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Lively, e picchiarsi

Mi son fatto un paio di orette su Lively, giusto per vedere come si creano le stanze, la personalizzazione dell’avatar e per sbirciare un po’ in giro, se c’erano già cose italiane.

Sull’aspetto fisico del personaggino c’è da lavorare: non ho trovato una barba da indossare, quindi mi son inizialmente rappresentato come coniglio agghindato western, poi come giovanotto.

Le funzioni per cercare le stanze sono spartane, vedremo cosa succederà quando la frequenza di visitatori farà emergere statistiche dettagliate. Chiaramente ci sono già le stanze esplicitamente pornelle.

Mi sono anche creato due stanze, ovviamente una dedicata alla Vespa e al vagabondaggio slowdriving, l’altra alla Cittadinanza digitale (quella della foto sopra), le ho arredate alla carlona con qualcosa, e la disposizione della mobilia non pare difficoltosa.

Sarà perché son stato là dopo le undici di sera, ma in giro ho trovato praticamente solo maschi che si prendevano a botte sfruttando le animazioni; come al solito (la mia esperienza risale più agli Active Worlds di qualche anno fa, più che a SecondLife) la cornice ludica dei Mondi porta subito le persone inesperte a regredire a modalità relazionali tipiche da seconda media.

Le animazioni sono simpatiche e abbastanza numerose, ci sono le solite cose “abbracci o kungfu” ma anche qualche sfumatura in più.

Durante il caricamento della stanza i movimenti sono scattosi, poi le cose migliorano; non è possibile vedere “in soggettiva”, il personaggio va mosso con il mouse solamente, mentre con le freccine della tastiera ci si muove abbastanza agilmente per modificare il punto di vista.

Le stanze hanno un limite: non so se dipenda o no dal numero di oggetti presenti – si può anche interagire con Flickr o Youtube, e ad esempio proiettare dei video sul muro di una stanza: questo significa andare al cinema dentro i Mondi3D – ma più di tot persone ad un certo punto non possono più accedere. Chi cerca di entrare in questi posti affollati diventa un lurker, e quindi guarda la stanza senza che il suo avatar sia renderizzato lì dentro.

Domani prelevo il codice di una stanza (ora ci sarà la gara a chi crea per primo le stanze “giuste”) e lo metto su qualche sito o blog.

Paleofuturo

Dovremmo essere tutti futurologi, e il fascino che hanno sempre avuto le visioni del domani è lì a confermare la vertigine del pensare ciò che potrebbe essere. O ciò che avrebbe potuto essere, ma non fu, nel caso in cui fossimo nella posizione di vivere nel futuro rispetto ai visionari di un secolo fa, e quindi ci permettiamo di giudicare le intuizioni di questi ultimi alla luce delle innovazioni tecnologiche successive.
Che sogno, vero?, poter essere connessi alle news geotaggate del pianeta in maniera multimediale, con i feed che arrivano per posta pneumatica. Da notare anche il pannello di controllo a sinistra, per selezionare le categorie.

L’immagine è del 1911, tratta dalla rivista Life; l’ho trovata qui.
Il movimento inverso, ovvero il bloggare credo fosse fuori dalla pensabilità dell’epoca, o perlomeno il pensiero di poter ciascuno di noi esprimere (liberamente, pubblicamente, globalmente) il proprio punto di vista, stazionava ancora nei regni di una fantasia che nessuno sapeva come tradurre in realtà.

La leggibilità del mondo

Minicity, Citycreator, Zanpo, ma anche Popomundo e altre cose più tematiche/specifiche tipo MetaPlace. Quest’ultimo ad esempio serve per arredare il proprio appartamento in 3D sul proprio dominio usando tool collaborativi online (non solo disegnarlo come ho fatto io con 3Dxplorer su jannis.it) e fondamentalmente costruire un MMORPG tutti insieme.

Abbiamo una visione: fare in modo che tu possa costruire quasiasi cosa, e giocare a qualsiasi cosa, da ovunque.

Noto quindi come le città online siano in aumento, oppure ne siano ultimamente nate alcune forse più rapidamente usabili, e qualche buon meme ha sollecitato la curiosità di molti. Da diversi canali amici e conoscenti e sconosciuti mi dicono di cliccare e di fare un giretto e di giocare a “facciamo casetta” oppure “giochiamo al Sindaco”.

