“Le dieci professioni che saranno più richieste nel 2010 non esistevano nel 2004.
Stiamo formando studenti per lavori che non esistono ancora, usando tecnologie non ancora inventate, per risolvere problemi che ancora non vediamo”
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A casa di Quintarelli
CitizenCamp
Perché il tema è terribilmente importante: come più volte ho cercato di sottolineare, le tecnologie – le TIC in particolare – sono vuote se non vengono concepite a dimensione territoriale e legate ad una collettività che è in grado di viverle normalmente, come il bancomat e l’automobile.
Se la tecnologia abita il territorio, gli Umana abitano la tecnologia. Tutto qui.
Dopo aver provato ad organizzare l’ActionCamp qui a Udine mi si sono moltiplicati i contatti con persone simpatiche, e conseguentemente anche le idee hanno beneficiato di un bel colpo d’ala. A Casalecchio spero proprio di divertirmi.
Il web 2.0 ed il mondo della scuola
- Aiuta i docenti a stare in contatto con i colleghi di lavoro, generando mediante la partecipazione a circoli di apprendimento – anche spedire due mail al mese ad una community ed essere iscritti ad una maillist dà luogo a fenomeni gruppali, per come l’esperienza di appartenenza alla community professionale condiziona il mio pensiero – una corrente di nutrimenti culturali, informazioni e punti di vista importanti per continuare sempre a riflettere e migliorare la propria professionalità nel lavoro di insegnanti
- Il web 2.0 va a costruire l’ambiente stesso in cui si situa la didattica, dal momento in cui con la nascita delle TIC a scuola l’aula si è ingrandita, inglobando luoghi digitali e online. La didattica si fa nei blog e nei wiki, nella costruzione in remoto di documenti ipermediali audiovideo, sia da parte dell’insegnante che può progettare e realizzare learning object con cui sostenere le lezioni, sia per gli allievi, chiamati ormai perentoriamente a fare i compiti con il computer, e magari connessi veloci (ma l’ADSL è ancora un problema, e va risolto: una connessione veloce devono averla tutti i cittadini, e deve costare 50 € all’anno). Ma la potenza espressiva della documentazione potrebbe veramente rivoluzionare la conoscenza: provate a pensare ad un servizio giornalistico del TG5 (un’inviato, una ricostruzione, un siparietto, uno spazio di riflessione), e immaginate che il tema standard di un ragazzino in terza media sia più o meno equivalente, come utilizzo delle immagini e dei video, sceneggiatura e storyboard, e nella costruzione registica.
- Ci vorrà tempo perché gli attuali bambini, nativi digitali, si esprimano usando appropriatamente i nuovi linguaggi, ma accadrà. Alle medie peraltro è dove farei seriamente cominciare agli allievi le pratiche di mescolamento dei generi, dei codici, della manipolazione, della multidisciplinarità, mentre alle elementari cercherei di ottenere la loro padronanza nel trattamento dei singoli linguaggi e media espressivi – schizzo, disegno tecnico, disegno artistico, grafica, modellizzazione, trattamento immagini statiche ed in movimento, trattamento audio e commento musicale, trame e narrazione, testo, mappe concettuali e satellitari, grafica 3D mondiattivi.
- Il web 2.0 essendo una forma nuova dei linguaggi espressivi individuali e sociali farà nascere cose nuove, nuovi situazioni/contenitori per ottimizzare al proprio interno il passaggio di nozioni, abilità, emozioni, relazioni, e lo sbocciare di competenze negli allievi.
In fondo, la “lezione” è una tecnologia. Dai peripatetici agli scolastici. Dalla formazione dell’uomo rinascimentale alle scuole di arti e mestieri, al sistema scolastico statale attuale, si tratta di una forma evolutasi nel tempo, con le sue metodologie, le su epistemologie, i suoi strumenti materiali.
Ma le aule cambiano quando c’è uno schermo sul mondo, quando la lavagna diventa interattiva, quando la maestra conduce un ottimo blog d’aula.
Un’altra tecnologia, quella delle TIC, ha modificato appunto le situazioni in cui si fa scuola, per sempre.
