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The art and form of storytelling

The Future is Now: 5 Things pushing the art and form of storytelling

See on Scoop.itNarrazioni di ogni genere

giorgiojannis‘s insight:

Ho bisogno di un eroe. Di un lupo, di un drago, di una babayaga, di una sanzione, di una manipolazione patemica, di un valore. E allora parleremo bene di narrazione, che non sia soltanto uno spammare un po’ articolato e multimediale.

See on www.sundance.org

Scolpire gli eventi

Come insegnano i film, i giornalisti americani ovvero da decenni tutti i giornalisti del mondo hanno ben presente lo schema delle 5W, con cui descrivere subito all’inizio del pezzo attori contesto e circostanze dell’evento da narrare (che quindi diventa notizia, avendo superato il vaglio della notiziabilità), in quella che viene detta piramide inversa, dal punto di vista dell’esposizione dei contenuti.


WHO, WHAT, WHEN, WHERE, WHY.


Ma trovo su Wikipedia indicazioni secondo cui la retorica classica aveva già organizzato in modo simile i luoghi narrativi essenziali al racconto di un evento: 
i filosofi e retori dell’antichità hanno indagato approfonditamente la possibilità di esplorare un tema di discussione attraverso una griglia di domande fisse e standardizzate. Il retore Ermagora di Temno, secondo quanto riferisce lo pseudo-Agostino nel De Rhetorica [1], definì sette «circostanze» quali tòpoi di un tema: 

Quis, quid, quando, ubi, cur, quem ad modum, quibus adminiculis

Poi Cicerone, Quintiliano, Vittorino, Giulio Vittore, Boezio che “applicò le sette circostanze all’oratoria e ne fece elementi fondamentali per l’arte dell’accusa e della difesa”: Quis, quid, cur, quomodo, ubi, quando, quibus auxiliis. Sempre di loci argumentorum stiamo parlando. Quelli poi ripresi anche dalla Chiesa nell’approntare direi il protocollo dell’indagine confessionale, in un Concilio del 1215, quella formula che poi sarebbe rimasta immutata per secoli Quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando.

Da Tommaso d’Aquino ci viene uno schema perfetto anche per il giornalismo odierno nella costruzione di una corretta informazione, nella suddivisione in otto elementi fondamentali che sono però ora capaci anche di individuare le circostanze dell’evento da narrare, oltre a soggetto e oggetto. Si giunge quindi a formulazioni in grado di connotare gli eventi, determinandone il senso univoco come cronaca.

Latino Italiano 5 W
1. QUIS «Chi» “Who”
2. QUID «Cosa» “What”
3. QUANDO «Quando» “When”
4. UBI «Dove» “Where”
5. CUR «Perché» “Why”
6. QUANTUM «Quanto» assente
7. QUOMODO «In che modo» assente
8. QUIBUS AUXILIIS «Con quali mezzi» assente

Hard times are a-changing

Una volta per scrivere qualcosa su web dovevi caricare in FTP delle paginette scritte in html, poi sono arrivate le piattaforme blog.
Una volta per fare spam dovevi tirare a manina i feed di qua e di là, facendo spesso il giro dell’oca, poi sono arrivate le piattaforme di content curation.
Una volta tre mesi fa per fare una campagna tipo politica su web dovevi smazzarti i social e fare le cosette per bene, ora c’è la cassetta degli attrezzi di Google http://www.google.com/ads/politicaltoolkit/
Per cortesia, bravissimi professionisti della comunicazione su social web, uscite però dalla logica della quantità http://www.europaquotidiano.it/2013/06/01/i-segreti-per-vincere-sul-territorio/

La garetta

La garetta per essere il primo anello della catena di feed.
LinkedIn dice che non accetta più i twit, e se vogliamo però possiamo iniziare la conversazione su LinkedIn, e da lì inoltrare su Twitter. E questo non esporta, e quello non importa.
Anzi, proprio non mi importa per niente, giocatevi le vostre battaglie con i mezzucci che avete, le vostre strategie per blandire i clienti, i metodi per trattenerli qua e là.
Io sono netizen, non un consumatore della Rete.

Io sul web. Curation e Reputazione.

