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Vorrei

Vorrei scrivere, ma non riesco, ogni tanto lavoro anch’io.
E pensare che di cose ne accadono, vedo sempre quegli strani incastri tra persone e significati che m’incantano, mi obbligano pena il malditesta a pormi domande sul senso della Vita, l’Universo e Tutto Quanto (ma vi consiglio anche “Ristorante al termine dell’universo”, visto che già il concetto espresso nel titolo è delizioso: pensate di poter viaggiare liberamente nel tempo, e di essere un imprenditore galattico nel campo della ristorazione… qual miglior location per un ristorante se non sull’ultimo secondo di vita di questo universo, prima del collasso? Quale miglior visione dalle vetrate vicino al vostro tavolo, se non quello di stelle che implodono e nebulose che s’infrangono le une sulle altre, nel giorno che sarà – nell’ipotesi astrofisica di un universo con sistole e diastole – il contrario del BigBang?)

Come vedete dal post qui sotto col videino, sono stato a Barcelona, giusto per raccontare a qualche decina di insegnati coinvolti in un progetto europeo in che modo possono restare in contatto e lavorare collaborativamente a distanza utilizzando qualche simpatico toolino web 2.0.

Ero già stato in Spagna, diciamo quindici anni fa, a Valencia e a Vigo: ma questa volta sono capitato a Barcellona durante la sagra del paese, ovvero la festa di Santa Maria della Mercè – un bell’equinozio, ve lo dice Solstizio – e conseguentemente per le ramblas vagavano centinaia di migliaia di turisti, e non sto scherzando. Ho capito il ritmo spagnolo, cosa significa trovare alle nove di mattina i bar appena aperti con ancora le brioche da mettere nel forno, cenare alle undici di sera, andare in discoteca alle tre e mezza di notte, visto che queste ultime aprono alle due e mezza.
Mi sono mescolato alle migliaia di ragazzi nelle piazze, ho partecipato al rituale del bottellion (tutti i ragazzi e le ragazze si portano via in un sacchetto della spesa una bottiglia da un litro e mezzo di coca, riempita però presso opportune bottegucce alimentari-e-alcolici con psichedelici intrugli di vodka ananas rum e cocacola), se chiedi un’informazione sulla rambla piccola metà dei ragazzi ti risponde facendo su una mista con una mano e indicandoti la strada con l’altra.
E ballare: le strade risuonano di bonghi e di musica caraibica, e io con la mia biciclettina a noleggio vagavo su tutti i quartieri del centro, inseguendo carri con draghi sputafuoco e fanciulle tutte prorompenti, ma senza quell’aria da “ce l’ho d’oro” che hanno qui in italia appena assomigliano vagamente ad una velina qualsiasi.
La prossima volta mi porto nello zaino delle bacchette da batterista, trovo un coperchio della spazzatura e mi unisco tuttanotte alle bande di percussionisti itineranti.

Nella foto qui sopra potete vedere una simpatica siora che vende la frutta alla Boqueria, il mercato, mentre qui sotto ecco i draghi che vagano per la città e una bella vespa di quelle nuove, ma tappata con gusto mod.

Poi abbiamo un tassista che cambia la gomma bucata in piena Piazza Catalunya, ed un simpaticone che gira NUDO tr ai tavoli di una piazzetta, facendo inorridire le carampane tedesche o nordiche, che a quel punto si esprimevano solo a squittii.

Ecco un altro che racimola soldini inventandosi qualcosa come animatore di strada

Ma il gioiello è questo: immaginatevi una tipa carina, vestita da Maga Merlina con tunica tempestata di stelle, allegramente fumata ed alcolizzata, che portandosi da casa un frighetto da campeggio su trolley da supermercato, dispensa dietro pagamento di Euro 2 un intruglio di succo d’ananas e rum, preparato da lei sul momento, proprio DAVANTI ai locali più frequentati della Rambla Rayal (per non parlare dei marocchini che vanno in giro con sei birre fresche per mano e ne vendono una ad 1 euro).

Ora torno a lavorare, ma mi chiedo: perché in italia ci son tante facce da culo, la chiesa che rompe le balle, la gente dentro di testa come qui in nordest… che ipocrisia, borghesucci, “salviamo-le-apparenze” e uccidiamo la tranquillità, su.

