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Anche YouTube fa booty

Ma chi sono i partner commerciali di YouTube?
Questa la storia: vedo un bottone nuovo su YouTube Italia, che mi chiede se voglio visualizzare, tra i video più visti, anche quelli dei cosiddetti “partner”. Partner di chi? Di Travaglio, il primo della lista? Dei sistemisti che lavorano sul Tubo?

Senonché, clicco.

E mi compare una lista un tantinello diversa, decisamente popolata di femmine discinte, variamente agghindate e congelate nelle tipiche posizioni esibizioniste, secondo l’iconografia classica dei siti pornelli. Ah, quindi qui si intende “partner” proprio in quel senso.

Procedo nelle indagini. Dal glossario di YouTube, apprendo che “Partner (account type) – There is a page under the channels tab with videos from our major content partners”, quindi quelli che si comprano un account speciale beneficiano di una scorciatoia, grazie alla quale i loro video vengono mostrati per bene in una pagina a sé stante.

E siccome dall’invenzione dei massmedia in qua (ad esempio, vasi greci di duemila e cinquecento anni fa) sappiamo che le cose che riguardano il sesso sono ricercate molto più dei pantografi o delle mongolfiere ad aria calda, ecco che i video con contenuti osé salgono più in alto nelle classifiche generate dai comportamenti degli utenti.

Quindi, ricapitoliamo.
YouTube offre visibilità speciale ai propri partner commerciali, ovvero ai fornitori di contenuti; questi ultimi produrranno senza dubbio cose di vario genere, ma di certo pubblicano anche materiale bollente; i fruitori ovvero i soliti milioni di persone cosa possono fare se non folksonomizzare… e infatti ciò che emerge sono le solite cose che si vedevano sui vasi greci, radunate per bene sulla pagina dei *più visti*.

E perché dico tutto questo? Perché mi stavo costruendo un’idea piuttosto romantica, sdolcinata e eroica di YouTube durante la tempesta che si protende verso il cielo urlando la propria indignazione contro il Fato del pornello dilagante, e invece non solo cominciano a essere migliaia le ragazze che ballano seminude nelle loro camerette di adolescenti più o meno ribelli e spediscono video ripresi con la cam, ma i partner ufficiali stessi di YouTube producono cose pornelle e poi invadono gli spazi, usufruendo anche di canali privilegiati.

Uffa.
Parliamoci chiaro, se voglio vedere video di Adolescent Sex vado su pecorine.net e magari trovo anche scene riprese nei bagni del mio liceo… però il sito si chiama così, ci sarà un motivo, so cosa mi aspetta, se la gente ci va ci sarà un motivo, sennò chiuderebbe.
A me scoccia che tutto questo booty sia anche su YouTube, ecco. Che poi le maestre delle primarie non possono usarlo a scuola, e i genitori fanno una capa tanta ai dirigenti scolastici, i quali poi non capendo niente di educazione alla Cultura Digitale (normale ambiente di crescita dei minori) impediscono ai docenti di aprire dei blog, di fare le foto e i video e le webtv come una scuola elementare seria dovrebbe fare oggidì, per abitare la Rete.

Cultura Tecnoterritoriale su Apogeonline

Su Apogeo trovate un mio articolo, tutto dedicato alla Cultura Tecnoterritoriale e all’Abitanza digitale.

Ok, lo incollo qui.

Per una cultura tecnoterritoriale

Abitiamo territori biodigitali, costruiamo oggetti sociali, progettiamo sistemi complessi, espandiamo reti relazionali, popoliamo paesaggi mediatici, agiamo sul futuro. Ma le grammatiche con cui impariamo a leggere il mondo sono datate e non ci aiutano a interpretare.

Nei primi anni Settanta, quando con il microprocessore e il DNA ricombinante s’inventava la modernità post-industriale caratterizzata dall’operatività tecnologica nel dominio del microscopico, vanno rintracciate le avvisaglie dell’epoca di cambiamento che gli Esseri Umani stanno ora attraversando. Da allora, le applicazioni concrete delle innovazioni tecnologiche che arredano la nostra quotidianità hanno trasformato radicalmente gli ambienti di vita e le forme della socialità delle collettività benestanti, introducendo necessariamente al contempo nuovi schemi di pensiero e nuove assiologie di valori: come si suol dire, negli ultimi venticinque anni dello scorso secolo il mondo è cambiato tanto quanto nei due secoli precedenti.