E’ un po’ che parlo di Curation e Reputazione.
E se il flow-chart della Curation è costituito da ascolto-aggregazione-selezione-reimpaginazione-ripubblicazione-feedback, tenere monitorata la propria Reputazione (o quella del proprio brand) è certamente una di quelle azioni da incorporare nella Curation del proprio webabitare.
Ora c’è anche Google, il servizio si chiama “Io sul Web” e lo trovate nella vostra dashboard: semplicemente vi arriveranno nella mail le social mention riferito al vostro nome. Non potevo non dirlo, capirete. Parlerò di queste cosette ancora un po’, per via della mia passione per i momenti aurorali, poi passerò a altro, ché mi stufo presto.
Ma molti ne stanno parlando.
L’argomento “Reputation” è ricco, variopinto, innesca riflessioni pluridisciplinari, è già parola chiave dei professionisti che gestiscono la visibilità e la conversazione delle aziende. 
I SEO non vi vendono più soltanto il posizionamento sui motori di ricerca, non vi tontonano più soltanto sulla spreadability viraleggiante dei vostri contenuti pubblicati, ora la mission è progettare costruire e gestire la reputazione del brand.
Uso i miei strumenti di Curation per restare sintonizzato sulla Reputazione: qui trovate lo Scoop tutto dedicato e ben impaginato, qui uno Storify relativo al tema più ampio dell’essere Netizen oggidì, dove ovviamente segnalazioni sulla Reputation non mancano, essendo il valore di quest’ultima legatissimo alla qualità del nostro essere Cittadini digitali.
Su Curated ho un bundle nuovo dedicato all’identità, sempre robe che si intrecciano alla reputazione.
Oltre a Scoop, Storify e Curated, di cui già parlavo su Apogeonline aprile scorso, ora mi trovo anche per le mani due nuovi strumenti di Curation: Bundlr e Shareist. Il primo mi sembra più un reimpaginatore elegante, mentre il secondo è decisamente più complesso e articolato, permettendo di maneggiare i flussi e arredare spzi web con maggior raffinatezza.
Chiaramente, gestirli tutti sta diventando un casino: per lo stesso argomento, a esempio Reputazione, o creo lo stesso bundle su tutti i servizi di Curation fin qui elencati (e non starei nemmeno molto a tenerli tutti aggiornati con quelle news pertinenti al tema in cui mi imbatto, è sufficiente cliccare quei quattro cinque bookmarklet), o uso ciascun servizio per argomenti diversi (ma perché?), oppure qua tra poco s’imporra la scelta definitiva, già lo so.
Incollo qua sotto il widget di Scoop sulla Reputazione, giusto per.

Search + Social = Authority x Influence

Nel 1816 Madame de Staël scriveva un articolo – tradotto dal francese e pubblicato da Pietro Giordani su Biblioteca Italiana, reminescenze delle scuole superiori – intitolato “Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni” e indirizzato agli autori italiani, dove sostanzialmente diceva: “Uè raga, vedete di darvi una mossa, stanno succedendo cose nuove in giro per l’Europa”.
La cultura letteraria italiana era impantanata tra Neoclassicismo e Arcadia, eravamo decenni indietro rispetto al dibattito tedesco o francese o inglese imperniato sulle posizioni del primo Romanticismo. Se magari ci fossimo messi a tradurre qualcosa, a guardarci un po’ attorno, magari ne avremmo tratto qualche giovamento.
Se volete, la stessa cosa è successa con Elio Vittorini negli anni della seconda guerra mondiale, che per nostra fortuna si mise a tradurre Faulkner o John Fante nell’antologia Americana (censurata dal fascismo), oppure negli stessi anni con Fernanda Pivano: Cesare Pavese le fece tradurre Hemingway (per questo sarà arrestata, in quanto il romanzo Addio alle armi fu ritenuto lesivo dell’onore delle Forze Armate del regime fascista, dice Wikipedia), Whitman e Edgar Lee Masters dell’Antologia di Spoon River. Poi venne Fitzgerald, e poi sempre a cura della Pivano tutta la Beat Generation americana, per dire.
Insomma, la prendo alla lontana come al solito, ma l’italia complici le Alpi e il mare che la circondano ha spesso avuto questo sguardo autocentrato, ombelicale, che talvolta ha prodotto buone cose (mal che vada, anche un idiota che ripete la stessa frase può contare sui revival storici), ma che per lunghi decenni ci condanna a abitare uno scenario culturale stantìo, di solito fino a quando qualcuno non apre le finestre a fa circolare un po’ aria fresca. 
Oggi con la Rete le Alpi e il mare potrebbero veramente sparire dal nostro orizzonte, siamo tutti culturalmente dentro un calderone di dimensione planetaria: sarebbe sufficiente che qualcuno di quei blogger che sanno l’inglese o altre lingue si sforzassero di tradurre ogni anno due o tre articoli o saggi meritevoli.
 
