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TIC e apprendimento

Qualche giorno fa, in questo post qui intitolato “Le tecnologie non servono”, Gianni Marconato ha provato senza menar troppo il can per l’aia a riassumere il suo approccio e le sue riflessioni rispetto all’adozione delle TIC a scuola, nella didattica quotidiana.
Quella che va tenuta ferma in questi ragionamenti è l’efficacia dell’apprendimento, non solo l’efficienza dell’insegnamento: ci viene propinata una facile equazione (strumenti migliori = maggiori garanzie di successo delle azioni formative) che può essere facilmente falsificata a esempio dal non confondere i mezzi con i fini, evitando di rivestire quindi le tecnologie didattiche di un’aura di potenzialità e di malintesa modernità che le renderebbe di per sé in grado di fare la differenza rispetto agli obiettivi scolastici.
L’affermazione di Marconato è chiarissima: un bravo insegnante ottiene successo e provoca apprendimento significativo nei suoi allievi anche usando solamente la tecnologia della parola, mentre un insegnante mediocre potrà circondarsi di mille diavolerie (ehehe) elettroniche ma comunque il suo fare risulterà inadeguato.

“Le tecnologie non servono… se non sai insegnare”.

Peggio ancora, c’è in giro una cultura dell’innovazione strumentale che offusca e distoglie lo sguardo dai veri obiettivi educativi, e forse questa è il vero nemico da combattere.

Non si tratta quindi di demonizzare le TIC, anzi importantissime oggi per fare scuola in modo coerente e sintonizzato al mondo in cui viviamo, ma di ragionare sul significato di insegnamento e apprendimento.
In Rete la posizione espressa in quel post ha provocato (su Facebook, nei commenti sul blog) notevoli reazioni da parte di persone, magari docenti, che senza aver ben compreso il nòcciolo della questione si sono indignate per la pochezza con cui veniva trattata la professione dell’insegnante oppure per il sacrilegio di aver parlato male delle salvifiche tecnologie TIC.

Incollo qui l’articolo di risposta di Marconato a queste critiche e osservazioni, da cui emergono in maniera puntuale le diverse posizioni di pensiero sull’uso didattico delle tecnologie, la necessità di pensare prima all’apprendimento, e poi alle tecnologie che servono per ottenerlo (e non viceversa, come troppo spesso si fa oggi).
Interessantissima (più volte discussa in questo blog) la visione secondo cui è importante giungere alla trasparenza delle TIC nel setting e nel processo educativo.

… a meno che
di Gianni Marconato

Il mio ultimo post “Le tecnologie non servono” ha suscitato un buon dibattito in rete (anche se non ampio come “La scuola Gelmini – Israel non serve a nessuno”), con espressioni di accordo e di disaccordo su quanto affermo.
Il post mi è, anche, costato l’accusa di revisionista, passatista…
Evidentemente non mi sono spiegato bene, soprattutto per coloro che mi hanno considerato, per il post, una persona contraria all’uso didattico delle tecnologie.
Capisco che chi non conosce la mia storia professionale (di cui il mio blog dà ampio rendiconto) si possa essere fatto questa idea e capisco che il titolo possa aver tratto in inganno, ma una attenta lettura avrebbe, forse, reso comprensibile il mio pensiero nella sua articolazione.
Nel post in questione dico, al di là delle frasi forti (nessuna provocazione Francesco), dico:

  • Spesso l’uso didattico delle tecnologie è stato confuso/spacciato come innovazione tout-court e con non poche mistificazioni, vuoi in buona fede, vuoi in perfetta malafede
  • Non si può far credere (agli insegnanti, agli studenti, alle famiglie, alla società) che la nostra scuola stia migliorando grazie a massicce iniezioni di tecnologie
  • Il mero uso delle tecnologie non produce necessariamente ed automaticamente buona scuola (buon insegnamento, buon apprendimento)
  • La questione del valore aggiunto delle tecnologie è ben più complessa di quello che a tutti i livelli si fa credere
  • Un cambiamento profondo, autentico e stabile si attiva con una strategia (anche politica) e modalità operative differenti di quelle che si stanno adottando
  • In parecchi di coloro che lavorano nella filiera delle tecnologie c’è molta ingenuità e/o approssimazione (quando non furbizia)
  • Dopo tanti anni di ingenuità, sperimentazioni più spesso mal riuscite che ben riuscite, “lezioni” imparate da molti di noi, è ora pensare ad approcci organizzativi e didattici maturi, non a ripetere quelli della prim’ora

Una affermazione, forse estremistica, fatta nel post è relativa al fatto che solo un “bravo” insegnante può trarre beneficio dall’uso delle tecnologie. (Francesco Leonetti mi ha fatto notare che avrei potuto titolare “Le tecnologie non servono … se non sai insegnare). Un tempo non lo credevo, ma ne sono sempre più convinto (ed in P.S. lo argomento)

Concludevo il post “incriminato” con una proposta di ordine metodologico sulla base di questo ragionamento: “Considerato che le tecnologie dovrebbero migliorare insegnamento ed apprendimento, considerato che le tecnologie sono strumenti come tanti altri, perché non partire da problemi/obiettivi di didattica e trattare, nel contesto della loro soluzione, anche le tecnologie? Perché prima si devono imparare le tecnologie e poi il loro uso? In questo modo, a mio avviso, si rimette al centro la didattica.

Esplicitando, se ancora ce fosse il bisogno, il mio pensiero è che, oggi (non 10, 5 anni fa) le tecnologie si accrediteranno autenticamente come utili strumenti didattici se scompariranno in quanto “oggetto” in bella evidenza e diventeranno uno dei tanti tools a disposizione di insegnanti e studenti.
Le tecnologie si accrediteranno e si insedieranno stabilmente, ed i tempi sono maturi, solo quando non si parlerà più di didattica con le tecnologie ma solo di didattica, con e senza le tecnologie.
Non vi sembra giunto il tempo di rendere normali le tecnologie in classe? O almeno comportarci come se lo fossero?
——

P.S. su “il bravo insegnante
Perché solo il “bravo” insegnante potrebbe tratte beneficio (= aggiungere valore aggiunto) dall’usare le tecnologie in classe e non il “mediocre”? Forse potremo dire “insegnante esperto” ed “insegnante novizio”; forse così non si offende nessuno.
Per me il “bravo insegnante” (relativamente alla variabile “tecniche didattiche”)è colui/colei che:

  • Conosce ed ha una comprensione profonda di un’ampia (meglio se vasta) gamma di tecniche didattiche
  • Sa diagnosticare, dalla prospettiva dell’apprendimento e dell’insegnamento, la situazione in cui vuole intervenire
  • Sa scegliere, in coerenza con questa, la tecnica che per lui è la più adeguata
  • Sa argomentare il perché della scelta
  • La sa implementare efficacemente

Solo un insegnante “evoluto” o “esperto”, un insegnante che ha mestiere può trovare il senso di questo ulteriore strumento (uno strumento tanto divertente quanto difficile da usare didatticamente), un insegnante competente che in virtù delle tecniche che padroneggia potrebbe, anche, fare a meno delle tecnologie (anche se credo che le tecnologie possano dare qualcosa in più).
Ma se non le ha, quell’insegnante, non sa perché usa le tecnologie e lo fa solo perché …. le tecnologie esistono, …. perché i nativi digitali, …. perché non se ne può fare a meno, …. perché altrimenti non si è al passo con i tempi, … perché, altrimenti, si fa la figura degli scansafatiche, …. perché che direbbe il dirigente.

Con il risultato di continuare a fare la solita mediocre lezione, di deprimersi dopo un po’ perché non vede risultati e di dare la colpa alle tecnologie.

Allora, il “novizio” (c’è chi rimane novizio per tutta la vita perché “fare esperienza” non vuol dire “avere esperienza”) non potrà mai accedere alla gioia delle tecnologie? Dico di si, ma questa è un’altra storia

Quindi chi ha a cuore la buona immagine ed il buon uso delle tecnologie didattiche (io sono tra questi), sia severo, sia esigente, abbia elevate aspettative e non si accodi al gregge delle pecore che belano tontamente dietro l’ultima tecnologia.

Al barcamp di Venezia, 23-25 ottobre

Parliamo di Venezia.
Il convegnone su VeneziaDigitale (vedi qui il sito VeneziaCamp, oppure qui per il wiki dell’iniziativa) avrà luogo da venerdì 23 a domenica 25 ottobre, all’Arsenale.
L’isola del Lazzaretto, precedente location, andava già bene, ma considerata la prevista alta affluenza di persone (oltre mille) il trovarsi tutti all’Arsenale andrà ancora meglio, permettendo di recuperare anche la valenza simbolica del Luogo rispetto ai temi del convegno.
Cioè, l’Arsenale è dove i veneziani costruivano le navi, l’hardware su cui far girare quel software chiamato “commercio”, e i veneziani eccellevano nell’uno e nell’altro. E il commercio è una “tecnologia abilitante”, perché oltre alle merci fa viaggiare le idee, la cultura, modifica la visione del mondo, scommette sul futuro.
L’Arsenale è forse la prima “fabbrica” storicamente esistita, in un mondo ancora artigianale (l’energia veniva dal vento, dall’acqua, dalle braccia), che riesce a pensare se stessa in termini protoindustriali: qual posto migliore per incardinare la Cultura Digitale (abitare i mari della Rete) se non un vero tempio della Cultura Tecnologica, da risvolti territoriali così forti da riuscire a connotare di sé l’intero “fare” di Venezia, per secoli, e quindi la sua identità.

Questo convegno rappresenta la prima esplicita presa di coscienza vissuta da Venezia del proprio ruolo futuro, del proprio essere città digitale; qui ragioneremo, ancora brancolando ed esplorando, sui significati dell’abitare connesso, di Cittadinanza Digitale, delle conseguenze per le prossime generazioni del praticare socialità in rete, dell’evolversi dei sentimenti di appartenenza territoriale delle collettività per la prima volta slegate dalla fisicità dei corpi, dei campielli.
Un convegno che come mi dice Andrea Casadei (insieme a Gigi Cogo e Roberto Scano, promotore dell’evento) ormai assomiglia più a un rave dell’innnovazione che a un convegno vero e proprio, il che è abbastanza in sintonia con l’idea di creatività “Woodstock” che emergeva dai primi incontri organizzativi.
Anzi, se ci fossero strumenti musicali nelle stanze di decompressione, mi metterei volentieri alla batteria o al basso durante le blogger-jamsession, mentre su uno schermo vengono proiettati gli spartiti e le parole delle canzoni (da Orietta Berti “Fin che la barca va” ai Red Hot Chili Peppers “Under the bridge”, va bene tutto) in stile karaoke per chi volesse cimentarsi nel canto.

Dentro il convegno, nella giornata di sabato, avrà luogo un barcamp, ovvero una conferenza destrutturata. Detto en passant, visto che durante i barcamp gli spazi “slot” dei relatori vengono decisi il giorno stesso, nella mia testa ormai i barcamp si definiscono come “slot-machine”, e l’alone semantico di “alea” veicolato dal gioco d’azzardo riguarda l’efficacia stessa dello strumento barcamp. Rispetto alla sua capacità di veicolare idee e conoscenza, la formula della de-conferenza può funzionare molto bene oppure molto male. Spesso funziona male perché, tradendo la sua impostazione storica, si tratta in realtà di una conferenza classica (“lezione frontale”, palchetto ergo relazione comunicativa asimmetrica, nessuno risvolto conversazionale) camuffata da barcamp.

Ecco, a Venezia mi sono proposto per due interventi nel barcamp del sabato, oltre a partecipare domenica all’incontro dedicato alla Cittadinanza digitale.

