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Identità in Rete

Sì, un’altra lista.
Ogni giorno nascono nuove idee per il web, e diventa seriamente un problema seguire tutte queste novità e non solo leggere e capire ma anche registrarsi e smanettarci un poco per capire bene.

Vediamo un po’… cosa serve oggidì ad una gentildonna o a galantuomo sul web?
Direi un luogo startpage da cui irradiare identità, tipo ClaimID o Facebook, dove sia possibile pubblicare e condividere collaborativamente documenti multimediali organizzati in categorie o descritti da tag, dove sia facile stabilire contatti interpersonali favorendo la ricerca mirata e l’interazione, con una grafica almeno parzialmente personalizzabile, un luogo che sia utile a chi lo gestisce e a chi lo frequenta.
Parliamoci chiaro: ognuno di noi viene chiamato ad allestire e caratterizzare il proprio avatar, se ci concentriamo sulla persona, oppure il proprio spazio di vita, se ragioniamo sulle attività.
Ah, il valore dell’aggettivo social
Pensate a Beppe Grillo: tutto ciò che vi è venuto in mente in questo momento è una collezione di sentimenti che poggiano su oggetti culturali da voi fruiti nel corso del tempo: Grillo a Domenica in, telodòioilbrasile, sanremo, opinioni, scandali, discorsodicapodanno, teatro, fotografie, scritti, blog, sito, insomma tutto quello in cui vi siete imbattuti.

Domani andrò a visitare la casa online di un mio amico, o di BeppeGrillo, e tutto ciò che vedrò e con cui interagirò mi darà una rappresentazione della persona, un po’ come oggi mi faccio un’idea di qualcuno leggendo i titoli dei libri che tiene in salotto e le fotografie sulla credenza e i dipinti sulle pareti e la scelta delle stoffe per i divani e l’arredamento e i vestiti che indossa e come parla o scrive o filma.

Credo che occorra un centro identitario.
Meno dispersione. O perlomeno almeno un centro identitario, e poi tutte le altre cose che facciamo quotodianamente su web. Ma ci penserà Google, tranquilli.
Vedo anche sempre meno nick sul web, sempre più nomi e cognomi veri. Necessità di riconoscimento, visibilità, Mondo e Web coincidono.
Non invento più identità altre, ma allestisco la mia come un nodo della rete. Chi è su Web da dieci anni è portato ora a radunare le facce e le tracce e i frammenti disseminati in giro, a rivendicare identità, a consolidare un io liquido.
Il Mondo vive nel Web, ed il Web vive nel Mondo: siamo nel biodigitale.

Software Development in the Real World: Best of the Best Web 2.0 Web Sites

Europa massmediatica e conseguenze a lungo termine

Link ad un articolo divulgativo di Derrick de Kerkhove.

Interessanti gli spunti massmediatici, secondo cui finora l’idea di Europa è stata veicolata soprattutto dai programmi televisivi di previsioni meteo e dagli spettacoli sportivi, e quelli di natura geopolitica verso la fine dell’articolo, in cui l’Ispettore ehehhe sottolinea l’importanza della Società Civile Connessa come nuovo primario attore sociale, unita a nuove forme degli strumenti legislativi ed esecutivi delle democrazie europee, dove gli Stati nazionali devono necessariamente delegare poteri e procedure sia verso il basso, verso le Regioni (quali? non quelle attuali, spesso inventate senza criteri antropologici) sia verso le Istituzioni Europee sovranazionali, sempre in salsa federalista.

Apogeonline – L’Europa di qui a cinquant’anni

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Pwned funeral

Ecco un altro esempio di come si costruiscono (negoziazione, patteggiamento, solidificazione, diffusione) oggi i caposaldi dell’etica civica di domani, quelli che saranno scritti nelle Costituzioni delle Nazioni BioDigitali del 2081.

E’ morta una ragazza, che partecipava a World of Warcraft, ovvero un gioco online di quelli con guerrieri maghi e poteri magici, che si svolge dentro un mondo 3D.
Allora qualcuno ha avuto l’idea di organizzare una veglia funebre presso il lago dove lei era solita sostare, per ricordarla (vedi questo mio post per simili concetti); saputa la cosa, il gruppo rivale ha organizzato una sortita, e ha bombardato tutti i convenuti all’estremo saluto. Eticamente riprovevole, appunto. Comunque io guardi la cosa, non ci trovo niente da ridere.

