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Anticristo

Stavo leggendo qualcosa da Selvaggia Pappalardo, e seguo un link verso le foto della festa di Aldo Montano.
Ho preso da mia madre, ci piace guardare riviste di “figurine” con i fotoreportage del vippume internazionale. Mia madre è anche quella che vi intrattiene sulle dinastie regnanti, con racconti di corna e di figli idioti fin dal 1500; in fondo sono cose che si assomigliano, è sempre “vita mediatica di corte”, sottobosco, giullari e favorite.
Qui siamo appunto alle festa di un moderno cavaliere, distintosi nell’uso della sciabola, che come un Lancillotto mantiene sempre un’ombra di malinconia nei suoi sguardi, dichiarandosi però al contempo fieramente ribelle alle regole imposte, come si evince dal mirabile ciondolo al collo.
Chi ha riflettuto sul punk ne ha compreso l’anima di contraddizione permanente del dire e del detto: ecco a voi quindi il simbolo del dollaro sovrapposto alla croce.
Hanno crocifisso l’economia? Hanno comprato la religione? E’ morto qualcuno? Il Dio Denaro? La Tentazione del Dollaro di risorgere? La santità dei soldi?
E se è Montano ad indossare questo simbolo, in questa circostanza di enunciazione, quale senso assumerà tutto ciò? Che messaggio arriva alle signore che leggono rotocalchi dalla parrucchiera, alle ragazzine delle riviste adolescenziali?

Stimo come persona Montano, si è visto essere uomo di buona educazione là alla Fattoria in Marocco l’altr’anno, forse indugia troppo nel jet-set ma è anche giusto per la sua età… se fosse l’Anticristo?

MONTANO035.jpg (Immagine JPEG, 800×600 pixel)

Sarò un vecchio porco

Ehehhe con un titolo così mi aspetto delle risposte nelle statistiche degli accessi al blog.

Vecchio porco sì, perché mi vengono in mente certi miei amici insegnanti alle scuole superiori, che quotidianamente si autoimpongono stati mentali zen e yoga, per evitare di pensare quello che “naturalmente” andrebbe pensato, ovvero “che patonze queste studentesse”.

Tranquilli, non è che le donne siano più o meno porche di sempre, è che le dipingono così (Jessica Rabbit, obviously). Viviamo in una cultura esibizionista, come sapete.

“Parliamoci chiaro” – mi ha detto uno l’altro giorno – “non è che a diventare insegnanti si diventa ciechi”

Meno male. E voi cercate di capire il dramma di qualcuno che vorrebbe tanto scatenare delle riflessioni culturali non banali in una classe delle superiori, attorniato da studentesse wannabe-veline che pure lo prendono in giro, e mentre spiega o parla viene assalito da incomunicabili visioni flash di certi comportamenti delle ragazzine, ad esempio di notte in albergo durante la gita scolastica a San Gimignano.
Poi va su un sito di fotografie, e scopre che è proprio così, è tutto vero, CI SONO veramente ragazzine così porche – è incredibile come al mondo si possa trovar conferma di qualsiasi cosa, nevvero? disse Tautologia a Petitio Principii – che limonano tra loro ubriache e si sentono a loro agio nel mostrarsi seminude.
Quindi scatta in lui l’instinto del ditino alzato, visto che il rinforzo dato alle difese straborda verso il controllo dell’ambiente, fondandosi sulla pretesa di superiorità morale che legittima il Savonarola che è in noi.

Ah, ma voi intendete “ditino alzato” in un altro senso? Tipo “fuck off” oppure “up yours” (tutto ottimo per le stats)? Oppure come “ditino malizioso”?

Obiettivo sociale: rimuovere la pruderie, togliere di mezzo il senso del peccato che aleggia intorno alle ragazzine e ai ragazzini (con certe pubblicità allusive che creano una sacralità da profanare), perché è proprio questa cornice enunciativa a conferire poi al messaggio il senso del proibito, e le risposte nevrotiche.
Il pensiero utopista per risolvere la situazione ricorre quindi ad un universo possibile, dove i giovani tra i quindici e i venticinque anni vivono fuori casa e responsabilizzati ed informati fanno molto sesso di ogni tipo e hanno tutti i tipi di esperienza (come scimmie Bonobo, via), e col tempo capiranno qual è la loro strada… però questo deve avvenire in una società che ha metabolizzato perfettamente tutto questo, un po’ come il fenomeno per cui a diciotto anni si può prendere la patente di guida e nessuno ci ritrova niente da dire… più generazioni di nonni/e padri/madri che sono loro stessi passati per questa lunga fase di passaggio adolescenziale della scoperta di sé, dedicata al libero amore senza nessun senso di colpa.

