L’indicazione del sentiment è calcolata attraverso l’identificazione dei sintagmi (espressioni linguistiche complesse) che esprimono un’emotività nei tweet. Questi vengono classificati e poi aggregati per discernere il sentiment complessivo di ogni tweet
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Google Map Maker
Svelo e rivelo
Media is what you make of itMa dico, li guardate i profili facebook dei vostri figli? No, non intendo dal punto di vista del controllo delle loro abitudini, delle persone che frequentano: su quello sappiate pure che quello che vedete è precisamente quello che loro vogliono che vediate, quindi mettetevi l’anima in pace.No, parlo dei dati personali. Del modo in cui si descrivono sulla loro pagina di presentazione. A cominciare dal dato più sensibile: il “relationship status”, quello dove magari pensereste di capire chi è “il fidanzato” o “la fidanzata” (giusto perché ci piacciono i termini romantici e consolatori).Ebbene, se avete una figlia in molti casi scoprireste che lei ha una relazione con un’altra ragazza. E magari vi preoccupereste. Inutilmente, ma non sono qui a farvi la morale sul tema della libertà sessuale, non ne avrei alcun titolo. Intendo, semplicemente, che su facebook per una adolescente molto spesso “avere una fidanzata” significa solo che lei è l’amica numero uno, l’amica inseparabile e così meravigliosamente fidata che si potrà pure scrivere sul proprio profilo pubblico che è, appunto, “la fidanzata”. Fino ad assumerne il cognome, e infatti i profili degli adolescenti traboccano di doppi e tripli cognomi.E’ un gioco, ma non esattamente “uno scherzo”. E’ una cosa importante, sotto almeno due aspetti. Da un lato sui social media i nostri ragazzi ragionano senza le gabbie di pensiero tipiche dell’ambiente culturale con cui i quarantenni di oggi hanno vissuto i temi dell’identità e della socialità. Senza, per intenderci, l’ossessione di “ritagliarsi un ruolo nel gruppo”, proprio perché la rete è fluida, e si può agevolmente passare da un gruppo all’altro, inseguendo i propri ondivaghi interessi del momento. Ma soprattutto – e questo è l’aspetto più interessante – i nostri adolescenti non vogliono accettare l’idea che qualcuno ti obblighi a dichiarare i tuoi legami sentimentali. E quindi quel campo, che molti adulti lasciano vuoto per rimanere “nel vago” (e non precludersi chissà quali avventure digitali) viene addirittura sbeffeggiato dalla generazione dei “nativi”, e stravolto nella sue funzione originale. Con l’implicito scopo di dichiararsi strutturalmente superiori rispetto alle squallide logiche di ruolo o – peggio – “proprietarie”: il “fai vedere che sei mia altrimenti non mi ami abbastanza” – per intenderci – esiste ancora, ma rappresenta nettamente una posizione di retroguardia, perdente in partenza.L’aspetto su cui vorrei mettere l’accento è i nostri ragazzi hanno deciso di fare un “hacking collettivo” della principale piattaforma di social networking, confermando un trendgeneralizzato (ma ancora largamente ignorato) per cui è molto difficile indirizzare tecnologicamente l’uso di qualcosa che – al momento di compilare il proprio profilo – di sicuro non comporta conseguenze legali se dichiari il falso.Ed è questo l’equivoco in cui spesso cadono gli “immigrati digitali” della mia generazione quando parlano, per esempio, di “privacy” o di “diritto all’oblio”. Diamo infatti per scontato che i presunti “inconsapevoli dei rischi” (sempre loro, i nostri figli) siano indifesi e inseriscano sempre dati utili, cioè veri. Mentre se andiamo a vedere, più la richiesta è invasiva (“religious views”, “orientamento politico”, “preferenze sessuali”) più si divertono a prenderla in giro con risposte che nella migliore delle ipotesi potremmo definire bizzarre.La verità è che anche una piattaforma di social media è soggetta alla legge del remake e del re-use, troppo spesso sottovalutata dai tecnocrati di oggi, che non a caso appartengono almeno alla generazione precedente. Cosa è diventata Facebook di sicuro lo decide Zuckerberg, ma non a prescindere da quello che gli utenti, tutti insieme, decidono di farci. E lo stesso vale per le altre, più piccole, piattaforme. Twitter, nata con pretese conversazionali, è diventato uno strumento principalmente di broadcasting. Friendfeed, concepita come aggregatore RSS, è stata apprezzata soprattutto come chat collettiva in tempo reale. La stessa MySpace, in origine, non aveva particolari ambizioni in ambito musicale: semplicemente, permetteva l’inserimento di lettori flash, e molte band indipendenti ne avevano approfittato.Eppure siamo ancora qui a versare lacrime (e fiumi d’inchiostro) sulla “generazione perduta”, quella che passivamente accetterebbe i diktat dei nuovi grandi fratelli della rivoluzione digitale. Dimenticando che proprio noi – i quarantenni di oggi – ci siamo fatti lobotomizzare per trent’anni da una passivissima e ineludibile televisione commerciale, con gli effetti culturali che proprio oggi più che mai sono davanti a nostri occhi. E non è esattamente un bello spettacolo.