Bene, io bazzicavo in ActiveWorld nel 2000, e poi per motivi professionali ItalCity due/tre anni fa, e vi posso dire che le dinamiche relazionali sono “vere”, e che un funerale là ha tutto il senso che può avere qui su MondoReale, per coloro che lo vivono e per i sentimenti che innesca nei partecipanti.

Non aggiungo altro, non si può spiegare tutto. Però ho ben chiara nella testa l’idea (il processo narrativo da cui sgorga il senso degli eventi, ovvia) che oggi, come bambini che giocano ed imparano la vita, stiamo costruendo il bello ed il brutto, il buono ed il cattivo, il giusto e l’ingiusto di domani, attraverso questi schermi su Mondo 2.0

Francia: aggrediscono e filmano col cellulare

Vi ricordate quando qualche mese fa una donna, forse depressa e forse suicida, cadde dal terrazzino e finì sulla cancellata, trafiggendosi orribilmente? Questo in realtà non fa notizia. Quello che fece notizia furono le persone (perché sempre ragazzi devono essere?) che passando di lì ripresero la scena col videotelefonetto, il quale poi fu sequestrato dalla polizia intervenuta.

Prima di cominciare la discussione, tenete per lo meno presente che se in macchina incrociate un incidente, quasi sicuramente rallentate per vedere il sangue… e ritengo sia un comportamento umano, è sempre successo e sempre succederà, fa parte della necessità “biologica” dei gruppi umani di controllare la collettività di vita, quello che succede intorno, l’Umwelt.

Insomma, già quella volta intavolai una discussione con la morosa riguardo in particolare il comportamento dei poliziotti. E’ giusto requisire i telefonini? Possono farlo? Causale? Potrei al limite punire quelle persone se ne traggono lucro, vendendo online i materiali video, ma non credo che siano perseguibili per aver filmato o fotografato la scena.

Calma. Prima ancora di emettere giudizi, è utile sapere che il fenomeno nelle sue varianti dilaga (la studentessa di udine che mostrava ripetutamente le tette ai videotelefonini dei suoi compagni di classe per essere eletta rappresentante, ad esempio) e soprattutto questa notizia di “happy slapping” riportata oggi dal Corsera, dove gruppi di ragazzi prendono di mira qualcuno per picchiarlo e soprattutto riprenderlo, per poi mettere il filmato in internet per potersene vantare.

Potersene vantare è fondamentale in adolescenza: ho scoperto ad esempio che un bel po’ di “sfacciamenti” di miei siti in php li hanno fatti ragazzini che poi correvano a gloriarsene su siti di lamer.

Riprendo il problema… quella che come al solito è essenziale è la comprensione tecnologica e comunicativa dell’episodio, prima ancora che lanciare strali di immoralismo e società decadente e alti lai modello “signora mia, dove andremo a finirie”. Prima io contenitore, poi il contenuto, visto che la forma determina le modalità di ricezione dei significati. Per capire il perché, credo che sia ancora necessario studiare il come, ovvero il come funziona un oggetto culturale (ovvero un testo, in questo semioblog).

Da un punto di vista epocale, sia ben chiaro che non si può tornare indietro, non si possono togliere i telefonini di mano alle persone, non si può togliere il bancomat dalle strade, non si può far finta che internet non sia mai esistita, fin qui spero siamo tutti d’accordo. E come sempre un nuovo media, un nuovo spazio comunicativo (un vaso in ceramica 3000 anni fa, la nascita della tipografia a caratteri mobili, la fotografia, la radio, la tv) ad un certo punto veicoleranno dei contenuti che andranno al di là delle ipotesi di utilizzazione del creatore, o delle potenzialità concepibili dalla generazione che li ha pensati. Ad esempio la radio stessa è un corollario delle idee di Marconi, il quale anzi cercava di evitare che le trasmissioni fossero ascoltabili da molti, avendo lui in mente un modello/concetto di comunicazione tipo telefonica uno-a-uno.