Il primo intervento riguarderà le “Narrazioni mediatiche per una identità territoriale“, il secondo tratterà di “Didattica aumentata: competenze digitali a scuola

Nel primo caso proverò ad esporre rapidamente tutte quelle idee che da un po’ mi girano in testa e che provo a scrivere qui su questo blog, ovvero di come siano necessari strumenti concettuali e operativi nuovi per cogliere il farsi ormai quotidiano delle pratiche di partecipazione e relativa emersione dei sentimenti di appartenenza territoriale (territorio 2.0, però) nei processi autopoietici delle collettività umane. Il raccontare se stessi da parte degli attori sociali, dagli individui ai gruppi informali alle istituzioni, dentro i media moderni edifica complessivamente l’immagine, intenziona la rappresentazione che poi questa collettività (in questo caso, Venezia) offre al mondo, la quale riflessa e negoziata negli scambi conversazionali del web sociale va poi a costituire l’identità con cui quel territorio fisico, umano e simbolico viene percepito dal mondo intero.
In particolare, tenendo in considerazione l’imprevedibilità di questi fenomeni emergenti dalla complessità del calderone conversazionale (immaginate tutti i Luoghi massmediatici e della rete dove si parla di Venezia in tutti i suoi aspetti, siano essi blog personali o geoblog o urban blog o community o i siti delle PA o quelli della Biennale o del Festival del Cinema o di Ca’Foscari o delle imprese commerciali o il tg regionale o i canali youtube dedicati) e la necessità conseguente di provvedere in questo momento storico della nascita del web sociale forse non tanto i contenuti quanto i contenitori dove la socialità possa trovare spazi di scambio e confronto, pubblicazione e visibilità (da qui vengono poi i contenuti, “dal basso” e mashuppati e socialmente negoziati), mi piacerebbe poter scambiare delle idee con i partecipanti all’intervento su come possono essere impostati dei ragionamenti e degli strumenti capaci di cogliere appunto l’identità di una collettività, la qualità unica del suo abitare la Rete allo stesso modo in cui è unico e originale è il dialogo che quella intrattiene con il territorio che storicamente la ospita, e che oggi è anche territorio digitale.
Insomma, io parlerò dieci minuti, poi i restanti venti potrebbero giocarsi come gruppo di brainstorming: l’importante sarà uscire da lì con dei contenitori di idee (approcci, prospettive, fughe immaginifiche, squarci di futuro, scintille di netizenship), semi di progettazione sociale che poi germoglieranno quando troveranno un ambiente favorevole per diventare idee di marketing territoriale, di educazione civica, di abitanza concreta.

L’altro intervento in cui intendo spendermi riguarda il mondo della scuola.
Riguarda la necessità di superare rapidamente delle impostazioni vecchio stampo relative all’introduzione delle nuove tecnologie TIC in classe, per puntare risolutamente verso una Educazione alla Cittadinanza digitale.
Riguarda la necessità di passare dal ragionare di abilità informatiche alle competenze digitali (sul blog dei NuoviAbitanti trovi alcune riflessioni: qui, qui, qui, qui e qui, giusto per aver qualcosa da leggere), perché tra il sapere cosa sono la RAM e il discofisso e ragionare di reputazione online o di fiducia o di identità digitale sui socialnetwork o di diritti di cittadinanza nell’e-democracy vi è una certa differenza, e ogni volta che qui in Rete si parla di didattica sembra quasi obbligatorio dover ripartire da Adamo ed Eva (o Charles Babbage e Ada Byron Lovelace, se volete), senza tenere in considerazione almeno quindici anni di discussioni nazionali (Maragliano, Rotta, Calvani, Rivoltella, to name just a few), sulle tematiche dell’apprendimento mediato dalle nuove tecnologie, e sulle indicazioni di una corretta Media Education.
Mi piacerebbe fossero presenti all’incontro degli insegnanti capaci di tra-guardare lo strumento (lavagna interattiva o e-book, netbook per ogni studente o wifi in classe) per giungere a parlare, sempre in modalità conversazionale allargata e con approccio problem-posing, prima ancora che solving, di come il concreto fare in classe potrebbe essere potenziato da un uso intelligente dei dispositivi elettronici da intendere quali porte per portare la didattica e il gruppo classe ad abitare sul web (e quindi il web dentro la scuola) dentro gli ambienti di apprendimento online già ora disponibili.
Google Earth, perché fare geografia oggi senza mappe satellitari ha poco senso, come pure un blog di classe, dove rendere sociali e condivisi i processi dell’apprendimento.
Un wiki per la scrittura collaborativa e la creazione di nodi di Conoscenza, come un canale youtube di classe per ragionare di grammatica visiva, di learning-by-doing, di capacità critica di decodifica di linguaggi complessi.
Ragionare di Educazione alla Cittadinanza digitale, appunto, come parte di una Educazione civica in grado di rendere i giovanissimi attori protagonisti della società futura, consapevoli dei propri diritti e doveri rispetto all’accesso e alla pubblicazione di informazioni, dei problemi sulla proprietà intellettuale delle opere, dei risvolti della democrazia elettronica, delle battaglie in rete per la libertà di opinione, della tutela della propria identità e reputazione online, della natura intimamente conversazionale dell’ecosistema della Conoscenza, della propria partecipazione al dibattito pubblico mediante i Luoghi istituzionali di consultazione e di decisionalità nell’e-government, nonché di espressione personale sulla gestione della cosapubblica in quelli di e-democracy.
Insomma, vorrei mettere da parte quello che già tutti sappiamo per provare a parlare di quello che continuiamo a dire “è dietro l’angolo, sta per arrivare” e invece è già qui, nel linguaggio e nei comportamenti dei tredicenni, nei loro connessi telefonini/videocamera e nei loro profili sui socialnetwork.

Questo post, linkato dentro il wiki del convegno di VeneziaCamp, va considerato come luogo di propulsione rispetto alle tematiche da affrontare in presenza, all’Arsenale: usate pure i commenti per suggerire o discutere di approcci e contenuti, poi provvederò a distillare il meglio (sì, ci penso io) da portare sui tavoli del barcamp.

Scuola digitale al via

Tutti insieme in un colpo solo stanno per arrivare nelle scuole italiane quei dispositivi digitali e quelle tecnologie per la didattica intorno alle quali proviamo da molti anni a ragionare, per capire le modalità più adeguate del loro utilizzo in relazione all’apprendimento effettivo degli studenti.

Si fossero introdotte in classe con gradualità queste novità tecnologiche nel corso degli ultimi dieci anni (non è poco; e bastava restare sintonizzati con il “mondo reale”) sarebbero potute emergere direttamente dal concreto “fare scuola” le pratiche migliori, le metodologie più adeguate, i contesti d’uso più appropriati. L’auto-formazione degli insegnanti e l’innovazione della stessa organizzazione lavorativa scolastica avrebbe avuto il tempo di adeguarsi alla modernità, di elaborare le conoscenze e le abilità di tipo informatico in competenze digitali (vedi qui e qui), le quali non sono “contenuti” che si possono trasmettere con un corso di aggiornamento professionale, trattandosi di modificazioni profonde degli atteggiamenti personali dei docenti – e della situazione di apprendimento – rispetto all’attuale Ecosistema della Conoscenza e all’impellente necessità di fornire indicazioni di Educazione alla Cittadinanza Digitale alle giovani generazioni.
Se attualmente ci sono in Italia insegnanti che usano il computer alla stregua di una macchina per scrivere e una lavagna elettronica come semplice supporto per mostrare le immagini, senza comprendere appieno le effettive potenzialità di una “didattica aumentata”, una simile massiccia introduzione di tecnologia in classe produrrà un marasma notevole, innescherà dinamiche di repulsione, costringerà la scuola per ancora molti anni a rielaborare gli approcci metodologici e a fomentare dibattiti interni sui massimi sistemi, perdendo tempo prezioso rispetto ai passi che il mondo sta facendo in direzione di una socialità connessa.

Se non altro, stiamo parlando di cambiamento. Un cambiamento forzato, che non potrà non modificare profondamente le attuali pratiche didattiche e i meccanismi di funzionamento della scuola come organizzazione lavorativa. Un cambiamento epocale che avrebbe dovuto essere meglio accompagnato nel corso degli anni, e che per molti anni ancora avrà bisogno di potenti enzimi (competenze professionali esterne al mondo della scuola, se quest’ultima si degnasse di aprirsi al mondo e lasciasse entrare – non per decreto ministeriale – il mondo in sé) per digerire e metabolizzare questa massa di innovazione tecnologica da ingurgitare rischiando l’indigestione.

Un ultimo appunto: era proprio necessario fare business anche in questo campo, stipulando contratti commerciali tutti da chiarire con i principali colossi dell’informatica e dell’elettronica mondiali, nonostante precise indicazioni legislative europee e italiane sull’utilizzo di tecnologie opensource nelle pubbliche amministrazioni, nonostante le raccomandazioni per l’utilizzo di OpenCulture nei processi educativi?

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Scuola digitale: il governo sigla intesa con Microsoft, Telecom, Intel e Ibm. eBook, lavagne iTech, sms e pagelle online per Cl@ssi 2.0
di Raffella Natale, fonte Key4biz

Forse non a breve, ma gli eBook potrebbero sbarcare nelle scuole italiane. Intervenendo alla presentazione dei risultati del progetto “La scuola digitale”, il Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha infatti spiegato che “l’eBook non è sostitutivo del libro di testo, ma per alcune tipologie come i libri di esercizi i volumi si prestano benissimo a essere digitali”.
La Gelmini, presentando con il Ministro della Pa Renato Brunetta lo stato di avanzamento dei progetti per la digitalizzazione del mondo dell’insegnamento, ha informato che entro il prossimo giugno arriveranno quasi 30.000 lavagne interattive multimendiali installate in altrettante classi con 100.000 insegnanti in formazione.
E ancora: didattica digitale al posto dei tradizionali metodi di apprendimento in nuove 156 scuole delle primarie e secondarie superiori; servizi scuola-famiglia via web, con pagelle e certificati on-line, registro elettronico di classe, notifica tramite sms alle famiglie delle assenze degli studenti. “E’ una responsabilità di tutti – ha detto la Gelmini – offrire ai nostri ragazzi una scuola sempre più aperta e moderna”.
Con il piano eGov 2012 ed il protocollo d’intesa dell’ottobre 2008, il Miur e il Ministero della Pa hanno avviato una serie di interventi coordinati per l’innovazione digitale della scuola.


Il Miur ha messo a punto il piano ‘La scuola digitale’, che si articola in due fasi: la prima (operativa dallo scorso gennaio) prevede l’introduzione in classe delle lavagne interattive multimediali (Lim), l’altra chiamata Cl@ssi 2.0 ha come obiettivo l’utilizzo delle ICT nelle scuole. Secondo i dati di viale Trastevere, ad oggi sono state già installate 7.697 Lim, che si aggiungono alle 3.300 fornite dal Ministero per la P.A.. Sono inoltre iniziati i corsi di formazione per 30.000 docenti. Parte ora una seconda fase, che ha come obiettivo l’installazione entro giugno di altre 20.000 Lim con complessivamente 100.000 insegnanti in formazione.
Il progetto Cl@ssi 2.0, invece, mira a trasformare l’ambiente di apprendimento tradizionale attraverso le ICT e la didattica digitale: nei prossimi mesi anche le scuole primarie e secondarie superiori (dopo quelle secondarie di I grado) sperimenteranno il progetto, con nuove 156 scuole e 1.404 insegnanti in formazione.
Le nuove tecnologie modificheranno anche la vita scolastica e i rapporti scuola-famiglia: con il progetto ‘Servizi scuola-famiglia via web’, coordinato tra i due ministeri, in molti istituti le pagelle saranno online, il registro di classe diventa elettronico, le prenotazioni dei colloqui con i docenti e le richieste di certificati si faranno sulla Rete e le scuole notificheranno alle famiglie via sms le assenze dei figli.
Sempre più difficile, quindi, marinare la scuola: “E’ finita un’era”, ha scherzato Brunetta mentre per Gelmini “così si vuole ripristinare l’alleanza scuola-famiglia: sono tutti aiuti che consentiranno ai genitori di tornare protagonisti dell’educazione, senza rinunciare al loro lavoro”.

