come immagini tra specchi che si riflettono.
E berlusconi è persona abituata a costruire fiction, cresciuto nella cultura dell’apparenza, dalle tecniche di vendita alle messinscene politiche, dal romanzo della sua vita ai lifting ai teatrini della personalità.

Ma quella faccia insanguinata non mi sembra più maschera, quel dolore non è fiction. Capitava nei romanzi e nelle opere teatrali russe o nordiche di fine Ottocento, di sicuro in Cechov o Strindberg o Ibsen, che d’un tratto un fatto necessario, un accadimento, uno sguardo autentico d’un personaggio incrinasse irreparabilmente le credenze esistenziali del protagonista, ne minasse radicalmente i convincimenti, facesse crollare improvvisamente i castelli di parole su cui tutti noi costruiamo noi stessi. Squarci di realtà, imprevisti e imprevedibili, fratture profonde del senso.

Credo berlusconi dovrà intimamente fare i conti con questa realtà, prima o poi. Sempre più gli arrivano addosso (la moglie, le imputazioni, ora le ferite fisiche) fatti che non possono essere giocati dentro cornici finzionali, dentro narrazioni dove da gran regista può modificare a piacimento il punto di vista del lettore, le quinte degli scenari, l’interpretazione che intende veicolare sugli eventi. E per contrappasso dantesco a lui re egomaniaco dell’apparenza gli arriva addosso proprio un simulacro, un simbolo commerciale di quella Milano che lo ha visto nascere come personaggio pubblico, tiratogli da un poveretto le cui prime parole sono state “io non sono nessuno”. Sono quelle che chiami beffe del destino, e dovrebbero far riflettere.

Sempre che le classiche modificazioni gerontologiche della personalità non abbiano solidificato completamente il delirio narcisistico, fissando e rendendo inattaccabile la sua identità costruita perfino a segni evidenti di mancata sintonizzazione col mondo.
Nel qual caso, prepariamoci ancora una volta a vedere quali strategie retoriche, quali universi di discorso, quali frame di narrazione dovranno essere allestiti per rendere plausibile il racconto della lesa maestà. Possano quel dolore e quello sbigottimento sul suo viso insegnargli qualcosa.

Statistiche europee

Sempre interessanti le statistiche. Per avere un colpo d’occhio generale sull’Europa dei 27 potete puntare qui, sul sito di EuroStat.
Per vedere le percentuali in formato di grafico a barre, oppure sotto forma di mappa geografica, cliccate nella colonna di destra, nel riquadro “Country profiles”, oppure provate a cliccare qui.

Per le tematiche affrontate da NuoviAbitanti, vi consiglio ovviamente di prendere in considerazione soprattutto le categorie “Information society”, “Education”, “Environment and Energy” e “Science and Technology”, tramite il menù a discesa che trovate vicino alle mappe.

L’Italia, lo sappiamo, non è messa benissimo: spesso occupa posizioni medio-basse in molte “classifiche”, nei diversi indicatori.
Sul piano dell’Educazione ci sono buoni numeri, specie nel settore delle scuole primarie, i quali però peggiorano se guardiamo il numero dei ricercatori oppure il livello di disoccupazione di persone con buon grado di scolarizzazione.
Dal punto di vista della Società dell’Informazione, siamo decisamente indietro come numero di connessioni a banda larga, come penetrazione di Internet sul territorio, ma siamo primi per numero di contratti di telefonia cellulare: ogni 100 abitanti in Italia ci sono 120 contratti telefonici, un mucchio di SIM che abitano nei telefoni.
Nella media, oppure valori ancor peggiori riguardano l’utilizzo che i cittadini italiani fanno della rete per comunicare con le Istituzioni e le Pubbliche Amministrazioni, nonché le statistiche riguardanti l’andamento del commercio elettronico.

Segnalo anche due documenti esplicativi in formato .pdf, in inglese.
Il primo riguarda lo Stile di Vita dei giovani europei, nell’età compresa tra i 15 e 29 anni. A che età i giovani mettono su casa, quali sono i livelli di istruzione, quanti hanno contratti di lavoro a tempo determinato, quanto frequentano cinema ed eventi culturali?

Il secondo riprende le statistiche sull’utilizzo di Internet, dando indicazioni specifiche sui comportamenti mediatici. Qui diventa importante comprendere la penetrazione della Rete nella fascia dei giovani (siamo vicini ad una frequentazione giornaliera, o almeno ogni due giorni nella larga percentuale dei giovani, in moltissime nazioni europee e indipendentemente dal livello di istruzione posseduto).