Chi nasce “dentro” una tecnologia ne inventa nuovi utilizzi, come i ragazzi che nati col telecomando TV in mano hanno inventato il pensiero zapping e vivono il discorso-blob come stilisticamente e contenutisticamente coerente, oppure come i ragazzi che trovandosi per le mani gli SMS hanno inventato un linguaggio proprio, come da sempre avviene con i gerghi giovanili, decretando il successo planetario di un fenomeno culturale fondato sulla praticabilità di un nuovo canale comunicativo, il quale peraltro esisteva già tecnicamente da alcuni anni ma non veniva reclamizzato perché non si riteneva potesse incontrare il favore degli utilizzatori (per tutta la prima metà degli anni novanta e oltre, gli unici a mandarsi sms erano gli operai della SIP sul lavoro, per intenderci, benché tecnicamente non sarebbe stato un problema diffonderne l’utilizzo ad un pubblico più vasto).

Ecco, i telefonini. Tecnologia portabile, always on, con possibilità multimediali. Domani vorrà dire essere permanentemente connessi alla rete, con le wi-fi cittadine (vedi amsterdam o sanfrancisco), con i wap o i blackberry o i portatili, e quello che accadrà qui sarà là e quello che è là sarà qui. Già raccontai che se questo su cui scrivo e abito è Web 2.0 questo in cui vivo e abito è Mondo 2.0, ed al limite anch’io sono diventato un 2.0, ovvero un essere biodigitale che trae senso della propria esperienza (identità) dalla partecipazione come fruitore e come produttore di significati in tutti gli ambiti cognitivi con cui i miei neuroni interagiscono, senza differenza tra online ed offline. Abito mondi.

Di certo, proibire non serve a niente, anche perché siamo dentro flussi comunicativi orizzontali, e quindi la censura non funziona (nel broadcasting avevo un flusso verticale e aveva senso parlare di un filtro a monte o a valle di qualcosa, in internet no: se non posso vedere le partite del campionato in italia, posso sempre vederle da un server in cina, e la Cassazione mi dà ragione); servirebbe anche qui cominciare a ragionare di educazione ai massmedia, e raccontare ai ragazzini in seconda elementare cosa significa comportarsi bene, essere morali, sia avendo a che fare con atomi sia avendo a che fare con i bit (qua si aprirebbe il pistolotto sulla classe docente italiana, mentalmente coeva al Carducci, ma ve la risparmio… magari sarà argomento per un prossimo post, in cui parlerò di lavoro), ovvero avendo a che fare con quella che si chiama realtà, che per un sedicenne cresciuto a Playstation TV notturna videocassette internet telefonini è sensibilmente diversa dalla mia.

Lui “vede” percorsi di senso diversi, “legge” diversamente, attribuisce significati agli eventi secondo canovacci interpretativi (schemi e script) che io non possiedo, ma posso ancora comprendere, mentre per mio padre sono incomprensibili. E’ come per un uomo dell’800 cresciuto con la Bibbia, l’Almanacco e 3 giornali all’anno mettersi a dare giudizi di merito sul Grande Fratello in quanto fenomeno mediatico. Potrà anche dire che è immorale, che è finto, che sono fattoidi emozionali artatamente progettati ed innescati, ma vedete, non potrei dar fiducia al suo giudizio, perché viene da luoghi di inconsapevolezza sui meccanismi comunicativi propri del media televisivo, di cui noi abbiamo esperienza vissuta, seppur in larga parte altrattanto ingenuamente, ovvero senza sottoporre a vaglio critico alcunché.

Basta, il discorso potrei continuarlo per ore, in fondo queste sono le competenze per cui mi pagano nei convegni e sul lavoro… fatto sta che non posso accettare una censura e una proibizione da parte di chi di queste cose non le capisce né le vive. Purtroppo i legislatori oggi hanno più di cinquant’anni (minimo, e questo dei vecchi al potere è altro argomento meritevole di post), come fanno a leggere i comportamenti umani odierni e stabilire la distinzione tra usi e costumi e relative infrazioni? Vi è in loro una mancanza di competenza narratologica, mancano loro gli strumenti per interpretare ciò che è, figuriamoci per emettere norme di buon comportamento.

Come frate Indovino, vedo e prevedo un futuro fiorire di simili notizie sui telegiornali, legate agli utilizzi “devianti” delle tecnologie, come abbiamo già avuto modo di notare nei titoli del tipo “la mafia usa internet” (da cui segue “censuriamo internet”, nelle menti dei cretini ignoranti). Saranno scandali, capricci e raccapricci, dotte dissertazioni, testimonial privilegiati, luddisti apocalittici, tragedia, poi grandguignol, tragicommedia, poi farsa, e alla fine senza veramente riflettere ci scopriremo cambiati, ingenuamente integrati nella normalità di un mondo connesso.