Dalla consapevolezza che una modificazione così profonda degli habitat umani non può rimanere esterna agli individui e alle collettività (vedi Longo, Homo technologicus), ma anzi innesca quei comportamenti sociali concreti da cui poi le persone e i gruppi traggono senso di identità e di appartenenza ai Luoghi, sorgono alcuni interrogativi relativi alle modalità stesse con cui “leggiamo” queste trasformazioni del nostro abitare i territori biodigitali, domande che dovrebbero innanzitutto riguardare riflessivamente proprio la nostra stessa capacità di interpretare la realtà in rapido mutamento. Sappiamo leggere e interpretare? Ovvero abbiamo con noi delle grammatiche aggiornate per decodificare senza troppe scommesse epistemologiche il funzionamento dei nostri ambienti di vita, per poter poi meglio decidere tutti insieme sulla qualità e sul significato della parola “ben-stare”? Stiamo indossando il giusto paio di occhiali? O, prima ancora, sappiamo di indossare un paio di occhiali, quando guardiamo le nostre città, i territori degli insediamenti umani? Se siamo stati culturalmente formati – poco – a cogliere le macro-entità del mondo industriale (ciminiere, capannoni, ipermercati, dighe), siamo oggi in grado di cogliere i segni di una modernità post-industriale fatta di manufatti miniaturizzati oppure totalmente immateriali come nelle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione?

Rimane fermo il fatto che una comprensione del nostro Abitare i territori fisici o digitali in termini di Cultura TecnoTerritoriale potrebbe esserci d’aiuto nella costruzione di modelli interpretativi adeguati alla complessità delle dinamiche sociali in atto, perché i valori propri della Cultura Tecnologica – la consapevolezza di agire sul futuro, la capacità di una progettazione sistemica e contestuale, la necessità di concepire comunque reti per la distribuzione di materia, energia e informazione – permettono di leggere il territorio e i flussi antropici con l’ausilio di grammatiche potenziate e affinate da nuovi sistemi di significazione, in grado di rendere percepibili i flussi fisici delle collettività, le reti relazionali e i processi comunicativi delle rappresentazioni culturali nei paesaggi mediatici.

La consapevolezza dell’abitare in un luogo biodigitale per me è arrivata appunto riflettendo, grazie a buoni libri e a insperati incontri, sulle caratteristiche ormai intimamente tecnologiche dei territori fisici degli insediamenti umani. Sappiamo come in ogni tempo e a ogni latitudine (vedi Righetto, La scimmia aggiunta) gli esseri umani vincano il confronto con la selezione naturale per il semplice fatto di possedere tecnologie dell’intelligenza e strumentali (arnesi, protesi) con cui poter modificare la propria relazione in quanto collettività con l’ambiente che li accoglie, in un dialogo continuo intessuto da parole come “utilizzo delle risorse naturali”, “produzione e distribuzione”, oppure in generale da concetti come materia, energia ed informazione ed il loro vario combinarsi nei manufatti.

Essere un po’ tecnologi e saper leggere il territorio dovrebbe essere una competenza diffusa, visto che noi tutti cresciamo e abitiamo in mondi tecnologici (e tutto questo va oggi moltiplicato per il nostro essere always on, permanentemente connessi). Provate a guardarvi attorno in questo preciso istante: vedrete delle cose costruite, perché noi viviamo in un Ambiente Costruito. Anche se andate in giardino o in campagna, vedrete cose frutto della tecnologia, come piante magari non autoctone geneticamente modificate da secoli di sapienti incroci, oppure in cucina vedrete Oggetti tecnologici come il prosciutto oppure la mozzarella. A pensarci bene, il Paesaggio tutto è il più grande Oggetto tecnologico prodotto dagli Esseri Umani, dove reti di ogni sorta (strade, cavi, fibreottiche, onderadio, condotte, ferrovie) tengono insieme dei Luoghi di produzione e di trasformazione, Luoghi di Abitanza dove vengono manipolate materie prime, oppure l’energia, oppure le informazioni, come nelle botteghe rinascimentali oppure nell’Ufficio dei Servizi Sociali del vostro Comune o in una redazione giornalistica, normali ambienti di vita dove i flussi di relazione e di comunicazione tra gli oggetti e le persone andranno a costituire il tessuto della socialità, in fondo anch’essa rappresentabile come reti di reti.

