Per deformazione professionale ho sempre cercato di individuare le forme della manipolazione cognitiva e performativa presenti nelle narrazioni del digitale, compreso quelle più recenti dalle piattaforme social in poi, e quindi qui si tratta di cercare un Eroe della storia indagando o il singolo individuo, noi stessi che vagabondiamo tra varie piattaforme (si rischia di cadere nello psicologismo) impersonando e allestendo identità digitali sempre diverse, oppure individuando l’Eroe della narrazione nelle piattaforme stesse, nel loro dover congiungersi con un Oggetto di valore – monetizzare gli spazi per gli inserzionisti, ottenere profilature sempre più stringenti e dettagliate per nutrire l’algoritmo propulso da IA – che riguarda il nostro restare e illusi e collusi, catturati nella rete delle gratificazioni personali e dei contatti relazionali che le piattaforme offrono.
Dovremmo forse scientemente a questo punto porre la consapevolezza stessa del nostro abitare in luoghi digitali progettati e “pilotati” quale vero Eroe della narrazione, marcare quelle fratture del testo (il nostro essere onlife, il nostro lifestreaming degli ultimi venti o trent’anni) dove ritroviamo indizi di superamento di prove cognitive come le prese di coscienza che abbiamo avuto nell’accorgerci di essere manipolati dalle piattaforme, come quando Google ha fatto sparire il motto “don’t be evil” dal proprio brand o Facebook in tribunale dice “we run ads”.
Diventare padroni del nostro destino, suvvia, riconoscendo di essere stati prede di manipolazioni e persuasioni, spesso sotto la soglia della coscienza in quanto ingaggiati “di pancia” su tematiche affettive o emotive indotte.
Sia chiaro: siamo ben oltre l’Economia dell’attenzione in quanto bene scarso, siamo proprio nell’Economia delle piattaforme e dei loro meccanismi acchiappaclick padroni del nostro tempo e delle nostre compulsioni, esplicitamente organizzate per seminare engagement nel nostro fare quotidiano, ormai altamente specializzate nel design di interfacce comportamentali studiate apposta per tenerci al guinzaglio allettandoci con promesse impastate di pulsioni e desiderio per tenerci in definitiva chiusi dentro questi giardini murati (walled garden) oppure meglio hortus conclusus ovvero orti conchiusi dove viene coltivata la nostra opinione – anche tramite polarizzazione, filter bubbles, echo chambers, sì – affinché sia volutamente conforme all’ideologia dominante e pro mantenimento status quo trasgressioni comprese (ipotesi marxista sospettosa), dentro questi stabilimenti di umanità in cui vaghiamo forse cercando conoscenza e confronto e dialogo, oppure forse ci arrendiamo ai cuoricini e ai gattini, senza riuscire a fuggire.
La critica all’Economia estrattivista delle piattaforme, dei suoi subdoli modi per catturarci, tenerci prigionieri (gli anelli del Potere) dei suoi meccanismi perfino patologici e patogenici per il funzionamento tecnosociale non è cosa nuova, potendo in letteratura risalire a dieci o quasi quindici anni fa, nella giovinezza dei social che già mostravano piuttosto aggressivamente i dispositivi per colonizzare e controllare i nostri pensieri e i nostri comportamenti, indicando al contempo con il loro stesso agire quale fosse il territorio o l’Oggetto di valore da conquistare, ovvero la nostra attenzione e i nostri comportamenti, consapevoli o meno essi fossero.
L’ipercapitalismo del digitale nell’Economia delle piattaforme ha fagocitato i beni comuni, i commons, innanzitutto il tempo e poi la creatività di singoli e comunità, la libera partecipazione non remunerata di gruppi sociali che abitavano in Rete per migliorare qualcosa, fosse un software o un’enciclopedia o un quartiere di una città, gli ingranaggi di una collettività tessendo reti relazionali di valore.
Un’internet che da qualche parte è ancora là sotto, fondata su condivisione paritetica e orizzontale delle informazioni e della conoscenza, e poi un web sistema operativo dell’umanità, vecchio sogno per collegare menti e azioni nella rete delle relazioni planetarie.
Manipolatemi con la nostalgia, o invitatemi a discussioni su siti web senza i tag di Google.