Ahahahha (c’è poco da ridere)

Qualche mese fa scrivevo per Bora.la questo articolo su Daniele Damele, già Presidente del Comitato Regionale delle Comunicazioni CORECOM del Friuli Venezia Giulia, cercando di indagare i motivi delle sue moraleggianti perorazioni vagamente censorie riguardo le libertà della Rete.
I suoi articoli infatti prendono spesso le mosse da gravi fatti di cronaca attinenti i reati di pedopornografia e dalla scoperta di relativi traffici via Internet di video e fotografie, da cui poi Damele giustamente indignato propugna le sue contromosse offensive.
Quando pone l’accento sugli aspetti educativi e sulla prevenzione, non posso che essere d’accordo.
Quando invece parla di limitare l’accesso alla Rete, oppure di eliminare il diritto all’anonimato (idea peraltro meritevole almeno di considerazione, sostenuta in modo bipartisan anche da persone che sul Web abitano da molti anni e sono competenti sulle conseguenze e sul significato etico e sociale di simile scelta) credo fermamente Damele stia sbagliando, e in questo caso si tratta semplicemente di due personali differenti e contrapposte concezioni sul significato del nostro antropologico abitare in questi nuovi Luoghi digitali, e rimane qui o altrove sempre aperto lo spazio di una discussione purché costruttiva e senza fette di prosciutto di San Daniele sugli occhi.

Ciò che in quell’articolo cercavo di esprimere era però soprattutto la mia contrarietà alla sua terza soluzione per contrastare la visione da parte di minori di pagine web inadatte, ovvero il ricorso a un dispositivo tecnico quale un filtro software alla navigazione basato su blacklist da installare sul proprio pc o su quello delle scuole. E dicevo chiaramente che posso capire le esigenze di un dirigente scolastico o di un genitore preoccupato, talvolta l’accrocchio può essere una soluzione, ma una certa etica della comunicazione mi spingeva a far notare che il modo con cui questo filtro viene promosso presso le famiglie e le Istituzioni non risultava affatto chiaro, non veniva spiegato il suo funzionamento tecnico, non si comprendeva se fosse qualcosa messo in vendita e a quali prezzi, non veniva data informazione sulla sua fallibilità e anzi veniva propalato come soluzione miracolosa.

Tra santi e miracoli, quante parole di chiesa sta usando quel materialista di uno Jannis, in questo post? Beh, questo è il punto. Il filtro Davide.it per la navigazione sicura è reclamizzato e venduto da un prete piemontese, Ilario Rolle, le cui risposte piccate sono presenti come commenti, insieme a quelle di Damele, anche sul post di Bora.la succitato, a cui ho dovuto rispondere punto per punto. Un prete paladino della lotta alla pedopornografia.
Il quale prete però è stato pochi giorni fa condannato a tre anni e otto mesi di reclusione, per atti di violenza sessuale su un bambino di dodici anni.
Che meraviglia, eh. Il prete che bacia sulla bocca un bambino, e poi si indigna per quelli che non capiscono la sua battaglia morale contro il marcio che c’è in Internet.
Va da sé, siamo in italia, aspettiamo tutti i gradi di processo prima di dirgli in faccia “sei una merda d’uomo”, nel frattempo leggiamo per contraltare le sue parole addolorate qui, per completezza d’informazione.
Parole addolorate come quelle del Papa contro i casi orribili di pedofilia e violenze nella chiesa d’Irlanda (e chissà nelle parrocchie italiane cosa succede da secoli), senza però scordarci che Ratzinger stesso è dal gennaio 2005 imputato davanti alla Corte distrettuale di Harris County, in Texas, per la copertura data ai membri del clero americano responsabili di abusi sessuali soprattutto su minori. Da che pulpito.

Nel frattempo mi aspetto Damele mantenga un certo silenziostampa sulle vicende del suo amico prete bacione, senza subito gridare al complotto da parte di giudici comunisti e anticlericali.

Internet per la pace?

Ora, c’è in giro questa proposta di candidare Internet al Nobel per la Pace del 2010. L’idea è promossa da Wired USA GB e Italia, vede numerosi sottoscrittori tra cui appunto un premio Nobel, personalità mondiali e in Italia tra gli altri Umberto Veronesi e Giorgio Armani, grosse aziende commerciali come Sony Ericsson, Tiscali, Fineco, Fastweb, Microsoft Italia, Telecom Italia, Unendo Energia, Vodafone Italia, Citroën e H3G.
All’indirizzo internetforpeace.org trovate il sito di riferimento, se volete potete firmare per manifestare il vostro sostegno all’iniziativa.