Se un bambino in quarta elementare comprendesse il concetto di interruttore elettrico, potrebbe forse crescendo comprendere meglio, in modo sistemico, il concetto di impianto, e quindi quello di rete energetica territoriale… potrebbe forse rispondere con maggior cognizione di causa a una domanda che gli si porrà nella sua età adulta, per esempio “che cosa modificheresti nell’attuale sistema della viabilità cittadina? dove interverresti per ottimizzare la distribuzione delle risorse ed evitare sprechi e inquinamento?”. La scommessa riguarda quindi la possibilità di diffondere, a partire proprio dal sistema educativo di base, quelle competenze grammaticali che permettano di leggere il territorio e le sue conversazioni in modo reticolare e processuale (flussi e relazioni, non strutture), nonché consapevole del carattere costruito degli ambienti di vita, nel convincimento che queste scelte interpretative offrano con maggiore probabilità la possibilità di cogliere le rapide dinamiche sociali di quest’epoca di profonda transizione culturale.

Talvolta, senza calcar troppo la metafora dell’hardware e del software, immagino il territorio come la scheda madre di un computer, dove posso ad esempio trovare componenti dedicate alla gestione dell’energia, oppure interfacce, oppure ancora degli archivi di memoria: quanti gradi di separazione ci sono tra l’ufficio comunale dei Servizi Sociali di cui sopra e l’ufficio del rettore dell’Università? E tra la Centrale Idrica e il rubinetto di casa mia? Quali percorsi uniscono questi Luoghi, come si comportano ad esempio i pacchetti di informazione? E soprattutto, il mio partecipare fisicamente e mediaticamente a questi circuiti di comunicazione e di socialità, a gruppi più o meno strutturati delle collettività dove mi esprimo e da cui traggo beni e servizi, in che modo mi costruisce come cittadino e come abitante immerso consapevolmente in un flusso oggi moltiplicato dalle onorevoli Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione?

Proprio come un informatico porrebbe al centro del suo interesse professionale l’interrelazione tra il software e l’hardware, un urbanista digitale tenta di valutare le possibilità offerte alla socialità dalla presenza di ambienti biodigitali, dovenuovi manufatti e nuovi linguaggi ridisegnano la comunicazione interpersonale e l’immaginario delle collettività abitanti (vedi Sterling, La forma del futuro).

 laurenatclemsonCome Abitante, partecipo a conversazioni, e ne ricavo appartenenza. Promuovo qualità dentro i sistemi attuali, perché mettere pannelli fotovoltaici fa crescere (o meglio, decrescere) il territorio da molti punti di vista, così come realizzare percorsi ciclopedonali per far andare i bambini a scuola migliora tutta la qualità della viabilità cittadina, e gli effetti si sentono sistemicamente fino in periferia. Se poi frequento Luoghi web di abitanza digitale, partecipando a un forum tematico sulla rete Civica oppure pubblicando i miei video sui blog urbani dove si tiene traccia dei ragionamenti partecipativi degli Abitanti rispetto alle problematiche locali, contribuisco senz’altro alla costruzione corale dell’identità della collettività di cui faccio parte.

Un pensiero glocale, principi etici relativi al Ben-Stare sul territorio in modo sostenibile e rispettoso dell’impronta ecologica, una certa capacità di autonarrazione delle collettività (di dar senso a sé stesse, autopoieticamente) portano quindi alla delineazione del concetto di Doppia Abitanza come la capacità di manifestare appartenenza forte sia ai luoghi di ricorrente frequentazione ambientale e sociale, sia ambienti digitali in cui si esplicita una frequentazione per temi e campi di interesse e ricerca della proprio stile abitativo, variamente nomade o stanziale.