Gelmini e Brunetta hanno anche annunciato alcune intese con Microsoft, Ibm, Intel e Telecom Italia, che si presteranno a diffondere e promuovere l’utilizzo delle nuove tecnologie nella didattica, sviluppando il piano di innovazione digitale.
Stamani infatti le quattro società hanno firmato a Palazzo Chigi una serie di Protocolli d’intesa per la diffusione delle tecnologie digitali nella scuole. Con la firma del presidente Umberto Paolucci, Microsoft Italia si impegna, tra l’altro, a ridurre il digital divide nelle scuole anche fornendo gratuitamente software operativo e/o applicativo finalizzato all’innovazione della didattica.

Il superamento dei fenomeni di esclusione causati dal digital divide è anche l’obiettivo indicato dall’amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè.
Il gruppo tlc metterà pertanto a disposizione degli studenti offerte agevolate per parlare, video-chiamare, inviare messaggi e navigare su internet, oltre a specifici piani di ricerca e sperimentazione orientati ai processi di insegnamento e apprendimento.
Luciano Martucci, presidente di Ibm Italia, ha annunciato la collaborazione di un Centro di competenza internazionale mentre la collaborazione con Intel Italia, ha anticipato l’amministratore delegato, Dario Bucci, si concentrerà sull’adozione della piattaforma di formazione Intel Teach Advanced Online per l’aggiornamento professionale dei docenti. Proseguono intanto, ha assicurato la Gelmini, altre iniziative. In arrivo mini pc portatili per gli studenti delle scuole medie. Il governo metterà, infatti, a disposizione 150 euro a pc e sta cercando sponsor che ci mettano il resto. “Il nostro obiettivo – ha spiegato Brunetta – è dotare 1.000 classi al mese per i prossimi 4 anni e arrivare entro la fine della legislatura a dotare tutti gli studenti di un pc”.

La comunicazione nella Scuola

Qualche premessa.

Innanzitutto, ogni singola Istituzione scolastica va considerata come un’organizzazione lavorativa complessa. Abbiamo ruoli dirigenziali, ruoli amministrativi, docenti, personale tecnico o ATA, gli studenti stessi, le partecipazioni dei genitori. Ci sono organi interni per la consultazione e la rappresentatività democratica, meccanismi pluridecennali di tipo ufficiale (normati da regolamenti legislativi, in quanto Pubblica Amministrazione) per la circolazione delle informazioni e per il cammino dei processi decisionali, nonché responsabilità giuridiche nominali.

Abbiamo più volte visto su questo blog come le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, secondo le modalità della loro adozione per quanto promosse dagli stessi Ministeri nazionali, siano destinate a scardinare i delicati in quanto soffocanti burocratismi della Pubblica Amministrazione, dove le strutture di ricezione e di produzione documentale risalgono per lo meno a epoche antecedenti la comparsa del telefono cellulare.
Capite bene come la semplice posta elettronica potrebbe essere esplosiva, in un sistema organizzativo della comunicazione basato sul libro del protocollo, dove le singole mail vanno stampate per poter essere archiviate secondo i crismi ottocenteschi dell’ufficialità. E non sono pochi i dirigenti scolastici che si fanno stampare le mail dalla segretaria per la sola semplice lettura. Credo che in questi ultimi mesi le discussioni sulla PEC Posta Elettronica Certificata o sulle mansioni di chi è tenuto a curare la comunicazione da e verso la scuola (“non sono tenuto a farlo!”) abbiano reso incandescenti numerosissimi collegi docenti o assemblee di Consiglio di Istituto.

In realtà, il flusso documentale dell’istituzione scolastica è veramente notevole. Atti, circolari, delibere, comunicazioni, relazioni, valutazioni, permessi viaggiano a decine ogni giorno in ogni singola scuola, dove magari fino a ieri (letteralmente) esisteva una sola casella mail del tipo @libero.it, dove l’architettura del sistema informativo è a dir poco approssimativa.
E bisogna inoltre tener conto che avendo qui a che fare con una Pubblica Amministrazione, esistono da parecchi anni precise indicazioni ministeriali per la qualità della comunicazione sia interna sia esterna della scuola, ovvero sia per l’organizzazione dei sistemi di intranet, sia per l’allestimento di spazi telematici pubblici a sostegno della comunicazione scuola-territorio, a partire dal sito web ben progettato secondo usabilità fino alle newsletter e alla gestione degli spazi interattivi con i genitori degli allievi e con tutti gli operatori culturali che si trovano ad agire dentro la scuola.

E non siate sempre lì a pensare che se il sito web della scuola di vostro figlio assomiglia a una pagina html del 1998 (statica, raramente aggiornata, non interattiva, asettica ovvero poco identitaria) sia perché i dirigenti e gli insegnanti incaricati – per legge, come per legge è prevista l’esistenza di un URP Ufficio Relazioni con il Pubblico in ogni PA – di gestire gli spazi comunicativi siano ignoranti in materia di moderna comunicazione. In realtà, credo sappiano benissimo cosa andrebbe fatto, ma sanno altrettanto bene che tutto questo scardinerebbe appunto equilibri faticosamente raggiunti, intaccherebbe zone di potere personale, esporrebbe alla vista ciò che si preferisce nascondere, mostrerebbe senza filtri la farraginosità e la non-efficienza dell’organizzazione scolastica.

Ma la velocità della posta elettronica, del mondo che ci circonda, è lì che incalza, gli insegnanti sono dei sovversivi rivoluzionari che chiedono di poter usare GoogleMaps per fare didattica oppure di far scrivere i bambini dentro un blog (orrore!) oppure di poter partecipare a corsi di aggiornamento ministeriali in modalità e-learning senza dover usare il computer e la connessione di casa loro, oppure chiederanno che siano allestiti degli ambienti collaborativi a distanza per le progettazioni didattiche, vorranno provare a usare una lavagna interattiva multimediale magari realizzata in proprio con il telecomando della Wii, vorranno mostrare ai bimbi il filmato presente sul server senza dover andare in aula multimediale, vorranno poter disporre di sistemi di videoconferenza per gli scambi culturali con altre scuole magari europee, vorranno poi introdurre in classe diavolerie come twitter o usare dei social network o far scrivere su dei wiki o produrre podcast e videodidattici da pubblicare nelle community professionali degli insegnanti.
E la scuola vecchio stampo collasserà, imploderà silenziosamente perché i bit non fanno rumore, e da cieca muta e sorda diventerà un Luogo ricco di stimoli, normale, adeguato ai tempi e quindi trasparente, dove gli allievi imparano a essere cittadini vivendo in prima persona gli strumenti dell’abitanza digitale e territoriale, i media e i luoghi di espressione personale e gli archivi documentali, e non (quando va bene) semplicemente studiandoli. I dirigenti e gli insegnanti oscurantisti e passatisti vorrebbero star tranquilli dentro una bolla avulsa dal mondo e dalla socialità moderna, e invece si vedranno costretti alla modernità liquida della comunicazione capace di intrufolarsi e di svellere i muri dell’isolamento. E si accorgeranno di quanto la Scuola, come ogni individuo o gruppo o istituzione, possa guadagnare dal confronto e dallo scambio sociale nell’essere attraversata da molte idee e molti diversi atteggiamenti, dalla partecipazione alla vita concreta del territorio su cui abita con precisa responsabilità rispetto all’educazione delle nuove generazioni.

Oggi ci sono aziende con dieci dipendenti che utilizzano vantaggiosamente (per l’organizzazione interna, per la propria efficienza in quanto “macchina” lavorativa, per la gestione del cambiamento indotto dalle innovazioni) strumenti di comunicazione backoffice/frontoffice liberamente e gratuitamente disponibili sul web, mentre ci sono scuole abitate ogni giorno da duemila persone – un qualsiasi grosso istituto tecnico, per esempio, con centinaia di docenti e decine di amministrativi – che si comporta come se vivesse negli anni Settanta.

Bene, proprio da riflessioni sulla comunicazione aziendale – tratte da www.intranetmanagement.it – prendo spunto per provare a fornire alcune indicazioni su come potrebbero essere usati i nuovi strumenti comunicativi all’interno delle organizzazioni scolastiche, secondo i dettami di qiello che viene definito Enterprise 2.0, ovvero l’insieme di approcci organizzativi e tecnologici orientati all’abilitazione di nuovi modelli organizzativi basati sul coinvolgimento diffuso, la collaborazione emergente, la condivisione della conoscenza e lo sviluppo e valorizzazione di reti sociali interne ed esterne all’organizzazione (vedi wikipedia).

Il primo schema riguarda un’articolazione degli ambienti di pubblicazione utilizzabili dalla scuola, secondo gli assi della strutturazione dell’informazione e della sua “ufficialità/informalità”.

Il blog d’Istituto, in particolare se ben progettato e condotto, potrebbe diventare facilmente il principale Luogo pubblico della scuola, capace di connotare in modo originale l’identità della scuola, la sua immagine pubblica, la sua vocazione social senza che venga compromessa l’ufficialità del suo dire nella comunicazione con il territorio.

Il secondo schema rappresenta invece un’analisi della adeguatezza dei singoli ambienti/strumenti di comunicazione rispetto alle necessità tipiche di un’organizzazione lavorativa, dove in un auspicabile futuro prossimo le competenze digitali dei dirigenti e degli insegnanti dovrebbero immediatamente saper suggerire quale strumento specifico utilizzare per veicolare/pubblicare/avere feedback su ogni determinato contenuto, a seconda della sua complessità, della sua articolazione, della sua destinazione.

In questo caso credo che bisognerebbe dare più fiducia ai sistemi di microblogging (Twitter, sempre più in auge) per costruire flussi comunicativi costanti sia all’interno dell’organizzazione scolastica sia rispetto ai portatori d’interesse territoriali, al fine di potenziare l’effetto presenza, la visibilità e lo scambio dialogico.

Tracce di maturità 2009

Queste due sono eccezionali.

Internet ed i Social Network.
Alla luce della recente evoluzione dei social network a livello mondiale, ripercorrere l’evoluzione sociologica dei sistemi di comunicazione di massa. Porre l’accento sul cambiamento formale e sostanziale nei rapporti interpersonali: il concetto di privacy mantiene il suo significato originale? E’ richiesto l’apporto di esempi concreti.
[Tema di maturità, 2009]

Oh, che colpo di genio! Magari è la volta buona che si riesce a educare migliaia di docenti in un colpo solo.

Per l’ambito storico-politico, argomento di ampio respiro: “Origini e sviluppo della cultura giovanile”. Con tante, tantissime foto, dagli anni ’50 al Duemila: c’è una immagine della Vespa (applausi), ci sono James Dean, Elvis Presley, Mary Quant, i Beatles, la Beat generation, i pacifisti del ’68 con lo slogan «Make love not war», la «Marianna» del ’68 a Parigi, Jim Morrison, i Punk, i paninari, i Nirvana, il logo di Facebook, i rave party.

Invidia. Quanto tempo ho? Sei ore? Poche. Chiudetemi dentro la scuola, nutritemi a merendine, lasciatemi qui da solo di notte con una candela a scrivere per giorni.