A me l’idea non piace.
Non mi piace la sua genesi commerciale: la scintilla delle buone idee umanitarie può certo venire anche alle aziende, intendiamoci, le quali però in questi casi creano delle fondazioni con organi rappresentativi e amministrativi super partes, ovvero degli enti morali da eventualmente sovvenzionare collettivamente per la promozione di una buona causa.
Non mi piace la scommessa su Internet in quanto strumento di pace, perché sappiamo che gli strumenti sono neutri, e il risvolto etico dipende dall’uso che le persone (e le multinazionali, e le lobby, e i governi) ne faranno nei prossimi anni. Nel caso di governi e aziende, stiamo parlando di persone che da pochissimo tempo si occupano “ufficialmente” di questi nostri territori digitali spesso per regolamentare e normare cose che non capiscono ma che avvertono come pericolose, e si muovono sulla scorta di mappe sbagliate, mutuate dalla comprensione dirigistica o mercantile dei massmedia tradizionali del Novecento, senza la cultura abitativa basata su valori di condivisione paritetica, apertura, disintermediazione, conversazione.
Non mi piace l’idea che si premi lo strumento stesso, o se volete l’ambiente: in quanto tecnologia abilitante, quelle che vanno premiate sono le persone che hanno saputo promuovere appunto lo sviluppo del Web in una direzione etica, quelli che qui dentro hanno lavorato per migliorare la qualità del nostro Ben-Stare su questo pianeta. Se volete premiate Berners-Lee in quanto simbolo, o meglio ancora venga dato collettivamente il premio alle cento o mille personalità che hanno costruito tecnicamente e umanisticamente questi Luoghi digitali negli ultimi quarant’anni, con un lavoro spesso oscuro e misconosciuto.
Oppure che il Nobel venga dato (in tal modo aiutandola: ci vorrebbero stanziamenti governativi promossi dall’ONU, a mio parere, per lo 0,02 del PIL di ogni nazione mondiale) a Wikipedia, la quale incarna nella propria filosofia e nel proprio operato l’idea di una libera circolazione delle idee (e potrebbe fare anche meglio).

Quello che mi piace sono le parole che hanno scelto per raccontare la proposta di Internet per la Pace, perché colgono il punto (e i copywriter sanno fare il loro lavoro).

Internet per la Pace
Abbiamo finalmente capito che Internet è molto di più di una rete di computer. E’ un intreccio infinito di persone. Uomini e donne, a tutte le latitudini, si connettono tra loro, grazie alla più grande interfaccia sociale mai conosciuta dall’umanità.
La cultura digitale ha creato le fondamenta per un nuovo tipo di società.
E questa società sta promuovendo il dialogo, il confronto e il mutuo accordo attraverso la comunicazione.
Perché da sempre la democrazia germoglia dove c’è apertura, accoglienza, discussione e partecipazione. E da sempre l’incontro con l’altro è l’antidoto più efficace all’odio e al conflitto.
Ecco perché Internet è strumento di pace.
Ecco perché ciascuno di noi in rete può essere un seme di non-violenza.
Ecco perché la rete merita il prossimo Nobel per la Pace.
E sarà un Nobel dato anche a ciascuno di noi.

Il Parlamento dei bambini

Insegnanti, volete fare educazione civica in modo innovativo? Portate i bambini a visitare il Parlamento, ma non sul sito ufficiale, bensì su quello pensato apposta per loro. All’indirizzo http://bambini.camera.it trovate materiali informativi, gallerie fotografiche, glossari, iniziative ludiche per comprendere il funzionamento della Camera e dell’attività legislativa.

La Carta dei Cento per il libero wi-fi

update ore 16.00
Molti in Rete ne hanno parlato, e ancora di più se ne parlerà domani, quando uscirà sul cartaceo.
Però Gilioli nel dare la notizia, lui personalmente coinvolto nell’iniziativa, ha aggiunto delle informazioni sulla presentazione di una proposta bipartisan, Cassinelli-Concia, dove sostanzialmente si prevede di alleggerire il decreto Pisanu permettendo l’accesso tramite riconoscimento via sms, come in italia avviene ad esempio da McDonald o negli aeroporti.
Mi sembra tanto la solita soluzione all’italiana, terra di pateracchi e “ma anche”, visto che comunque il decreto rimane lì a limitare pesantemente la diffusione del wifi libero, per chi (biliotecari, librai, luoghi pubblici, operatori culturali, esercizi commerciali) voglia offrire un banalissimo (nel resto del mondo) servizio ai propri fruitori/clienti.
Leggete in giro: Gilioli, Mantellini, Apogeonline, BlogBabel, Maistrello giustamente scocciato che spiega per bene, Cassinelli stesso, a cui tributo onore per l’impegno ma a cui forse manca ancora l’orizzonte culturale necessario a comprendere fino in fondo la proposta della Carta dei Cento.