Ho preso spunto per questo post da un ragionamento su
Paolo Valdemarin Weblog , colà dedicato ai giornalisti
Dichiarazione d’indipendenza del Cyberspazio
di John Perry Barlow
Il Cyberspazio è fatto di transazioni, di relazioni, e di pensiero puro disposti come un’onda permanente nella ragnatela delle nostre comunicazioni. l nostro è un mondo che si trova contemporaneamente dappertutto e da nessuna parte, ma non è dove vivono i nostri corpi.
John Perry Barlow, Dissidente Cognitivo e co-fondatore della Electronic Frontier Foundation
Raduno Blogger a Innovaction 2007
Sì, ci vediamo tutti lì. Una devirtualizzazione collettiva, dei blogger che magari già vagabondano per Innovaction: l’appuntamento è al Padiglione 6, alle 17.00 di sabato 17 febbraio, per poter dire “vissi il momento”.
Il Bloggeraduno non è come ActionCamp, ma pare che siano proprio i blogger a parlare di tecnologia web più di ogni altra cosa, quindi potremmo avere una situazione in cui molti blogger parlano di ActionCamp. Tutti gli altri, ballano da MTV.
Anche ActionCamp, settato in modalità “chiacchiere informali”, credo convergerà essenzialmente su sabato 17.00.
Ricordatevi di portare un bottone con voi, è una tecnologia che connette.
Smanettare linguaggi
Ma credo che come un bambino sgarfa nella terra e poi solenne o entusiasta porta alla maestra un verme, così sia giusta cosa che manipoli lo sfondo con altre immagini. Sta esplorando l’ambiente di vita.
E così chi si diverte con i nuovi discorsi (mashups) che è possibile fare con le nuove parole (ajax, xml..) scopre nuove possibilità dei linguaggi, che magari un giorno permetteranno di nominare un contenuto, un’idea, un valore prima mai percepito, perché mancavano le parole.
E qualche modificazione questo fare lo porta sicuramente nel Mondo. Nascono cose che prima non esistevano, ed in fin dei conti siamo tutti qui per combatter l’entropia.
Il discorso dell’autoreferenzialità dei blog, di cui tanto si dibatte ultimamente nella blogosfera (e solo lì, ovviamente) potrebbe essere ricondotto a quello che certamente si è instaurato tra i letterati e gli uomini/donne di pensiero dalla fine del Quattrocento e nel Cinquecento, ovvero l’instaurarsi di una visione metalingustica e centripeta, che focalizzava proprio lo strumento dell’espressione, in quel caso il libro a stampa.
Era necessario acquisire una competenza, un saper fare, riguardante la tecnologia tipografica e del libro. Per pubblicare e diffondere finalmente le idee, dovevo saper qualcosa di caratteri mobili (movable type, esatto).
Oggigiorno, nessuno si scandalizza se un intellettuale è anche un bibliofilo, nel senso di appassionato dei libri anche come modalità di supporto dell’informazione. Eppure ci si scandalizza se i blogger saggiano lo strumento.
Ma Galileo per guardare la luna si smerigliava a mano le lenti per curarne la convessità, era artigiano tecnologo ars=tekne, prima ancora che scienziato. Anzi, lui è quello che ha definito un metodo per garantire maggiori condizioni di conoscenza scientifica, in quel caso.
Qui, oggi, stiamo parlando della costruzione delle grammatiche espressive del domani, dei modi di organizzare l’espressione di sé attraverso linguaggi simbolici, quando per la prima volta si è dischiusa dinanzi agli Umana la possibilità di costruire discorsi allestendoli multimedialmente, con relativa facilità (senza conoscere codice, perlomeno, come i molti Pipes e strumenti 2.0 online che nasceranno nei prossimi mesi).
Si è spalancata una porta, si sono allargate le finestre della casa, si è chiamati a giocare molta socialità, come dicevo per i cellulari multimediali.
Si svilupperanno nuove prassi comportamentali, nuove credenze e abiti, nell’arredare queste case della nostra personalità.
Nel 2061una laureanda a Trento in Sociologia dei Media scartabellando vecchie pagine web degli archivi Internet risalenti agli anni ’10 del XXI secolo, si riterrà fortunata di poter avere accesso alle discussioni che stiamo lasciando in giro, in quanto per lei come archeologa sarà importante ricostruire come sono nate – nella blogosfera o nell’opinione pubblica digitale – quelle scelte che determineranno la forma del futuro.