Lavagne Interattive Multimediali: cosa sono, come usarle

Abbiamo già parlato delle LIM auspicandone un utilizzo in aula veramente innovativo, in grado di spezzare alcuni automatismi metodologici non più adeguati ai nuovi contesti dell’apprendimento del gruppo-classe, capace di far leva sugli aspetti “sociali” del suo uso quotidiano in quanto tecnologia abilitante nativamente pensata per essere “finestra” e al contempo “ambiente formativo” rispetto al web (in quanto Oggetto Tecnologico Connesso) e alle reti locali (informatiche e relazionali) disponibili a scuola.

Seguendo un link di Tutor Online Qualificati, giungiamo ad una pagina del sito governativo InnovaScuola, dove risulta possibile seguire un piccolo “corso” sulla Lavagna Interattiva Multimediale, a partire dalla descrizione del suo funzionamento tecnico fino ai possibili utilizzi didattici.

I programmi ministeriali prevedono l’inserimento progressivo della LIM in àmbito scolastico, all’interno del progetto “Scuola Digitale” ovvero “Classe 2.0”: “A partire dal prossimo anno scolastico (2009-2010) saranno installate 16.000 LIM in altrettante classi della scuola secondaria di I grado. Inoltre 50.000 insegnanti saranno coinvolti in percorsi di formazione che interesseranno oltre 350.000 studenti”.

Il numero abbastanza esiguo dei dispositivi consegnati alle scuole, nonché il prezzo piuttosto alto delle LIM commerciali (da 1.500€ fino a 2.500€, con videoproiettore) probabilmente impedirà di verificare immediatamente gli effettivi risvolti innovativi sulla didattica, e viste le difficoltà economiche attuali difficilmente le singole scuole proveranno a dotare almeno un certo numnero di aule con le lavagne interattive.

Vi sono però soluzioni alternative: sempre partendo da InnovaScuola potete arrivare sulla pagina dedicata alla sperimentazione delle WiiBoard denominata Wiidea, ovvero le lavagne interattive realizzate utilizzando il remote controller della console videoludica Wii.
Grazie alle indicazioni fornite qui presso il sito del ProgettoMarconi di una rete di scuole bolognese, è possibile costruirsi una LIM al prezzo di circa 50€, capace di offrire molte delle funzioni tipiche di una Lavagna commerciale.

Mi fermo qui: nei prossimi giorni pubblicherò qualche informazione più approfondita sul progetto WiiBoard, magari provando a chiedervi (soprattutto agli insegnanti in regione friuli Venezia giulia) una partecipazione a un eventuale progetto di ricerca-azione promosso da NuoviAbitanti rispetto all’utilizzo concreto delle lavagne interattive in classe.

Sano, sicuro, consapevole.

Riprendo Metilparaben per intero. E cosa volete che aggiunga, che siamo nel 2009?

Mentre vi comunico, en passant, che si tratta (anche) di un successo degli Studenti Luca Coscioni (ma ve lo dico solo io, come al solito, ché i giornali non ritengono di menzionarli), mi prendo qualche minuto per dire due paroline ai giovani in ascolto.

Io non so, e non voglio sapere, se scopate, quanto scopate, con chi scopate: però vi consiglio di usarli, i preservativi, in barba ai crociati che vi ammanniscono le loro idiozie sul peccato e la riproduzione naturale, agli imbecilli che vi lusingano a forza di “che vuoi che succeda, ci sto attento io”, ai coglioni che “non ho mai fatto il test ma non sono né gay né tossico, figurati se l’ho preso”.
C’è gente che ha dato il fritto, per fare in modo di mettere quei distributori nella vostra scuola.
Voi che ne dite: è il caso di sprecare tanto lavoro?

Sempre SchoolbookCamp: le videointerviste

L’altra settimana al convegno di Fosdinovo, usando il cellulare come videocamera, ho fatto delle rapide interviste ad alcuni partecipanti ponendo tre domande tre.

Si trattava di indagare quali cambiamenti tecnologici e socioculturali abbiano reso significativa la proposizione di un evento barcamp dedicato all’e-book e all’editoria scolastica, quali posizioni fossero emerse dagli incontri, quali indicazioni il convegno stesso poteva dare per suggerire le azioni da intraprendere nel futuro, per un utilizzo adeguato dei testi digitali su supporto elettronico negli àmbiti della scuola e della formazione alla persona, per una riflessione tematiche inerenti i modelli economici dell’editoria elettronica, l’introduzione dell’e-book a scuola, le comunità professionali online.

Ho posto queste domande a Noa Carpignano della BBN Edizioni, ad Agostino Quadrino della Garamond, a Mario Guaraldi per la omonima casa editrice, a Marco Guastavigna insegnante e autore di testi sull’apprendimento, a Gianni Marconato quale operatore nel settore della formazione; ne esce certamente un quadro interessante e variopinto.

Il video è lunghetto, 25minuti, però ha un andamento abbastanza rapido.

Se siete interessati a partecipare ai ragionamenti sull’e-book e l’editoria scolastica, qui sulla community Ning di BookCamp trovate il gruppo SchoolbookCamp.

SchoolbookCamp a Fosdinovo. Videointerviste from Giorgio Jannis on Vimeo.

SchoolbookCamp, poi

A mo’ di resoconto, quindi, di due intense giornate in un castello della Lunigiana, eccomi a ragionare di editoria e web, di apprendimento e ruolo della scuola, di e-book come testi scolastici.
Del convegno ne parlano Noa Carpignano, Antonio Fini, Maria Grazia Fiore, Marina Boscaino, Maurizio Chatel e Gianni Marconato, Mario Guaraldi ha lasciato sul post precedente e altrove un commento che qui mostrerò come reportage, e saluto anche Agostino Quadrino, Marco Guastavigna, Francesco Mizzau, Alberto Ardizzone, Elisabetta Tramacere, Filippo Cabiddu e l’assessore (per ora) Massimo Dadà, del Comune di Fosdinovo.

In un barcamp classico, per quanto simposio destrutturato, esiste comunque il tabellone degli interventi, dove la novità sta nel fatto che i post-it con le presentazioni dei selfpromoting relatori vengono affissi la mattina stessa del convegno, quando il tutto prende letteralmente forma.

A Fosdinovo lo SchoolbookCamp è stato invece impostato basandosi su libere discussioni dei partecipanti, inizialmente suddivisi in due gruppi, per continuare poi in plenaria. Questo necessariamente ha provocato la suddivisione dei discorsi in mille rivoli, a volte si regrediva a posizioni già espresse, a volte improvvise fughe dialettiche portavano il gruppo ad arrotolarsi su tematiche non strettamente pertinenti all’argomento del convegno, nonostante l’ottimo lavoro di Maurizio Chatel e di Mario Guaraldi quali “moderatori” delle discussioni.

D’altra parte, questa modalità gruppale di affrontare le implicazioni dell’e-book a scuola ha permesso da subito l’emergere di nette posizioni personali espresse con vivacità, ha portato i punti di vista di insegnanti editori e operatori culturali a confrontarsi direttamente, ha lasciato trapelare i colori forti delle emozioni rispetto a un tema capace di coinvolgere appassionatamente le persone, talmente prese dalla discussione da saltare anche una pausa caffè a metà mattinata, pur di non perdere il filo del ragionamento.

Ma la portata degli annessi&connessi al ragionamento intorno all’editoria elettronica in relazione ai testi scolastici andava regolamentata, delineata.

Si sarebbe dovuto ad esempio illustrare bene il processo editoriale di ideazione e produzione degli e-book, fino al momento della loro pubblicazione; altro filo di discussione avrebbe a quel punto dovuto essere “il destino” degli e-book scolastici, ovvero la loro vita effettiva negli ambienti formativi, il loro utilizzo più o meno rivoluzionario rispetto alle necessità didattiche attuali della scuola.
Ponendo l’attimo della pubblicazione come discrimine, molti ragionamenti sulla Cultura Digitale, sui modelli economici del funzionamento delle moderne case editrici (pregevole Agostino Quadrino di Garamond per le sue idee sul significato odierno della proprietà intellettuale e sulla necessità di conversazione con gli attori sociali, segno di sicura cultura di Rete), sulla visione di sussidi didattici come ambienti e non più come semplici strumenti, sui dispositivi di lettura come Kindle o iLiad, sui nativi digitali e risvolti sociologici, sulle tematiche dell’apprendimento e sulla centralità dei discenti avrebbero trovato una giusta collocazione nel palinsesto del convegno, fatta salva poi la possibilità che i feedback continui tra progettazione e pratiche di utilizzo, come tra discorsi inerenti l’oggetto libro elettronico e le metodologie d’insegnamento possano contribuire a migliorare la percezione e la comprensione di questa ulteriore rivoluzione nella Società della Conoscenza.

Un problema basilare credo stia ancora nell’identificazione del libro cartaceo con il suo contenuto, ovvero la difficoltà per mentalità gutemberghiane di concepire appieno il significato culturale di una Rete capace di sostenere e mettere in relazione tra loro ogni singolo componente dello scibile umano, insieme alle persone che in Rete abitano in maniera consapevole.
Quando diciamo e-book o libro elettronico, la nostra mente oscilla tra il supporto tecnologico in grado di riprodurre testi (il libro cartaceo o il reader) e l’oggetto di conoscenza così veicolato.

L’e-book, come in una relazione sfondo-figura, assume molteplici sensi a seconda del contesto dentro cui viene percepito/pronunciato. E lo sfondo offerto dall’intero sistema editoriale moderno porta necessariamente a considerare il testo elettronico come un terminale, forse una terminazione nervosa, una attualizzazione di forme di sapere che ormai vivono stabilmente e felicemente nel loro ambiente “naturale”, quel web fatto solamente di idee e di opinioni e di relazioni interumane, tutte cose immateriali, che oggi trovano modi diversi di essere narrate. Un e-book letto sopra un e-book reader connesso, come ieri un powerpoint che contenesse anche un solo link verso il web, non è più un libro, ma è un pezzo di web. Non abita più tra le vostre mani, ma sulla Rete. E a dirla tutta, nemmeno i contenuti di ieri (Sofocle o Leopardi, formule matematiche o cartine geografiche) hanno mai avuto vita sui supporti cartacei, ma sempre e solo nella mente e nelle parole di chi li pronunciava. Oggi i contenuti, immateriali come sempre sono stati ovvero oggetti di conoscenza indipendenti dal supporto, abitano dove stanno più comodi, su web.
Persistere a considerare, nella sua progettazione e nella sua fruizione, il libro di testo come oggetto chiuso, autosufficiente, nel momento in cui questo viene reso fruibile tramite supporti aperti e connessi con l’intero scibile umano, impedisce di comprendere la rivoluzione in atto.

Se poi lo sfondo contro cui si staglia il libro elettronico è quello dato dall’intero sistema scolastico, come Luogo sociale deputato all’educazione formale, dove i muri le lavagne di ardesia i libri i professori e i curricoli e la stessa organizzazione dei tempi seguono una logica loro costitutiva non più adeguata ai tempi, giocoforza le innovazioni tecnologiche vengono innanzitutto affrontate come una minaccia all’ordine precostituito, anziché essere valutate nelle loro potenzialità educative. Ma questo significherebbe (ne parlo qui e qui su Apogeo) rimettere in discussione tutta l’organizzazione scolastica, il ruolo dei docenti e la loro preparazione, riconsiderare necessariamente le pre-conoscenze possedute dagli allievi in termini di competenze digitali al fine di meglio programmare la didattica, re-impostare le finalità stesse della scuola attuale in direzione di una formazione ai cittadini che sia sintonizzata rispetto alla modernità.