LA CARTA DEI CENTO PER IL LIBERO WI-FI
Anteprima: l’appello sarà pubblicato da L’Espresso venerdì 27 novembre 2009

Il 31 dicembre 2009 sono in scadenza alcune disposizioni del cosiddetto Decreto Pisanu (”Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”) che assoggettano la concessione dell’accesso a Internet nei pubblici esercizi a una serie di obblighi quali la richiesta di una speciale licenza al questore.
Lo stesso Decreto, inoltre, obbliga i gestori di tutti gli esercizi pubblici che offrono accesso a Internet all’identificazione degli utenti tramite documento d’identità .

Queste norme furono introdotte per decreto pochi giorni dopo gli attentati terroristici di Londra del luglio 2005, senza alcuna analisi d’impatto economico-sociale e senza discussione pubblica. Doveva essere provvisoria, ed è infatti già scaduta due volte (fine 2007 e fine 2008) ma è stata due volte prorogata.
Si tratta di norme che non hanno alcun corrispettivo in nessun Paese democratico; nemmeno il Patriot Act USA, approvato dopo l’11 settembre 2001, prevede l’identificazione di chi si connette a Internet da una postazione pubblica.
Tra gli effetti di queste norme, ce n’è uno in particolare: il freno alla diffusione di Internet via Wi-Fi, cioè senza fili. Gli oneri causati dall’obbligo di identificare i fruitori del servizio sono infatti un gigantesco disincentivo a creare reti wireless aperte.
Non a caso l’Italia ha 4,806 accessi WiFi mentre in Francia ce ne sono cinque volte di più.

Questa legge ha assestato un colpo durissimo alle potenzialità di crescita tecnologica e culturale di un paese già in ritardo su tutti gli indici internazionali della connettività a Internet.
Nel mondo la Rete si apre sempre di più, grazie alle tecnologie wireless e ai tanti punti di accesso condivisi liberamente da privati, da istituzioni e da locali pubblici: in Italia invece abbiamo imposto lucchetti e procedure artificiali, contrarie alla sua immediatezza ed efficacia e onerose anche da un punto di vista economico.
Questa politica rappresenta una limitazione nei fatti al diritto dei cittadini all’accesso alla Rete e un ostacolo per la crescita civile, democratica, scientifica ed economica del nostro Paese.

Per questo, in vista della nuova scadenza del 31 dicembre, chiediamo al governo e al parlamento di non prorogare l’efficacia delle disposizioni del Decreto Pisanu in scadenza e di abrogare la previsione relativa all’obbligo di identificazione degli utenti contribuendo così a promuovere la diffusione della Rete senza fili per tutti.