Avevo trovato questo articolo di David Armano, vice presidente di Edelman, esperto di digital marketing e progettazione dell’esperienza utente (sì, user experience design).
E’ uno scritto abbastanza tecnico, nulla di esplosivo, ma gli argomenti mi incuriosivano, robe social. Traduco a senso, eh, mi concedo quasi un riadattamento.



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Search + Social = Authority x Influence
di David Armano

La ricerca è basata sull’informazione
Ci sono sostanzialmente due modi grazie ai quali un “partecipante digitale” trova contenuti sull’insieme dei media digitali.
Il primo scenario prevede che l’indagine cominci utilizzando un motore di ricerca diffuso come Google. Recentemente Google ha modificato la sua proceduraper premiare piuttosto l’autorevolezza e la qualità dei risultati, rispetto al privilegiare ciò che viene considerato di qualità inferiore, come nel caso di link sospinti da agenzie web specializzate nel promuovere collegamenti (link farm, fattorie di link). Questa mossa costituisce un’opportunità per i professionisti della comunicazione e per coloro che possono fornire contenuti di qualità, i quali contenuti possono così trovar un posto onorevole sui media, e acquisire autorevolezza. Le attività di ricerca sono solitamente guidate dall’informazione, nel senso che chi interroga i motori è interessato a ottenere informazioni specifiche. I risultati delle ricerche mirate guadagnano via via autorità e qualità e saranno a loro volta promossi nelle reti sociali, usando le mail o i social network per diffondere l’informazione.

Il social è basato sull’influenza

I contenuti (insieme ai media che li veicolano) inoltre vengono cercati e discussi su varie piattaforme sociali che variano dai blog, alle bacheche elettroniche, a Twitter, a Facebook. L’attenzione è ottenuta tipicamente attraverso  il collegamento a un “flusso” o a un “amico”. A quel punto le informazioni e i media stessi vengono “digeriti” e risospinti nei flussi generati dalle conversazioni. Se vengono generate conversazioni in numero sufficiente, queste provocano la formazione di segnali che si riverberano sui media. In questo scenario, i “partecipanti digitali” sono evidentemente influenzati dalle loro connessioni sociali nella loro selezione, amplificazione e discussione di fonti informative.

La ricerca e il social si intersecano
La ricerca e il social non esistono indipendentemente l’una dall’altro, ma coesistono in un modo reciprocamente dipendente. Per esempio, è pratica comune per i giornalisti dei media con una buona reputazione controllare e stabilire la fonte di conversazioni che appaiono sui social network. Un articolo su un mezzo di comunicazione influente che cita la fonte della conversazione può a sua volta modificare i risultati di ricerca di una frase specifica. L’opportunità qui consiste nello scoprire cosa i fruitori dei motori di ricerca stanno cercando e quali strategie vadano perseguite che siano in grado di generare il giusto tipo di conversazione riguardo quelle tematiche. Oltre alle conversazioni, va anche selezionato e promosso il tipo di contenuto adeguato. Ogni iniziativa nel mondo digitale deve integrare i diversi modi in cui la ricerca e il social si relazionano tra loro, riguardo ogni argomento specifico che si intende influenzare.



Aggregare, fare curation, diffondere
Un esempio di scenario: un vostro concorrente lancia il suo prodotto, generando segnali mirati (targettizzati) sul Web. I partecipanti digitali cercano frasi specifiche per trovare news e informazioni sulla campagna pubblicitaria mentre simultaneamente le conversazioni sui social media digitali esplodono. I risultati della ricerca e dei social cominciano ad influenzare che cosa un partecipante pensa (comincia il loop della considerazione). Si intraprende a questo punto un’analisi sulle gerarchie dei risultati relativi a specifiche richieste di ricerca sui motori. Le valutazioni e i dati raccolti vengono convertiti in atti di comunicazione, e viene stilato un piano d’azione progettato per creare una serie di nuovi segnali. Le comunicazioni e le iniziative di aggancio sono lanciate attraverso tutti gli ambienti digitali e promosse secondo specifici partenariati. Se le comunicazioni e le strategie di aggancio funzionano, le iniziative così promosse attraverso i network  entrano in risonanza e gli esiti delle ricerche sui motori ne vengono favorevolmente influenzati. I risultati combinati di ricerca e social possono ora modificare ciò a cui un partecipante digitale presta attenzione. Il processo viene ripetuto all’apparire di nuovi segnali.
Questo è il modo in cui la ricerca e il social funzioneranno insieme nel prossimo futuro.