VeneziaCamp 2012 – Cartografie e narrazioni
Cartografie e narrazioni territoriali al VeneziaCamp
Hardware delle sigarette e comportamenti umani
Parole dentro le parole
Come emerge un hashtag?
Perché i cancelletti, come osservava @jeffjarvis in un suo magistrale post di qualche tempo fa, sono boe di senso potenzialmente decisive, intorno alle quali si catalizzano idee e persone. E perché, soprattutto, sono boe sulle quali nessuno può decidere a priori, a partire dalla propria autorevolezza o da qualsiasi altra fonte di legittimazione. Sono i cittadini della Rete stessi, attraverso l’impiego che fanno di una o dell’altra formula, a decidere quale di essa debba sopravvivere ed affermarsi. Sono, in una certa misura, oggetto di una dialettica politica che deve meno alle gerarchie preordinate, e più all’autorevolezza guadagnata con l’interazione.
Update: anche Claudia Tigella Vago prova a riflettere sugli hashtag (grazie del link!)
Search + Social = Authority x Influence
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Search + Social = Authority x Influence
di David Armano
Il social è basato sull’influenza
Aggregare, fare curation, diffondere
Un esempio di scenario: un vostro concorrente lancia il suo prodotto, generando segnali mirati (targettizzati) sul Web. I partecipanti digitali cercano frasi specifiche per trovare news e informazioni sulla campagna pubblicitaria mentre simultaneamente le conversazioni sui social media digitali esplodono. I risultati della ricerca e dei social cominciano ad influenzare che cosa un partecipante pensa (comincia il loop della considerazione). Si intraprende a questo punto un’analisi sulle gerarchie dei risultati relativi a specifiche richieste di ricerca sui motori. Le valutazioni e i dati raccolti vengono convertiti in atti di comunicazione, e viene stilato un piano d’azione progettato per creare una serie di nuovi segnali. Le comunicazioni e le iniziative di aggancio sono lanciate attraverso tutti gli ambienti digitali e promosse secondo specifici partenariati. Se le comunicazioni e le strategie di aggancio funzionano, le iniziative così promosse attraverso i network entrano in risonanza e gli esiti delle ricerche sui motori ne vengono favorevolmente influenzati. I risultati combinati di ricerca e social possono ora modificare ciò a cui un partecipante digitale presta attenzione. Il processo viene ripetuto all’apparire di nuovi segnali.
Questo è il modo in cui la ricerca e il social funzioneranno insieme nel prossimo futuro.
Dall’esterno verso l’interno verso l’esterno
Social personal / Scenari digitali 2011
Giorgio Jannis – Social personal
Pettino i flussi, ascolto territori, semino conversazioni
Esperienze immersive di lettura (e non distrarsi)
Alla domanda “se la tecnologia dell’ebook è tanto simile al Web, perché usarla in modo così depotenziato?” la replica è persino troppo ovvia: se il Web è il mezzo adatto per realizzare il genere narrativo del futuro, perché hai bisogno degli ebook (e degli editori) per iniziare a narrare storie in modo nuovo?
ps. tutti i refusi qui dentro sono per non farvi distrarre, vadasé.
C’è gente che fanno social
C’è gente che fanno social spedendosi centinaia di sms nei sottopancia delle tv locali. Centinaia di “TVB”, “mandatelooo!!!”, “il digitale non prende e mi mankate un kasino”.
Che dire, lovvo.
direfare.pn.it, testi eloquenti e tessuti urbani
Lovvo laikare
Rapidamente, ma voglio bloggarlo.