FIRMATARI
Alberto Abruzzese, docente universitario
Paolo Ainio, ceo Banzai
Paolo Basilico, ceo Kairos
Paolo Barberis, presidente Dada
Elvira Berlingieri, giurista
Giovanni Boccia Artieri, docente universitario
Raffaele Bianco, consigliere comunale e blogger
Antonio Boccuzzi, parlamentare
Stefano Bonaga, docente universitario
Roberto Bonzio, giornalista e blogger
Dino Bortolotto, Assoprovider
Mercedes Bresso, presidente Regione Piemonte
Giulia Caira, artista
Giovanni Calia, docente universitario, Supervisor New Media
Alessandro Campi, docente universitario
Luisa Capelli, editrice
Marco Cappato, presidente Agorà Digitale
Roberto Casati, filosofo e docente CNRS Parigi
Marco Cavina, docente universitario
Giuseppe Civati, consigliere regionale e blogger
Gianluca Comin, presidente Federazione Relazioni Pubbliche italiana
Luca Conti, consulente e giornalista
Davide Corritore, vicepresidente Consiglio Comunale di Milano
Carlo Felice Dalla Pasqua, giornalista e blogger
Mafe De Baggis, consulente Web
Derrick De Kerkhove, docente universitario
Juan Carlos De Martin, docente universitario
Gianluca Dettori, imprenditore Web
Lorenzo Diana, Fondazione Caponnetto
Arturo Di Corinto, saggista e ricercatore
Alberto D’Ottavi, docente e blogger
Stefano Esposito, parlamentare
Alberto Fedel, ceo Newton Management Innovation
Mario Fezzi, avvocato
Franco Fileni, docente universitario
Ricky Filosa, direttore Italiachiamaitalia.net
Paolo Gentiloni, parlamentare
Marco Ghezzi, editore
Alessandro Gilioli, giornalista e blogger
Giorgio Gori, imprenditore
Giuseppe Granieri, saggista
Matteo Ulrico Hoepli, editore
Alessio Jacona, giornalista e blogger
Giorgio Jannis, progettista sociale e blogger
Manuela Kron, manager Nestlè
Daniela Lepore, urbanista, docente e blogger
Gad Lerner, giornalista
Alessandro Longo, giornalista e blogger
Francesco Loriga, Responsabile provincia WiFi – Provincia di Roma
Riccardo Luna, direttore Wired Italia
Sergio Maistrello, giornalista e blogger
Fabio Malagnino, giornalista e blogger
Massimo Mantellini, blogger
Alberto Marinelli, docente universitario
Ignazio Marino, parlamentare
Giacomo Marramao, filosofo, saggista e docente universitario
Carlo Massarini, conduttore radiotelevisivo
Marco Massarotto, consulente di comunicazione
Maria Grazia Mattei, MGM Digital Communication
Giampiero Meani, St Microelectronics
Fabio Mini, generale ed ex vicecomandante Nato
Antonio Misiani, parlamentare e blogger
Marco Montemagno, imprenditore Web e conduttore Sky
Andrea Nativi, giornalista esperto di questioni militari
Riccardo Neri, produttore cinematografico
Luca Nicotra, Segretario Agorà Digitale
Gloria Origgi, docente CNRS Parigi
Marco Pancini, Google Italia
Lorenza Parisi, ricercatrice universitaria e blogger
Vittorio Pasteris, Giornalista
Piergiorgio Paterlini, scrittore
Matteo Penzo, cofounder Frontiers of Interaction
Gian Paolo Piazza, presidente Sunrise Advertising, responsabile settore informazione Legacoop Piemonte
Marco Pierani, Altroconsumo
Roberto Placido, vicepresidente del consiglio regionale del piemonte e blogger
Marco Revelli, storico e politologo
Stefano Rocco, Wired.it
Stefano Rodotà, giurista
Andrea Romano, direttore Fondazione Italia Futura
Gino Roncaglia, docente universitario
Massimo Russo, direttore di Kataweb
Claudio Sabelli Fioretti, giornalista e blogger
Francesco Sacco, docente universitario
Marcello Saponaro, consigliere regionale e blogger
Ivan Scalfarotto, vicepresidente del Pd e blogger
Sergio Scalpelli, dirigente d’azienda
Tiziano Scarpa, scrittore
Guido Scorza, docente universitario, presidente Istituto politiche dell’innovazione
Antonio Sofi, giornalista e blogger
Luca Sofri, giornalista e blogger
Elena Stancanelli, scrittrice
Tommaso Tessarolo, direttore Current tv
Eva Teruzzi, direttore innovazione Fiera Milano
Irene Tinagli, docente universitaria
Antonio Tombolini, imprenditore
Andrea Toso, newmedia project manager
Antonio Tursi, saggista e docente universitario
Paolo Valdemarin, imprenditore
Gianni Vattimo, docente universitario
Andrea Verde, collaboratore fondazione Farefuturo
Giancarlo Vergori, manager
Michele Vianello, direttore del Parco Scientifico e Tecnologico di Venezia
Luigi Vimercati, parlamentare
Vincenzo Vita, parlamentare
Vittorio Zambardino, giornalista e blogger
Giovanni Zanolin, assessore Pordenone
Marcella Zappaterra, presidente della Provincia di Ferrara
Giovanna Zucconi, giornalista e autrice

Alix

Cosa volete mai che Alice scopra al di là dello specchio? La Matrice, ovvio (a pensarci dopo averlo visto). Oh, qual squisito mash-up letterario. In fondo, un centone. Blob, è un altro sinonimo. Ma non confondiamo il titolo dell’opera con il tipo di opera, se non nei casi di vampirizzazione. Anche il titolo può essere parte del lavoro di rimescolamento, in effetti, e non solo essere appiccicato in seguito. Beh, però di quest’opera un titolo non c’è, non lo trovo sulle fonti – io l’ho trovata da Phonkmeister. Through the Looking-Glass, and What Alice Found There, come il titolo originale, o “Squarciare il velo di Maya”, van tutti bene. E se fossimo tutti chiamati a contribuir all’opra, intitolandola per come ci racconta? Che vita, eh? In fondo il cucchiaio non esiste, il problema è chiamarlo cucchiaio… ve lo dice un nominalista di mille anni fa come sono io, o se vi piace Protagora tuffatevi negli abissi. Misuro quel che non è, perché non sono. Sono il mio non-essere la matrice, ma neanche la facoltà del Senso. Poi per alcuni proprio questo potrebbe già essere un problema, perché “l’uomo non è il centro della vita, la misura delle cose, ma è totalmente e soltanto parte della natura“. Tanto, la vera Matrix non può essere detta. E purtuttavia mi tocca metterci un nome, maledetta nominatio rerum. E quella che può essere detta non è la vera Matrice, maledetto Tao. Anche se dico “la trama del caos” non cambia niente, se non che al mondo esiste un’affermazione in più, un suono in più che muove molecole d’aria secondo una forma, quindi il mondo è cambiato.