Vico Magistretti

Ecco un coccodrillo che scrivo con tutto il cuore per la morte di Vico Magistretti, sicuramente uno dei migliori designer italiani di tutti i tempi.

Tanto per cominciare sappiate che da quando sono nato ad oggi, sul comodino vicino al letto di tutte le case in cui ho abitato, vi è sempre stata questa lampada, l’Eclisse, che mi ha fatto sognare cose belle come lei.

Mio padre lavorava nel settore dei mobili, e ho sempre avuto la fortuna di poter sfogliare decine di riviste di arredamento e di interior design, da cui ho appreso il gusto per le cose belle in fatto di oggettistica e soprattutto lampade, ovvero illuminotecnica, una delle mie passioni (gli amici mi negano l’aggettivo “buon” al mio gusto in fatto di arredamenti, ma questo solo perché vivo fondamentalmente in un salotto con tre computer, quattro schermi, strumenti musicali varii disseminati ovunque, casino).

Magistretti era un grande, sì. Leggerezza calviniana e semplicità, utilizzo rivoluzionario dei materiali, linee di design pulite, funzionalità, questo designer italiano ha letteralmente arredato l’immaginario e la realtà degli anni sessanta e settanta, fondendo modernità ed eleganza, al punto che ben dodici suoi oggetti di design sono presenti nella collezione permanente al MOMA di New York. Vi è un richiamo esplicito nel suo fare e nel suo dire alla scuola della Bauhaus, sia per la predilizione per il minimalismo, sia per la concezione dell’opera d’arte a servizio della diffusione di massa, attraverso la riproduzione industriale.

Quante volte avete visto questi elementi di arredamento? Quante volte questi colori hanno rallegrato la vostra vita?

De Padova – People – Designer – Vico Magistretti – Biografia

Siamo logici, perdiana

Grrr.
Avevo pubblicato un post lunghetto, poi Blogger qui me lo ha fatto sparire (anche se gli aggregatori continuano a segnalarmelo, e poi mi arriva un 404). Ora mi tocca riscrivere, perché avevo cancellato anche la nota da Performancing, il quale a sua volta mi dà casini non riuscendo a collegarsi al server Atom. Chi di voi ha notizie, me lo dica. Per intanto scrivo da dentro Blogger.

Senonché, intendo raccontare una mia passione adolescenziale. No, non si tratta delle tipe more ricciolone con gli occhi verdi – diciamo un incrocio fenotipico tra Clio Goldsmith e e Alida Valli – per cui a sedici anni avrei dato il mignolo del piede sinistro in cambio di una notte di passione.
Parlo di letteratura, parlo di Sanantonio.


Avevo appunto quindici, sedici anni, ed il sabato pomeriggio prendevo 10.000 lire ed in sella al mio fido Fifty con carburatore ipertrofico da 19 andavo in San Lazzaro, qui a Udine, dove c’era una sioretta che campava gestendo un negozietto di libri usati dove io sperperavo (in realtà, mai speso i soldi in modo migliore) la paghetta comprando Sanantonio e Urania a bizzeffe, tuttora ne possiedo centinaia.

Il mio primo incontro con questi romanzi polizieschi risale a qualche anno prima, diciamo verso l’ottanta: me ne passò uno mio padre, innescando inconsapevolmente la mia passione letteraria per la scrittura “sperimentale”. Sì, perché tra Queneau e Pennac c’è di mezzo Sanantonio, ovvero Frederic Dard (avrei scoperto il nome dell’autore solo molti anni dopo), uno che ha scritto 288 romanzi, 250 storie brevi, 20 rappresentazioni teatrali e 16 scenografie di film, ha venduto 240 milioni di libri, e gli sono state dedicate 25 tesi universitarie… chiaramente qui lo conoscono solo gli affezionati, e sappiate che se incontrate uno che possiede anche solo tre copie di Sanà, avete quasi sicuramente davanti un fanatico adoratore, lo capite da come gli brillano gli occhietti quando pronunciate il nome “Berù”.

Sanantonio è un commissario della polizia parigina, in seguito impiegato in certi servizi segreti francesi, che racconta in prima persona – è pur sempre un eroe – le proprie avventure utilizzando i tempi al presente, perché “l’imperfetto, come dice chiaramente il nome, non soddisfa”; inizialmente le storie sono piuttosto classiche, diciamo che si tratta di una francesizzazione della scuola hard-boiled americana (Dashiell Hammett, Spillane), ma lo stile utilizzato si fa già notare per brillantezza, scelta lessicale, digressioni filosofiche.
Tenete presente che i primi romanzi furono pubblicati in Francia fin dagli anni ’50, mentre in Italia sono apparsi nel 1970.