Siamo i primi banchieri fiorentini del Duecento, siamo i tipografi del 1480, siamo gli esploratori, i Cittadini della rivoluzione francese, gli impressionisti che s’interrogano sulla forma, siamo i pionieri del Web (yippieyahe).
Lo dico ancora una volta, giusto perché conosco una metafora biblica: i nostri Padri hanno il compito di salvare tutta la Cultura pre-Internet nell’Arca Digitale, per salvarla oltre il Diluvio Digitale.
La nostra generazione, sta costruendo l’Arca da vent’anni. Sviluppiamo i contenitori.
I nostri Figli, saranno poeti digitali. Avanguardia della specie.
Dinamiche sociali e web
Come al solito, le presentazioni online sono come il profumo della torta, e io avrei voluto sinceramente partecipare per addentarne una fetta fatta di atomi.
Media Education
Il generatore di annunci pubblicitari è un’opera che indaga come la pubblicità usa e manipola il linguaggio. Parole e strutture semantiche tratte da veri slogan aziendali sono remixate e disposte casualmente per generare slogan inventati. Questi slogan vengono quindi appaiati ad immagini attinenti prese da Flickr, generando quindi al volo dei falsi annunci pubblicitari. Remixando slogan aziendali, intendo mostrare come il linguaggio della pubblicità sia al contempo profondamente significativo, rappresentando reali valori culturali e desideri, nonché completamente privo di senso, in quanto queste idee non hanno alcuna relazione con i prodotti che vengono venduti. Usando le immagini di Flickr, l’opera esplora la relazione tra il linguaggio e l’immagine, e come il significato sia costruito dalla giustapposizione dei due diversi codici.
The ad generator is a generative artwork that explores how advertising uses and manipulates language. Words and semantic structures from real corporate slogans are remixed and randomized to generate invented slogans. These slogans are then paired with related images from Flickr, thereby generating fake advertisements on the fly. By remixing corporate slogans, I intend to show how the language of advertising is both deeply meaningful, in that it represents real cultural values and desires, and yet utterly meaningless in that these ideas have no relationship to the products being sold. In using the Flickr images, the piece explores the relationship between language and image, and how meaning is constructed by the juxtaposition of the two.
Tags: adgenerator, ads, codici
Cyberdissidenti
Di per sé, non è né buono né cattivo; esiste come artefatto, come un rubinetto.
I contenuti invece possono esprimere posizioni politiche.
Anzi, potenzialmente ogni dire è politico, esprimendo necessariamente un punto di vista soggettivo in direzione di una collettività umana.
Ci sono però luoghi sul pianeta dove aprire un blog è già un atto politico, come scelta di voler comunicare. Luoghi dove il blog viene chiuso e l’autore incarcerato, se esprime pareri difformi dalle posizioni politiche governative.
La blogosfera araba, altamente partecipativa, è in fermento.
Giangiacomo Feltrinelli Editore – Speciali – Speciale Arabi invisibili
[Mass] Media Friuli
Sostanzialmente si tratta di una decina di Comuni che ha deciso di dar vita, sfruttando anche precedenti iniziative di collaborazione in ambito culturale, ad una rete, ad un comprensorio, ad un Aster ovvero un’Azienda per i Servizi Territoriali, insomma non ho capito bene la forma definitiva che assumeranno, anche perché siamo ancora nelle fasi iniziali di analisi del territorio, delle sue esigenze e delle sue potenzialità.
Vi sono state delle presentazioni di elaborazioni statistiche e risultati dei primi focus gruop con gli attori sociali, curati dall’ottimo sociologo Paolo Tomasin, riguardanti le peculiarità abitative di queste terre e i flussi demografici, poi si è parlato di “vocazione del territorio”, quindi di identità, quindi di sviluppi industriali, di turismo, di circolazione delle merci, di attività culturali, di assetti politici e di forme di democrazia.
Tenete presente che ora, come credo anche in altre parti d’Italia, parlare di ristematizzazione ed ottimizzazione degli Enti Locali significa sostanzialmente valutare l’opportunità di mantenere in vita gli Enti di vasta area, ovvero le Province, quando gli indirizzi politici regionali (ovvero quello che piace a Illy) prevedono incentivi proprio alla nascita di aggregazioni sovracomunali caratterizzate da una certa omogeneità – Manzanese, Palmarino, MedioFriuli, Collinare, Carnia, Tarvisiano, con popolazioni intorno ai 50.000 abitanti ciascuna – le quali autonome nella propria progettazione dovrebbero dialogare per le direttive di sistema e di armonizzazione delle politiche territoriali direttamente con la Regione: le Province diventano inutili.