Gogna mediatica

L’argomento è pessimo, non ne parlerei nemmeno (e infatti non ne parlerò) però brancolando nella situazione enunciativa emergono degli atti degni di menzione, che meriterebbero una considerazione riguardo le implicazioni patemiche delle espressioni pubblicate, nonché riguardo il costruirsi del senso dentro questo ambiente interumano digitale (internet, sì)

Ovvero: c’è questa notizia di cronaca orribile in cui viene resa nota l’efferatezza criminale di un tipo dell’Oklahoma, che ha rapito ucciso tormentato una bambina di dieci anni, e si accingeva pure a mangiarsela, giusto per scoprire che sapore ha una vita ancora da cominciare.
La sua di lui vita, infatti, era parecchio da giornata uggiosa: una vita solitaria, da disperato forse nemmeno cretino, che va a dormire alle 20.30 per alzarsi alle 3.00 ed andare a lavorare fino a metà pomeriggio, senza socialità , senza relazioni, consapevole di certe idee strane che gli giravano per il cervello, con due blog tramite cui relazionarsi con il mondo ed esprimersi.
Uno è qui, l’altro è qui.

Come prevedibile, migliaia di persone si sono recate sui blog dell’assassino, lasciando commenti ai suoi post, insultandolo, mostrando foto di morti sul patibolo, augurandogli le peggiori sofferenze, pregando per lui, reclamizzando altri blog e altri siti, facendo capolino pur di dire “io c’ero”.
Come per la “bacheca dei morti” di cui scrissi, non c’è nulla di cui stupirsi, ché il comportamento mediatico di queste persone è lo stesso che si avrebbe qui su Mondo 2.0, dove le persone geograficamente vicine si sarebbero recate a casa dell’omicida, per scrivere sui muri oppure lasciare nella sua buca delle lettere missive dal tono simile a quelle sudescritte, eccezion fatta credo per quelle a carattere pubblicitario.

Quello che cambia, è il carattere pubblico di questi interventi, il loro essere fatti per essere letti, la nascita di discorsi e di botta e risposta tra i commentatori, che porta la situazione comunicativa ad assomigliare maggiormente al genere letterario formato dal testo messo in scena da “attori” riuniti a capannello, fisicamente, intorno al luogo del delitto, o perlomeno al suo segno mediatico, questi blog che stanno per i luoghi dell’espressione, il posto dove si parla, l’androne della casa in cui viviamo, la soglia (i gangheri) tra pubblico e privato.

Vi sono implicite conferme di categorie valoriali, allineamenti interpersonali, formazione di identità personale e discorsi di gruppo, espressioni emotive forti tra la rabbia il livore la compassione e la sofferenza sottoscritte e riprese da altri, configurazioni discorsive di superficie riassumibili stilisticamente nei luoghi retorici dell’invettiva, della giaculatoria, dell’analisi scientifica della scena del crimine, narrazione dal tono grandguignol, accorato, sussurrato o violentemente urlato, mentre la ripresa di parola altrui porta alla solidarietà interumana, al rafforzamento della condanna sociale, ed in fondo alla consapevolezza che la socialità nel suo sforzo di civiltà costituisce l’unica pratica condivisa su cui poter edificare noi stessi e la collettività in cui viviamo, nel nutrirci di idee ed opinioni e dar così senso agli accadimenti.

Quali aspetti potrà assumere questa valvola di sfogo/luogo di conferma interpersonale nel futuro della rete? Nasceranno community strane, suppongo.
Etica/etichetta_ Osceno_ Umana_ Forma/formula_


Non tacere

Beep Beep ite, missa estE’ sempre piacevole trovare qualcuno che scrive bene alcune delle cose che io stesso avrei voluto scrivere. Io ci sarei andato già forse più pesante, ma Miss Brodie a quanto pare è una deliziosa maestrina che possiede cultura, buon gusto e levità di stile.
Di che si parla? Di religione, di moralismi, di buon senso, di fede, di parole divine o presunte tali o spacciate per tali, di censura, dell’idea che qualcuno decide per me cosa è giusto per me, di laicità, del fatto che “
se uno accetta una parola già pronta si ritroverà con un pensiero già fatto”.