In molte di queste nuove webcittà ora l’interazione con i residenti avviene senza previa registrazione: quindi non solo i cittadini (coloro che iscrivendosi al socialweb in questione hanno manifestato una volontà di partecipazione, talvolta con impegno economico) ma anche i turisti semplicemente cliccando di qui e di là su vari oggetti contribuiscono all’allestimento dell’insediamento abitativo.
Quindi forse sta scemando questa necessità di doversi iscrivere (anche OpenID aiuterà, certo) a millemila community per ogni minima interazione sociale. Ci son cose (scelta d’interazione, stile, modelli) che ci connotano e ci narrano, e queste cose le facciamo sia come turisti sia come cittadini. La presenza lascia tracce.
Quindi potrebbero nascere delle città online per così dire “turistiche”, urbanisticamente e interattivamente disegnate per essere divertenti, e quindi altamente cliccabili, ma in modo esplicito per persone di passaggio. Pensare a chi non risiede significa in particolare tenere in considerazione i flussi, quindi porre attenzione alle stazioni e ai teleport, alla segnaletica stradale, ai luoghi sociali di scambio estemporaneo, agli eventi culturali online, ai questionari rapidi e anonimi.

Credo fermamente che il cervello di molti disegnatori di interfacce in questo momento sia in ebollizione. Per ogni metafora che prende vita digitale si aprono mondi abitabili prima impensabili.

Interessante anche l’evoluzione che stanno avendo i meta-aggregatori di GReader e altri (ne ho parlato qui): stanno nascendo luoghi web come ReadBurner oppure SharedReader dove senza alcuna registrazione voi fornite – se volete – il feed della pagina pubblica del vostro GReader per contribuire a far emergere folksonomicamente le notizie più condivise sul pianeta; nel contempo, potete ovviamente abbonarvi al feed del socialweb scelto, e ricevere nel vostro Reader le dieci cose più condivise oggi da migliaia di persone.
E nessuno ha detto che fossero cose importanti. Ma guarda caso emergono come cose importanti, se milioni di persone hanno ritenuto il contenuto meritevole di “passaparola”.

Una mossa educativa a questo punto dovrebbe concentrarsi sulla pratica di item-sharing, da intendere come la mossa minima del nostro essere al mondo, agendo almeno come (soggetti semiotici) inoltratori di informazioni e opinioni altrui, a nostro parere meritevoli di segnalazione; mostrare alle giovani generazioni come anche un semplice atto come cliccare un bottone dentro Google Reader diventa – come ogni tag che mettiamo, se inteso sistemicamente – un atto di scelta e responsabilità rispetto alla costruzione collaborativa di una narrazione polivocale degli eventi e degli accadimenti planetarii, che poi il web trasformerà in Storia dell’Umanità.

Esageriamo. Qui sappiamo che quello che sta cambiando è proprio il modo in cui stiamo scrivendo la Storia (o per lo meno le rappresentazioni mediatiche caratterizzate da produzione e distribuzione partecipate degli eventi storici).
Ed è ancora vero che la Storia la scrivono i vincitori? Ma i vincitori non possiederanno i luoghi dell’editoria; qui su Mondo 2.0 esistono storie, non Storia in senso 1.0.
Mi viene da pensare che in uno scontro di civiltà, di pianeti o etnie più che scrivere il testo ufficiale degli eventi, sarà più importante cancellare la memoria storica della collettività conquistata, inseguendo fino nei server più scassati ogni singola traccia mnestica elettronica, manifestazione di quella identità collettiva, un po’ come una volta (?) si distruggevano i templi altrui.

Tornando a noi, non lamentatevi di avere trecento feed da leggere se poi siete famosi per segnalare fuffa. In ogni caso, il meccanismo complessivo dovrebbe essere a prova di fuffa (sarà vero? o si tratta pur sempre di codici enunciativi e segni menzogneri e manipolabili con finalità marchettare?), tant’è che continuo ad avere fiducia nel fatto che la qualità emergerà dal giudizio di migliaia di persone (ad esempio, quel post meraviglioso su un blog che mi era sfuggito), se quelle persone riterranno l’item degno di condivisione. Atto (comunicativo) degno di menzione, reintrodotto nel circuito come un feedback carico di vissuto umano con cui migliorare il sistema stesso.

In fondo, vi è del numinoso in ogni relazione autentica con l’Altro, si sarebbe detto una volta.

 

Parva sed

Su jannis.it ho via via messo diversi ambienti.