Con il procedere del tempo, tutto esplode: le trame pur sempre coerentemente poliziesche diventano contenitori per espressioni di paroliberismo (Dard ha coniato circa 15.000 parole nuove, e per questo sforzo di resa letteraria in lingua italiana Gianni Rizzoni e soprattutto Bruno Just Lazzari – i principali traduttori e promotori editoriali di Sanantonio – non saranno mai sufficientemente ringraziati), per citazioni letterarie (e Ruy Blas diventa Ruy Bla-bla-bla, come fece notare Arpino), per il ritmo frenetico e pop e divertente, per i calembour di cui affermo senza ombra di dubbio la superiorità dinanzi a qualunque altro autore, per l’immaginazione scoppiettante, per il modo unico di Dard di “bucare la cornice” e di rivolgersi al lettore con forme esilaranti di interpellazione diretta, per le tirate psuedofilosofiche, ispirate al buon senso, mai pesanti e sempre ficcanti, fino alla capacità dell’autore di sbozzare personaggi coloratissimi e vivi, alle descrizioni di una Parigi da mare come le musmè (le tipe), alla provincia tipo Maigret, però rallegrata da beaujoulais e pientanze e strani ritrovamenti di cadaveri e commesse dei magazzini e impiegate della posta e pupe dei gangster (sì, altre musmè).

Un po’ Belmondo, come sulle copertine, un po’ James Bond, totalmente francese ma di origine italiana (vive con la mamma Felicie, adorabile), Sanà mi ha tenuto compagnia e mi ha fatto ridere di cuore fino all’università, quando ancora cercavo nei mercatini di Bologna e Padova le copie che mancavano alla mia collezione dei primi cento numeri, l’unica collezione che io abbia mai fatto in età adulta (tralascio le raccolte dei gadget disney tipo gli scudetti di latta con sopra rappresentati i personaggi di Sherwood, oppure i francobolli metallici dorati sempre di topolino: ne parlerò un’altra volta, qualndo troverò in giro le immagini).

Le “Inchieste del commissario Sanantonio” sono romanzi pieni di battute, trovate, insulti, stravolgimenti, asinerie, sesso, volgarità, riflessioni serie o sfottenti sulla vita, sugli uomini, sulle abitudini, il tutto condito in salsa poliziesca. Ma dietro questa valanga di avventure strampalate, gettate in faccia al lettore con un linguaggio ora osceno ora perfettamente letterario, spunta una carica creativa che fustiga tutte le forme letterarie precedenti. (tratto da www.commissariosanantonio.it)

Che cosa fa, l’uomo Scelto, l’uomo Superiore, l’uomo Designato, quando le folle si prostrano ai suoi fettoni? Eh? Benedice! E’ questa la Grandezza! Non può distribuire roba materiale, perchè ciò lo sminuirebbe, allora spaccia qualcosa di Spirituale. Agisce in nome di Dio, perdio! E’ Delegato! Si sente il Diritto! Meglio ancora il Potere! Tutta questione di fluido e coglioneria. Il fluido lo ha lui, e gli altri curvano il busto per beccarsi la scarica protettrice! Con il fulmine sulla punta delle dita, lui lancia onde come si lanciano confetti ai mocciosi del paese durante le nozze campagnole. “Prendete e tremate perchè questo è il mio segno!” e tutti i babbei inginocchiati, raggrinziti, pronti a baciare qualsiasi anello, o qualsiasi deretano, purchè sia riconosciuto di utilità biblica. Continuamente al limite del miracolo, è questa la suspence! Tutti si aspettano di essere miracolati a bruciapelo da un momento all’altro, a freddo, a secco! Pam! Nella calotta o nella culatta! Da non importa chi! Se ne fottono del pedigree dell’officiante. I miracoli, come il denaro, non hanno odore! Ciò spiega i maghi, i guaritori, i veggenti, i dittatori!E voi vi ammassate tutti timidi, tutti umidi, convinti che se il Buon Dio ci ha fatto un paio di ginocchia, lo ha fatto perchè ci possiamo prosternare!

Sanantonio, che altro?