E questo a me proprio non va giù, perché è come dirti come devi leggere un libro o un film, come dirti che significato possiede e che senso veicola, è come dar senso alla tua vita, è come impedirti di essere un lettore critico (quelli ingenui fan sempre comodo).
Etica/etichetta_ Osceno_

La bacheca dei morti

Avete presente MySpace, no?
La comunità pare di proprietà di Murdoch conta ormai più di 60milioni di frequentanti, perlopiù ragazzi e ragazze americani, età 14/24, che si incontrano chattano e si scambiano files e musica e si dànno appuntamento e insomma fanno social networking.
Tenete presente che negli States le percentuali di utilizzo tra i giovani sono un po’ diverse da quelle italiane: là “l’87% della fascia compresa tra 12 e 17 anni è regolarmente online, mentre il 44% si collega almeno una volta al dì e il 65% è affezionato ai vari sistemi di instant messaging (secondo dati di fine anno del Pew Internet Project). Pur continuando a seguire contemporaneamente gli altri media, per costoro le rete sociali online vanno dunque assumendo sempre maggiore importanza, includendo amici vecchi e nuovi, compagni di classe attuali e passati, amori vari, familiari, club hobbistici e gruppi di affinità” apprendo da Apogeonline.

Beh, su una simile popolazione è naturale che ogni tanto qualcuno muoia, e quindi ecco qui la bacheca dei morti, ovvero l’equivalente degli annunci che ancora si incontrano nei paesi, affissi spesso appunto in apposita bacheca comunale oppure presso i luoghi sociali delle collettività. Il sito in questione è www.mydeathspace.com e non c’è nulla di cui scandalizzarsi: assolve appunto alla stessa funzione sociale delle suddette bacheche.
Forma/formula_ Osceno_

Tekne polis agorà

Stasera in tv un politico italiano, er piacione per antonomasia, ha estratto dalla tasca della giacca un registratore portatile onde permettere all’audience l’ascolto delle testuali parole del proprio avversario politico, risalenti a cinque anni fa, parole con cui veniva allora negata la possibilit� di instaurare una tassa che invece oggi potrebbe essere introdotta, o viceversa. IRAP o ICI, non ha importanza.

Quello che ha importanza è che per la prima volta, a mia memoria, avviene un collegamento ipertestuale multimediale nel corso di un flusso discorsivo su un massmedia classico come la tv.
Va bene tirare fuori un pezzo di giornale in cui sono scritte le testuali parole, oppure uno stralcio di un verbale di processo, ma siamo sempre nella citazione pesantemente “mediata”.
Qui abbiamo la voce originale, veicolata non dalla regia ma da tecnologia portabile.
La prossima volta qualcuno tirerà fuori un cellulare con un video dentro, poi un tablet o un palmare con documentazione impaginata e si collegherà in wi-fi con la regìa dello studio che lo ospita per mostrare qualcosa, finalmente un giorno qualcuno collegato da remoto farà partire un video o della grafica anziché rispondere solo a parole, e si capirà che il mondo è cambiato.
Atomi/bit_

Dar senso all’opinione pubblica

Voi sapete, no, che i titoli degli articoli sui giornali li scrivono i caporedattori, non i giornalisti.
C’è di mezzo un salto olistico/quantico, ovvero a quanto pare i giornalisti vedono gli alberi, mentre i caporedattori sarebbero in grado di vedere il bosco.
Confidando nel fatto che i lettori leggono solo i titoli (?), bisogna attirare l’occhio, vendere più copie, dare una linea editoriale chiara e riconoscibile, insomma manipolare i contenuti.
Ecco un ulteriore esempio, che riprendo da Mantellini che riprende da Corriere.it:

Titolo: Incendiato il palazzo di Diego della Valle

Svolgimento: MILANO – Danneggiato nella notte il portone della sede milanese della societa’ di Diego della Valle, in corso Venezia. Davanti all’ingresso dello stabile sono stati trovati fogli di carta bruciati e infilati nella cassetta delle lettere. Lievi i danni.