Giorgio Jannis

Content Curation Tools, su Apogeonline

Erano due anni che non scrivevo qualcosa per Apogeonline, chissà nel frattempo cosa ho fatto.
Come al solito, il pezzo lo incollo qua sotto, ma potete leggerlo su Apogeo cliccando qui.

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Curation tool, un pettine per i flussi informativi

Storify, Paper.li e gli altri: emergono nuovi strumenti e nuove pratiche per selezionare, organizzare e archiviare contenuti, servendosi naturalmente del potere delle reti sociali
Confrontando due vocabolari cartacei, uno italiano e uno inglese, per esplorare le aree semantiche relative alle azioni del “curare un archivio documentale o museale”, probabilmente troveremmo ancora una sostanziale somiglianza tra i rispettivi termini individuati. Quello che in italiano conosciamo come la mansione professionale di un curatore/conservatore di biblioteca in inglese viene identificato dalla parola curation: sulla stessa radice latina vengono articolate le nuvole dei significati nelle due lingue, fino a ieri decisamente sovrapponibili. Anzi, diciamo fino a metà 2009, per amor di precisione.
Restare sintonizzati
Un anno e mezzo fa, a giudicare dalle ricerche su Google, il termine inglese curation ha subìto un primo slittamento semantico, arrivando a abbracciare nuovi significati per la comunità dei parlanti anglofona. Partendo dalla descrizione di una serie di azioni precise riferite alla selezione, all’organizzazione e all’archiviazione di materiali documentali, qualcuno ha cominciato a usare il termine “curation” in relazione al mondo giornalistico, lasciando intravvedere una possibile figura del giornalista del futuro come una persona che nei suoi metodi di lavoro ha saputo migliorare il confezionamento e la distribuzione delle news integrando nel proprio flusso lavorativo questi nuovi modi per ottimizzare e potenziare l’organizzazione interna della propria nuvola di fonti di informazioni e notizie.
Certo, da sempre il lavoro del giornalista è innanzitutto saper ascoltare e rendere fedelmente gli accadimenti. Di conseguenza la pratica del restare sintonizzati sulle agenzie di stampa, sugli altri giornali, sulle televisioni, su tutte le sorgenti di cronaca “dal territorio” rappresenta la quotidianità dei giornalisti professionisti e dei moltissimi altri comunicatori che oggi per lavoro producono informazione e curano la comunicazione anche dentro le aziende o le pubbliche amministrazioni, quella redazione ormai necessaria per ogni minima realtà sociale che abbia deciso di abitare sul web, con un blog o con un portale, con una pagina Facebook o un semplice flusso Twitter.
Spremere informazioni
Ognuno di noi in realtà per domare l’information overload ha nel tempo sviluppato strategie e prassi quotidiane. Dai servizi di bookmarking agli aggregatori di feed ai flussi di Twitter, con questi strumenti ormai classici abbiamo via via allestito e tenuto aggiornata l’abilità con cui sondiamo quella nuvola tutta personale del web sociale da cui spremiamo informazioni, l’insieme delle fonti a cui abbiamo deciso di esporci. Nel corso degli anni abbiamo coltivato una rete sociale che allo stesso tempo agisce come un filtro rispetto ai flussi informativi che ci colpiscono. Aggregare il feed di qualcuno che stimiamo professionalmente ci dà buone garanzie che dall’insieme delle conversazioni attuali vengano escluse informazioni irrilevanti, ovvero che dalla sensibilità di quel blogger o quel giornalista emergano segnalazioni interessanti, arricchite da qualche indicazione di contesto, una traccia d’interpretazione, un punto di vista.
Per facilitare l’iniziativa dei singoli e ottimizzare le disparate procedure di raccolta, categorizzazione e ripubblicazione dei flussi, negli ultimi mesi sono comparsi in rete servizi web che offrono all’utente un ambiente integrato per compiere esattamente le stesse funzioni sopra descritte, ma in maniera semplificata e coordinata. Ambienti digitali online dove poter radunare le migliaia di feed a cui siamo abbonati, i flussi di Twitter e quelli degli aggregatori, taggarli secondo criteri personali di rilevanza e di pertinenza, e infine re-inoltrare le notizie e i contenuti interessanti verso precise destinazioni – tipicamente i diversi social network – oppure impaginarli dentro contenitori graficamente strutturati, offerti alla lettura pubblica e re-immessi nel circuito della Grande Conversazione.