Guardate questa copertina: si tratta del Commissario Sanantonio, e vi racconterò di me e di lui.

Vedete, questa immagine è la scansione della copertina di un libro in mio possesso: la raccolta dei primi cento numeri di Sanantonio è l’unica collezione che io abbia mai fatto in età adulta; mi ricordo anche di certi gadget di Topolino verso metà settanta, ovvero gli scudetti in latta della storia di Robin Hood a Sherwood, e quei francobolli dorati e taglienti con sopra i personaggi disney, ma è un’altra storia (ne scriverò quando troverò su web qualche immagine eloquente).

Romanzi questi di Sanà pubblicati in Italia a partire dal 1970, ma già grossissimo successo in Francia e nel mondo fin dagli anni ’50; le storie migliori, il giusto mix tra intreccio, stile espositivo e contenuti scollacciati sono però state scritte nella seconda metà degli anni sessanta, dopo alcune traversìe passate dall’autore Frederic Dard: all’inizio abbiamo a che fare con storie poliziesche abbastanza classiche, diciamo un derivato francese della scuola hard-boiled americana (Spillane, Hammett), caratterizzate però peculiarmente dall’uso dello stile di interpellazione diretta al lettore da parte dell’Io narrante… man mano che gli anni passano, si giunge a stramberie narrative, innovazione lessicale continua (Sanantonio ha inventato circa 15.000 parole, sulla falsariga dell’argot parigino: va quindi tributato un giusto riconoscimento a Bruno Just Lazzari e a Gianni Rizzani, traduttori e promotori editoriali), allusioni sessuali, tant’è che in Italia verso la fine degli anni settanta Sanà veniva distribuito insieme a Playboy, quando la nota rivista ospitava anche interviste serie, articoli di letteratura e di analisi di costume da parte di scrittori noti.

A tredici anni mi imbattei in questi romanzetti polizieschi, e rimasi folgorato dallo stile di scrittura, dalle battute, dall’ironia, dal continuo “rompere la cornice” di questo sconosciuto scrittore che si rivolge dicevo direttamente al lettore, apostrofandolo e rabbonendolo, accompagnandolo nella lettura con sublimi battute becere ed osservazioni filosofiche: stiamo parlando di un personaggio che è commissario della polizia parigina, che racconta in prima persona – è pur sempre un eroe – avventure di spionaggio e lotta al crimine, conducendo l’azione al tempo presente (“perché l’imperfetto, come dice chiaramente il nome, non soddisfa”).
Al sabato, raccattavo 5.000 lire e con la biclettina andavo in un negozietto di libri usati in San Lazzaro, qui a Udine, e compravo Urania e Sanantonio a bizzeffe, ne ho tuttora centinaia sommando gli uni agli altri.

“Le inchieste del commissario Sanantonio” sono romanzi pieni di battute, trovate, insulti, stravolgimenti, asinerie, sesso, volgarità, riflessioni serie o sfottenti sulla vita, sugli uomini, sulle abitudini, il tutto condito in salsa poliziesca. Ma dietro questa valanga di avventure strampalate, gettate in faccia al lettore con un linguaggio ora osceno ora perfettamente letterario, spunta una carica creativa che fustiga tutte le forme letterarie precedenti. (da www.commissariosanantonio.it)

Vi dirò: se incontrate qualcuno che ne possiede più di una copia, siete davanti ad uno che ama Sanantonio, i suoi personaggi superfrancesi, la stile della prosa.

Dopo venticinque anni, trovo giusto pagar pegno, e parlarne qui in rete.

“Che cosa fa, l’uomo Scelto, l’uomo Superiore, l’uomo Designato, quando le folle si prostrano ai suoi fettoni? Eh? Benedice! E’ questa la Grandezza! Non può distribuire roba materiale, perchè ciò lo sminuirebbe, allora spaccia qualcosa di Spirituale.
Agisce in nome di Dio, perdio! E’ Delegato! Si sente il Diritto! Meglio ancora il Potere! Tutta questione di fluido e coglioneria. Il fluido lo ha lui, e gli altri curvano il busto per beccarsi la scarica protettrice! Con il fulmine sulla punta delle dita, lui lancia onde come si lanciano confetti ai mocciosi del paese durante le nozze campagnole. “Prendete e tremate perchè questo è il mio segno!” e tutti i babbei inginocchiati, raggrinziti, pronti a baciare qualsiasi anello, o qualsiasi deretano, purchè sia riconosciuto di utilità biblica. Continuamente al limite del miracolo, è questa la suspence! Tutti si aspettano di essere miracolati a bruciapelo da un momento all’altro, a freddo, a secco! Pam! Nella calotta o nella culatta! Da non importa chi! Se ne fottono del pedigree dell’officiante. I miracoli, come il denaro, non hanno odore! Ciò spiega i maghi, i guaritori, i veggenti, i dittatori!
E voi vi ammassate tutti timidi, tutti umidi, convinti che se il Buon Dio ci ha fatto un paio di ginocchia, lo ha fatto perchè ci possiamo prosternare!”