Ovviamente il Presidente della Provincia di Udine Strassoldo ha perorato la propria causa, difendendo il ruolo dell’Ente di vasta area, mentre dall’altra parte (Boem, DelFrè, Tonutti) si è espressamente ribadita la voglia e la giustezza di procedere con gli Aster.
Gli Aster, in quanto sostenuti da Illy, sarebbero di sinistra, mentre la Provincia di Udine è al momento di destra. Ragionamenti squisitamente pragmatici quali le forme di organizzazione del territorio (asfaltare una strada, stabilire il sito ideale per una discarica o per un insediamento artigianale, organizzare la logistica dei trasporti è questione di amministrazione, non di politica) diventano quindi ideologici, quindi inadeguati e sfuggenti per le risposte che si vorrebbero: a procedere così si arriverà al solito pateracchio, compromessi che cercano di soddisfare tutti e tra dieci anni si riveleranno scelte sbagliate. Sì, il titolo del convegno prevedeva appunto un “2016” scritto bello in grande, a sottolineare la volontà politica di intraprendere dei percorsi progettuali a lungo termine, e questo è un onore che giustamente riconosco loro. Qualcuno ha perfino parlato – meraviglia – di fare formazione ai dirigenti, per aggiornarli sulle ultime novità nelle metodologie e negli strumenti per “leggere e scrivere”, analizzare e progettare le dinamiche insediative territoriali.
Ma nessuno ha parlato di tecnologia, di modernità.
Tutte i Comuni coinvolti devono la loro esistenza eco/nomica ed la loro identità a scelte tecnoterritoriali compiute secoli o millenni fa: Mereto di Tomba deve il suo nome all’originario toponimo “Melaretum” di origine romana, segno di una precisa organizzazione del territorio e delle sue vocazioni (scelte compiute da uomini che possedevano ancora l’istinto di sapere dove insediare un abitato, costruire una città, interpretando il territorio per sfruttarlo con intelligenza), mentre la tomba in questione è un reperto celtico; il nome Codroipo deriva da Quadruvium, visto che la cittadina si pone in prossimità di un guado storico del Tagliamento, proprio all’incrocio di due strade millenarie secondo gli assi sud-nord ed est-ovest; nelle stesse campagne intorno a Mortegliano, dove ha avuto luogo il convegno, c’era palude fino a cent’anni fa, prima che il fiume Cormor venisse irregimentato e diventasse canale Cormor, evitando di disperdere le sue acque nelle terreni a sud dell’abitato, imputridendoli e generando povertà.
Il Paesaggio è un Oggetto Tecnologico, ricordate, è frutto del millenario dialogo tra la specie umana e l’ambiente: nulla è naturale, nemmeno una mela, selezionata con sapienza da generazioni di agricoltori con la tecnologia della selezione genetica, per ottenere dei frutti migliori di quelle specie di prugne asprigne che sarebbero le vere mele naturali.
Se mi mostrassero una fotografia di zone rurali, caratterizzate da piccoli campi delimitati da filari di gelsi potati, non avrei difficoltà a riconoscere un tipico paesaggio friulano: per molti friulani questa immagine rappresenta l’iconografia della friulanità, mentre ignorano che i gelsi, alberi cinesi, sono stati portati qui nel ‘700 per provvedere una fonte di alimentazione per i bachi da sete, nell’allora fiorente industria tessile (imprenditori illuminati di 250 anni fa come Zanon e Linussio, capaci di guardare più in là del proprio naso). Il Paesaggio è un Oggetto tecnologico, il territorio va compreso anche con l’aiuto della Cultura TecnoTerritoriale.
La democrazia è una tecnologia, ho detto nel mio intervento; se le strade fossero ancora in terra battuta, la gerarchia Comune-Comprensorio-Provincia-Regione avrebbe tutte altre connotazioni, gli Enti sarebbero di forma e funzioni diverse.