L’assimilazione di questo cambiamento paradigmatico capace perfino di ridefinire il sentimento dell’Abitare ci porterà auspicabilmente all’aver cura dei territori biodigitali percepiti come casa, all’arredamento degli spazi della socialità: l’urgenza di cartografare i territori digitali in particolare dovrà intrecciarsi con la consapevolezza di avere a che fare con reti di persone e pratiche sociali che si creano e si disfano continuamente, con flussi di simboli e immagini mediatiche dal valore emergente e folksonomico grazie a cui avviene – spesso in maniera conflittuale, quando il cambiamento porta a rinnovare le metafore e le visioni culturali con cui edifichiamo l’immaginario – l’allestimento degli scenari identitari abitati dagli attori individuali e gruppali di questa modernità.

De gangherologia

Ormai la notizia è pubblica, non devo tacere.
Sempre su Bordopagina, trovate anche un ottimo commento/resoconto delle tematiche affrontate, a cura di Roberto.

Insomma, l’altro ieri mattina sono andato a Pordenone, al Liceo, dove ho tenuto pubblica concione nella mia ieratica veste di guru gangherologo.
Sottolineo: sono stato ufficialmente invitato a parlare di gangherologia in una classe del Liceo. LOL.
Perdonate, ma sono soddisfazioni.

Ringrazio di cuore Piervincenzo, un prof. che senza dubbio lascerà segni indelebili di passione per le cose umanistiche a generazioni di studenti pordenonesi, e tutti quei diciassettenni che hanno avuto pazienza e fiducia nell’immancabile arrivo di una campanella che li liberasse dall’obbligo di starmi ad ascoltare, mentre ovviamente cercavo di liofilizzare qualche millennio di storia umana in due ore di cabaret.

Questo post, questo blog rimane per quegli studenti un luogo di libera espressione, per riflessioni e approfondimenti attinenti. Altresì mi dichiaro disponibile a partecipare ad eventuali discussioni da voi intraprese sui vostri blog, sui vostri ambienti scolastici di socialità digitale.

Argomenti: semiotica, leggibilità del mondo, abitudine e forme della conoscenza, analisi di testi massmediatici, antropologia dell’online, generazioni biodigitali, citizen journalism, dinamiche affettive e strategie identitarie dei gruppi (in presenza e online), testo&contesto, grammatiche situazionali, circostanze di enunciazione, Territorio come ipertesto, dinamiche di Abitanza biodigitale.

Si tratta, in fondo, di linguaggi e di grammatiche. Qualcuno alle elementari ci spiega la grammatica della lingua che parliamo, ma nessuno ci racconta da piccoli le grammatiche dei telefilm, delle riunioni condominiali, delle decorazioni delle torte nuziali, dell’astrologia, della moda, dell’economia, degli schemi strategici delle partite di calcio, dei rituali e dei cerimoniali, delle autostrade e dei comportamenti degli automobilisti, la grammatica della idee e quella del dialogo millenario delle collettività umane con i territori su cui abitano, collettività peraltro spesso inconsapevoli della propria impronta ecologica. Questi mille linguaggi che parliamo, linguaggi dentro cui siamo nati, talvolta ci parlano. Noi siamo parlati. Cioè, dicono loro delle cose al posto nostro. Ci agiscono.
E se non possediamo le grammatiche, siamo meno efficienti nel maneggiare operativamente quel linguaggio: magari sappiamo, ma non sappiamo di sapere, non avendo mai nominato quel linguaggio nelle sue parti componenti e nella sua sintassi.

Oppure talvolta siamo tutti concentrati sul testo, sul messaggio, e non badiamo al contesto. Non badiamo alle altre persone e alla circostanza dell’enunciazione, quella situazione reale e concreta in cui quelle parole diventano suono, il progetto diventa edificio, l’emozione diventa gesto.