I primi siti erano html, poi avevo provato un FlatNuke, un PostNuke, poi avevo installato un robo tipo Gelato, un WordPress, e ultimamente il sito era solo un enoorme mp3player con dentro una canzone sola, Allegria, e due link, uno a questo blog e l’altro a LinkedIn o a ClaimID, secondo ispirazione.

Poi stanotte ho seguito una qualche segnalazione e sono arrivato a 3Dxplorer, che mi dà la possibilità di costruirmi un ambiente tridimensionale da mostrare ai visitatori; alla fine delle azioni di arredamento, salvo il progetto e prelevo il codice, proprio come in Youtube, e lo incollo in un index.htm che ho fatto col blocconote e che ho caricato in ftp. Stop.

In fondo, jannis.it è casa mia, e proviamo quindi a farle sembrare una casa vera.
Pian piano aggiungerò oggetti o migliorìe cromatiche, magari altri collegamenti oltre agli stessi di prima che ho messo sulla TV e sul quadretto.
Se avete un pc veloce, dovrebbe metterci 10 secondi a caricare l’interfaccia: poi muovetevi con le freccette o con il mouse.

Città always-on

In questo blog miracolosamente intatto dopo un parziale rifacimento grafico, esordisco nel duemilaeotto con un post squisitamente gangherologico.

Mi trovo infatti a riflettere sulla forme di arredamento urbano da progettare per marcare quei Luoghi territoriali connotati dalla presenza di interfacce verso i Luoghi di abitanza digitale. Ovvero, dove la città atomica e quella digitale si toccano incontrandosi fisicamente in una interfaccia, come un totem elettronico o una panchina-wifi in una piazzetta (interfacce come i polmoni, come le stazioni, come i rituali) .

La tecnologia TIC diventa visibile nei paesaggi urbani, mostra le intersezioni dei nostri ruoli sociali nelle comunità biodigitali, con i nostri movimenti e le nostre tracce attraverso le città, e la nostra interazione con i Luoghi e gli artefatti pubblici.

Mimetizzare questi manufatti? O al contrario evidenziarli e connotarli, rendendoli espliciti segni di valori di abitanza biofdigitale? Luoghi sociali fisici di partecipazione mediatica? Come rendere visibile la rete dell’e-democracy? Come proporre delle attività sociali, che siano utili per scoprire rapidamente nuovi utilizzi urbani delle TIC e suggerisca delle metriche per la valutazione degli interventi, che siano provocatorie (un approccio tipo land-art?) eppure facilmente fruibili per il cittadino? Come progettare interventi sociali che diano buone indicazioni di feedback da reintrodurre nel ciclo di progettazione, ma capaci al contempo di far esperire dimensioni di socialità anche ludica o foss’anche politicamente partecipativa, però sempre con un approccio light, consapevole della user e della group experience? Conviene ragionare per “incursioni sul territorio”, dove dislocare improvvisamente interfacce anche temporanee d’interazione, piuttosto che proporre subito strutture disegnate e costruite in cemento? E dentro quale clima affettivo avverrà il cambiamento dei comportamenti? E’ possibile ipotizzare un certo orgoglio cittadino per la modernità e la qualità dell’offerta dei servizi, su cui poter contare per approntare quei contenitori di comunicazione adeguati alla partecipazione delle collettività dove emergeranno sentimenti di appartenenza e di identità personale e gruppale?

Telefonini, megaschermi, twittervision e flickrvision, blog urbani, webtv dal basso, rilevazioni dei flussi delle collettività, segnaletica dell’abitanza… sarà da colorare degli angoli della città di arancione e dipingere su un muro il logo del feedrss, per indicare le Luoghi territoriali caratterizzati dalla presenza di molte porte pubbliche verso la città digitale? E come sono fatte queste porte (ecco il gangherologo che si agita)?

Di porte di questo tipo, capaci di mettere in contatto due mondi, a me vengono in mente quella di Stargate, il filmone, e lo specchio di Alice. Entrambe ad un certo punto diventano “liquide”, attraversabili. La trasparenza delle interfacce.

Ragionarci sopra, a tutto ciò, include l’obiettivo delle scienze sociali di raccogliere informazioni circa l’uso e gli utenti della tecnologia in un mondo reale, l’obiettivo ingegneristico del test sul campo delle tecnologia impiegate, e l’obiettivo progettuale di ispirare gli utenti e progettisti ad immaginare nuove forme di tecnologia per sostenere le loro necessità e i loro desideri, o viceversa a rendere praticabile delle forme di socialità interumana prima mai esperite.