Cosa piace ai vostri amici? http://www.friendshuffle.com
E ribadisco come non si tratti solo di un “portare a conoscenza”, qui stiamo condividendo reti di affettività, mood e desideri e sensibilità, dentro una pratica sociale mediata. Ci stiamo sintonizzando tutti gli uni con gli altri, in modo molto più rapido di quanto succedeva un tempo, e ci stiamo sintonizzando anche con la pancia. Mi piace, dice il bottone.
Sul fatto che la testa sappia cosa la pancia sente, misuriamo le distonie della personalità. Degli individui, dei gruppi, delle collettività ampie. E di qualcuno che amorevolmente ci dice “ti voglio bene, caro” mentre fa il gesto dell’ombrello, tendiamo guarda un po’ a dubitare. Quella distanza tra body language e parole pronunciate marca un’incongruenza, lui non se ne rende conto, forse neanche noi, ma ne ricaviamo un’impressione se proviamo a empatizzare, e una simile contraddittoria espressione di sé non viene valutata in termini positivi.
Chi pubblica foto di gattini poi scioglie il proprio dire in lunghe pucciose tirate di amor cortese, oppure è più probabile metta sul profilo un pezzo durissimo di death-metal brutale, con immagini raccappriccianti?
Come rilevare il tono emozionale di una rete sociale, a esempio geograficamente delimitata, oppure di una community tematica? Evasione o impegno, nel tempo, al mutare dell’umore, nella relazione tra il cognitivo e affettivo, con grammatiche raffinate e sottili decodifiche.
E’ possibile sentire il polso di un gruppo sociale mediato, e poi analizzare il detto dal punto di vista dei contenuti, per ricavare una buona fotografia della personalità? e continuare a osservare il processo nel tempo, fare le infografiche del vivere online, per come i sentimenti e le prese di coscienza evolvono, sotto spinta di elaborazioni interne o di riflesso dietro gli accadimenti sociali degni di menzione, fatti di cronaca.
Misurare olisticamente la personalità di una collettività, nella sua comunicazione tutta.
Va da sé, la temperatura non è il calore, la mappa non è il territorio.
Voglio Carosello sulla webtv
Certo, il claim di GoogleTV ci promette che andremo dritti ai nostri canali preferiti. Qualsiasi essi siano. Tenete presente il punto. E quindi la battaglia sarà da parte dei propositori di contenuto quella di riuscire a essere i preferiti più preferiti degli altri, quelle pagine web che riescono a essere in homepage sul televisore.
Anzi, magari riuscire a sapere quali sono le pagine che milioni di persone mettono in home, per le metriche.
Il fatto è che i broadcaster storici non hanno più il potere di mettere raiuno sull’uno, raidue sul due, e canalecinque sul cinque.
Nella mia homepage di GoogleTV, ci metterei un po’ di bei tumblr, per dire.
E ne approfitto anche per fare il discorso contrario: per cosa pagherei? Perché seguo lui e lei e non altri? Ognuno di noi che abita anche qui dentro vede centinaia di fonti e di notizie e di nuclei narrativi, tutto in un sol giorno. E quello che lo colpisce lo riblogga, da cui il suo lifestreaming.
Quindi ecco emergere un personaggio.
Siccome ognuno di noi potrebbe aver la sorte di essere al posto giusto al momento giusto con in mano qualcosa di connesso, ecco l’occasione.
Ognuno in futuro avrà l’occasione di essere il lifestreaming più seguito, per quindici minuti.
Vediamola come un lavoro del futuro, conquistare l’attenzione, riuscire a vendere il proprio stile, la linea. Che possiamo distinguere nella capacità di rendere leggibile la propria idiosincratica isotopia interpretativa degli eventi (l’orizzonte di senso che ognuno proietta sul testo degli accadimenti, il fil rouge che ciascuno di noi tesse vivendo e leggendo il mondo, ciascuno a modo suo, originale e irripetibile) insieme alla capacità di confezionare il messaggio in uscita in un certo modo, spontaneamente o con arte, e risultare chiaro e distinto nel calderone della conversazione. Un giornale, un giornalista, un blogger, gente che parla. Spero sia finita l’epoca del “guardatemi, sono più cinico di un cane”, c’è un mucchio di bella gente in giro che legge molto, metabolizza, ripropone arricchendo del proprio punto di vista.
E anche lo stile, sì, è una posa da uccidere. Più volte. Pugnalarsi. Ma anche questo è uno stile. Come fregarsene dello stile. Insomma, vediamo di trasformare l’agire in fare.