Un mondo completamente diverso, insomma. Ma credo che un mondo dove amore e sesso sono liberi e consapevoli sia sempre meglio meglio di un mondo dove la sessualità viene tenuta nascosta e dipinta perversamente.

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PornoTube e camgirls

Dài, parlo ancora un po’ di sesso.
Qui, su PornoTube, trovo questo video che poi è la “messa in rete” (aspetto ancora quella di qualche parroco innovativo) di un pezzo di Lucignolo, trasmissione che ora che è morto il regista spero smetta ma son sicuro continuerà producendo anche una bella epigrafe mediatica, concludendo sullo show che myust go on.
Insomma, in questo video c’è una tipa che fa pornochat a pagamento, offrendo la visione delle sue curve dentro un sito, che di ragazze così iscritte ne conta tremila. Siamo in italia, eh, mica in california. Moltiplicato per il numero di siti possibili, per un numero di ragazze x, così a naso secondo me in italia diciamo che ventimila ragazze arrotondano la paghetta (il servizio dice che quelle che si impegnano possono guadagnare qualche migliaio di euro al mese).
La ragazza è una studentessa di informatica, di Sirmione (quindi tutti ora lì sanno cosa fa), tranquilla, che non si vede pornodiva nel futuro, che soprattutto dice di sentirsi a suo agio nella situazione, perché sa cosa può succedere e cosa no, e nessuno la può toccare. E’ un lavoro come un altro, dice, e ha ragione. Poi penso alle allieve di terza media, ora alle prese con powerpoint e communities, e comincio a fare statistiche. Proprio 20 giorni fa, in una scuola media nella Bassa è esploso lo scandalo di una ragazzina di terza che offre servizietti orali ai sedicenni mosconi che sciamano intorno alla scuola, in cambio di ricariche telefoniche. Chissà se ha imparato da Report, oppure ha avuto l’idea imprenditoriale, ha redatto un business plan, e ha provato a confrontarsi col mercato. En passant, ho notato come i docenti lo sentano come un problema della scuola, di rispettabilità, e a nessuno interessi ragionare un po’ su questa ragazzina evidentemente ingenua. Ho sentito un’insegnante, che forse si sente molto moderna e disinibita (tenete presente che metà delle insegnanti che conosco ha la stessa visione morale sulle cose di sesso di una perpetua credente) dire che bisognerebbe andare dalla ragazzina e farle comprendere che se fa così tutto il paese in poco tempo saprà della sua puttanaggine… forse dimenticando che per una tredicenne un po’ sviluppata con aspirazioni da velina essere riconosciuta troia e vantarsene fa parte proprio della sua strategia identitaria.

Sempre da PornoTube, scopro l’interessantissima pagina dei tags, dove si possono  vedere le etichette più segnalate per identificare un video.
Siamo quindi di fronte alle forme del desiderio (ok, sarebbe da fare la tara al ragionamento, limitandolo al pubblico di questo sito, se gay o straight, e al tipo di materiale offerto) espresse in tempo reale, in quanto questa bacheca di tags rappresenta una fotografia dell’esistente, dei percorsi di sensualità, della fantasia masturbatoria, i tormentati fiumi dell’immaginario erotico. E si può notare come japanese sia piuttosto altino in classifica, come anche fat, e masturbation sia proprio in evidenza, come i video di tette. Per il resto, le solite cose.
Chi ha pruriti di moralità e di vittorianesimo, si dia una mossa: qui in capo a tre anni scoppia il mondo, sappiatelo.

Video e universi di senso

Tra vent’anni un giovane intellettuale, magari francese, con un linguaggio creativo ci spiegherà finalmente cos’è il cybersex, per noi che ce lo siamo trovati d’un tratto dentro il telefono e sugli schermi della rete, e per quelli che ci sono cresciuti dentro, come gli attuali diciassettenni.
Poi magari cose come in questo video sono veramente accadute, e non mi stupisco, e non mi indigno, e penso sempre alla scuola di oggi, e a cosa significa insegnare, ovvero educare, ovvero promuovere l’apprendimento, ovvero provare a metterci del proprio (intelligenza, sensibilità, lealtà, serietà, protezione, ideali, stile, dignità, esempio) nel cercare di far arrivare delle persone a quattordici anni, magari senza essere cretine.
Educare alla modernità, quanti docenti sono in grado?
Il video è solo uno spunto, ma quanti docenti sarebbero in grado di eleborare una posizione personale sull’argomento, consapevole delle implicazioni etiche, informata sul significato mediatico del gesto? Altrimenti è facile qui sputar sentenze, e non sapere di cosa si sta parlando.