Per l’appunto gangherologico, l’interfaccia è lo specchio, sappiamo. Che non è un segno, a quanto pare. Conoscenza irriflessa.
Io la chiamo Alix, ‘sta tipa. Eh, che sintesi.

Diffamazione depenalizzata

Questa notizia qui riportata da Mario Tedeschini Lalli è strana.
Sembra uno di quegli aneddoti sulla vita di corte a Versaglia, uno spunto curioso sulle abitudini alimentari durante il Rinascimento, oppure un esercizio di fantastoria dove per gioco ci si chiede cosa sarebbe successo se invece di fosse avvenuto che.

Perché più ci penso più questa cosa mi sembra piovuta da un altro mondo, da tempi che non possono essere i nostri in cui viviamo.

Soprattutto quelli in cui viviamo noi qui in italia, dove sul meccanismo della diffamazione si costruiscono rispettabilità e perfino intere carriere politiche. Dove la diffamazione è un delitto punito con la reclusione per aver offeso l’altrui reputazione.

Quindi: in Inghilterra hanno depenalizzato la diffamazione e ogni reato a essa connessa.
Scusate, non ci credo, mo’ me lo riscrivo da solo: hanno depenalizzato la diffamazione. Che poi scopro non esistere nemmeno negli Stati Uniti.
E lo hanno fatto espressamente per favorire la libertà di espressione e di stampa, per evitare che il pensiero critico nei media venga frenato da un ennesimo “ma come si permette, lei non sa chi sono io” etc.

Intendiamoci: se dici una bufala su di me, io ti denuncio e dimostro la verità e poi vorrei tu pagassi la tua leggerezza, giusto per insegnarti che le parole e le conseguenze delle parole possono essere assai pesanti. Sono cose che si possono risolvere con civiltà, e senza farla tanto grossa comminando anni di carcere.
E’ più importante che tutti possano parlare, che i giornalisti possano fare inchieste scomode, valutando il rischio commisurato a una sanzione, non a una reclusione che fa tanto passare la voglia di farsi delle domande. E di farle.

Ma un reato come la diffamazione a mezzo stampa ha senso appunto con la stampa o con la televisione, quando sono pochi quelli che parlano e molti quelli che ascoltano. C’è un’industria dietro, un’economia, una visione del mondo implicita e una da veicolare. E quelli che parlano o scrivono sono giornalisti iscritti a un albo, con un codice deontologico. Ovvero, sanno quello che possono o non possono dire.
Ma oggi tutti parliamo con tutti, dentro i nostri blog e sui socialcosi.
E parliamo come parliamo al bar (qualcuno forse crede di essere addirittura nel suo salotto, e sbaglia la misura), liberamente. E non credo quelle forme legislative pensate decenni fa possano ancora essere adeguate oggi, in questo nostro diverso ecosistema dell’informazione e della pubblica opinione.
Lo stesso vale per le immagini, se ci pensiamo: una volta c’erano tre macchine fotografiche per ogni regione italiana, poi la diffusione di massa delle polaroid e delle videocamere e oggi dei cellulari rende probabile la mia presenza nelle foto della luna di miele a Venezia di molte coppie di giapponesi, metti caso io stessi passeggiando in piazza San Marco.
Se sto camminando in piazza, la mia immagine è pubblica, ciascuno può prenderla e farne ciò che vuole. Se poi usa una mia foto a mia insaputa per reclamizzare lassativi, vediamo di metterci d’accordo. Se un premier dice baggianate o fa i festini coca&troie, io lo dico e lo scrivo, senza temere di finire in galera.
E ogni volta che vedo facce in televisione, bambini a scuola, adolescenti intervistati sulle mode musicali, mi chiedo se veramente canale5 o rai1 han fatto firmare centinaia di liberatorie.
Chiaramente, è il concetto di liberatoria che non funziona.
Se il flusso era unico e broadcast, la quantità di situazioni reali da controllare era ancora gestibile.
Adesso viviamo dentro molti flussi di informazioni, noi stessi siamo diventati produttori e distributori a livello planetario di opinioni e immagini e video, mi sembra fuori dal tempo continuare a pensare di poter continuare a regolamentare tutto fino al minimo dettaglio, per ognuno di noi. Il sistema cede, non era progettato per questo.
L’italia ha una tradizione nel codicillo del codicillo, ma è facile prevedere implosione per collasso.
Collasso dei tribunali, delle carceri piene di gente. Collasso sociale, perché la diga non può trattenere tutta questa liquida conversazione.
La privacy è cambiata, la sfera privata e pubblica non sono più le stesse, i valori come reputazione e decoro si costruiscono e si mantengono presso la società in modo nuovo, non più nel silenzio e con la forza dei soldi per pagare avvocati. Se sei un potente e ci tieni alla tua reputazione, comportati bene. Altrimenti non due giornalisti, ma migliaia di persone parleranno di te liberamente, qui dentro.