Padroneggiare l’overload
Se oggi cercate “curation” su Google, quello che vi viene restituito tratta sempre meno di biblioteche, accenna certo alle trasformazioni del lavoro giornalistico, ma soprattutto lascia emergere un interesse diffuso per quei content curation tool di cui una redazione professionale non può più fare a meno, e che tornano utili anche per chi per lavoro ha comunque bisogno di “pettinare” e in seguito reimpaginare e rendere visibili specifici flussi informativi. Questi nuovi strumenti per la cura e la pubblicazione dei flussi derivano da approcci e tecnologie diverse, che però han saputo convergere verso quello che effettivamente oggi risulta necessario per padroneggiare l’overload informativo, avendo ben presente le caratteristiche che intendiamo privilegiare nella gestione del nostro ambiente personale di conoscenza, ovvero il personal knowledge management.
Questi ambienti digitali per la cura dei contenuti sono sorti a esempio dallo sviluppo di servizi bookmarking basati sul web, che hanno però acquisito la capacità di ri-pubblicare le selezioni da noi ritaggate, oppure potrebbe trattarsi di aggregatori di feed che si sono specializzati nell’organizzazione delle fonti secondo gruppi di tematiche organizzate detti cluster o bundle. Oppure ancora abbiamo a che fare con applicativi web-based per la reimpaginazione “in bella forma”, come quelli che prendono il vostro flusso Twitter o Facebook e lo rendono visibile cercando di assomigliare graficamente a un quotidiano cartaceo, e contribuiscono a mettere ordine nei flussi caotici dei servizi di lifestreaming.
Curation tool
Ho provato e trovo divertenti – per stabilire la loro utilità aspetto ancora qualche settimana – Scoop.it, Curated.by, pearltrees.com, Paper.li, Montage, Storify e altri, tutti servizi che indubbiamente aiutano a focalizzare e raffinare il nostro scandagliare il web alla ricerca di informazioni e punti di vista sempre più precisi e puntuali. Robin Good su Master New Media offre una guida esaustiva a questi nuovi strumenti per la content curation, rivendicando per sé inoltre l’aver saputo fin dal 2004 indicare la necessità di poter usufruire di tool per il reperimento e la selezioni di notizie e segnalazioni, secondo un concetto di newsradar decisamente affascinante per i tempi. Certo, ci sono anche riflessioni critiche che non vanno ignorate: Jeff Jarvis sin dall’inizio sottolinea l’importanza del fattore umano nella capacità di individuare percorsi di senso non “meccanicamente” predeterminati dagli algoritmi di ricerca, secondo cui curare dev’essere sempre qualcosa in più di un freddo aggregare, nella capacità del giornalista o del fruitore di “annusare” le notizie da fonti inconsuete e in seguito di fornire elementi di contesto e un punto di vista personale, nella loro riproposizione ad altri pubblici e altri canali comunicativi.
Dieci anni fa l’esplorazione del web avveniva secondo quote di serendipità molto maggiore, nell’inseguire collegamenti stralunati o chiavi di ricerca su motori molto meno perfezionati di oggi. Il margine di aleatorietà era molto più ampio, e al prezzo di navigazioni spesso insulse poteva capitare di imbattersi in gemme preziose, inaspettate e incredibilmente calzanti rispetto ai nostri interessi del momento. Oggi ci nutriamo di informazioni predigerite e già organizzate da parte di servizi web che aggregano le fonti secondo criteri di pertinenza spesso eccessivamente meccanici, che non lasciano più spazio alla scoperta casuale. Abbiamo guadagnato potenza e focalizzazione, abbiamo perso un po’ di libertà e di apertura all’inaspettato. Ma inventeremo sempre nuovi modi per far fare agli strumenti quello per cui non sono stati progettati: il nostro fare creativo, collaborativo e condiviso, saprà individuare nuovi territori della Conoscenza, e nuovi modi di esplorarli.