Ed ecco la mia proposta: prepensionamento per tutti i titolisti, sostituiti da qualcuno che dimostri di saper fare una sintesi dell’articolo senza usare la figura retorica dell’iperbole.
Forma/formula_

La prima causa

Siamo troppi. Troppa gente.
Non si può certo fare ecologia (oikos-logos) in queste condizioni.
Proporrei la metà delle persone: potrebbe essere un buon numero.
Trenta milioni in Italia, tre miliardi nel mondo.
La tecnologia ci permette di nutrire tutti, in maniera sana, senza provocare impronte ambientali insostenibili.
Lavorare tutti meno, diciamo 20 ore alla settimana, spendere meno in sciocchezze, e dedicarsi alla cura di sé, spirito mente e corpo, e degli altri.
Dobbiamo essere consapevoli dell’impatto demografico sul pianeta, e lavorare alla sua riduzione:
senza aver soddisfatto questa fondamentale necessità, nessun altro scopo potrà essere realmente raggiunto: non il risanamento degli eco-sistemi, non la pace, non il benessere della persona, non l’affermarsi di una economia più assennata, consapevole ed educata, e per questo motivo perfino molto più benefica e fruttuosa dell’attuale.

Significati stabili, senso negoziabile?

Già qui si disse dell’importanza di una chiara percezione e distinzione tra il pensiero scientifico ed il pensiero tecnologico o meglio tecnoterritoriale.
Perché la matematica e la fisica classica, spina dorsale e dizionario al contempo per i ragionamenti scientifici, costruiscono un linguaggio gergale, ripulito e potente, per affermare verità sì incontrovertibili, ma solo dentro quel linguaggio.
perché la tecnologia è Cultura Tecnologica, non certo solo tecnica, ed è portatrice di pari dignità di valori esistenziali e situazionali, i quali inoltre agiscono proprio in questo mondo, quello in cui viviamo, altamente tecnologico. Intelligenza dell’Occhio e della Mano.

Perché sia chiaro: in tutta italia difficilmente troviamo un luogo “naturale”, ovvero fatto così da Natura senza intervento umano e che sarebbe così tale e quale anche se l’uomo non fosse mai esistito.
Il paesaggio è un oggetto tecnologico, lo dice la parola stessa.
Anche in cima ad una montagna, troverete un tipo d’albero o di cespuglio o di spora o di animaletto che mai avrebbe potuto arrivare fino lì senza una spinta dagli Umana.

Per fare un esempio, qui da me degli alberi che sembrano schiettamente friulani come i gelsi (arrivando in autostrada vi accorgete di quando comincia la mentalità friulana perché i campi sono mossi da filari di gelsi, anziché tavole da biliardo infinite tipo veneto-emilia) in realtà sono alberi cinesi, importati qui nel ‘700 per ricavarne alimento per le larve dei bachi da seta, da cui l’industria tessile: questa è tecnostoria, ovvero percepire una filiera – un reticolo – economica in un ragionamento tecnoterritoriale.

Fatto sta che la velocità tecnologica modifica il senso della realtà (l’ambiente in cui viviamo) in modo così rapido che i significati di eventi e situazioni faticano a stare attaccati, come post-it che si scollano dai documenti di cui intendono rappresentare un nodo concettuale.
in un clima di crisi del significato permanente, l’uomo, in quanto soggetto cosciente che deve necessariamente (?) darsi un senso stabile, vive la sua stessa crisi. Sfaldamento e frammentazione di certezze, credenze, identità, linguaggi, tempo.

Per i patiti di letteratura, la presa di coscienza esplicita di tutto ciò viene spesso indicata da “Uomo senza qualità” di Musil, scritto dopo ma ambientato nel 1912/1913, quando l’Ottocento finisce con il Titanic che va giù. Tutto il Novecento si dibatte in queste tematiche.

Ecco, è cambiato il ritmo della narrazione, del nostro raccontarci il tempo di ieri e di domani.
ieri il senso della realtà era mediato dalla tradizione e dalla temporalità del racconto tramandato, che permetteva di incorniciare il significato crudo degli eventi modellandolo su significati condivisi e resi vivi dall’intera comunità.
oggi l’uomo si trova insensato di fronte agli eventi (in numero sempre maggiore: infomation overload), senza alcuna sicurezza di poter dare alle cose un senso stabile… un uomo dislocato, continuamente esposto alla velocità del mutamento e al sopraggiungere dei più diversi accadimenti.