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Jason Lee, con e senza skate

Oh, un altro tipo molto simpa. Nei film di Kevin Smith mi fa morir dal ridere.

Jason Lee (actor) – Wikipedia, the free encyclopedia

Perché la storia è questa: prima Jonze ha fatto un documentario sul mondo dello skate, ed il protagonista era proprio Jason Lee, l’inventore del flip a 360° o chessoio.
Poi arrivano i Sonic Youth, che devono fare un video un po’ alternative, per ammaliare quelli dei college americani e fare quindi un po’ di soldini.
Ora, la canzone è “100%”, i Sonic sono le super icone indierock che suonano ad una festicciola con patonze e birra (notevole la moretta ricciolona con una coscia lunghissima seduta sul bracciolo di una poltrona, mentre beve birra) , e chi ti arriva garrulo e ridanciano? Jason Lee, appunto, perché il regista del video dei Sonic è sempre Spike Jonze e Jason Lee ci sta dentro.
Un super campione di skate che poi ha fatto tre o quattro film di Kevin Smith (nelle parti del fumettaro furbetto, oppure del diavoletto nel film in cui Alanis Morrissette era Dio), e ora fa l’attore a tempo pieno.

Aggiornamento 18/9: non faccio in tempo a scrivere questo post, che comincia in TV un serial “Earl” dove Lee è il protagonista. Ogni puntata dura 20 minuti, ovviamente italia1 ci ha messo uno spot in mezzo. Vedremo come farà Earl a redimersi: deve rimediare a 259 (ora 258) cattive azioni compiute nel passato, ha appreso il concetto di karma.

L’arpeggione

Ahhh, che piacere trovare questa notizia su Wikipedia.
Dovete sapere, e forse da qualche link qui già lo sapete, che io sono un fanatico dei Sixties, forse non tanto per la musica in sé quanto per l’atmosfera di quegli anni, per il contorno, per gli aspetti sociali della rivoluzione londinese del 1963/1967. Tant’è che il mio blog precedente su Splinder si intitolava Sociomusica.

Insomma, un giorno scarico e ascolto gli Hollies, e mi accorgo di questa canzone, la cui progressione armonica della strofa (Sol maggiore/Si maggiore/Do maggiore/Do minore) è la stessa del pezzo d’esordio dei Radiohead, la celeberrima Creep. Chiaramente, tutti a prendermi per il culo.
Ma io confido nel tempo galantuomo, ed ecco qui la notizia: sul disco dei Radiohead, la loro canzone è firmata sì dai componenti della band, ma sono indicati anche come autori Hammond e Hazelwood, ovvero gli autori di “The air that I breathe”.
Quasi quasi ora cerco i brani in questione e vi butto giù un remix .)

The Air That I Breathe – Wikipedia, the free encyclopedia

Meditate, gente, meditate

Bene, noi che viviamo in Rete abbiamo conosciuto John Beer da Padova quando “Nota disciplinare”, aka “7 in condotta” era un blog su Blogger.

Tempo due settimane, e Giovanni Birra si era già comprato un dominio.
Tempo due settimane, e si era su 5.000 contatti al giorno.
Tempo due settimane, e dopo un’intervista con le Jene, siamo sui 50.000 contatti giornalieri.
Bene.
Adesso i post migliori di quel blog diventeranno un libro, edito da Rizzoli: “La classe fa la ola mentre spiego”.

«Indossa francobolli al posto dei vestiti» – Corriere della Sera

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A saperlo prima – è tutta un’aspettativa

Narrazioni? Storie? Trame.

“Il vecchio pompiere alcolizzato che picchia la moglie e i figli ma poi di fronte alla tragedia riscopre il senso del dovere e sacrifica la propria vita in un tripudio di lacrime e sangue”.