Dall’esterno verso l’interno verso l’esterno

Anni e anni che diciamo: guardate che la velocità e l’ubiquità delle nuove forme di comunicazione modificano il vostro fare al punto di costringervi a riprogettarvi, a ripensare il vostro essere.
Questo vale per gli individui, vale per le organizzazioni lavorative, scuole o enti locali, imprese e editori di quotidiani, giusto per citare uno dei rami dell’industria culturale oggidì maggiormente coinvolto in processi di riorganizzazione interna.
Fino a poco tempo fa, però, era difficile scrutare questa nuvola di cambiamenti, nelle volute del vapore talvolta soltanto riconoscevamo delle figure, altrimenti era tutto un fare invisibile, inafferrabile. Ma col tempo sono sorte le grammatiche, o perlomeno si sono cominciate a delineare le morfologie degli elementi in gioco, si può ora cercare di descrivere la sintassi ovvero le relazioni tra questi elementi.
Quello che era invisibile, tutto il lavorìo sulla comunicazione nei social media, tutti i cambiamenti e riorganizzazioni del work-flow complessivo di un’organizzazione lavorativa, sta pian piano emergendo, lo possiamo percepire e nominare. Tutto l’intreccio prima indistricabile di persone, flussi, tagging, selezione fonti e curation, stile di comunicazione diventa ora etichettabile, o per lo meno maneggiabile con qualche strumento concettuale.
Grazie al lavoro dei professionisti della comunicazione (in questo caso, consulenti specializzati nell’utilizzo corporate dei social media), del loro dover identificare oggetti su cui poter lavorare, da trasformare in obiettivi e azioni, abbiamo la possibilità di riflettere su aspetti del cambiamento che prima sfuggivano alla nostra percezione.
Guardate a esempio le righe basse del grafico seguente, l’ambiente di apprendimento e i processi interni. Tutte le esigenze evidenziate sono come materiale semilavorato, concetti finalmente delineati di comportamenti e atteggiamenti emergenti. Questo è un atteggiamento tecnologico: se posso ingegnerizzare i sistemi, posso ottimizzarli. A me da gangherologo interessa più il momento aurorale in cui viene per la prima volta nominato un oggetto/concetto/azione/evento/atto-degno-di-menzione. Ma lavorare sopra questi materiali, come artigiani, è la scommessa affascinante di oggi. Spero accademie e università siano pronte a cogliere questi nuovi saperi e a trasformare in riflessione e formazione le analisi sulle nuove pratiche sociali individuali e collettive. Qui stanno cambiando le cose, come le nominiamo, come le raccontiamo.
Lo spunto per questo post viene dal blog di Santoro, il Giornalaio (trovate ragionamenti sul cambiamento dell’organizzazione interna delle aziende/istituzioni), la mappa per una strategia dei social media è di Vanessa di Mauro.

Social media monitoring, content curation

Post di servizio, mi prendo due appunti.
Partendo da una segnalazione di Pierluca Santoro su FF, arrivo a una discussione su Quora – sì, il nuovo giocattolone per farsi domande e darsi una risposta, però serio (finora) – dove ci si pone il problema di quali siano i sistemi migliori per pettinare i flussi (già qui parlavo di strumenti webbased per reimpaginare i flussi di twitter o facebook).
Bisogna monitorare centinaia di fonti, selezionare, organizzare tematicamente, reinoltrare su propri spazi web con pertinenza, facendo tutto con efficienza (cliccare il meno possibile: con un bottone sulla barra o altrove devo poter prendere qualsiasi cosa e metterla dove voglio), e magari anche in modo collaborativo, se pensiamo a gruppi di lavoro tipo delle Redazioni, nelle aziende o nelle PA o dovunque una fetta di lavoro quotidiano riguardi questo controllare e pubblicare.