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Non leggere cosa, ma leggere dove

… e non intendo leggere in un luogo, tipo in bagno o a letto o presso un tavolo sbilenco di legno sul cocuzzolo di una collinetta con vista ottima di qui e di là; intendo il supporto.

Rifacciamo il tipico ragionamento dell’educatore, che vorrebbe che i giovani leggessero di più; in realtà avendo più di trent’anni, quasi certamente il nostro laudator temporis acti (fondamentalmente, quelli che dicono che una volta si stava meglio) sta pensando a leggere libri, o comunque lettere stampate con l’inchiostro su un supporto cartaceo (anche simil-), ovvero ha in mente la bellezza della propria esperienza con la lettura, il lasciarsi coinvolgere, l’instaurarsi di un ritmo, di un dialogo tra il testo e il lettore, l’azione del riempire le altrimenti vuote righe di emozioni e posizioni esistenziali, e sta pensando ripeto a carta e inchiostro.
Tutti quelli con più di venticinque anni sono perlopiù fatti di libri e di tv e di cinema, chiaro.
Scendendo con l’età, sappiamo che le cose cambiano, perché sono arrivati telefonini e la rete, come testi con cui negoziare e patteggiare spunti identitari individuali e gruppali e sociali, appartenenze e affinità, mediate educazioni sentimentali.

Quindi anche se come educatore invitassi un quindicenne a prendere confidenza con i libri, devo tenere in considerazione la differente formazione di questa personcina, e mi sto riferendo ripeto solo ai supporti, tralasciamo i contenuti. Magari la mia proposta potrebbe avere successo, ma non devo pensare di aver creato un altro lettore sul pianeta, perché il ragazzo non leggerebbe i libri come li ho letti io, oppure mio padre, e potremmo andare indietro fino alla letteratura di massa dei paperbacks o prima ancora dei romanzi d’appendice a fine ottocento o fino a gutemberg e cambiando qualcosa possiamo ragionare anche prima della stampa e insomma questa personcina è una persona diversa geneticamente (parlo di DNA culturale, eh) perché cresciuta e formatasi in un’epoca in cui ci sono gli schermi -soprattutto televisivi e monitor – oggetti decisamente preponderanti come supporto per veicolare idee e emozioni e ritmo narrativo, foss’anche da leggere una pagina di testo in rete, che come sappiamo è tutta un’altra cosa rispetto alla carta.

Il famoso schema di lettura a forma di F della schermata, l’abilità (la necessità) di cogliere rapidamente le parole chiave di una preposizione nel testo di una pagina web, e costruire nebulose di contenuto vagamente sensate surfando ad esempio sui blog ha modificato il ritmo e la profondità dell’azione del leggere, e quindi oggi leggere è un’altra cosa, per chi è cresciuto leggendo su schermo.
Prendo una frase interessante da un post di Culodritto:

Sono sempre stata veloce nella lettura, ma da quando passo buona parte delle giornate a fissare blog su un monitor la cosa è peggiorata. Ormai non scorro più le frasi per capirne il senso: fisso tre righe alla volta e il mio cervello registra le parole chiave dei periodi, poi passa oltre. E’ fastidioso: mi ritrovo a leggere frasi delle quali conosco già vagamente tutte le informazioni rilevanti, e nei pochi secondi che impiego a concentrarmi sulle varie sillabe la lettura mi viene a noia, perché è troppo lenta.

Se questo capita a chi è cresciuto con i libri, figuriamoci come il meccanismo funzioni per chi tra blog e pagine web ci è cresciuto, nutrendosi e coltivando sé stesso.