Da sempre i politici in previsione delle elezioni sono soliti asfaltare le strade, per farsi belli con la popolazione: perché ora non capiscono che le strade sono anche elettroniche, che l’ADSL ci deve essere per tutti a buona velocità e poco prezzo, perchè si tratta di un diritto all’accesso informativo per i cittadini e un’opportunità imprescindibile per le imprese? Vogliamo smettere di muovere le persone, e cominciamo a muovere le informazioni? Il MedioFriuli è un territorio solo di atomi, oppure auspicabilmente sarà anche un territorio digitale, com’è “naturale” che sia oggigiorno, attraversato da flussi informativi, interazioni interpersonali a distanza, socialità online, meccanismi di decisione pubblica? Siamo a concepire la governance come se fossimo a pranzo con Carducci, è già il telefono ci mette paura?
Ho detto: “Vi manca un libro nella vostra biblioteca, vi manca il dizionario della Cultura Tecnoterritoriale; voi parlate di 2016, ma vi ricordo che dieci/quattordici anni fa erano appena nati il cellulare e Internet, e ora non è possibile concepire il mondo senza la presenza di queste tecnologie, che hanno completamente cambiato il senso psicologico, sociale, culturale dell’essere comunità e collettività che abita un territorio; tra dieci anni voteremo probabilmente le leggi con il cellulare, e oggi qui non ho sentito nominare né la parola Tecnologia, né Modernità; chi è stato bambino negli anni Cinquanta e Sessanta, quando in Friuli sostanzialmente si era ancora ad una economia agricola (il Friuli, colpito e distrutto da due guerre mondiali, ha praticamente saltato la fase industriale, tranne tre o quattro grossi insediamenti: prima degli anni Sessanta, nessun Governo statale sviluppava infrastrutture di trasporti e di sostegno alle imprese in un territorio che sarebbe stato il primo a cadere nelle mani dei Sovietici, e dopo il terremoto del ’76 si è passati subito al post-industriale) non può comprendere il significato delle moderne forme di cittadinanza digitale, non può stabilire linee di indirizzo su qualcosa su cui non ha competenza, soprattutto se continua a considerare il computer e Internet solamente come un modo più veloce di usare fogli di calcolo e darsi appuntamento al bar con la posta elettronica”.
Ho scatenato un putiferio. Mi han detto che magari gli argomenti erano giusti, ma non era il posto giusto per esprimerli… ma quale migliore occasione di una ventina di sindaci assessori regionali decisori pubblici a convegno, per ragionare di territorio?
Mi han detto che faccio lo sgambetto agli ascoltatori perché disloco i piani semantici del discorso, col mio incedere ipertestuale, a frammenti, salti e rimandi: lo prendo come un complimento, purché il messaggio passi.
Mah. Spero che qualcuno della mia generazione, o anche trentenne, sia magari coinvolto in questa pianificazione territoriale; ho visto degli Assessori alla Cultura preparati e consapevoli dei cambiamenti culturali epocali in atto… potrebbero essere loro la carta su cui scommettere, la chiave per far entrare il cambiamento sociale dalla porta della Comunicazione?
Tags: mediofriuli, tecnoterritorio, aster
ActionCamp: per fare i due punti
In occasione di Innovaction, si terrà alla Fiera di Udine dal 15 al 18 febbraio un BarCamp di quelli veri, dove bloggers, smanettoni e curiosi potranno intrattenersi in piacevoli discussioni con altri partecipanti, su tutti gli argomenti web 2.0 che verranno loro in testa, ma anche con qualche considerazione e riflessione sulle sorti di questo Mondo decisamente 2.0.
Tags: actioncamp, udine, innovaction
Firmate – NO SIAE a scuola
Firmate fiduciosi la proposta dell’Anitel, e voi blogger rinomati e dai molti contatti giornalieri passate parola .
Sarebbe bello, no?, mostrare in terza media delle immagini dei famosi “tagli” di Fontana, per far capire ai giovani ribelli che possono fare quello che vogliono purché sappiano quello che stanno facendo.
Ma come formatore non posso mettere delle fotografie di opere d’arte recenti sul mio blog scolastico oppure in una presentazione, perché infrango la legge.
Tutto è nato dalla persecuzione che sta subendo Galarico, autore di HomoLaicus, persona squisita con cui ho avuto l’onore di chiacchierare in chat anni fa per un progetto scolastico. Andate a vedere il suo sito, e riposizionate i vostri parametri, per avere un buon punto di riferimento quando per l’ennesima volta leggerete qualche guru del web che sottolinea come in fin dei conti il valore di un sito o di un blog lo determinino i contenuti espressi.