Controllare e rispondere ai post sul proprio blog, scartabellare nell’aggregatore per trovare articoli o blog interessanti, scrivere dei twit o delle cose come rilanci e aggiornamenti, schedularne la pubblicazione nel corso della giornata, fare un giro sui socialcosi twitter facebook linkedin per vedere reazioni e commenti e nel caso replicare, controllare la posta e gli alert per ricavarne ulteriori segnalazioni o prendere appunti per le bozze dei post futuri, fare un giretto sui servizi webbased di monitoraggio feed e tematiche calde, controllare le statistiche e gli strumenti di feedback per aggiornare il proprio flusso. In fondo, tutti noi siamo i social media manager del nostro lifestreaming, siamo al centro della nostra community, e se queste cose le fa qualcuno per lavoro dentro una Redazione magari ha bisogno di strumenti più performanti.
Alla buona, ma con buona efficienza, queste funzioni di ascolto e (ri)pubblicazione possono essere svolte utilizzando bene il proprio aggregatore (ma in GReader è difficile avere feed in uscita ben differenziati), Tumblr, Delicious o comunque servizi di bookmarking che poi emettono un feed, qualcuno usa una stanza di Friendfeed per raccogliere feed e ottenerne uno solo in uscita, qualcuno fa lo stesso smanettando con Pipes. Un certo numero di bookmarklet sulla barra non può mancare. 
Ripeto: non bisogna ragionare soltanto sul social media manager isolato (la figura professionale che rivestiamo noi stessi per il nostro lifestreaming, o che immaginiamo nelle sue mansioni lavorative dentro un’organizzazione che conversa su web), ma anche sull’insieme dei collaboratori che dentro un’organizzazione lavorativa devono poter facilmente segnalare un feed, in modo da farlo arrivare al social media manager già un po’ confezionato, magari aggiungendo due righe di contesto. 
Ogni collaboratore dovrebbe avere i propri luoghi social dove inoltrare segnalazioni pertinenti, e il responsabile della pubblicazione dovrebbe feedarsi a queste fonti per poi compiere l’atto finale del pubblicare sulle piattaforme.
Oppure certi software di pubblicazione di contenuto (anche WordPress) offrono la possibilità di creare a esempio dei blog multiautore, e facendo mettere un relativo bookmarklet sulla barra ai collaboratori questi ultimi possono facilmente mettere in bozza una pubblicazione, da rivedere e pubblicare a cura del responsabile di redazione.
E poi c’è il sottoinsieme degli strumenti che servono per monitorare sé stessi, il proprio brand.
Da quella discussione su Quora emergono le indicazioni degli strumenti per curare il contenuto (content curation tools) che vanno per la maggiore. Strumenti che devono permettere di segnalare news o feed, che devono permetterne di scoprire fonti nuove per tag o categorie o parole chiave, che organizzino bene il tutto, che offrano la possibilità di feed separati in uscita, che permettano di stabilire i tempi e i modi di pubblicazione.
Quei professionisti su Quora parlano di pearltrees, di curated.by, di paper.li, di scoop.it, di trunk.ly, di pinboard.in, di mysyndicaat.com, di amplify.com, di storify.com (e il verbo “storificare” mi piace, ma se volete anche storiare, storieggiare, ovvero creare storie), di feedly.com, di diigo.com; qualcuno di questi è un servizio di bookmark che si è espanso alla pubblicazione, qualcuno è più un aggregatore ripensato social, qualcuno è un servizio di pubblicazione che però è stato progettato per ascoltare e reinoltrare.
Su Pearltrees c’è anche una mappa di dove si parla di Content curation, qui.
Poi arriva il solito Robin Good, e mette giù una megamappona fatta con Mindmeister, rimandandoci a un suo post accurato intitolato “Real-time news curation – the complete guide”, dove si trovano altrettanti begli spunti per strumenti e buone pratiche (insieme all’indicazione che proprio Robin Good aveva parlato di newsradar nel 2004, precorrendo le esigenze dei tempi)
Qui e qui ci sono due articoli interessanti, sulla Social media strategy e sullì’rganizzazione di una redazione web di tipo corporate per ottimizzare la propria presenza sui social, con riflessioni sulla valutazione.

