Intelligentia artificialis, certo.
Di te parla l’intelligenza artificiale, concedetemi di andare da Orazio a ChatGPT, con licenza di traduzione.
Perché ormai si tratta di una riflessione su cui molti stanno convergendo: tolti quelli che per professione o in accademia studiano il lato tecnologico-computazionale delle nuove interfacce, tolti quelli che magnificano le future possibilità o paventano rischi e minacce per la specie umana (apocalittici o integrati, insomma), a me rimane questo ragionar di come le piattaforme IA ci restituiscano una immagine di noi stessi, qual specchio d’umanità.
Rappresentazione fedele o distorta? Sempre distorta, in quanto mediata? Offre degli aspetti di verosomiglianza, è plausibile, credibile, accresce la conoscenza del soggetto (che riflette SU sé stesso), lo specchio è un segno?
Chi siamo, in quanto astanti o parlanti della situazione enunciativa? Quale riverbero della mia identità? Devo individuare un sistema di significazione e un processo di comunicazione? Ci sono codici di cui sono manchevole per padroneggiare l’interpretazione?
Oppure, ripartiamo da quel narrare. Una narrazione.
Abbiamo questa configurazione discorsiva di superficie, plausibile, perché chatGPT ci risponde a tono. Qui non c’entra la veridicità delle affermazioni, tutto il problema della corrispondenza a una realtà verificabile, col solito vecchio problema del referente.
Ho una macchina che produce testo, con cui posso dialogare, quindi sono attore della conversazione nell’azione della conversazione. Le risposte dell’Intelligenza Artificiale hanno significato o molti significati, ma hanno senso una volta pronunciati concretamente in una circostanza di enunciazione, qui e ora? Su questo schermo? O appunto ci stiamo interrogando su questa azione umanissima di proiettare senso su quello che eppur so non ne possiede, come in una pareidolìa?
E sotto la superficie, cosa succede? C’è uno schema narrativo, ci sono degli attanti, ho un programma narrativo, non sono indifferente ma sono un Eroe orientato e attivato in vista di uno scopo, devo acquisire conoscenze per incrementare la mia competenza nel saper-fare qualcosa, o abilità per poter-fare qualcosa, e mi affido a un aiutante magico. Un sapiente ignorante, di preciso, me lo dicono gli algoritmi e le grammatiche del funzionamento tecnico della macchina. Già se fosse un oracolo, dovrei sapere che si esprime in modo ambiguo, e mi servirebbe accortezza per disambiguare il messaggio, ricorrendo al cotesto e al contesto enunciativo e narrativo. Ma saprei almeno che mi risponde sensatamente, pertinentemente, seppur camuffando la sentenza dietro giochi linguistici.
Questa cautela che adottiamo è proprio quello che stiamo facendo, forse, dentro parentesi di sospensione dell’attribuzione di volontà, motivazione, orientamento delle piattaforme alle ideali massime conversazionali sul fornire risposte di qualità, chiarezza, con riguardo al modo e alla relazione con l’interlocutore. Non siamo arrivati fino a questo punto con lo sviluppo tecnologico. Se io e te facciamo le stesse domande a chatGPT, lei risponde allo stesso modo magari con qualche variante, poi gli si chiede di riformulare, e la risposta cambia talvolta nei contenuti talvolta nella forma, scarta pezzi di frase e ne inventa altre e poi riprende quelle scartate, ma certo il processo resta indipendente dalla personalità di colui che interroga.
Eppure certe risposte ci piacciono di più, perché nello spazio conversazionale noi ci siamo, e interagiamo, e rispondiamo come persone alle scelte lessicali e all’articolazione periodale e al dipanarsi delle argomentazioni e alle implicazioni affettive, quindi siamo già catturati nella rete dialogica profondissima del nostro essere umani, noi.
Per questo l’I.A. ci racconta una storia che parla di noi, sempre.
Questo ci cattura: interrogando le piattaforme siamo dentro uno spazio che percepiamo come dialogico, cadiamo dentro una prassi e una storia e un’esperienza di codici da richiamare e comportamenti da adottare, siamo in una postura comunicativa, attiviamo schemi inferenziali e interpretativi, orizzonti di attese e aspettative, movimenti cooperativi con il testo, riempiamo di senso l’immagine o la voce sintetica o lo scritto, lo scaldiamo, lo personifichiamo attribuendogli qualità e intenzione, fondiamo un Io e un Tu dialogici nel momento stesso dell’interazione, dentro una circostanza di enunciazione mai prima esperita da essere umano.
Golem, Frankenstein, Robot, Eliza, HAL9000, replicanti, Asimo, Her, mille libri e mille film. Abbiamo letteratura, stiamo scrivendo storie.
Che parlano di noi.