Anche a me non va giù che Pierino si annoi
Si parla di scuola, di “meritocrazia”, di curiosità soffocata, di comportamenti miopi.
Avevo provato a dire qualcosa del genere tempo fa, ma questa riflessione è perfetta.
Tecnica e Cultura Tecnologica, insegnanti e le forme del sapere.
Come già dissi, in me si agitano ancora degli assetti valoriali sgocciolati giù dagli anni sessanta e dai dibattiti degli anni settanta, in me sopravvivono richiami ad una rivoluzione giovanile che chi è cresciuto in pieno negli anni ottanta già non possiede più.
A Udine, periferia dell’Impero, nel 1982 la cultura era ancora quella dei Settanta, nei bar suonavano jazz-rock o blues, Weather Report o Canterbury Sound o Peter Green, le ragazze fricchettone avevano le camicie indiane, borsa di cuoio con saffi arrotolato alla cinghia pronto per filtrare il cilum, si innamoravano di Morrison o di Robert Plant.
Ma per cambiare il mondo serve educazione.
Ho provato a lavorare nel sociale, poi ho redatto e condotto dei progetti territoriali rivolti alla popolazione giovanile, poi mi sono accorto che in realtà proprio le scuole elementari sono il luogo della formazione delle personalità dei futuri cittadini (non parlo di contenuti, parlo dei contenitori destinati ad accogliere le identità), e che quindi se volevamo cambiare il mondo io e Jim Morrison dovevamo rivolgerci agli insegnanti delle scuole primarie, perché lì avvengono le alchimie della trasformazione, lì vengono dissodati nutriti e bagnati i campi ovvero le giovani menti degli allievi, affinche siano pronte ad accogliere e far germogliare i contenuti, le capacità e le competenze che gli ordini scolastici successivi semineranno.
Poi oggi leggo su FuoridiClasse un bell’intervento di Lorenza, il quale a sua volta richiama Zambardino a sua volta ripreso da Lipperini.
C’è un gran bisogno di Cultura Tecnologica. Punto.
C’è un gran bisogno di superare dualismi del tipo “le due culture”, stantii e superati da sessant’anni.
C’è un gran bisogno che la Scuola si dia una mossa, e parlo di comportamenti e competenze, di visione-del-mondo, non di computer.
“Ubuntu, LAN e mentalità” aka “ansia da cambiamento”
Per mia passione e interesse professionale, preferisco di gran lunga innovare gli umani, ovvero le credenze e i comportamenti (e quindi identificare e far lo sgambetto alle resistenze al cambiamento, tipiche di ogni organizzazione lavorativa), ma ci sono argomenti per i quali prima di aprir bocca è necessario allestire degli strumenti, dei supporti alla conoscenza e alla comprensione dell’innovazione, in questo caso tecnologica.
Ebbene, sappiate, o voi che come me non siete né linuxmaniaci né geek né smanettoni, che c’è in giro un sistema operativo di qualità mirabile, opensource, il cui carattere è contraddistinto dalla peculiare attitudine di essere alquanto portato alla socialità, al lavoro collaborativo, alla condivisione delle risorse. Il suo nome infatti, Ubuntu, secondo un’antica lingua africana significa “umanità agli altri” oppure “io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti”.
Ubuntu è disponibile anche in versione educational, con il nome di Edubuntu, ma ormai tutti qui lo chiamiamo affettuosamente Sburubuntu.
Nell’ultimo anno e mezzo, ho già fatto allestire un’aula multimediale di un Istituto Comprensivo con Ubuntu, e sto attualmente costruendo una rete presso una Direzione Didattica composta da 15 pc in un’aula multimediale (connessi via cavo) e altri 8 computer dislocati uno per classe, lungo un corridoio, da connettere alla stessa rete però con tecnologia wireless.
Il tutto sempre in LTSP (Linux Terminal Server Project), nativo su Ubuntu.
Ho fatto quindi comprare dalla scuola un bel server, su cui gira Ubuntu o Edubuntu, e due access-point, da mettere in alto a metà corridoio.