La scuola è un luogo chiuso, autoreferenziale, incapace di conversare con il territorio. Se prendete una scuola media friulana e la trasferite mattoni e personale in Sicilia, il suo funzionamento rimarrebbe identico, indifferente al mutato contesto. La scuola non è trasparente, figuriamoci osmotica. E pensare che a me piacerebbe che le scuole fossero aperte fino a mezzanotte, dove i cittadini potessero entrare e uscire liberamente come da una biblioteca o un altro luogo della socialità e della partecipazione, una scuola che racconta se stessa e pubblica documenti facendo sentire la sua voce e si pone come parlante ratificato, attore sociale rispetto alla collettività di riferimento, cui appartiene e da cui trae il proprio senso, la propria postura rispetto alla situazione conversazionale con il territorio.

La scuola assomiglia a un libro cartaceo, ecco, mentre preferirei assomigliasse a un e-book. Dove la scuola di mattoni assomiglia a un e-book reader, e la didattica ai contenuti.

Come gli editori non possono, nell’organizzare il proprio fare, tenere in considerazione solamente l’oggi come oggi, ma devono saper porre sé stessi in una prospettiva futura attraverso sperimentazioni e nuove proposte, così la scuola (che peraltro non può far altro che abitare il futuro, nel comprendere la propria dimensione rispetto alle nuove generazioni) deve acquisire la capacità di porsi in termini comunicativi rispetto al mondo.

E la sperimentazione può essere anche fine a sé stessa, se come effetto collaterale produce un rinnovamento delle pratiche. Sappiamo che per come sono state presentate le lavagne interattive, i netbook tipo il JumpPc oppure gli e-book, difficilmente otterremo dei risultati immediati, adeguati alle finalità concrete dell’apprendimento, visto che i nuovi strumenti vengono utilizzati secondo vecchie metodologie di addestramento e pochi insegnanti possiedono competenze in grado di far loro sprigionare tutta le potenzialità aumentate permesse dalle tecnologie della connettività e dell’interattività.
Ma credo che la frequentazione quotidiana con e-book, LIM, blog e aggregatori possa modificare la percezione che gli educatori hanno del loro stesso ambiente di lavoro, li possa portare a saggiare ed esplorare le tecnologie abilitanti, a patto che siano professionali nel loro essere professionisti della formazione.

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Giusto per non lasciarlo “affogato” tra i commenti di questo blog, incollo qui le parole di MArio Guaraldi.

Salute a Giorgio, Maurizio, Noa, Fulvio, Gianni e a tutte le dozzine di editori, redattori, insegnanti, free-lance, blogger (ma quanti eravamo, in realtà? una marea… ) che hanno condiviso questa full-immersione nel futuro del libro scolastico (e non), con livelli di adrenalina capaci di sciogliermi i calcoli che mi angustiavano.
Bella, bella esperienza davvero, passione, voglia di ascoltare oltre che di parlare, narcisismi ben shakerati con senso di responsabilità: dimostrazione che il metodo collaborativo paga, che professionalità e gratuità possono andare a braccetto quando ci sono in ballo valori autentici. E nel nostro caso, ha ragione Maurizio (Chatel) a indicare che la concorde valutazione di tutti è stata quella che di ripensare tutto intero il progetto educativo e didattico, senza fermarsi ai suoi “strumenti” più o meno tecnologici; allargando anzi il dibattito al mondo della rete.
La dice lunga il fatto che i partecipanti abbiano tutti rigettato la logica dei singoli gruppi di discussione originariamente proposti per convogliare in un unico confronto collettivo i problemi, le domande e le proposte che ciascuno di noi si portava appresso.
Bella, grande esperienza di “democrazia”: anche rispetto alle caterve di circolari e disposizioni ministeriali che da subito gettano un’ombra sinistra sulla legittimità stessa della originaria norma fascista che IMPONE l’adozione del libro di testo e lo vincola a “contenuti didattici” precisi, alla faccia dell’autonomia didattica dell’insegnante. Geniale trovata mussoliniana di organizzazione precoce del consenso a cascate successive: degli insegnanti, degli allievi, delle famiglie (che pagano, e come se hanno pagato, carissima, quella geniale imposizione di contenuti scelti da altri…).
Anche questo è emerso, una dolorosa pillola rossa che ha improvvisamente mostrato come la stessa sinistra sia non solo caduta in questa trappola, ma addirittura l’abbia cavalcata divenendo fisiologicamente “reazionaria” e “conservativa”… Ma anche al rischio di “buttarla in politica” si è giustamente sottratta un’assemblea scafata e tutta protesa al nocciolo della questione educativa.
Non mi azzarderò a tentare una sintesi del molto detto: ma mi piacerebbe che tutti assieme riprendessimo il filo delle proposte “positive” e “creative” bruscamente reciso da uno sconsiderato intervento di una dirigente scolastica (che non aveva partecipato ai lavori) che pretendeva di delegittimare l’assemblea a discutere di scuola e di didattica. Come dire: la scuola è “cosa nostra”, a noi il libro va bene così com’è, di che vi impicciate? Ho chiesto scusa pubblicamente a quella Dirigente scolastica per il modo eccessivamente aspro con cui ho reagito alla sua offensiva dichiarazione. Ora voglio pubblicamente ringraziarla per avermi mostrato direi quasi fisicamente il volto vero del “pensiero burocratico” ripiegato su sé stesso, dalla didattica fine a sé stesso, de-finalizzata da ogni vera vocazione educativa, che forse ogni insegnante combatte in sé stesso, nelle proprie fibre più intime. Aveva davvero ragione San Paolo: ogni guerra, ogni violenza nasce dal cuore stesso dell’uomo. E’ questo il nemico vero da battere…

SchoolBookCamp a Fosdinovo

Questo è un parallelo che mi gioco spesso, quando devo raccontare dei cambiamenti di mentalità soggiacenti ai cambiamenti tecnologici.
Inventando il proiettore e la pellicola perforata per il trascinamento, i fratelli Lumiere inventarono la tecnologia della cinematografia. Poi divennero necessariamente anche cineasti, perché dovevano ben mostrare qualcosa al pubblico. Ebbene, forse le loro strutture mentali erano ancora legate al mondo della fotografia, forse avevano una visione documentaristica, ma in ogni caso produssero dei contenuti grammaticamente caratterizzati da inquadratura fissa, punto di vista centrale, piano sequenza, come nella famosa scena del treno che ci viene incontro e che fece urlare dallo spavento i primi spettatori della settima arte.
Era come filmare il teatro, e riproporlo con un fascio di luce.
Negli stessi anni finesecolo però un genialoide di nome Georges Melies, il secondo padre del cinema, già scopriva le nuove potenzialità narrative del media, e produsse pellicole in cui utilizzava tecniche di esposizione multipla e di dissolvenza, ma soprattutto elaborò delle tecniche di montaggio, la qual cosa costituisce il proprium dell’arte cinematografica, permettendo intrecci paralleli, ellissi, anticipazioni flashforward e flashback, grammatiche innovative, nuove tipologie di narrazione. Melies aveva compreso la specificità del mezzo, dalle possibilità tecniche dello strumento aveva saputo ricavare una poetica formalmente innovativa, nascevano opere che avrebero potuto vivere solo nel nuovo linguaggio cinematografico.

Tralascio i ragionamenti su televisione e web, tanto avete capito. Al mondo c’è sempre chi ripropone i contenuti e le forme narrative del vecchio media dentro i nuovi linguaggi (e va benissimo, visto che i media si integrano tra loro e non si escludono a vicenda), e chi invece prova a esplorare le nuove possibilità di racconto offerte in questo caso dall’ipertestualità.

Nei prossimi giorni parteciperò allo SchoolBookCamp al castello di Fosdinovo, tra Sarzana e Carrara, dove l’argomento principale delle discussioni sarà costituito da ragionamenti sull’editoria elettronica, sui learning object, sui dispositivi lettori di ebook, sulle novità in àmbito scolastico conseguenti all’introduzione di questi nuovi supporti della conoscenza.
C’è una circolare ministeriale n. 16 del 10 febbraio che vincola le scuole ad avviare una “progressiva transizione ai libri di testo online o in versione mista a partire dalle adozioni relative all’anno scolastico 2009-2010”.
E stiamo parlando del buon vecchio libro di testo. Che però con l’ipertestualità esplode, e non riesce più a far stare comodi i contenuti su una angusta pagina. Anzi, molti libri scolastici così come sono pensati non hanno più senso di esistere, come molta manualistica, visto che oggi i nodi di conoscenza vivono in Rete, e lì abitano anche le relazioni tra le persone che rendono quei nodi patrimonio culturale condiviso e in continuo accrescimento.
Il libro non è vecchio, è semplicemente inadeguato in relazione a certi scopi concreti di trasferimento delle conoscenze.

Interessante sarà anche seguire i ragionamenti sui format di contenuto, quei learning object da fornire come pillole agli studenti (vecchia visione di un e-learning più tagliato sull’addestramento che sull’apprendimento significativo, ovvero socializzato) e sui quali articolare il percorso formativo, nonché sugli e-book reader, come Kindle e gli altri, che presi di per sé sono degli splendidi oggetti tecnologici, e non vedo l’ora che in qualche classe qui dalle mie parti vengano finalmente avviate delle sperimentazioni serie, dove ai ragazzi viene fornito un lettore e l’insegnante indica loro via via quali testi scaricare, piluccando dagli ormai ampissimi archivi online di materiale didattico gratuito o disponibile a pagamento presso le case editrici, oppure meglio ancora fornendo spesso loro le proprie schede e dispense in formato digitalizzato. E possibilmente dispense pensate in maniera ipertestuale, ricche di link verso risorse multimediali su web, e non semplice riproposizione di vecchi format testuali, lineari, dentro i nuovi linguaggi.

Al convegno (formula barcamp, ma piuttosto ibrida) ci saran inevitabilmente persone che parleranno di cose che non capiscono, quelli che non abitano in Rete e non comprendono bene l’ecosistema della conoscenza attuale, ci saranno gli apocalittici e gli integrati, i laudatores temporis acti del “niente sostituirà mai il libro” e del “dove andremo a finire”, ci saranno dei visionari, ci saranno quelli che proveranno seriamente a ragionare di innovazione nel mondo scolastico. Con il paradosso che il Kindle e i lettori di e-book sono oggetti connessi via wifi, e nelle scuole non c’è il wifi. Vedremo, poi vi racconto.

Parlanti digitali

Incollo qui questo video dove degli allievi di una scuola americana descrivono il loro mondo, il loro avere a che fare quotidianamente con oggetti tecnologici che permettono di accedere ai mondi digitali. L’argomento centrale non è costituito dagli strumenti tecnologici (pc, iPod, cellulare) ma dalle proprietà abilitanti di questi, nel consentire a questi ragazzi e a tutti noi di esprimerci liberamente, di scrivere o di fare musica o fotografie, magari in modo socializzato, entro la stessa classe scolastica oppure su web.

Qui non si parla più soltanto di leggere il mondo, del fatto che queste persone nate dopo l’invenzione del www possiedano grammatiche concrete – date loro dal fatto di essere “parlanti madrelingua”, per immersione – per interpretare i flussi informativi e le posizioni relazionali interpersonali veicolati dai media. Qui si parla di scrivere il mondo, della volontà e abilità di creare contenuti digitali, e della effettiva impossibilità di realizzare questo loro desiderio dentro le pratiche scolastiche odierne, non attrezzate né materialmente né concettualmente per sostenere simili attività espressive, fornendo al contempo formazione critica MediaEducation sugli strumenti nonché educazione all’abitanza digitale, negli aspetti di cittadinanza.