Cose di oggi, e un po’ di yesterday (zero Beatles, è per farsi trovare sui motori)

Oggi ho imparato cos’è un hcard sul sito dei microformati, e ho provato a usare hcalendar.
C’è in giro tutta una discussione molto interessante, sulle forme dell’identità online, che se avessi tempo (ma qui mi fanno lavorare, orpo) mi piacerebbe alquanto affrontare in una paginetta almeno un po’ pensata, prima di buttarla giù come invece sono solito fare con questi appunti qui.
Penso che il problema sia questo: negli ultimi sei anni (lo sbarco in web), molti si sono cimentati su web, dando immagine di sé in chat, sui forum, su geocities prima e portali poi e blog dopo ancora, e commentando e partecipando di qui e di là, usando magari molteplici nick, ovvero disperdendo la propria identità socialweb in mille rivoli; ora sento in rete espresso un bisogno di unitarietà, di riconoscimento, di visibilità pubblica, di accorpamento degli avatar (!), ovvero un centro identitario più o meno solido, dove sia possibile per gli altri – e anche ai nostri stessi occhi – seguirci e comprenderci come entità sì polimorfa ed articolata, epperò nucleata. Io sono i frammenti, le facce , le maschere di me, sparsi in giro per il mondo, ma ci metto un tag sopra i frammenti, che possa ricondurre alla mia identità, che a questo punto mi viene da raffigurare come un hub identitario ed esistenziale, il mozzo della ruota, il vuoto centrale che ne permette l’esistenza. Continuo a vivere in molti modi diversi sulla circonferenza, lascio tracce rotolando nei territori digitali, e lascio anche un’impronta che voglio sia mia, che sia possibile navigare e scoprire e risalire e comprendere in un’immagine ampia, data dalla mia multicolore espressione di me lungo sentieri elettronici.
Chiaramente il web 2.0 ci aiuta nel ri-capitolare un Io forte, ad esempio con ClaimId, una sorta appunto di hub identitario.

Poi ho guardato, su consiglio di .mau., la tavola delle religioni mondiali, e seguendo Luisa Carrada ho sbirciato le regole di stile per la buona scrittura su Wikipedia: interessantissimo, mi viene subito in mente l’utilizzo che potrebbe farne un insegnante creativo in quarta superiore, sottoponendo a vaglio critico insieme ai suoi allievi le indicazioni “ivi contenute”; graditissima l’ironia mescolata alla fermezza: riguardo il ricorso a paroloni e frasi contorte, si legge che … spiegandoci in parole veramente povere, certe circonlocuzioni, concordemente con quanto asserito dai massimi fra gli accademici della Crusca, tenderebbero ad esacerbare alcuni segnali semantici all’interno del contesto espressivo, influendo non lievemente sulla prassi di decodifica cognitivo-funzionale del potenziale fruitore: tali propensioni stilistiche influirebbero inoltre sui risvolti più prettamente gnoseologici del testo, rischiando di sottendere l’elaborato alle più trite e abusate tendenze sintattico-espressive, di tipo puramente aforistico, forse dissimulando, tra pindariche figure retoriche, un più coerente anelito comunicativo ehehehh

Aiuto:Manuale di stile – Wikipedia

Per ultimo, David Byrne e Brian Eno hanno reso disponibili le tracce di due canzoni contenute in My Life in the Bush of Ghosts, sì da poter essere liberamente sotto Creative Commons utilizzate nei propri pezzi, oppure remixate e spedite sul loro sito. I due ci dicono che è la prima volta che questo accade, e su questo ho i miei dubbi, perché già anni fa partecipai a simili esperimenti remixando Beck e Robert Miles, e credo che anche Paolo Benvegnù stia conducendo un simile progetto in quel di Firenze, come mi fece notare l’Impostore via S.O.M .
Rimane il fatto che My Life… è un disco del 1981, e ripeto 1981, che per contenuti e forma potrebbe essere tranquillamente stato scritto a metà anni ’90, risultando comunque straordinario ed anticipatore. Lo considero tuttora il massimo risultato artistico raggiunto sia da Byrne sia da Eno (per quest’ultimo, almeno per quanto riguarda la musica “pop” strutturata, non ambientale).

Ho già dato

Ho già dato, e scusandomi per la bassa soddisfazione, mi viene da ridere.

I più attenti nel mondo della scuola stavano aspettando.
Ora è arrivato: http://www.digiscuola.it

Vedete, l’introduzione dell’e-learning nel sistema scolastico (primarie e secondarie di 1° grado) è argomento delicato, perché stiamo parlando di un mondo chiuso, arroccato, forse arrogante, dove una qualsiasi scuola conduce la propria programmazione dell’offerta formativa senza ad esempio tener conto delle peculiarità territoriali in cui è situata e in cui acquista, appunto, senso (il quale è sempre contestuale). Se volete, esagero: ma la singola scuoletta dietro casa pensa veramente di essere fuori dallo spazio e fuori dal tempo.

