Vecchie suggestioni etimologiche.
Osceno vale ob-scena, ovvero qualcosa che si staglia contro e davanti alla scena teatrale, come quando Costanzo in televisione introduceva il suo show parlando per alcuni minuti davanti al sipario chiuso.
Quello non era ancora spettacolo, il sipario è l’interruttore che apre la quarta parete e la dimensione della rappresentazione.
E molti quando parlano di privacy hanno in mente questo teatro della socialità, fatto di pubblico (che è pubblico di sé stesso), di messa in scena e allestimento, di quinte pareti, di luci di riflettori, magari di registi.
Ma insomma, sappiamo quanto vi sia di pornografico nella Società dello Spettacolo, proprio nell’esibizione di sé al di fuori di ogni cornice, di ogni messa in scena.
Da cui le distinzioni famose di pornografia e erotismo a seconda della presenza di un contesto allestito nell’universo del discorso, e non semplice e crudo documentarismo di pratiche sessuali umane.
E chi giudica la libera espressione di sé oggi in questi media dove ognuno di noi può allestire molte messe in scena di sé deve smetterla di pensare a queste cose come a uno spettacolo pornografico, perché è sempre una rappresentazione della nostra identità. E rappresentazione non è né mimesi imitazione né simulazione, che ne son due casi particolari.
Forse una scarsa competenza nella lettura impedisce a certi di vedere le quinte decorate e i costumi che via via indossiamo a seconda del personaggio che vogliamo interpretare, ma sempre meno avremo paura di dare visibilità ai lati della nostra personalità, quelli professionali e quelli ludici, quelli etici e quelli affettivamente connotati.
Una volta chi voleva poi fare l’eremita si sottraeva al mondo, confrontandosi con il deserto per riacquistare chiarezza nella visione della propria vita, visto che un contesto di privazione ti obbliga a leggere te stesso, sei in un posto dove sei indifferente all’ambiente, ovvero dove l’ambiente non agisce su di te, non si occupa di te, dove potresti non esserci ed è uguale.
Se oggi vado in piazza, espongo liberamente la ma faccia alla collettività in luoghi sociali.
Le espressioni del viso, le parole che dico, i gesti che faccio sono percepiti da altre persone, e se urlo “governoladro” in una manifestazione non si dà il caso che questo non sia avvenuto, e tutti quelli che mi han visto possono testimoniare.
Chiaramente, se sono adulto e voto alle elezioni e ho i miei diritti di cittadino, sono tenuto a sapere cosa posso e non posso fare in relazione al bene pubblico e agli altri, e consapevole di certe leggi che prescivono reati (cose che nessuno ci insegna bene, neanche per sommi capi, a Scuola) posso prefigurarmi gli effetti dei miei comportamenti, e regolare di conseguenza la mia idea di etica, e il mio fare.
Quindi: prendiamo per buono il fatto che una persona che si espone in pubblico è consapevole di essere in pubblico, e sorveglia il proprio fare (secondo consapevolezza) adeguandolo a certi codici comportamentali.
Ecco, una ripresa audivideo di una persona in piazza è libera di circolare ovunque, secondo me, al di là del beneplacito del soggetto ripreso, perché è lui che è andato in piazza.
E comesopra presumo sia in possesso delle sue facoltà, è un cittadino libero che può esprimere il suo pensiero e nessuno può impedirglielo.
Se dice qualcosa di illegale, ci sono le leggi.
Se usando la sua immagine, gli si fa dire dentro un media, cioè dentro una rappresentazione, qualcosa che può ledere la sua dignità professionale e di persona, ci sono leggi per procedere.
Se mi fanno una foto in piazza e poi la mettono sui cartelloni pubblicitari per reclamizzare un lassativo, potrei arrabbiarmi, anche se poi dipende da quanti soldi mi darebbero una volta io scoprissi il fatto per non denunciarli per appropriazione di identità. O gli faccio lavare per bene il fango che han gettato sulla mia persona, se questo è un fatto fattualmente contestabile.
E così, ogni nostro apparire in pubblico è cosa pubblica, di tutti.
Comprese televisioni e Facebook, articoli sul blog o battute su un forum, le cose che guardacaso pubblichiamo.
Anche le immagini prese dalle webcam delle banche o del Comune sono pubbliche, quello è suolo pubblico e quello sono io che passeggio, per questo già dicevo che le webcam cittadine devono essere pubblicamente raggiungibili su apposita pagina web istituzionale, cioè di tutti.
E io da casa posso prendere per dire quelle immagini pubbliche, e usarle dentro un documentario che sto facendo e usarle anche per fini commerciali miei, perché andando in piazza io ho firmato la miglior liberatoria di tutte, quella di espormi personalmente e consapevolmente alla socialità.
Se qualcuno chiama un avvocato, si faccia pure un processo, ma per eventuale diffamazione, non per aver utilizzato immagini pubbliche.
Dipende da te, cittadino. E speriamo che si arrivi presto a parlare ufficialmente a scuola di Educazione alla Cittadinanza digitale, perché di questo stiamo parlando, quando ragioniamo di privacy e di copyright e di lifestreaming.