  • Un testo che sicuramente oggi necessita di re-interpretazione è l’Io, per lo meno nelle sue parti sociali. La nostra identità è biodigitale: traiamo come sempre senso di noi stessi dai flussi comunicativi che ci avvolgono, ma gli strumenti tecnologici di cui disponiamo (Rete, cellulari, flussi audiovideo, reperibilità continua) ci impongono di ripensare le dimensioni antropologiche delle nostre personae, essendo cambiato il ritmo e la quantità di informazioni/relazioni che intratteniamo con gli altri e con il mondo.
  • L’altro testo assolutamente da riconsiderare è il Territorio, da intendere come Ambiente Costruito, e la sua relazione (dialogo) millenaria con le collettività che lo abitano: anche in questo caso è necessario provvedere nuove competenze “linguistiche”, nuovi codici interpretativi (Cultura Tecnoterritoriale) per una corretta lettura/scrittura delle dinamiche abitative in cui siamo coinvolti, dei flussi nomadici o stanziali che attraversiamo nel nostro risiedere sia nel mondo fisico sia nei nuovi Luoghi di Abitanza digitale.
  • L’acquisizione di nuovi strumenti di decodifica della realtà nella sua complessità dovrebbe auspicabilmente portare gli individui e le collettività a una nuova forma di consapevolezza di sé, dove vengono riconosciute l’importanza dell’autopoiesi e le strategie da adottare per progettare un Ben-Stare (concreta forma di ben-essere) fondato sulla tensione etica dell’aver cura degli ambienti di crescita e di vita delle generazioni biodigitali.

Tecnoterritorialità e promozione sociale

  • Il territorio è natura e tecnologia
  • La Tecnologia è cultura contestualizzata molto spesso mal conosciuta
  • Ogni cultura e paradigma storico esprime una propria tecnoterritorialità
  • Siamo in una società glocale e biodigitale
  • Caratteri tecnoterritoriali della società contemporanea
  • Dalla tecnoterritorialità elettromeccanica ed elettromagnetica alla tecnoterritorialità digitale e web
  • Bisogno di nuovi comportamenti e nuove organizzazioni
  • La società del meticciamento
  • La società dell’iconolese e dell’anglese
  • Il borghi digitali e la geografia digitale
  • Verso una diversa urbanistica della doppia abitanza
  • Crescere nuove generazioni in crescita
  • Necessità di antropogia, paradosso della condizione adulta contemporaneo che ‘deve’ apprendere dalle ultime generazioni
  • Rischi di perdita della prima abitanza
  • Rischi di autismo informatico e onirismo mediatico
  • Una nuova creatività: la scoperta del glocale
  • La socialità in rete
  • La necessità di essere abitanti
  • Non si può esercitare la prima abitanza senza il contatto diretto con i luoghi
  • Non si può esercitare la seconda abitanza senza l’interazione nei siti
  • Si è veri abitanti se si ha la doppia abitanza
  • In un mondo complesso non si riesce ad essere soggetti attivi se non si esprime una socialità ampia che però non può poggiare solo sulla relazionalità interpersonale
  • Occorre la dimensione socioambientale
  • Dalla democrazia rappresentativa e della delega alla democrazia partecipativa
  • Riconquista di prospettive di progettazione partecipata

State of the Net

Dal blog di Vittorio Zambardino su Repubblica, incollo qui un’intervista/chat a Sergio Maistrello dove si parla dell’evento “State of the Net” che si terrà a Udine durante Innovaction 2008, e dove poi si prosegue con qualche ragionamento sui comportamenti sociali della parte abitata della Rete, ad esempio in relazione al caso Grillo.

L’8 e il 9 febbraio a Udine si tiene “State of the Net”, lo stato dell’arte della rete, sarebbe il caso di dire “edizione italiana”. Fra gli organizzatori c’è Sergio Maistrello . Quasi per caso su Gtalk abbiamo cominciato a parlarne, e questa ne è la trascrizione, depurata ovviamente di tutte le cose che non c’entrano e delle rozzezze dell’editing veloce, più qualche link.

Tu organizzi State of the Net . Posso dire che se guardo l’immagine che avete messo sul sito (foto in alto a sinistra) capisco che è un altro convegno dove parlerete male dei media e poi andrete a mangiare?

Puoi dirlo, ma non sarebbe del tutto vero. State of the Net è un tentativo di inserire anche l’Italia nel circuito di conferenze internazionali dedicate agli sviluppi della Rete e alle sue influenze sulla società. Il che significa avere interlocutori internazionali (Winer, Mayfield, tanto per cominciare), ma anche uscire dagli angusti dibattiti locali. L’Italia è una provincia, vista con gli occhi di Internet. Si mangerà, certo, ma si parlerà anche con professionisti competenti, a cominciare dal tuo collega Mario Tedeschini Lalli, che non è certo uno che svende il ruolo dei media, no?