Ora, la logica dell’e-learning obbliga a progettare l’apprendimento secondo strutture precise, impostate sui concetti di granularità e riusabilità delle risorse: da questo ne discende l’organizzazione a matrioska dei corsi, suddivisi in lezioni, suddivise in moduli, i quali contengono appunto learning object, ovvero contenuti di apprendimento (in teoria, non necessariamente digitali, ma nella pratica sì).

Gli insegnanti e la struttura-scuola si vedono ora costretti a riprogettare la propria erogazione di contenuti per l’apprendimento per adeguarla a questa scansione, visto che solo in questo modo è possibile ottimizzare il processo e trasferirlo su piattaforme per l’apprendimento a distanza: il nodo dolente sono proprio i learning object, ovvero quelle unità minime (eccessiva parcellizzazione?) veicoli di nozioni e posture all’apprendimento, che gli insegnanti dovrebbero produrre o procacciarsi per poter poi metterne in fila due o tre per ogni ora di insegnamento (ammesso che la scansione temporale abbia ancora un significato).

Mettiamo che io debba organizzare un corso (in aula oppure online, non cambia nulla) di giardinaggio, il quale contiene tra le altre una lezione dedicata alla preparazione del terreno, la quale contiene tra gli altri un modulo dedicato alla concimazione, il quale per poter essere svolto dovrà essere articolato per oggetti di apprendimento: ad esempio, mi servirebbe un .doc oppure un .ppt oppure una .jpg oppure un .mov in cui si spiega la differenza tra concimazione naturale e sintetica, un altro learning object in cui si racconta l’importanza di un giusto equilibrio tra azoto fosforo e potassio, un altro ancora in cui si stabiliscono i momenti giusti nel corso dell’anno per procedere a determinate azioni sul terreno.

Ecco, mi servirebbero solo per questo particolare modulo (durata di un ora), tre oggetti da proporre alla classe in presenza o a distanza: dove li trovo? sarebbe ottima cosa se li avessi prodotti io nel corso delle miei lezioni precedenti, rispettando i requisiti di granularità (ovvero dovrebbero essere oggetti della giusta dimensione, i quali potrebbero ciascuno essere affrontati dalla classe diciamo in circa 20 minuti) e di riusabilità (se il prossimo anno la mia scuola riorganizza un corso di giardinaggio, può allineare dei learning object pescandoli dal proprio server – quindi importanza dei metadata/metatags – dove tutti gli insegnanti depositano le proprie schede in siffatta maniera organizzate, oppure trovarli/comprarli da repository su web, vd. Merlot)

Qualche mese fa, facendo formazione a docenti delle superiori sull’argomento e-learning, avevo raccontato di come nel prossimo futuro sarebbero nate, pubbliche o private, delle banche dati ovvero dei “market elettronici” dove poter comprare dei learning object, da innestare nei percorsi di apprendimento scolastici (online o meno): gli insegnanti davanti a me hanno storto la bocca, o fatto risolini e spallucce, non comprendendo di cosa stavo parlando, come se fosse cosa che non li riguardava… e sto parlando dell’avanguardia della specie, ovvero quegli insegnanti passati attraverso i Piani nazionali per l’aggiornamento in campo informatico/multimediale Monfortic, insegnanti capaci di comprendere le logiche di un ipertesto, di realizzare siti web, di installarsi un server locale per provare i CMS e i Moodle, di gestire tecnica e comunicazione di una community scolastica su web o intranet.

Ecco, ora c’è il market del Ministero. Certo anche i privati si stanno organizzando. E siccome gli insegnanti di queste cose non sanno nulla e fraintendono la filosofia del progetto, temo che per i prossimi 2 anni ci saranno scandali, incomprensioni, sfracelli, rivendicazioni, insinuazioni, truffe, disorganizzazioni, spreco di risorse, riallineamenti, conflitti sindacali, litigi in collegio docenti… ora partirà la grande gara dei fornitori di contenuti, dei furbi lupi del mercato, dei formatori pret-a-porter con un catalogo pronto in valigia di percorsi standardizzati, dell’offerta 3×2 di LO, di consulenti che proporranno piattaforme mirabolanti per la somministrazione dei contenuti di apprendimento…

Anni di risate, questi.
Basta, ora vado a inventarmi qualcos’altro da fare.