Una tipa, la vice-ministro della gioventù del Costarica.
Si mette in mutande e reggiseno, lei è proprio formosa, si stende sul letto talvolta ammiccando e manda un videomessaggio tramite Youtube al suo uomo, dice che lui le manca, che lo fa per lui, che lo ama. Un video pubblico, si può vedere anche qui da Pasteris, dove ho letto la notizia. Poi si è dimessa dall’incarico, e francamente non so perché. Robe di pubblico-privato, immagino, di reputazione, di moralità, di adeguamento dei comportamenti al ruolo sostenuto professionalmente. Adeguamento? C’è un codice da qualche parte, che stabilisce la giusta correlazione, quella appropriata. Le parole da pronunciare, i comportamenti da tenere in quel contesto devono essere ben formati, coerenti con un sistema di significazione stabile e stabilito, e nel corso del processo di comunicazione devono cadere nelle situazioni, trovar vita e senso, in modo da non contraddire alcune regole enunciative, da non compromettere la conversazione, in modo da garantire un riflesso sul discorso di quei valori che intendo trasmette insieme al mio dire. Cose che non vengono dette, ma accompagnano poi immancabilmente l’interpretazione. Veicolo un mondo nella mia visione del mondo, anche quando sto semplicemente chiedendo un caffè al bancone di un bar.
E una vice-ministro non può dire “ti amo” al suo uomo con un video pubblico in biancheria intima, e poi ragionare di politiche giovanili e comportamenti educativi. Capisco.
Ma la domanda è: la tipa è cretina? Si rendeva conto di quello che stava facendo? Ok, forse era un po’ brilla, ma sapeva giudicare le conseguenze delle sue azioni? Magari per lei è un comportamento abituale, metti che sono dieci anni che videochatta in webcam con amichetti, la sua soglia di praticabilità del gesto era bassa, per lei è una cosa normale.
Per milioni di persone su questo pianeta videochattare è una cosa normale, da anni. E quindi c’è una norma da qualche parte, che si è modificata.
Sì, voglio arrivare lì. L’ondata di moralità che vive nei pensieri del vice-ministro (spingendola a dimettersi o a accettare di) è la stessa che vive diffusa nei saperi condivisi della collettività del Costarica, e assomiglia parecchio alla nostra, visto che condividiamo molti fattori culturali – il Costarica ci è più comprensibile di Sumatra, per dire – e quindi possiamo a nostra volta esprimere giudizi sull’adeguatezza di quel comportamento, con codici simili. Ma quell’insieme di pensieri sillogismi argomenti mezzeverità esempiconcreti che costituisce il nostro concetto di “moralità” non si è adeguato alle nuove possibilità dell’espressione di sé offerte dai media digitali. Non si poteva mostrare in cinque minuti a tutto il mondo un video girato nella nostra camera da letto. Oggi sì, e a moltissimi piace, lo fanno quotidianamente, e sono cambiate le soglie di ciò che è ritenuto conveniente e sconveniente fare, di ciò che è pubblicabile. Si può fare, quindi si fa. Poter praticare quella forma dell’espressione, quella nuova parola che tutti possiamo pronunciare essendo ormai stabilmente entrata nel dizionario e nell’enciclopedia condivisa della collettività mondiale, significa trovare sul piano del contenuto qualcosa che ora può essere detto, una sostanza del contenuto che trova una sua forma nell’adeguarsi alle possibilità espressive, rivelando cose degli individui e del mondo che prima semplicemente non potevano essere dette, mancando le parole per dirle.
Una videochat pubblica o pubblicata è un elemento in più nella grammatica delle possibilità espressive della specie umana, e mostrerà lati dell’animo umano mai prima esplorati da nessuna arte o pratica sociale.
E quanti sono, al mondo, quelli che ancora dentro di noi chiamiamo esibizionisti? Pullulano in questi universi di discorso valori e configurazioni discorsive affettive legate alle aree semantiche del pudore, dello smascheramento, all’identità personale e sociale svelata e rivelata, della reputazione, della normalità, del socialmente adeguato. Tutta roba che dovrà adeguarsi, perché i valori sono liquidi e si adeguano ai contenitori.
Un mondo fatto di gente che in mutande parla in pubblico, di cose pubbliche o di cose private. E nessuno si stupisce. D’altronde qualcuno diceva che se alle riunioni di governo o del CdA di un’azienda fossimo tutti nudi, le cose andrebbero diversamente. I finlandesi (tutti, li ho contati) si vantavano di questo: le riunioni di governo dentro la sauna, tutti nudi e tutti uguali. Non hai la camicia più costosa della mia, non indossi nulla per migliorare agli occhi degli altri il tuo prestigio, corone o scettri o pellicce o abiti di alta sartoria. E la Rete ci permette di andare mezzi ignudi dappertutto, e non genera panico sociale. Come se quel vice.ministro fosse andata in spiaggia esponendo esattamente gli stessi centimetri quadrati di pelle, e avesse pronunciato quel saluto affettuoso davanti a una videocamera di un tg nazionale, e nulla sarebbe successo, forse le avrebbero detto che sarebbe stato più consono indossare un pareo, ma in fondo non farebbe scandalo. La stessa gente che la mattina incontri in giacca e cravatta in ufficio potresti incontrala in mutande in spiaggia, e non sembra strano. Una donna piega una gamba per mettersi la crema solare, e fa un gesto che mai farebbe in ufficio, per timore di essere presa per esibizionista dall’ormone bollente. Cambia il contesto, tutto torna ok. Abbiamo dei codici, ci sorreggono, dislocano il significato e sono sensibili al contesto.
Quelli che si vogliono impegnare nel costruire la propria identità digitale arredano con cura i propri spazi, dai colori del blog alle immagini sui social, facendo personal brand reputation, che abbiano dodici anni o settanta, che ne siano consapevoli o meno. E’ un tratto della personalità aver cura dell’ambiente di vita, dipende da cultura personale e sociale in cui siamo cresciuti. Alcuni ci mettono molte energie, alcuni semplicemente pubblicano cose secondo i gusti personali, e poi la reputazione emerge nel tempo, come linea di melodia infinita del nostro vivere in rete. Ma non puoi millantare reputazione. Posso sapere cosa hai fatto in rete e fuori in passato, il tuo stile di conversazione sui social, la qualità delle tue pubblicazioni in Rete, la rete sociale in cui sei coinvolto. In Rete sei uno che esprime opinioni, sei un punto di vista e sei prezioso proprio perché unico, sei un nodo di soggettività che agisce conversazione, costruisci società della conoscenza, offri informazioni e riflessioni. Su queste basi io ti giudico, in Rete. Nel tuo partecipare, sostenere una posizione, controbattere, saper cercare collaborativamente nel dialogo il bandolo di una matassa di ragionamenti, su una BBS o su un forum o nei comment di un blog o su un social.
E per me, puoi anche essere nudo. Anzi, forse meglio.