“Il generale guerrafondaio plurimedagliato che vuole buttare il bombone, e lo scienziato che cerca di fermarlo fino all’ultimo secondo”

“Il bambino che preannuncia il terremoto con uno strumento trovato nel Topolino ma i genitori giustamente lo perculano”

Aggiungo
“Lo sfigato umile si rivela eroe saggio e un po’ manesco, salva tutto, scompare” (oppure fugge con la “scienziata bona”, ruolo dalle caratteristiche chiare e distinte, riconoscibilissime in ogni filmone che si rispetti)

http://www.daveblog.net/2006/08/29/strategie_del_terrore.html

Il contrario di un blog

Il contrario di un blog

il contrario di un blog
è un blog
che va sparendo
è lo stesso strumento che si usa per redigere e archiviare un blog
che può produrre il contrario di un blog
cancellare un post, di tanto in tanto, quando hai del tempo o quando proprio non puoi farne a meno
quando il contrario di un blogger ha un’Impellenza Autoriale sceglie cosa cancellare e preme delete entry.
e se un blogger è quello che pensa per post la sua vita
io passo ore ad arrovellarmi per decidere cosa cancellare
adesso che ho il contrario di un blog
E senza voler innescare alcun paradosso: vi basti sapere che voi non leggerete mai questo post.

Bambolescente: Il contrario di un blog
Riprendo e volentieri pubblico questo post

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BrainGate: come si diventa cyborg

Prima gli hanno messo un chip elettronico sulla corteccia cerebrale, nemmeno troppo sofisticato; poi i medici hanno registrato e studiato gli impulsi nervosi sensomotori, e come risultato Matthew Nagle, paraplegico, riesce “con la forza del pensiero” ad aprire e leggere una mail, a giocare a videogame, a regolare il volume del televisore, ma soprattutto a comandare un arto protesi robotica, che gli permette di afferrare e manipolare oggetti. Mi sembra tutto bellissimo.

Chip nel cervello, tetraplegico muove oggetti – Corriere della Sera

Anglicismi, poesia, Burt-ezzaghi

Bartezzaghi da Repubblica si sofferma sul solito problema degli anglicismi, parole di lingua inglese correntemente usate in italiano. Giustamente, si afferma che la questione va affrontata con creatività. E allora ecco che l’esimio enigmista figlio di enigmista, laureato in semiotica con Eco, ci propone una simpatica poesiola di Mario Barenghi, italianista:

Qui c’è il browser con il server, ed il setter con il pointer,
c’è il bestseller, c’è l’hamburger con le chips e le blue chips;
c’è il reporter col revolver, c’è il designer col decanter,
qualche wafer, molti woofer, ma di welfare quasi più;
c’è il fund-raiser dentro il bunker, molti mixer, troppi mister,
più decoder che pullover, e gameover, stop, reboot;
c’è il caregiver con le cover e il dispenser di spinnaker,
ma nessun golden retriever ha la fiasca con il rum;
c’è lo hacker con lo shaker che col toner sporca il boiler,
e c’è il pusher che dal corner sintonizza la tivù
con i trailer dei blockbuster, rapper, speaker, leader, bomber,
e magari Jack the Ripper ne squartasse one or two

Gli apporti della lingua inglese – Lessico e nuvole – Repubblica.it

Fresco questionario estivo

La prima volta l’ho visto da Giulia. Ora noto che si sta espandendo.
Ebbene, mi cimento con il mio primo questionario su blog.

Parli ancora con la persona a cui hai dato il tuo primo bacio?
Manno. Era una ragazzina con i riccioli morbidi, occhi azzurri. Io 14, lei 13 anni, al mare, e lei aveva un delizioso costumino a triangoli rosso. Non l’ho più vista.