Ed è giusto sottolineare, decrescendo felicemente, che la tecnologia TIC del networking e del socialweb, esondando dagli uffici e riversandosi nelle strade e nelle case, non deve necessariamente recare con sé tracce di quei valori riferiti al “luogo di lavoro”, come l’efficienza e la produttività a scapito delle altre possibilità. Se sperimentazione ha da essere, in questi tempi pionieristici, allora che sia libera e coraggiosa, e talvolta magari financo un po’ futile ma divertente, nella consapevolezza che dal moltiplicarsi delle pratiche spontanee di Doppia Abitanza emergeranno immancabilmente i nuovi comportamenti sociali delle collettività connesse.

Progettare interfacce biodigitali

Progettare interfacce biodigitali per arredare gli spazi urbani, in quei Luoghi territoriali dove la città atomica e la città digitale si toccano.

Antenne, monitor, totem interattivi, segnaletica, iconografia, urbanistica digitale, e progettazione di percorsi di Abitanza.

Segnalo questo ottimo articolo di Putting People First, dove viene descritto un bel progetto Intel: “Le Atmosfere Urbane è un progetto che (video) esplora come le persone che vivono in città possono voler utilizzare la tecnologia, come questa possa aiutarli a sviluppare un senso di appartenenza e di comunità o giocare un ruolo importante nelle loro esperienze emozionali di vita urbana.”

Invenzioni – Wii & Lee

La notizia sta facendo il giro dei blog, perché Johnny Lee qui sotto ha veramente inventato una bella cosa. E oltre ad aver scritto credo qualche riga di software per ben interfacciare il Wii con il PC, la vera scintilla creativa dev’esser stata quella di aver provato a chiedersi cosa succedeva se si fossero invertiti il controller remoto e la base ricevente. Così da poter “vedere” quello che vede la base, e quindi poter allestire la visione in 3D. 

Un momento aulico di storia moderna si raggiunge verso la fine, quando Johnny consiglia agli sviluppatori Wii di inventarsi qualcosa per sfruttare appieno le nove possibilità… sta dicendo a chi il Wii l’ha inventato che dietro l’angolo c’era una meraviglia che nessuno dei progettisti ha saputo vedere, e non è importante che l’abbia scoperta lui facendo bricolage (oddio, spero che lo assumano rapidamente) ma che venga diffusa e presto, perché l’importante è giocare a manetta.

Nessuna delle due

Cinque anni fa Dave Winer ha scommesso con un executive del NewYorkTimes che a cercare nel 2007 con cinque parole chiave su Google i cinque eventi più importanti dell’anno, sarebbe saltato fuori che le risposte più alte alla ricerca sarebbero state occupate da collegamenti a blog varii, piuttosto che al noto quotidiano ‘mericano.

Beh, la scommessa l’ha vinta. Però tra quelle risposte segnalate da Google oggi troviamo cose che non esistevano nel 2002 (Youtube), oppure che avevano solo un anno di vita, come Wikipedia, e che oggi hanno importanza ancora maggiore dei blog.

Quindi, se la scelta sembrava essere tra “opinionisti appassionati di cui ti puoi fidare” oppure “informazioni linde, accurate e coerenti provenienti da fonte autorevole”, in realtà è spuntata una terza opzione, imprevedibile, del tipo “un’orda di opinionisti appassionati senza nome e senza faccia, a cui non è richiesto di dimostrare la propria competenza negli argomenti di cui trattano”.

L’articolo di Doctorow su BoingBoing si trova qui.

Stop. Adesso vado al MittelCamp..

Newsmap

Da un post di Simone Morgagni, dove trovo alcune considerazioni puntualissime sulla miopia della stampa italiana, risalgo fino a questo newswall bello ed interessante, rappresentazione viva e dinamica del “peso” folksonomico delle ultime notizie di cronaca ricevute via GoogleNews.Anzi, vi incollo direttamente le righe di Simone, in quale con pregevole sintesi spiega come “l’algoritmo [che] riprende, via GoogleNews, i fatti del giorno, distribuendoli nello spazio dello schermo in base all’importanza che deriva loro dalle citazioni ricevute”

 

Le linee dei sogni

Vi ricordate quando dentro So Far, So Close di Wenders tutti quanti si pèrdono a guardare i propri sogni su dei visori portatili?