Beato Mario, che può girare per convegni e invidio molto il cibo, meno il vino che non posso bere. E sono d’accordo che siamo una provincia. Ma uno dei modi per non essere provincia è fare tendenza in proprio senza importare le idee degli altri. Almeno questo penso io

Hai ragione, ma forse è necessario che l’Italia maturi ancora un po’ per fare tendenza a sé. Siamo spesso capaci di grandi aperture, ma nel contempo abbiamo una retorica sulle cose di Internet e un racconto delle tecnologie da paese medioevale. Mi piace pensare che occasioni come State of the Net, nel loro piccolo, riescano a dare un contributo in questo senso. Quanto meno questo è lo spirito con cui stiamo organizzando la conferenza (non solo io, l’idea è di Beniamino Pagliaro, ci lavora anche Paolo Valdemarin e ci sostiene la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia).

Se ti chiedessi di fare la sintesi dei contenuti di state of the net in cinque righe, cosa mi risponderesti?

Due giorni, li abbiamo chiamati “oggi” e “domani”. Oggi parliamo di numeri, economia, esperienze aziendali, comunicazione allo stato dell’arte. Domani approfondiamo le influenze su informazione, società, politica e cultura. Il tutto condito da tre keynote di indirizzo: Dave Winer, Ross Mayfield e una sorpresa che annunceremo nei prossimi giorni. Sono stato in cinque righe?

Dipende da come si intende la lunghezza delle righe, in quelle delle 61 righe di giornale, no, ma quella è una misura antiquata, nella quale voi non volete stare, con qualche eccezione di giornali amici

Touché. Pensa che sulla rivista online che mi capita di dirigere (Apogeonline) ho sostanzialmente abolito le misure, entro limiti ragionevoli. Se parliamo di Internet, non mi riconosco nei tempi imposti dagli standard del web design: c’è spazio per tutti/tutto, decide il lettore. Se parliamo di giornali, invece, le 61 battute per righe sono un limite che da buon giornalista nato sulla macchina per scrivere tendo a onorare.

61 poi erano solo a Repubblica…, fai bene a citare il tuo Apogeo on Line che è una delle poche realtà di informazione tecnologica che leggo con piacere – insieme direi a Punto Informatico e ai ragazzi di VisionPost
Ora tu non pensi che sia venuto il momento in cui si potrebbe smettere con la fase della “rete che parla di sé” e cominciare con la parte abitata della rete (l’autore di questa definizione dovresti conoscerlo) che parla del mondo? E ne parla con i media, con le forze economiche… Perché così, dico, viene meglio fuori chi siamo, perché se uno è un soggetto economico con degli interessi non smette di esserlo solo perché abita la rete…

Sì, lo penso. E mi sento di dire che è pure lo spirito con cui nasce State of the Net: non intendiamo parlarci addosso di rete, ma parliamo di realtà a confronto con la rete o di scenari in cui soggetti economici o semplici cittadini del mondo si troveranno verosimilmente a vivere. Senza alcuna ancora ideologica. Voglio dire: non è necessariamente tutto perfetto, non è tutto scontato. Ne parliamo, appunto.

Avrai seguito i commenti al post di Gilioli sull’intervista mai fatta a Grillo. Si pone una questione che mi è cara: che secondo me le dinamiche base della rete possono essere girate e usate in modo ideologico, manipolatorio dell’informazione, in modo fortemente equivoco.
Il caso dei “grillini” dimostra che si tende a vivere come vere notizie ciò che sono solo affermazione apodittiche. Non pensi che sia ormai matura una critica delle forme di “coscienza”, di auto consapevolezza della rete?
Intendo gli stessi strumenti della reputazione, della discussione, della disseminazione noi li viviamo e io li propongo in ogni sede, anche non pubblica, come strumenti di democrazia, di cambiamento e rigenerazione dei media. Poi il primo esempio concreto in cui il fenomeno prende massa critica è invece un caso clamoroso di manipolazione