Ho recuperato dall’obsolescenza dei pc 400MHz, ci ho messo su Ubuntu (anche versioni light) e una scheda di rete PCI wireless (l’antennina del pc); se avete pc più vecchi che non reggono la scheda wireless, potete comprare dei bridge, in pratica degli accesspoint/scheda di rete ethernet, alimentati (sono quelli che usano i ragazzini per giocare a videogame in LAN wireless), da connettere ad una normale scheda di rete del pc remoto. bridge esempio
Il problema è permettere alle macchine remote di effettuare il boot in modalità LTSP connettendosi con il server. Se fossimo in una LAN cablata, non ci sarebbe problema: sarebbe sufficiente avviare i pc inserendo un floppy che dice alla macchina di attivare schermo, tastiera, mouse e scheda di rete tramite cui connettersi al server ed effettuare il boot del sistema.
Ma se la rete è wireless quest’ultima deve essere ovviamente già presente, all’avvio della macchina. Ecco perché torna utile il bridge.
A questo punto, aggiungo per quelli che non conoscono le possibilità di una rete LTSP, è possibile per i vecchi PC della LAN aprire ad esempio OpenOffice recuperando l’applicativo dal server, il quale si fa carico con la sua ram/processore di sostenere i documenti aperti nei vari pc. Il pc remoto diventa un semplice terminale del server, quindi può essere un pc anzianotto (non andrei cmq sotto il 200MHz con 128MB di ram) sul quale di per sé sarebbe impossibile far girare applicazioni tipo le suite ufficio (troppo pesanti), le quali invece in questo modo possono essere comodamente impiegate, insieme alle solite centinaia di programmi edubuntu o debian in generale.
Ripeto: tutto va a meraviglia, tecnicamente.
Se siete insegnanti in una scuola e intendete garantire stabilità, sicurezza e performance alla vostra aula multimediale, questa è la soluzione migliore da praticare in questo momento.
Anche se avete un piccolo ufficio e usate perlopiù una suite Office, fate questo passaggio e dimenticate Windows per sempre.
Ma questo significa cambiare i comportamenti, e qui infatti cominciano i veri problemi.
Ho visto delle insegnanti storicamente recalcitranti all’utilizzo del computer in classe, lottare strenuamente per avere almeno la possibilità di usare Powerpoint su una macchina in dual boot; docenti capaci di fare “gruppo di pressione” sul dirigente scolastico affinché venissero spesi migliaia di euro (aggiornamento hardware, sistema operativo windows, office, moltiplicato per 50 computer non sono pochi spiccioli) pur di rimanere su cose conosciute, “perché vanno meglio”. E non hanno neanche la competenza per giudicare. I prigionieri si affezionano alle gabbie.
Persone intelligenti che hanno imparato a usare Windows e Word perché grazie a quel furbacchione di Gates lo trovavano già dentro il pc al momento dell’acquisto, oppure glielo craccava il figlio quindicenne, dinanzi alle tecnologie TIC si rivelano improvvisamente stupide, non essendosi mai poste il problema che potessero esistere strumenti migliori per fare il loro lavoro di insegnanti, né che un applicativo di nome Office potesse non essere il miglior ambiente di produttività per un bambino di otto anni.
Tutto sommato, bene. Avrò lavoro per i prossimi anni, a raddrizzare pensieri nati storti. A seminare curiosità, spirito critico, creatività.
Poi vedo gli insegnanti, le scuole, e capisco che mi tocca portare una rivoluzione culturale dove non avrebbe dovuto essercene bisogno, perché mai avrebbero dovuto entrare in classe strumenti (che si impiantavano spesso) non progettati per i bambini e le loro necessità formative.
Sono passati dieci anni, e per spedire un allegato nella mail è ancora buona cosa organizzare prima un corso di formazione di 12 ore, destinato però solo a quelli bravi con il computer, ovvero che sanno già spedire una mail.
Se la cartuccia della stampante è finita, mi raccomando, chiamate il tecnico.
Orribile
Invece trovo su La Stampa questo articolo sui linguaggi contemporanei, non firmato, dove il meno che si possa dire è che l’autore non abbia la minima idea di cosa sta parlando.
Possibile che in redazione nessuno si accorga che gli schermi dei computer sono polverosi, i cestini stracolmi, e che tutti questi lavori potrebbero essere svolti con risorse interne, senza ricorrere a cooperative? In particolare proporrei l’autore di questo articolo, ecco.