Ecco qua Dreamlines, un vero sito concettuale: infatti noi mettiamo delle parole chiave di ricerca, e lui ripropone un cangiante quadro “pittorico” dove i singoli elementi figurativi sono presi da immagini sparse su web, rispondenti ai tag di ricerca. E’ deliziosamente lento, veramente onirico, manifestazione unica e irripetibile, e pone un mucchio di belle domande, come leggo nell’about.
Chi è che sogna? L’utente, o la stessa Internet? Non stiamo forse inseguendo scie di senso nelle sinapsi della Rete, per associazioni di parola o per somiglianze iconiche?
Poi mettiamo un ulteriore tag, e reimmettiamo in circolo tutto.

Macchine per pensare (fino ad un certo punto)

Maestro Alberto segnala un generatore di idee, e a me non può non venire in mente Raimondo Lullo (andate qui, perché ogni tanto un sito anni ’90 è riposante; qui perché le immagini sono eloquenti; qui perché così andate su wikipedia), sicuramente un nume tutelare di Internet o perlomeno del concetto di ipertesto. Giulio Camillo Delminio è un altro di quelli.

Sgugolarsi

Paul the WineGuy, scoperto via Tumblr, dice che vuole vivere una settimana senza Google. Non senza rete, badaben, qui abbiamo un Ramadan parziale, Paul si astiene solo dalle pietanze cucinate a MountainView (il luogo del pianeta dove un pixel equivale a un centimetro quadrato).

Mashuppando un po’ di mie parole con le sue, Paul dice che personalmente non odia Google, però vuole farsi un’idea veramente personale di ciò che è bene e di ciò che è male. Come può valutare sulla sua pelle quanto la sua vita (digitale e non) dipenda dal mostro di Page e Brin?

Quindi Paul proverà a vivere 7 giorni senza Google, giusto per capire se esistono alternative.

Quindi niente ricerche sul motore principale e derivati: verranno utilizzati piuttosto Altavista, Yahoo e MSN Live.
Niente Gmail.
Niente Gtalk, e nemmeno progetti collegati a Google come lo stesso Firefox: esiste anche Opera.
Niente Google Alert, niente aggregatore di notizie preferito (Google Reader).
Niente Google News e non si cercheranno informazioni su Google Gruppi.
Consapevole delle migliaia di subdole ramificazioni, Paul starà lontano dalla blogosfera italiana ed internazionale per non incappare in un qualsiasi servizio di Feedburner.
Niente IGoogle, ovviamente niente Blogger e niente servizi specifici come ad esempio Google Adsense o Analytics.

Attenzione ora diventa veramente difficile: proibirsi di accedere a YouTube o a siti che hanno ripubblicato qualche video di quella piattaforma. Stessa sorte per Google Video.

No nemmeno a Picasa, alle Google Mappe e qualsiasi altro mash-up che le utilizza.
Paul the Wine Guy ha perfino cancellato il suo account di Jaiku.

Ma soprattutto: avendo fatto un “ultimo” post così, come farà tra una settimana Paul a capire se il picco sugli accessi al blog è dovuto a questa iniziativa sperimentale o alla vendemmia di link che ha messo nel suo post?

E delle mie statistiche, che sarà? Funzionano giochetti così?

Seamonkey e GMail IMAP

Da un po’ ho smesso con Thunderbird e Firefox, e sono passato a SeaMonkey, ovvero la suite sempre Mozilla che in sé ha tutto, è bella e va pure molto bene.

E poi qualche minuto fa mi son deciso a vedere dell’IMAP di Google Mail, così son passato alla visualizzazione in inglese della mia casella di posta (sennò in italiano non notavo nessuna novità disponibile), ho visto le configurazioni per IMAP sul client di posta di Seamonkey, e mi son messo ad ammirare la cordialità con cui ora la casella di posta di GMail e il mio programma di posta sono sincronizzati.

Poi ho scoperto che posso fare un bel backup di anni di posta su GMail, stando sempre dentro il programma di posta, dove ora sono visibili anche le cartelle remote su GMail; ecco, io prendo una cartella locale e la trascino con il mouse sopra quelle remote, e maghetto IMAP mi trasferisce tutto per bene.
Che sabato.