E visto che il mondo è tecnologico, credo proprio che la cultura tecnologica e tecnoterritoriale (la sua consapevolezza dei limiti ambientali, il suo ragionare sulla trasformazione e sulla connessione, la sua vocazione reticolare e multidisciplinare ed ecosistemica) potrebbe dare delle indicazioni e dei saperi utili alla comprensione del funzionamento semiotico della modernità.

Innovaccination

Ero a Innovaction qui dalle mie parti, tutto un robonòn di fiera dedicata all’innovazione (conoscenza, idee, innovazione) di portata europea.
E ci saran state anche due scintille di innovazione qua e là, ma di creatività ne ho vista poca.
Pochi colori, pochi profumi.
Più che altro applicazioni concrete di idee note (da reti LTSP a rendering 3D), di punti di vista conosciuti (approcci alle bestpratiche, politiche regionali poco orientate alla sperimentazione), insomma poca roba.
e poi queste persone sembravano tutte lavorare per il berlusconi imprenditore ’80, ecco.
tanto per dire, credo che le giacche di velluto fossero in rapporto di una a cento, sennò tutti i maschietti dai 20 in su con completino e cravatta terribol; le fanciulle, molte in minigonna oppure la very terribol combinazione “stivale zuavo” (aahh, adesso ho preso il via, mi sfogo con il post/gossip di mondanità), studentesse bravine o siorette un po’ oltre di trentacinque.
Poi uno, romagnolo, che all’inizio si è fatto coraggio con un “tenere per le palle”, poi ha preso l’abbrivio con un “puttanate” quasi urlato nei toni alti di una finediscorso, e da lì in poi è crisi mistica.
Per trovare uno coi capelli lunghetti ho dovuto andare fino allo stand del DAMS di gorizia, ovvio.
Sembrava un’esibizione di “quanto siamo bravi, se vogliamo” però fatta un po’ col tono di chi ci vuole credere, per darsi ottimismo. la creatività (ragiono di social designing e cultural designing, sì) per me è qualcosa di libero, divertente, meno retto da regole.
No, cambio tutto. sapete? forse i contenuti c’erano. Era la fiera che era malfatta, poco creativa, piatta esibizione etc. etc.
Vabbè, vedrò. intanto mi sono vaccinato. 

TAV e Corridoio 5

La faccio breve: questa lungalunga tratta Lisbona-Kiev s’ha da fare. Perché mi pare sia progettazione territoriale sistemica intelligente, capace di ragionare sul lungo periodo, su ampi spazi. Buone premesse per ottimizzazione, e pensare all’EU e non al cortile di casa. All’Italia queste rotte di comunicazione servono per portare qui persone, più che cose: rimango dell’idea che nell’Industria Globale del Tempo Libero del 2050, l’Italia sarà luogo di turismo, culturale ed ambientale.

Cosa vuoi che faccia l’Italia? Qualità. Qualità alla persona, qualità ai servizi. Le peculiarità diventano le unicità, una volta sul mercato: l’Italia (penso all’arte) è in una posizione di monopolio.

Esempio proporzione Venezia:Italia=Italia:Mondo. Venezia sta all’Italia come l’Italia sta al mondo, ecco.

E se deve passare per le Alpi Occidentali, sicuramente deve passare per la Val di Susa. Però le collettività che risiedono su un territorio hanno SEMPRE il diritto di sedersi nella stanza dei bottoni. E questo non è stato fatto.

Qui in Friuli il Corridoio 5 passerà nella BassaFriulana, ma è dai Romani (via Annia, via Fausta, via Julia, via Postumia, e giù fino in Histria) che il territorio cresce organizzandosi intorno a queste vie di comunicazione, quindi l’impatto è meglio “progettabile”. Han chiesto a qualcuno della Bassa? Non so. Lungo l’asse ci sono strutture interportuali, impianti industriali, porti e aeroporti. Potrebbe andare peggio.

La magagna arriva in Venezia Giulia: fate conto che dove c’è la scalinata di Redipuglia, dove ogni anno viene un qualche presidente a rendere omaggio ai militari morti, là il treno dovrebbe girare a dx per scendere verso Trieste, però DENTRO il Carso, per decine di chilometri, scavando gallerie in rocce friabili come grissini secchi (grotte, unicità ambientale, costi esorbitanti economici e d’impatto) e per questo geologicamente famose… tutto per avvicinarsi a Trieste di 20 km, facendo una gran curva per metà undergroud per poi risalire verso Lubiana a nordest. La Commissione Ministeriale per la Valutazione di impatto ambientale ha fermato tutto, ma vedremo.