Dipende da te stabilire quanto far conoscere della tua vita online, quante parolacce usare quando parli male del governo in piazza o su Facebook, quante tracce lasci nel tuo vagare sui territori fisici o digitali. Poi quello che hai fatto è pubblico, perché lo hai fatto in luogo pubblico, e tutti sono liberi di commentare quello che vedono accadere.
Pubblicate pure il vostro numero di cellulare in Rete, rendete pubbliche su Flickr le gallerie in cui siete in panciolle in spiaggia con un drink in mano oltre a quelle in cui parlate in giacca e cravatta davanti a una platea, siate fieri del vostro secondo blog (attualmente aperto con pseudonimo) dedicato all’uncinetto o ai fenomeni paranormali e riconducetelo alla vostra identità ufficiale, oppure giocate liberamente con i ruoli e con gli alias, e mettete in scena i vari personaggi che vi sentite di essere.
Fatevi carico di responsabilità, ormai sapete di essere in pubblico.
Sarete giudicati per il vostro stile di personalità, per le parole con cui abitate il mondo, per la vostra capacità di costruire dei contesti in cui il vostro messaggio possa risaltare, per l’abilità con cui riuscirete a mettere narrativamente in scena la vostra vita, e con capacità erotica.
E questo, in quanto rappresentazione consapevole di sé in luogo pubblico, non potrà mai essere osceno.
Facciamo un esempio? Però se non volete vedere copritevi gli occhi come quelli di Star Trek.
Nella foto qui in parte (dove sono presenti genitali, cliccate consapevolmente) cosa volete mai recriminare alle fanciulle che con mille espressioni diverse si divertono in discoteca? Quella foto è pubblica, è un fatto accaduto, e le ragazze erano tutte consapevoli di cosa stava succedendo e di quale significato avrebbe avuto presso l’opinione pubblica la pubblicazione di una fotografia che le ritraeva in quel contesto. Voi come giudicate quelle ragazze?
Il problema vero è che se dovessi assumere come impiegata una di quelle ragazze, il venire a conoscenza di questa foto non pregiudicherebbe poi molto la mia valutazione sulla sua capacità lavorativa. Se fosse un festino di ragazzi con una spogliarellista, per dire, già il mio giudizio sarebbe diverso, e questo vuol dire che ho a che fare con stereotipi di percezione della socialità, moralismi.
Perché una visione puritana della vita mi deve portare a distinguere morbosamente tra privato e pubblico, instillando in me ossessioni e voyerismi, giudizi morali legati all’esibizionismo di sé? Perché devo vivere in un mondo che vuole nascondere tutto, per poi essere attratto dalle cose che non si devono vedere? La vogliamo smettere con questo volo carpiato, che intorcola il desiderio? La vogliamo smettere con l’ipocrisia dei sepolcri imbiancati?
La dialettica del diritto all’anonimato, del mio non far sapere agli altri cosa faccio, contrapposta alla patina di rispettabilità che pretendo veder vedere riconosciuta dagli altri nella visibiltà della mia faccia pubblica, non può reggere ancora a lungo, nella Società dello Spettacolo ora connessa.
Sono tutte messe in scene antiquate, create dal perbenismo borghese dell’Ottocento che cercava il suo stile tra proletari e nobili, tutte cose che non sono più adeguate alla modernità.
Non riescono più a suggerire il giusto contesto interpretativo per il messaggio che intendiamo lanciare di noi stessi, la nostra rappresentazione di noi stessi nei moltiplicati luoghi sociali.
E noi stessi non possiamo più padroneggiare le forme del nostro essere percepiti: se vent’anni fa mi fotografavano mentre entravo in un sexyshop, avrei potuto sempre corrompere il giornalista, oggi se mi filmano dieci telefonini e mettono su YouTube cosa volete che dica?
Il fatto che i parlamentari siano tutti vestiti uguali, per dire, in giacca e cravatta, indistinguibili, mi è inconcepibile.
Prenderne uno col maglione fa già fotografia meritevole di valorizzazione sulle news. Quanti lati hanno, i politici, due? Bidimesionali, nella loro Flatlandia. E prendo i politici così per dire, mi riferisco a tutti quelli che non si fanno domande.
Ci sono personaggi e situazioni che attraversano perpendicolarmente il loro piano di realtà e loro neanche se ne accorgono. Persone vestite in altro modo, con altri colori, con altri pensieri e altre esperienze di vita. E a cui simili dialettiche svelamento/rivelamento soggiacenti alla nostra concezione attuale della privacy risultano estranee, avendo ben differentemente impostato la gestione della propria immagine pubblica, secondo magari anche altri cardini morali. Ecco perché parlare di naturismo al Tg è qualcosa che va sempre un po’ ammantato di pruderie.
Saremo tutti in pubblico, quando saremo in pubblico, molto più di adesso. Una volta su una piazza c’erano tre cameramen con le tv istituzionali, adesso ci sono migliaia di telefonini. Anche molto di quello che era privato fino a ieri può oggi facilmente esser reso pubblico, da me stesso o da altri.
Comportati sapendo che la tua immagine può viaggiare ovunque, e tocca a te starci attento.
Ma quello che è sicuro è che le forme attuali di tutela della privacy cambieranno profondamente, sotto la spinta di questi cambiamenti tecnosociali.