Volevo intitolare questo post “Discenti digitali”, ma non ci riesco: quel discenti/docenti puzza troppo di una visione pedagogica superata da decenni, dove da una parte della cattedra si trasmettono contenuti che al di qua vengono recepiti da allievi considerati come contenitori vuoti e passivi, da riempire di nozioni preformate. Ascoltiamoli, invece: una testa ben fatta è meglio di una testa ben piena, e avremo modi migliori per valutare il nostro stesso fare educativo.

Questi ragazzi ci stanno chiedendo di poter parlare.

Approfondimenti: Agati sui nativi digitali, Marconato sul problema degli e-books a scuola.

Brunetta, il JumPC e la scuola in rete

Ieri sera ero già sulla poltrona, mi stavo gustando la prima mezz’ora di Indipendence Day, da lì in poi è tutto tramaticamente scontatissimo e infatti siamo dentro una parodia americanona, ma mi preme sottolineare che io vivo fondamentalmente per veder arrivare gli alieni, ché veder spuntare quelle astronavi grandi come province tra le nuvole mi scancella la mente di ogni punto di riferimento come lo scancellino scancella la lavagna, e a quel punto facciano pure quel che vogliono, compreso spazzar via la Terra perché di qua deve passare un’autostrada galattica da lungo tempo progettata (cit.).

Ma il cellulare fringa, perché se sono sulla poltrona non posso mica alzarmi e fare tre metri per andare alla scrivania, e in chat mi arriva da due diversi contatti la segnalazione di una dichiarazione del Ministro Brunetta (quello zippato) relativa alla prossima futura distribuzione di netbook personali a tutta la popolazione scolastica, e la cosa va da sé mi incuriosice alquanto.

Io non penso che quegli esseri abbiano fatto migliaia e migliaia di anni luce solo per venire qui e iniziare una guerra… Non sono mica degli attacca brighe! (citazione dal film di cui sopra, fonte wikipedia, non sto parlando del governo, neh)

Ci penso su, mi faccio una mappa mentale – in senso letterale, dentro la mia testa – delle solite inventio, dispositio, elocutio (la prima talvolta offre nuovi spunti, le altre due seguono il solito metodo del “come viene, viene”), mi soffermo sulle possibili conclusioni da trarre, e ovviamente trattandosi di argomento già da me più volte affrontato nelle discussioni che trovate in giro riguardo le tecnologie didattiche e l’apprendimento e il senso del fare scuola oggi, decido che posso lasciar perdere e ricado mollemente sulla poltrona a valutare l’efficacia patemica dei doppiatori italiani.

Ma la pulce alligna (?), gli ingranaggi girano, continuo a visualizzare mentalmente scàmpoli di frasi da accostare come pezzi di domino. Alle 23.32 vado al computer e comincio a scrivere, alle 2.00 spedisco a Maistrello, oggi trovate l’articolo su Apogeonline.

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Brunetta, il JumPC e la scuola in rete

Dopo la positiva sperimentazione in Lazio, Piemonte e Sicilia, i ministri dell’innovazione e dell’istruzione intendono estendere la sperimentazione del computer in classe a «centinaia di migliaia di bambini», dalle elementari alle superiori.

Ecco una notizia che dovrebbe rallegrare chi, genitore o professionista della formazione, ha a cuore la modernità dell’insegnamento e la promozione di tecnologie educative aggiornate in àmbito scolastico. Mi riferisco alle dichiarazioni del ministro Renato Brunetta sulla futura diffusione di netbook ai giovanissimi studenti delle scuole primarie, dichiarazioni espresse in occasione della conferenza stampa tenutasi a Roma presso il circolo didattico Walt Disney per illustrare gli esiti di una sperimentazione condotta in questi mesi dalla Fondazione Mondo Digitale (presieduta da Tullio De Mauro), insieme a Intel e Olidata, in diverse regioni italiane, riguardante la distribuzione gratuita a circa 150 bambini e a 15 docenti di un computer personale denominato JumPC.

Si tratta in ogni caso di prendere atto dei risultati concreti di un cambiamento strategico peraltro lungamente atteso da chi si occupa del “fare scuola” odierno, in linea con l’espressa volontà ministeriale di svecchiare la Scuola italiana grazie a dotazioni tecnologiche quali la presenza di connettività veloce e di lavagne interattive multimediali.

Le domande certo sarebbero molte, a partire dalle implicazioni “etiche” del progetto nella scelta dei partner commerciali, alla preferenza per software proprietario, fino alle modalità di funzionamento dei filtri alla navigazione installati da Olidata sul JumPC mediante l’applicativo Magic Desktop, ma le informazioni sono ancora troppo lapidarie per poter comprendere i piani di utilizzo e i risvolti sociali dell’introduzione dei pc in classe, ovvero le modificazioni effettive della pratica d’insegnamento nel contesto di attuazione del progetto. Perché un insegnante che vede dinanzi a sé quindici o venti “coperchi” alzati a nascondere il viso degli studenti, che convive cinque ore con il ronzìo soffuso ma penetrante delle ventole, che abita con gli allievi dentro reti relazionali sostenute da collegamenti wifi e ha sotto la freccina del mouse tutto lo scibile umano non può continuare a concepire i processi dell’apprendimento come prima che tutto questo accadesse, come se nulla fosse successo.

Mi rallegro dell’introduzione capillare del pc a scuola, perché modificherà l’ambiente cognitivo ed emozionale dentro cui avviene oggi l’apprendimento formale; forzerà positivamente la mano a quelli che lodano i bei tempi andati perché non capiscono la Società della Conoscenza attuale, costringendoli almeno a mantenere una dignità nel loro sproloquiare; riuscirà col tempo a promuovere pratiche significative di utilizzo didattico adeguate alle nuove potenzialità offerte dallo strumento tecnologico, magari evitando che venti computer vengano contemporaneamente accesi dentro la stessa stanza per fare il dettato su un programma di videoscrittura – altrimenti la dotazione di pannelli fotovoltaici sul tetto delle scuole diventa oltremodo impellente, moltiplicando anche solo poche decine di watt per il milione di netbook che i ministri Brunetta e Gelmini intendono introdurre nelle scuole.

Ma esperienza e pragmaticità già mi dicono che inesorabilmente i primi anni di questa Scuola 2.0 saranno connotati da utilizzi bassamente strumentali delle ex-nuove tecnologie – come già abbiamo visto, tranne poche coraggiose iniziative, accadere ieri con la famigerata aula multimediale e oggi con le lavagne interattive, utilizzate appunto quali mere succedanee dell’ardesia senza prendere in considerazione le innovazioni didattiche che questi ritrovati tecnologici potrebbero apportare all’insegnamento in quanto supporti interattivi e connessi, in grado di lasciar emergere quelle dimensioni gruppali di condivisione di informazioni e scambio dialogico importantissime in una concezione sociale e socializzata dell’apprendimento.

Non si tratta qui di fare facili previsioni su un iniziale “fallimento” dei pc in classe, anzi sono consapevole del fatto che storicamente sia necessaria in ogni piccola o grande rivoluzione di certe pratiche sociali – per giunta in grado di coinvolgere le istituzioni stesse, come in questo caso – una certa “rottura” rispetto a pensieri linguaggi e prassi sedimentati nella mente dei docenti e nella struttura stessa dell’organizzazione scolastica ormai non più adeguati alla modernità. Proprio questa potrebbe essere la strada per innescare fattivamente cambiamenti nel fare scuola.

Si tratta di qualcosa che doveva succedere, e che stavamo aspettando. Qui in Occidente molti di noi utilizzano i computer per lavoro, per produrre quel bene economico intangibile che è informazione e distribuzione delle conoscenze, mentre i ragazzini a scuola, knowledge worker per eccellenza, sono ancora lì a ricopiare il problema di matematica dalla lavagna sul quaderno.

Molti insegnanti rimarranno favorevolmente sorpresi dai concreti risultati scolastici che otterranno dalle pratiche didattiche “aumentate”, rese più potenti dai pc personali e dalla spinta motivazionale e dal “peer-to-peer” delle conoscenze nel gruppo-classe.
Questo non si può certo chiamare fallimento, né dal loro punto di vista (seppur ancora legato alla percezione di risultati valutati secondo ottiche da mondo analogico) né dal mio, che in questo rito di passaggio epocale noto comunque una opportunità per una educazione informale della classe insegnante nazionale, che si troverà di qui a qualche anno a riconoscersi cambiata senza accorgersene, e in molti casi senza neppure volerlo.

In ogni caso punto fermo e finalità del fare scuola deve essere l’apprendimento, e sulla scorta di questa considerazione è bene non confondere l’hardware della Scuola con il relativo software, la disponibiltà fisica dei computer e di altre nuove tecnologie in classe con l’automatico miglioramento della qualità dell’offerta formativa, misurata nella sua capacità di promuovere competenze personali (non solo abilità) e di suscitare nei giovanissimi consapevolezza e senso critico rispetto al proprio essere futuri cittadini connessi e interconnessi (su Il blog nella didattica potete trovare tracce di alcune recentissime discussioni su questi argomenti riguardanti le tecnologie didattiche in classe, tra lavagne Lim e stili di apprendimento dei nativi digitali).

Per questo confido e auspico che qualche milione di euro venga nell’immediato futuro destinato alla promozione ministeriale di corsi intelligenti di aggiornamento per gli insegnanti e per i dirigenti scolastici: usando la metafora dell’automobile, ora che le macchine quattoruote vengono distribuite a tutti sarebbe il caso di provvedere una seria educazione al comportamento su strada, magari concentrandosi un po’ meno sulla tecnica del carburatore e della frizione e un po’ di più sul rispetto della segnaletica (guidare l’auto è azione sociale) e sulla scelta qualitativa degli itinerari da percorrere.

La pensabilità delle nuove potenzialità didattiche offerte dalle tecnologie prima di diventare prassi quotidiana strutturata è qualcosa che vive dentro la testa degli insegnanti, e nuovi criteri per la progettazione e la valutazione della formazione possono e devono essere sapientemente comunicati dentro i programmi di aggiornamento professionale per i docenti, dove poter finalmente affrontare le tematiche dell’acquisizione di competenze di abitanza digitale specifiche. Competenze non limitate a infarinature sull’utilizzo di applicativi tipo ufficio, non affogate dentro denominazioni tecniche che con l’informatica come scienza nulla hanno a che fare, ma schiettamente orientate a fornire degli orizzonti di operatività concreta, da subito sociale e glocale come può essere a esempio una mappa satellitare da noi stessi arricchita con segnalazioni multimediali originali, rispetto alle suggestioni di questa tutta nostra Cultura Digitale in cui viviamo, a cui noi stessi abbiamo faticosamente contribuito abitando in Rete senza declinare responsabilità, consapevoli della tecnosocialità quale ambiente di crescita e di vita delle nuove generazioni.

Scuola, lavagne, web20

Sul sito dell’Agenzia NAzionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica (ANSAS, ex-Indire) è disponibile il report Formazione Scuola 2008, relativo agli stili di apprendimento legati alla Lavagna Interattiva Multimediale (LIM).
L’argomento delle lavagne digitali connesse in queste ultime settimane è molto dibattuto, al pari delle interpretazioni e degli impliciti legati all’espressione “nativi digitali”… partendo dal blog di Gianni Marconato potrete risalire alle varie discussioni e riflessioni che son fiorite al riguardo nei Luoghi web dove si prova a mettere chiarezza sul ruolo di queste tecnologie in classe, e dell’impatto che esse hanno sullo stile di apprendimento del gruppo-classe.