Rimboccarsi le maniche per il clima

Questo articolo di Sergio Maistrello su Filtr prova a fare il punto sulle politiche mondiali riguardo il clima, e dinanzi alla delusione per la lentezza degli accordi internazionali suggerisce di insistere con le iniziative virtuose, individuali o comunque locali.
Quello che fa ognuno di noi, nel suo piccolo, moltiplicato per tante altre “piccole” ottime pratiche potrebbe introdurre quell’efficienza e quell’efficacia nel sistema dell’economia sostenibile che i grandi politici benché bendisposti faticano a promuovere per via legislativa.

E anche l’obiettivo europeo del 20-20-20 per il 2020 sembra allontanarsi.

Oltre la delusione per Copenhagen
Stati Uniti e Cina fanno perdere altro tempo al mondo sul riscaldamento globale. Tocca ripartire dalle persone
di Sergio Maistrello

È più utile, in una prospettiva globale di lungo periodo, investire sul dialogo tra Occidente e Cina oppure trovare un accordo che porti in tempi ragionevoli all’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica nei paesi industrializzati? All’equilibrio geopolitico di fine decennio serve più una cambiale di Pechino sul tavolo di Washington o l’avviare una volta per tutte il processo di riconversione dell’economia mondiale verso la sostenibilità di lungo termine?
Certo è che il fallimento, a questo punto probabile e addirittura preventivo, del vertice di Copenhagen si infila in una lunga serie di occasioni mancate dal Protocollo di Kyoto (1997) in poi, marcando un distacco sempre più evidente tra le tensioni politiche ideali e l’opportunismo della realtà.
Sembra sempre più evidente che non saranno le grandi nazioni civilizzate i soggetti in grado di imprimere una svolta decisiva nel rendere questo pianeta un luogo più civile ed equo.
Ed è un peccato perché le popolazioni sembrano paradossalmente più reattive dei loro governanti, in questo senso. Così viene da pensare che se un cambiamento profondo ci sarà, non sarà imposto dall’alto, ma emergerà dalle pratiche virtuose dal basso.
Oggi più che mai quanti si dichiareranno delusi dal veto cinese e americano hanno un’alternativa più costruttiva del limitarsi a protestare: modificare i propri comportamenti e l’impatto ambientale delle proprie scelte di vita e dare l’esempio al vicini. Vediamo chi arriva prima al risultato.

Obama è un NuovoAbitante

“Io credo nella trasparenza – dice il presidente – perché più l’informazione circola liberamente, più una società diventa forte. In questo modo i cittadini possono chiedere dei conti a chi li governa. Perciò sono contrario alla censura, anche quella che colpisce Internet. In America la libertà di accesso a tutti i contenuti online ci rende migliori. Come presidente, qualche volta preferirei che ci fossero meno critiche contro di me, e ne ho tante. Ma questo rende la nostra democrazia più sana, e mi costringe a governare meglio”.
via Repubblica

Obama sul tema delle libertà, mentre parla agli studenti cinesi.
Quasi quasi gli mando una mail per proporgli di diventare socio onorario dell’associazione NuoviAbitanti.

Coltivate voi stessi

Giovanardi è un ignorante, e nessuno dovrebbe voler un ignorante al governo di una nazione.

Dicendo “nessuno” ragiono di sopra o sotto la linea dell’intelligenza, quel tuo essere capace di intendere e volere che ti permette di andare a votare, non di destra e sinistra di una linea politica.