Qui c’è una presentazione su come organizzare social marketing.

Ora vado a provare tutto, chissà cosa scoprirò.

UPDATE da un thread su Quora, alcune indicazioni di Scoble

There are the paginator approaches:
Flipboard
Paper.li
Instapaper
The Shared Web
LazyScope

There are the algorithmic approaches:
My6Sense
Genieo
Ellerdale Project (will show up in Flipboard next year)
SkyGrid

There are the filtering/sifting approaches:
DataSift
Research.ly

There are the curation approaches:
Pearltrees
Curated.by
Storify

The aggregator approaches:
Techmeme
Google News
Huffington Post
etc etc

Pettino i flussi, ascolto territori, semino conversazioni

Siamo sempre nel settore Aggregatori, ma qui si aggiunge la reimpaginazione. Costruire quindi un contesto grafico e situazionale, arredare gli spazi di enunciazione, e chiaramente per farlo si ricorre a codici espressivi tipici di una certa stilistica. Quella degli oggetti culturali che storicamente pettinano i flussi, le news e gli eventi, ovvero i giornali.
Di tutte queste onde di feed e status e conversazioni che lambiscono le sponde della nostra isola digitale personale, tutte le chiacchiere dei nostri amici su facebook o twitter o il socialcoso che preferite, cosa ne facciamo? Che poi isole non c’entra niente, era per restare nella metafora delle onde, e scrivere che le onde lambiscono la nuvola mi sembrava troppo surreale così d’acchito, ma invece ci sta tutto, ora che me lo riguardo, e mi immagino i flussi che a ogni giro di server si fan notare nella casella di posta o sul reader o nei numerini in alto a sinistra di facebook, reclamando attenzione, spostando la nuvola del mio abitare in rete, luoghi e azioni e dire e ascoltarela nuvola del mio Io con i suoi sensori e i suoi display.
Insomma, servizi web che prendono i vostri flussi di conversazione sui social, e ve li presentano bene, organizzati e abbelliti.
Partendo da Twitter, potete costruirvi un Paper, usando il vostro account come fonte delle notizie (e quindi la vostra cerchia sociale) oppure un hashtag specifico, attorno cui il servizio arrotola le news e le dispone sulla pagina.
Le ridispone. In-forma le informazioni. Re-in-forma. Ri-veste, riconfeziona.
E qui ci starebbe tutto il discorso di come forse il recupero di certi stili, di certi codici per noi non problematici (come una pagina di giornale) possa costituire la cornice rassicurante dentro cui provare a organizzare la complessità, secondo criteri di pertinenza nostri idiosincratici. Tengo bassa la quota d’ansia, reimpaginando. Distillo, e riorganizzo l’oggetto. Curation. Che poi re-immetto nel flusso, arricchendo e fornendo contesto ulteriore a quella selezione di notizie filtrate dalle mie reti amicali.
E lo stesso si può fare con Facebook, usando http://www.wowd.com, da usare proprio come una pagina per riorganizzarsi il flusso fb. C’è tutto un calderone sotto di scambi, parolechiave, memi che girano, commenti di amici, chi ha detto che il modo che ha facebook di mostrarci tutto sia quello migliore?
Per pettinare i flussi secondo parolechiave, va bene anche PostPost.
Anche di Diaspora si parlerà, magari più avanti, quando usciranno dall’alpha, come dicevo.
Il socialnetwork opensource, quello dove nessuno mi può chiudere l’account, dove i miei dati sono miei, quel socialnetwork che vive lui stesso sulla nuvola, nell’insieme dei nodi: potrei metterlo sul mio spazio web, farlo girare sul mio database, poi lui si sincronizza con tutti gli altri Diaspora della rete, e nessuno può chiuderlo, mancando il centro (e la circonferenza è ovunque).
Si stanno creando le reti sociali lì dentro, intanto. Per chiamata diretta, non ci sono ancora strumenti per vedere gli amici degli amici. E anche questa cosa qui ricade sempre più dentro codici comportamentali che pian piano stanno diventando competenze. Non è la prima volta che migriamo tra socialnetwork, sono annoni che rifacciamo le stesse azioni, ricreiamo cerchie sociali, abbiamo liste che risalgono ai forum e a MySpace, ogni volta ripopoliamo i nostri Luoghi e ogni volta selezioniamo e edifichiamo reti con maggior esperienza, con maggior perizia.
Senza chiudersi troppo, ché conosciamo la bellezza della serendipità e l’incontro con l’ignoto, ma senza perdere di vista la qualità della comunicazione  e l’economia della nostra attenzione.
Anyway, il web è sempre sulle prime pagine dei giornali.
Si tratti di politici, giornalisti, imprenditori, innovazioni territoriali, fughe di notizie, regolamenti e normative, ogni giorno si parla di cose in cui c’entra internet, e questa narrazione è ben alta nelle agende delle redazioni.
Ci hanno scoperti. Qualcosa cambierà sicuramente nel prossimo futuro, l’attenzione è tutta lì, che il Potere intenda controllare le cose si è sempre visto, perché il primo scopo del Potere è mantenere il Potere.
E allora io farò il panegirico dell’Età dell’Oro, questa dozzina d’anni in cui si è potuto fare quello che si voleva qua dentro, e penso alla gigantesca ondata di contenuti culturali che mi ha investito, penso che anziché vedere 100 film ne ho visti 1000, anziché leggere 1000 libri ne ho letti 10.000, e conosciuto persone che usano bene la testa, anche se fanno cose incomprensibili e magari un domani illecite. Quel che Internet doveva fare, l’ha fatto: ha creato persone diverse, ha nutrito la loro testa con modi e contenuti nuovi, ha cambiato il DNA culturale delle collettività, ha mostrato possibilità e opportunità per migliorare la vita.
Perché dell’industria culturale non mi preoccupo, visto che il cambiamento è più grande di loro, e chi rimane fermo a lamentarsi o a cercare di monetizzare alla vecchia maniera giustamente morirà, mentre chi ha saputo inventarsi cose adeguate è diventato ricco comunque. Per lo meno ora l’immaginario viene arredato da tutti noi, e non da Hollywood soltanto.
Dei politicanti invece mi preoccupo, perché oltre a voler “naturalmente” controllare tutto (analoni) sono anche ignoranti della questione, e quindi vogliono normare nel modo sbagliato.
L’impreditore web cerca di conquistare il mercato, ma prima deve capirlo. Il politico web no, non capisce o se ne fotte, gli serve solo il riflettore mediatico per essere paladino di questo o quest’altro. Ma i media siamo noi, e ne faremo un sol boccone.