Più volte qui su NuoviAbitanti si è provato a esprimere un punto di vista sulla questione delle Tecnologie didattiche e dell’Educazione (queste ultime in quanto non strettamente legate ai curricoli, ma a esempio relative alla Cittadinanza), ma sempre si è cercato di tenere appunto fermo il focus del discorso sulla questione dell’apprendimento, il vero “risultato atteso” del fare scuola, dove gli obiettivi sono costituiti dall’acquisizione di competenze (e sempre più va tenuto in considerazione il saper-fare digitale da promuovere nei giovanissimi, anch’esso non necessariamente correlato alle discipline scolastiche, anzi), mentre le azioni sono date dal allestimento strumentale e concettuale di un ambiente formativo, ormai necessariamente biodigitale fisico-mentale-digitale, non più costretto dentro muri e anzi capace di ospitare il mondo in sé, dove per un insegnante sia possibile gestire registicamente molteplici flussi di informazioni e di narrazioni in entrata e in uscita con cui arricchire l’esperienza formativa della classe, in maniera indifferente rispetto agli strumenti e ai media utilizzati.

Ma sappiamo che nel caso delle ex-nuove tecnologie la percezione strettamente strumentale del computer, della lavagna interattiva o dei Luoghi formativi online diventa un ostacolo ulteriore da abbattere (una non aggirabile pars destruens da affrontare nella progettazione del percorso formativo) rispetto al raggiungimento di apprendimento significativo, perché la stessa vecchia visione culturale degli strumenti didattici impedisce di cogliere nel computer in classe e nel web in classe (e nella scuola che dialoga finalmente con il territorio e con il mondo) quelle caratteristiche che rendono questi ultimi diversi dalle lavagne in ardesia, o anche da un televisore con un videoregistratore collegato.

Non abbiamo a che fare con supporti muti o con depositi fermi di conoscenze come i libri, che l’insegnante volta per volta deve rendere eloquenti vivificandoli con la propria cultura ed esperienza. Superare, tra-guardare lo strumento pc o lavagna digitale ci porta dritti sul web, porta il web dentro la classe, e quindi ci situa in una dimensione non solo ricettiva, da consumatori di informazioni, ma sempre più produttiva di contenuti, da pubblicare ovvero rendere pubblici, aperti alla visione e alle considerazioni degli altri, in una scuola con molte finestre e molte porte, costantemente connessa con le comunità educanti di riferimento.

Queste considerazioni dovrebbero portarci infatti a privilegiare una concezione piuttosto sociale di questi dispositivi connessi, come veri e propri ambienti formativi in sé, in modo simile a come siamo disposti a conferire a un buon libro un valore educativo in sé, in quanto microuniverso narrativo: un libro deve essere da noi abitato e riempito di senso dialogico nel momento del leggerlo, come le mappe satellitari in quanto imprescindibile sostegno alla didattica e alla cittadinanza vanno abitate e arricchite di senso per il tramite della nostra produzione culturale originale, da apporre poi coerentemente nei marcatori geografici, per fare in modo che la mappa stessa oltre al significato “verticale” dello sguardo che osserva il territorio possa veicolare quella visione “orizzontale” fatta di percorsi antropici, di Luoghi di particolare significatività storica, di considerazioni di geografia umana.
Ma appunto leggere un libro, abitarlo, rimane un fatto privato, mentre abitare il web diventa un fenomeno pubblico, sociale, che non può essere compreso dall’interno di una prospettiva solamente strumentale.

Le osservazioni delle lezioni hanno cercato di mettere in luce le funzioni della LIM più frequentemente attivate. In continuità con le attività tradizionalmente condotte con la lavagna d’ardesia, le funzioni prevalenti sono state scrivere, disegnare, evidenziare; diffuse anche le presentazioni di animazioni e simulazioni e l’uso di learning object o software applicativi. Bassa invece la frequenza di funzioni legate al web, come la navigazione in rete; del tutto assenti infine le funzioni connesse alle potenzialità comunicative della LIM, come la videoconferenza che consente di attivare su di una medesima lezione aule remote (ospedale, PC casalingo, aula gemellata). I docenti sembrano ancorare la LIM al contesto classe senza spingersi oltre i confini dell’aula fisica.

Queste righe del report ministeriale confermano questa prospettiva interpretativa, secondo cui gli insegnanti alle prese con la tecnologia delle lavagne digitali rimangono ancorati ad atteggiamenti tradizionali rispetto allo strumento, senza appunto esplorare e saggiarne le nuove potenzialità. L’utilizzo è quello tipico del “supporto visivo”, anche se va sottolineato il recepimento del cambiamento di “postura” dell’insegnante, che in simile situazione di apprendimento da intendere come “realtà aumentata” comprende il valore del ricoprire via via ruoli differenti nel corso dell’esperienza (esperto dei contenuti, facilitatore, conduttore di gruppi), nonché la necessità di ri-progettare la strutturazione dei percorsi formativi secondo le nuove potenzialità espressive delle LIM.

Vengono anche sottolineati i diversi stili di partecipazione da parte degli studenti, ovviamenti sollecitati alla collaborazione attiva da parte dello strumento LIM, dove

… predominanti sono stili intellettivi “logico” e “verbale”, in continuità con la didattica tradizionale, con un rafforzamento dell’intelligenza “visiva” consentita dal codice iconico del quale si avvale la LIM .
Laddove lo studente è chiamato ad agire direttamente sulla LIM, la dimensione manipolativa consente di attivare anche l’intelligenza “cinestetica”. La forte attivazione dell’intelligenza “intrapersonale” (51%), legata soprattutto alla registrazione degli esercizi degli studenti per la costruzione del portfolio personale e per la valutazione.
Il mancato uso di strumenti di comunicazione online si traduce in un basso livello di attivazione dell’intelligenza “esistenziale” connessa alla conoscenza di sé stessi in contesti di simulazione e alla sperimentazione di nuovi ruoli o stili relazionali (per esempio in contesti wiki o community online).

Segnalo anche due interessanti articoli su Insight, l’Osservatorio europeo per le nuove tecnologie e l’educazione, a cui sono giuto tramite European Schoolnet, il portale europeo per l’educazione.
In particolare, sul blog di Insight potete trovare un documento report promosso dalla European Commission’s Joint Reasearch Center (JRC) in collaborazione con la Direzione Generale per l’Educazione e la Cultura (DG EAC), riguardante l’impatto degli strumenti web 2.0 sull’educazione in Europa.
L’utilizzo di wiki, blog, social network è diventata una pratica quotidiana a scuola? Lentamente, stanno cambiando gli stili di approccio, e si cominciano a scoprire nuovi territori per l’apprendimento, stanno prendendo forma vie innovative per utilizzare gli strumenti2.0 in classe: è possibile seguire le pratiche nei settori del sostegno classico alla didattica, del networking (quando gli strumenti comunicativi e sociali riescono a costituire una vera e propria comunità d’apprendimento), dell’integrazione dell’apprendimento in collettività ampie, del coinvolgimento della Società.

Il report “Horizon” edizione 2009 sull’educazione fino a dodici anni mostra invece i fattori emergenti delle tecnologie didattiche, dislocandoli in tre prospettive differenti sul piano temporale: gli ambienti collaborativi e la comunicazione online saranno di uso corrente entro il 2010, l’adozione di tecnologie mobili (tramite telefoni cellulari, a esempio) troverà ampio riscontro in un’orizzonte a medio termine, mentre gli ambienti di personal web (da tradurre poi in PLE, Personal Learning Environment) prenderanno piede tra quattro o cinque anni a partire da ora.
La ricerca identifica inoltre molte variabili in grado di influenzare l’insegnanmento, l’apprendimento e la creatività nelle scuole di base; tra quelle a maggior impatto, sono da segnalare la tecnologia in quanto presente nella vita quotidiana (studio, lavoro, socializzazione); la tecnologia per motivare gli studenti, e non più da concepire come veicolo di isolamento sociale; il fatto del web in quanto ambiente di esperienza personale; una nuova concezione degli ambienti di apprendimento sempre più interdisciplinari, basati e vivificati da community centrate sulla collaborazione e la comunicazione online; una nuova percezione della creatività e dell’innovazione in quanto stimate abilità professionali.
Nell’elenco di quelle che possono essere considerati i maggiori inibitori (dove può esserci una sfida, insomma) del cambiamento, vengono indicati il bisogno crescente di educazione formale sulle nuove abilità richieste dalla TIC, come alfabetizzazione digitale ma anche “visuale”, in relazione ai nuovi meida; l’ostacolo costituito dalla vecchia letteratura scolastica e dalle vecchie prassi didattiche; un apprendimento troppo spesso sottovalutato e raramente praticato in quanto processo che riesca a incorporare esperienze di vita reale; la struttura stessa delle istituzioni educative, che non favorisce i cambiamenti oggi necessari nel fare scuola.

Lavorare su Facebook (anche per insegnanti)

Rimango fermo sulle mie idee: in Rete esistono Luoghi migliori di Facebook per provare a fare didattica online, specificamente disegnati per le esigenze degli insegnanti e degli studenti, ovvero pensati nativamente come ambienti di apprendimento.

Sto parlando di ambienti 2.0, totalmente web-based – l’unico software necessario per la partecipazione è costituito dal browser – ed escludo per seguire il filo del ragionamento quegli ambienti ad esempio di e-learning come Moodle, che richiedono di essere installati su un proprio spazio web acquistato presso un provider, configurati e amministrati anche tecnicamente da parte nostra. In questi giorni si vocifera di una peraltro lungamente attesa integrazione tra Moodle e GoogleApps, che riuscirebbe a rompere l’esclusività e la percezione di Luogo conchiuso che caratterizza Moodle, aprendolo ai flussi da e verso il web, permettendo di arredare ad esempio l’ambiente di apprendimento scolastico (ogni scuola dovrebbe offrire “spazi attrezzati” su qualche proprio dominio) con le produzioni documentali che normalmente alloggiamo sui siti specializzati nell’ospitare video o presentazioni mutlimediali.

Perché credo che sia buona cosa che gli insegnanti abbiano comunque i loro molteplici luoghi personali di pubblicazione su web (vedi PLE Personale Learning Environment), da riproporre e linkare dentro gli ambienti di apprendimento reticolari, piuttosto che svolgere la loro attività esclusivamente dentro questi ultimi, senza che il loro fare risulti visibile e condivisibile all’esterno.

Tralascio anche le considerazioni di tipo “etico” sull’utilizzo di Facebook, se siete interessati ho provato a parlarne qui e qui.

Ogni insegnante, oppure ogni classe, potrebbe predisporre un proprio ambiente di social networking usando Ning (anche Eelg è piattaforma simpatica, di quelle però da scaricare e installare come Moodle), dove grazie alle tecnologie di tracciamento offerte dai feed RSS e alle finestre di visibilità widget da allestire sulle proprie pagine sul socialnetwork risulterebbe facile far confluire tutta la produzione documentale elaborata dal gruppo classe e altrove allocata, e insieme provvedere strumenti per la valutazione della comprensione da parte dei discenti, quali forum e bacheche specifiche per le discussioni corali sulle tematiche proposte dagli insegnanti.

Avendo le proprie presentazioni o documenti .doc .pdf su Slideshare o su Scribd, i propri video su YouTube o su Vimeo, incastrando video e presentazioni con Zentation, mostrando le vostre foto su Flickr, lavorando attivamente sulle mappe satellitari della propria zona arricchendole di contenuti originali sviluppati nel corso delle attività didattiche, collaborando sui wiki creati con PBWiki o Wikispaces o Wikia, sfruttando a fondo le potenzialità offerte dagli strumenti del vostro account Google quali GMail o il Calendario condiviso e collaborativo, l’imprescindibile GoogleDocumenti per scrivere e pubblicare pagine web, l’altrettanto fondamentale aggregatore Reader per nutrire e tenere aggiornata la cultura del gruppo di lavoro, e riportando tutte le attività che ogni singolo partecipante svolge autonomamente su web su tutti questi e su altri Luoghi all’interno del “social network di classe”, già ottengo un ambiente flessibile e potente, capace di accentrare le funzionalità operative e quindi connotato identitariamente in modo stabile, riconoscibile nel tempo in quanto esplicito Luogo di apprendimento online ufficialmente firmato dalla scuola e dall’insegnante.