Che musica sentivi quando facevi le elementari?
Mia nonna aveva un bar con il jukebox: mio compito il sabato mattina era aprire lo sportello dei dindini (arrivavo fiero con la chiave presa dal cassetto dietro il bancone) e contare l’incasso, poi guardare la pila di nuovi dischi arrivati, e scrivere le etichette da mettere nel jukebox. Stiamo parlando di quei dischi a 45giri con da una parte “Altrimenti ci arrabbiamo” degli Oliver Onions e dall’altra Prisencolinensinainciusol (all right), oppure Credeence, europop o quel che capitava. Quando mio padre apriva la macchina infernale per cambiare i dischi, mi sembrava la bocca di un mostro: si trattava di agire in profondità, sporgendosi dentro mentre stavo arrampicato su una sedia, e individuare nella ruota gli scompartimenti putacaso E2 e F4, e rimpiazzare il disco, badando poi a riportare sull’etichetta il giusto codice identificativo. Tutto questo per dire che ascoltavo di tutto: i primi dischi che ho personalmente voluto e fatto comprare sono stati Oxigene di J.M. Jarre, e Bennato del Burattino (un mio compagno di classe delle elementari, l’attuale Jena Andrea Pellizzari, credo avesse “La torre di Babele”)

I dischi di mio padre:

Musica classica, poca roba. Una volta ci han regalato un disco di elettronica di un tal Tomita, che rifaceva “Una notte sul monte Calvo” con i sintetizzatori, e passavo un po’ di tempo ad ascoltarlo. Poi da parte di mia madre, Aphrodite’s Child ma soprattutto Demis Roussos, Julio Iglesias che piaceva a mia nonna quella senza il bar, e altra roba.

Sei contro i matrimoni tra persone dello stesso sesso?
Manno. Fossi in loro, non mi incaponirei sul matrimonio religioso, chissenefrega.

Sei triste in questo momento?
No. Di solito ho le mie cose a mezzaluna, o a luna nuova.

La maggior parte degli amici che hai ora sono vecchi o nuovi?
Due tre sono vecchioni, altri più recenti, ma parliamo sempre di quindicine d’anni.

Possiedi mobili di Ikea?
No.

Hai mai fatto qualcosa di vendicativo nei confronti di qualche collega?

No.

Sei mai stato in terapia?
No.

Hai mai giocato al gioco della bottiglia?
Sì, un tot. Un estate al mare un amico con lo ZX Spectrum ne aveva programmato una versione informatica, che vista sul televisore sembrava l’ora esatta… forse si tratta del mio incontro con il computer, sarà stato il 1982.

Ti è mai piaciuto qualcuno senza che tu glielo abbia detto?
Sì, certo. Ma ho sempre avuto l’idea di piacere a quelle a cui piacevo, quindi non ho mai subito grossi traumi.

Sei mai stato in campeggio?

Una volta sola, da ragazzo. Vorrei riprovare a dormire in tenda, c’è un odore particolare di plastica.

Hai mai avuto una cotta per un amico di tuo fratello/sorella?

No. Una volta ho guardato con occhio languido un’amica di mia sorella, perché si favoleggiava fosse piuttosto disinibita: io 16 anni, lei 15.

Sei mai stato in una spiaggia per nudisti?

No. Ma lo farei tranqui, anzi lo farò sicuramente.

Hai mai mentito ai tuoi genitori?
Sì, ma si tratta in realtà di sorte di camuffamenti, che poi potevo rivelare il giorno dopo senza eccessivi patemi.

Hai mai avuto un taglio di capelli così brutto da dover indossare il cappello per un mese di fila?
Sì. Il barbiere segretamente istruito da mio padre ci è andato giù pesante (diciamo che avevo i capelli quasi a spazzola), mentre io giovane Jim Morrison puntavo alla chioma fluente. Devo aver avuto un’incazzatura con lancio di bestemmie in famiglia, poi come al solito mi passa tutto in mezz’ora. No di certo il cappello: preso atto del misfatto cosa dovevo fare? fregarmene.

Qual è l’ultima volta che hai dormito per più di 12 ore?

12 è troppo, non riesco. 10 ore mi capita, diciamo una volta al mese.

Dov’eri il Capodanno del 2006?

A Sarzana.

Da dove hai preso l’idea per il tuo nickname?
Dalla data di nascita, fonte della mia passione per i riti di passaggio e per la gangherologia.

Hai mai pianto per la morte di una celebrità?
Manno. Figuriamoci.

Di che colore è la biancheria che hai addosso?
Boxer a puntini celestini.

Indossi sempre il reggiseno?

….

Cos’hai fatto stamattina?

Colazione, controllato la mail, navigato blog e news, wikipedia, scritto una cosa per lavoro, prelevato col bancomat, spesuccia minima, comprato il tabacco, bevuto uno spriz leggendo il giornale nei tavolini all’aperto di una pizzeria, insieme a certi sessantenni pensionati che non conoscevo che parlavano di Zidane.