La cosa più semplice sarebbe uscire dall’Italia con una linea retta, tra Gorizia e il Carso (toh! il Vipacco e le altre valli, da cui è passato Attila e son passati tutti gli invasori dei Romani e i LongoBardi e i Turchi e siamo arrivati fino a Tito e alla Jugoslavia dove andavo a comprare benzina e sigarette da ragazzo) dritti verso Lubiana (peraltro, bella città).

Autopoiesi e regionalità

Credo che l’attribuzione del nome, definitivo ovvero “il migliore” tout court, dei luoghi antropici di questo miserello pianeta dipenda in ultima analisi solamente dalle scelte di quelli che colà ci vivono. Gli Abitanti, appunto. Se parlando con un niuiorchese pronuncio “Nuova York” lui fa bene a riprendermi, e dirmi “Scusa, la mia città si chiama Niu Iorch” in italiano approssimativo o perfetto. O anche in inglese: (io) “Yes, Nuova York really is a very beautiful city” (John Doe) “Hey, just call it New York!”

Viceversa, mi piacerebbe che chiunque dicesse “Venezia” e “Firenze”, proprio così come il suono che sentite voi italiani mentre pronunciate queste parole. Foss’anche papuaso o guatemalteco colui il quale. Io faccio un favore a tutti, tutti mi fanno un favore, ecco.

E allora ascoltando il telegiornale mi sono accorto che vengono utilizzati nomi geografici peculiari per denominare certe zone italiane, estensioni di territorio in qualche modo capaci di fare concetto a parte, per come vengono pensate dalle popolazioni italiane o anche extranazionali.

Ho fatto una ricerca, e ho trovato questi. Per dirla tutta, credo che questi territori vengano rappresentati nella mente dei parlanti come maggiormente aderenti ad un sentire collettivo (rispetto ad esempio a regioni imposte con un tratto di penna), più vicini ad una percezione antropologicamente fondata del proprio spazio vitale, della collettività di appartenenza, dell’orizzonte della mia vita (che per il 90% del tempo vivo/penso nel raggio di 15km da casa mia)

acquese, alcamo, apulia, aspromonte, ausonia, barbagia, belice, bisiacaria, brianza, bruzio, cadore, campidano, campi flegrei, canavese, capitanata (daunia), carnia, carso, casentino, chiana, chianti, cilento, cinque terre, ciociaria, circeo, colli euganei, dolomiti, emilia, etruria, franciacorta, gallura, garfagnana, gargano, insubria, irpinia, japigia, langhe, lessinia, locride, lomellina, lucania, lunigiana, marcesina, maremma, marsica, martesana, matese, metapontino, monferrato, montefeltro, mugello, murge, ogliastra, piceno, presila, polesine, romagna, romandìola, sabina, salento, sannio, sarcidano, sila, slavia, terra di lavoro, tigullio, tuscia, vallagarina, vergante, versilia, vulture

L’estensione dell’Umwelt sociale, lo bolla/spazio in cui ci collochiamo nel pensarci come individui e come collettività dipende certo dalla prospettiva da cui ci guardiamo: vi è differenza tra l’orizzonte di vita di un celebre avvocato a Torino rispetto al povero falegname in una valle dell’Appennino.

Ma il sentimento di abitare, preso in sé, è lo stesso nei due personaggi. Posso esplorare il sentimento di abitanza nella sua formazione culturale, con strumenti adeguati. In questo caso dovendo scegliere un livello di pertinenza dei codici da analizzare, lo sguardo semiotico si pone su oggetti culturali connotati dal loro essere “etichette” geografiche e socioterritoriali, storicamente collocabili, segno di appartenenza, oggetti vissuti talvolta come orgoglio talvolta come onere. Quasi mai territori troppo estesi. Se ne potrebbero raccontare delle belle… quasi quasi pubblico qui un indice ipotetico per un paper, per sviluppo collettivo.

Scrivetemi per cortesia se trovate inesattezze nei nomi, se ne conoscete altri, se avete notizie capaci di caratterizzare un territorio, etc.

Mi chiedo se si può coprire tutta l’italia con i veri nomi dei luoghi dove le persone abitano, nomi dati da loro stessi entro una cornice insieme mentale e territoriale unica come unico è ogni luogo di questo pianeta.