Se proprio proprio volete insistere su Facebook, tramutatelo almeno in un ambiente meno dispersivo, arredandolo con degli applicativi web di terze parti che potranno concorrere a rendere più efficace il vostro quotidiano lavoro di insegnanti su quella piattaforma.
A questo indirizzo su Selectcourses.com trovate cento 100 risorse per la produttività personale e per l’insegnamento da utilizzare dentro FB, organizzate secondo categorie: ci sono strumenti per mettere in luce le connessioni sociali, la gestione dei documenti e la loro condivisione, per le funzioni di ricerca delle informazioni, per la gestione dei gruppi di lavoro, per l’organizzazione lavorativa, nonché strumenti specifici per l’apprendimento e lo studio, da utilizzare anche con approccio ludico.

Enjoy and happy teaching.

Comprendere l’umanità aumentata

La comprensione culturale di un mondo che cambia così in fretta richiede una ridefinizione dei parametri che utilizziamo per orientarci. Tuttavia è fortemente probabile che la scuola avrà il compito di occuparsi dell’educazione tradizionale, dai classici alla matematica. Quindi il senso dello spirito del tempo, la comprensione culturale, l’educazione ai media saranno un problema delle famiglie. E starà a noi riportare sull’uomo la centralità dell’azione, che le tecnologie abilitano e che oggi ha nuove potenzialità. Il governo stesso della nostra vita emozionale, dei nostri affetti, dei nostri interessi e la tutela dei nostri diritti, la difesa dei nostri valori: sono tutti aspetti che possiamo, oggi, gestire in maniera accresciuta.

Ma se sapremo guadagnarci, o se guadagneremo, solo ansie, dipenderà solo da noi, dalla decisione di cominciare a governare culturalmente il cambiamento o di subirlo lasciando ad altri (i nostri figli) il compito di affrontarlo e di gestirlo. Loro, non potranno farne a meno. (grassetto mio)

Queste riflessioni le trovate su Piovono rane, la rubrica di Alessandro Gilioli su L’Espresso. Sono le righe conclusive dell’anticipazione del nuovo libro di Giuseppe Granieri, “Umanità accresciuta” (Laterza, in libreria il 17 aprile), dove uno dei migliori studiosi italiani di tutte queste cose di social web e abitare in rete prova a fare il punto della situazione attuale e a delineare qualche scenario futuro, con sensibilità tutta umanistica.

Chi mi segue sa quanto e da quanto tempo (ne parlo qui, qui, qui e toh anche qui, qui e qui), io provi a promuovere cultura digitale in àmbito scolastico e a sviscerare le problematiche relative alla corretta “postura” del fare scuola oggi, rispetto alla necessità civica di fornire ai giovanissimi degli orizzonti culturali e delle competenze digitali che li rendano in grado di fruire appieno dei loro diritti di cittadinanza, di accesso all’informazione e agli strumenti sociali di espressione di sé.
Per questo la posizione pragmaticissima di Granieri, riguardo il fatto che con estrema probabilità tutti questi apprendimenti non avverranno tramite educazione formale, mi fa male, perché ha ragione.
La Scuola sta perdendo tempo, simili tematiche verranno con dignità (dentro la testa dei docenti, dentro i curricoli, nella stessa organizzazione didattica) affrontate solo tra molti anni, quando i ragazzi di adesso saranno già parte attiva della popolazione, adulti che affronteranno la complessità del mondo futuro con una preparazione abborracciata tipica del loro essere abitanti digitali nativi (evito l’etichetta “barbari” – oppure leggete seriamente cosa dice Baricco – perché questi parlano molto, altro che balbettare, hanno una cultura vivacissima, e perché è parola eccessivamente razzista nel connotare il loro nuovo e vincente stile abitativo biodigitale rispetto alla nostra morente civiltà del pensiero scritto e stampato), alla cui formazione nessun insegnante grazie al filtro della propria sensibilità ed esperienza ha potuto contribuire, educandoli alle forme di significatività del mondo e alla costruzione consapevole della propria identità sociale.
Perché gli insegnanti, tranne ovviamente i soliti illuminati che ora soffrono come cani per le difficoltà che incontrano nel provare a introdurre degli ammodernamenti didattici o organizzativi resi possibili dalle TIC, di queste cose non capiscono nulla, non avendone appunto esperienza. Nulla.
E i nuovi insegnanti che vedo arrivare nelle scuole o che provano timidamente ad affacciarsi qui in Rete con dei propri Luoghi personali o professionali, sono lì a perder tempo con le stesse domande che ci facevamo dieci anni fa, con gli stessi software tipo Ufficio, senza avere nemmeno l’umiltà di leggersi qualche libro aggiornato oppure di scandagliare le profondità della rete, su quei forum e bacheche dove da anni fioriscono le riflessioni sui risvolti educativi delle ex-nuove tecnologie… poi qualcuno mette una parola di finto buon senso, “l’apprendimento è così e cosà”, “alla fin fine niente sostituirà mai un buon libro”, “l’approccio pedagogico di TaldeiTali”.
Tutti pensieri fatti da gente, autori prestigiosi o educatori, che magari vent’anni fa avevano tutta la loro ragion d’essere, ma oggi non funzionano, e cadono inesorabilmente fuori luogo.
Perché questa gente non ha un blog, non commenta sui blog o sui forum, non ha un account su YouTube, non usa un aggregatore, non frequenta Luoghi websociali, usa la Rete solo per rubare come predoni nomadi, ma non abitano, non hanno cura dei territori digitali dove i ragazzi vivranno, non donano niente, non costruiscono niente. E poi tutti baldanzosi di essere alfieri del web20, ovvero della ormai banale normalità del vivere in Rete, giungono con fare messianico a dire agli altri cosa devono fare, di quello che loro stessi non fanno e non sanno fare.

“Eh, signora mia, qui non si più come vestirsi, non ci sono più le mezze stagioni”.
Ma soprattutto, “qui una volta era tutta campagna”: nel frattempo il web è diventato il principale Luogo di socialità del pianeta, struttura e flusso costitutivo del nostro essere cittadini consapevoli e critici della modernità, qui è dove ci informiamo e dove discutiamo e dove agiamo professionalmente e ludicamente, e non esisterà un futuro senza Rete, potete esserne certi.

La Scuola di domani: aperta, connessa, sociale.

La Scuola di domani: aperta, connessa, sociale.
Giorgio Jannis

Cambiamento è la parola chiave di questi nostri anni. Una parola che può servirci per etichettare efficacemente il rapidissimo modificarsi delle strutture sociali degli ultimi decenni, e al contempo spinge il nostro agire attuale verso nuove forme di organizzazione del vivere, verso un necessario ripensamento e conseguente riprogettazione del fare umano rispetto ai territori d’insediamento e agli spazi di socialità oggi indifferentemente biodigitali.

I territori abitativi interpretati secondo visioni sistemiche emergono nella percezione come stratificazioni di epoche lontane, nelle tecnologie del mondo agrario e di quello industriale – le strade e le ciminiere, i tralicci e le bonifiche – ovvero come reti comunque tecnologiche di produzione e distribuzione dal forte sapore connotativo del Paesaggio, a cui oggi va aggiunta la tecnologia miniaturizzata e invisibile delle reti di connessione dei telefoni cellulari e di Internet, dove il web sta maturando in sé la capacità di offrire all’umanità un ambiente in cui intrattenere comodamente proficue relazioni sociali e notevolissimo scambio informativo ed espressivo con altre persone, fino al punto di farci ormai ritenere connaturata al nostro esercitare Cittadinanza Attiva la possibilità di poterci esprimere liberamente in Rete e da quest’ultima trarre informazioni dalle plurime fonti disponibili. Anzi, la presenza nelle legislazioni di un esplicito “diritto di banda” per ogni cittadino permetterebbe un ottimo confronto del grado di civiltà raggiunto dai singoli Stati, in quanto rappresentazione della libertà espressiva e dell’apertura alla Società della Conoscenza, come valore fondamentale per i tempi a venire.

Conseguentemente, si profila la necessità di provvedere una certa Educazione alla Cittadinanza attiva, proprio perché le tecnologie della comunicazione – il cinema, poi la radio, la tv, il web: sono i nuovi luoghi del Novecento in cui l’umanità racconta sé stessa – ovvero le principali responsabili della presa di coscienza collettiva della Transizione che stiamo vivendo, rendono sempre più diffusa la possibilità (il diritto!) per tutti noi di partecipare al dibattito collettivo, nei termini di consultazioni pubbliche o di veri propri atti di democrazia partecipativa, da concepire soprattutto con attenzione agli aspetti di governo locale del territorio. Come dire, qui bisogna dotare le persone di competenze digitali, per una questione di civiltà: l’accento va posto sulle dimensioni sociali delle nuove tecnologie, e non sugli aspetti tecnici dello strumento computer quale finestra per accedere alle forme di Abitanza digitale nel web.

La Scuola, quale luogo istituzionale deputato alla formazione del Cittadino, credo sia riuscita negli ultimi tempi a portare in luce, ragionando sul proprio fare, una distinzione importante riguardo l’utilizzo didattico delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, dove finalmente a fianco di una funzione puramente strumentale di queste ultime (l’utilizzo di programmi di videoscrittura e di fogli di calcolo, oppure i software specifici per aspetti tecnici) emerge una considerazione sul loro essere piuttosto degli “ambienti di vita”, con cui tutti noi interagiamo quotidianamente, che si tratti di web o di cellulari o altri schermi. Disporre di spazi di espressione multimediali e pubblici, come i forum, i blog, i wiki, gli archivi audiovideo e le mappe satellitari, e utilizzarli tranquillamente nel flusso delle attività didattiche in classe (comprendendone le peculiarità social web, ovvero partecipative e collaborative) rende chiaramente percepibile il flusso di informazioni, ora aumentato e bidirezionale, che scorre tra la società e quella Scuola che ritiene importante essere un attore sociale trasparente e attento, aperto alla comunicazione con il territorio.

Purché gli insegnanti vedano nel computer una finestra verso un mondo ricco di socialità e di espressione di sé, e non come una macchina per scrivere; purché i PC in classe diventino “trasparenti” come lo sono i libri e le lavagne, supporti tecnologici dell’apprendimento ormai inglobati nel flusso delle progettazioni didattiche; purché le aule scolastiche siano percepite come “stanze senza pareti”, dove risulti facile consultare risorse del territorio e portare il mondo dentro la scuola, in uno scambio osmotico garanzia di aggiornamento costante e sintonia tra sistema formativo e società tutta.

Ecco, una scuola senza muri, liberamente attraversata da flussi fisici ed elettronici di persone e idee eppur riconoscibile nella sua identità istituzionale di Luogo formativo, dove strumenti di connettività personale rendano possibile far lezione ovunque e dove qualsiasi risorsa dello scibile umano sia disponibile all’istante, senza interrompere il flusso della narrazione gruppale con cui docenti e allievi, in presenza o a distanza, esplorano gli argomenti di studio e ri-giocano la realtà ricontestualizzando le conoscenze apprese dentro contenitori online condivisi e collaborativi, potrebbe essere una buona palestra alla Cittadinanza intesa in senso moderno, in un mondo fatto di ambienti di vita (di crescita) fisici e digitali in rapida trasformazione.