Cinquant’anni di studi e di ricerche sulle ragioni sociali, affettive, familiari, psicologiche ed economiche che portano alla tossicodipendenza buttati via in un secondo, con una superficialità agghiacciante. Ma come si fa a dire una sciocchezza simile nel 2009? E come si fa ad accettare che un ignorante del genere stia al governo per occuparsi di questo tema?
da Gilioli

Un help-desk per i supporti tecnologici

Certo, dev’essere dura.
Quest’anno a Natale l’ebook reader Kindle o iLiad o Cybook sarà il regalo sotto l’albero per moltissimi americani, il boom da noi potrebbe essere per l’estate prossima.

Un’altra di quelle rivoluzioni epocali portateci dalla Cultura Digitale: ne parlano Luca DeBiase e Sandrone Dazieri su Nòva Sole24ore, Antonio Tombolini sul blog di Simplicissimus.

Qualcosa di simile deve essere accaduto nella seconda metà del Quattrocento, con la diffusione della tecnologia della stampa. Magari ancora prima, quando si diffuse la rilegatura di buona carta, come la storia di Fabriano insegna.
Nel video qui sotto, la ricostruzione scherzosa di un help-desk dell’epoca.

FILTr

Sto collaborando a un esperimento online, un sito di informazione giornalistica dove una redazione di gradevoli personcine, ben addentro alle cose della Rete, si comporta come un filtro rispetto allo scorrere delle notizie mainstream, quelle che trovate sui quotidiani online o su Google News.
Parlandone con Giuseppe e Sergio, promotori, scherzavo sul pettinare i flussi. O distillarli.

Il Luogo si chiama FILTr, ed è in alpha-preview @ bookcafe.net aka G.Granieri.
I singoli redattori delle voci scelgono di trattare un argomento d’attualità, ma aggiungono solo tre righe di contesto, forse mezzo punto di vista personale, e si premurano soprattutto di ancorare bene l’articolo alle fonti e ai luoghi di visibilità e di conversazione sulla notizia.

Gente che abita permanentemente in Rete che lascia una traccia leggera sulla superficie dell’infosfera, per quelli che rientrando alla sera dal lavoro sconnesso vanno online e cercano una panoramica dei temi caldi, un’acconciatura che dia una forma alla massa scomposta dei feed, una pettinata. E un ragionamento, un Filtrouge.
FILtRouge? FILTrOUGE? filTrouge? Vabbè, mi è venuto in mente adesso, il filo rosso.
Che poi credo il fil rouge come concetto (continuità, elemento comune) venga dalla tradizione delle Corderie Reali di Francia, a La Rochelle, dove per secoli si intrecciava la canapa per fare le funi per le navi francesi, e uno dei molti trefoli ritorti che compongono la corda era colorato di rosso, per provarne identità e quindi qualità.

Un aggregatore sensato, forse, in uno spunto di narrazione dove come sempre il lettore viene chiamato a colmare di significati il tutto, seguendo gli indizi sparsi nel testo e fuori dal testo, collegati.
Ma tutti possono inviare link pertinenti e far emergere oasi di significatività: FILTr è una cosa social, c’è una pagina dedicata e un bookmarklet affinché tutti possano pubblicare rapidamente la loro segnalazione, c’è la pagina su Facebook.

Il logo in alto è provvisorio: il grande concorso “Vota il logo, e vinci un pettine” è in fase di progettazione.

Al liceo misi una Stratocaster al posto del crocifisso. Sette in condotta subito.

Io voglio semplicemente la religione fuori dalle scuole statali.

Perché sono le scuole statali di un paese laico, l’italia, come è scritto nella Costituzione.

Se poi dei genitori vogliono proprio inculcare a forza nella testa di un bambino dei concetti che non può capire, scelgano delle scuole (esiste un pluralismo dell’offerta formativa) pubbliche ma di tipo confessionale, oppure private. Si affidino alle agenzie formative cattoliche, mandino i figli all’oratorio o dall’imam o dal primo Jedi che passa.

Ma a scuola non si fa proselitismo, né esistono verità dogmatiche.
E togliete quel crocefisso dalle aule, dài.

Abbiam dovuto aspettare che una mamma italiana di origine finlandese tenesse duro in tutti i ricorsi al TAR e alla Consulta, ma ora è notizia pubblica: la presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni» e una violazione alla «libertà di religione degli alunni», e lo ha ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.
Prendete e leggetene tutti sul Corriere, sulla Stampa, sul sito dell’Agi.

Nella foto, Susanna Messaggio (cioè, Susanna Messaggio).