Cosa ha posto fine alle tue ultime amicizie?

Vivo degli allontanamenti. Quello che mi scoccia è quando un gruppo mi inchioda in un ruolo, e come tutti i gruppi che si rispettino ti impedisce di uscire dal ruolo, perché potresti mettere a repentaglio tutto. Allora mando tutti a quel paese per un paio di mesi, vedo le persone singolarmente.

Hai mai spiato qualcuno per cui avevi una cotta?
Certo.

Qual è stato l’ultimo concerto a cui sei andato?
L’ultimo serio sono stati i Pixies a Lubiana, due anni fa. Anche Manyfingers quest’inverno mi ha entusiasmato, con Matt Elliott.

Qual è stato l’ultimo programma che hai visto in televisione?
La finale dei Mondiali di calcio?

Cosa ti ferisce?
L’ignoranza.

Prendi medicine?
No, solo il Moment talvolta.

Che maglietta hai addosso?
Maglietta nera Diesel. Minchia.

Qual è il tuo negozio preferito?
Librerie, vivai, negozi di elettronica e ferramenta, bazar dell’usato.

Qualcuno che non vedi da un po’ e che ti manca?
Mio fratello che sta a Padova, credo.

Ti importa cosa pensano le persone di te?
Per la mia struttura di personalità, devo ammettere di sì, però non così tanto da portarmi al conformismo, anzi. Invecchiando, sempre meno.

Usi un PC o un Mac?
PC

Usi il mouse o la tavoletta grafica?
Mouse.

Qualche sito dove vai ogni giorno?
I blog preferiti

Sei un esperto di computer?
Per lavoro, mi vedono così. Ma è fama usurpata, quando vedi lavorare gli informatici capisci che “usare il computer” è un’attività in cui quasi tutti grattano appena la superficie.

Che tipo di carne preferisci mangiare?
Maiale.

Quale scarpa infili per prima?
Indifferente.

Parlando di scarpe, ne hai mai tirato una a qualcuno?
Sì, ma senza intenzioni serie.

Quali gioielli indossi 24 ore su 24?

Piercing.

Hai dei cereali in casa?

No. Non piacciono né a me né alla tipa. Qualche volta potrei mangiare muesli con sopra marmellata, yoghurt e quark, toh.

Hai mai molestato sessualmente qualcuno?
No, ho avuto delle storie .)

Sei mai stato molestato?
No. Però in un certo senso usato sessualmente sì.

Hai mai visto la tua migliore amica/o nuda?
No.

Se sì cosa hai pensato?

Cosa ami fare nel tempo libero se rimani a casa?
PC, libri, badare alle piante.

Syd

A diciott’anni facevo i compiti di scuola fumando e ascoltando The Piper e Relics con le cuffie; a ventisei la seconda sbandata, mentre facevo l’obiettore. Tuttora ascolto psychobeat inglese dei sixties, Zombies Kinks Donovan Hollies e Searchers, le stesse canzonette che Syd ascoltava nei suoi diciott’anni, e ritrovo quelle intonazioni agrodolci, quella melancolia favolosa di fine estate, quella progressione di accordi così inglesi, che il Testamatta avrebbe reso sublimi nei primi due dei PinkFloyd. Canzoni che ho suonato e cantato per strada in Olanda, musica che mi far star bene.

EFFERVESCING ELEPHANT

An Effervescing Elephant
with tiny eyes and great big trunk
once whispered to the tiny ear
the ear of one inferior
that by next June he’d die, oh yeah!
because the tiger would roam.
The little one said: “Oh my goodness I must stay at home!
and every time I hear a growl
I’ll know the tiger’s on the prowl
and I’ll be really safe, you know
the elephant he told me so.”
Everyone was nervy, oh yeah!
and the message was spread
to zebra, mongoose, and the dirty hippopotamus
who wallowed in the mud and chewed
his spicy hippo-plankton food
and tended to ignore the word
preferring to survey a herd
of stupid water bison, oh yeah!
And all the jungle took fright,
and ran around for all the day and the night
but all in vain, because, you see,
the tiger came and said: “Who me?!
You know, I wouldn’t hurt not one of you.
I’d much prefer something to chew
and you’re all too scant.” oh yeah!
He ate the Elephant.