Wi-fi territoriali e Abitanza attiva

Vedete, parecchie Pubbliche Amministrazioni locali (Comuni più o meno popolosi, Comunità) di questi tempi stanno pensando o vengono loro proposti dei progetti per la realizzazione di una copertura territoriale in tecnologia wi-fi, per offrire a tutti i cittadini la possibilità di usufruire di una connessione veloce a Internet, indipendentemente dall’essere fisicamente connessi via cavo con una centralina ADSL.

Personalmente (confortato da Quinta) credo che il discorso della “fibra fino a casa” (FTTH, Fiber To The Home, ovvero collegare tutte le abitazioni nazionali in fibra ottica) non dovrebbe essere rapidamente accantonato, perché se è vero che sarebbero da sborsare un mucchio di quattrini per la posa dei cavi, d’altro canto in quanto a capacità tecnica della Rete saremmo a posto per i prossimi cinquant’anni. E badate che l’argomento sarebbe da inquadrare in un ragionamento serio, pari almeno alle discussioni presenti nell’opinione pubblica putacaso sulla TAV o sul Ponte di Messina, visto che in fin dei conti stiamo parlando di una di quelle grandi opere infrastrutturali su cui si fonderà il benessere del Paese, come ottant’anni fa le ferrovie o cinquant’anni fa le autostrade.

Inoltre, è opinione di qualunque NuovoAbitante che la connettività gratuita per tutti dovrebbe essere un diritto del cittadino, in quanto strumento essenziale nel nostro tempo per garantire l’espressione delle libertà individuali sancite dalla Dichiarazione Universale degli Umana (Articolo 19: ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere).

Magari le PA intendevano proprio questo, offrire connettività gratuita ai cittadini e nel contempo studiare nuove modalità di coinvolgimento della popolazione nei Luoghi online dedicati alla Comunicazione Pubblica, alle reti civiche e ai contenitori digitali per le nuove forme di e-democracy.
Ma wifizzare un territorio costa sempre una certa cifra, bisogna costruire la rete degli AccessPoint, sviluppare del software specifico, e anche formare e mantenere un po’ di risorse umane, negli anni.

Può capitare che una Pubblica Amministrazione non possa sostenere finanziariamente questa iniziativa, e che ritenga buona cosa appaltare il tutto ad un privato, o ad una partecipata, il quale provvede a proprie spese alla wifizzazione del territorio, riservandosi poi di chiedere ad esempio una cifra all’Ente per permettere la navigazione sui propri AccessPoint, oppure direttamente al cittadino.
Quindi non solo l’utente finale verrà discriminato in base al censo (e colmare il DigitalDivide resterà utopico), ma siamo nel caso in cui chi possiede l’infrastruttura possiede anche il servizio, ovvero l’offerta di contenuti da trasmettere sulla Rete, e quindi può decidere l’accessibilità a certe informazioni, ad esempio impedendone la visione oppure praticando tariffe differenziate.
E’ come se al pedaggio autostradale mi chiedessero di più perché voglio andare a Venezia o a Gardaland, luoghi turistici sponsorizzati.
Qui spero che qualcuno commenti per chiarirmi le idee.

Nel frattempo, dopo alcune notizie che parlavano di un certo ripensamento di certi avanzati progetti di wifi territoriale nelle grosse città degli Stati Uniti (link, dall’Economist.com), pare che le cose stiano riprendendo a muoversi, perché appunto quello che sembrava per le metropoli un investimento senza alcun ritorno economico, e quindi insostenibile, si sta rivelando (link, da Repubblica.it) uno strumento per abbattere alcuni costi dell’Amministrazione cittadina, sì da rendere la connettività via onderadio per tutti un’iniziativa nuovamente perseguibile.

Se ad esempio i parchimetri, i contatori del gas e dell’acqua, le ambulanze, i rilevatori ambientali, comunicassero in wifi, sarebbe possibile risparmiare moltissimo, dice l’articolo di Repubblica.

Per tener sotto controllo la situazione nazionale, tenete d’occhio i Centri Regionali di Competenza per l’e-Government e la Società dell’Informazione.

Società e tecnologie interagiscono

Cosa succede quando appare una nuova tecnologia (TIC, ma non solo) in un sistema sociale? E se la diffusione degli ultimi ambienti interattivi su web, da YouTube a SecondLife, avvenisse secondo curve di “accettazione sociale” ben identificabili, come in un grafico?

Qui trovate un interessante articolo, scritto da Dario de Judicibus, sull’attuale sviluppo di certi luoghi abitati della Rete.

L’Indipendente