I meccanismi della reputazione e dell’autoregolazione del sistema abitato della Rete funzionano se giochiamo tutti allo stesso gioco. Grillo non sta giocando il gioco che spesso invece adora sbandierare ai quattro venti. Il caso Gilioli-Grillo ne è una conferma non tanto per l’intervista mancata, che pure è un segnale estremamente interessante, quanto per la completa assenza di ogni partecipazione del comico al vasto dibattito che questi giorni lo sta interessando. Che questo produca storture come la massa di sostenitori acritici che si automotivano per abbattere in modo violento e non costruttivo ogni critica sul loro guru, mi sembra una conseguenza (allarmante, certo) di un gioco della Rete condotto senza trasparenza, ascolto e confronto aperto. E che umilia chi, tra i sostenitori di Grillo, ci crede davvero e prova a percorrere la propria via al cambiamento. Questo, sia ben chiaro, al di là della battaglia in corso da Grillo, parlo di metodo. Quindi, per rispondere alla tua domanda: io credo ancora e molto nella coscienza e nell’autoconsapevolezza della Rete, come le definisci tu. E non riconosco Grillo come un prodotto della parte abitata della Rete, per quel che conta. Dimostra semmai che è necessario investire molto su un racconto serio di Internet, elevando gli anticorpi di ciascuno piuttosto che limitando la portata dello strumento o negandone parte delle virtù.

Purtroppo io sono meno ottimista di te: penso cioè che lo strumento (le tecnologie abilitanti) siaquello che è, una rivoluzione, ma come tutte le rivoluzione si porti dentro la sua degenerazione.

Io ho un’ispirazione gandhiana, in questo. La rivoluzione è dentro noi. Gli strumenti abilitano e modificano le percezioni. Ma il cambiamento dipende da noi, oggi come un secolo fa. Per questo la Rete, che pure è un’innovazione meravigliosa, da sola non serve.

E su Gandhi siamo tutti d’accordo, anche se Gandhi era contro le ferrovie e contro i farmaci.

Città always-on

In questo blog miracolosamente intatto dopo un parziale rifacimento grafico, esordisco nel duemilaeotto con un post squisitamente gangherologico.

Mi trovo infatti a riflettere sulla forme di arredamento urbano da progettare per marcare quei Luoghi territoriali connotati dalla presenza di interfacce verso i Luoghi di abitanza digitale. Ovvero, dove la città atomica e quella digitale si toccano incontrandosi fisicamente in una interfaccia, come un totem elettronico o una panchina-wifi in una piazzetta (interfacce come i polmoni, come le stazioni, come i rituali) .

La tecnologia TIC diventa visibile nei paesaggi urbani, mostra le intersezioni dei nostri ruoli sociali nelle comunità biodigitali, con i nostri movimenti e le nostre tracce attraverso le città, e la nostra interazione con i Luoghi e gli artefatti pubblici.

Mimetizzare questi manufatti? O al contrario evidenziarli e connotarli, rendendoli espliciti segni di valori di abitanza biofdigitale? Luoghi sociali fisici di partecipazione mediatica? Come rendere visibile la rete dell’e-democracy? Come proporre delle attività sociali, che siano utili per scoprire rapidamente nuovi utilizzi urbani delle TIC e suggerisca delle metriche per la valutazione degli interventi, che siano provocatorie (un approccio tipo land-art?) eppure facilmente fruibili per il cittadino? Come progettare interventi sociali che diano buone indicazioni di feedback da reintrodurre nel ciclo di progettazione, ma capaci al contempo di far esperire dimensioni di socialità anche ludica o foss’anche politicamente partecipativa, però sempre con un approccio light, consapevole della user e della group experience? Conviene ragionare per “incursioni sul territorio”, dove dislocare improvvisamente interfacce anche temporanee d’interazione, piuttosto che proporre subito strutture disegnate e costruite in cemento? E dentro quale clima affettivo avverrà il cambiamento dei comportamenti? E’ possibile ipotizzare un certo orgoglio cittadino per la modernità e la qualità dell’offerta dei servizi, su cui poter contare per approntare quei contenitori di comunicazione adeguati alla partecipazione delle collettività dove emergeranno sentimenti di appartenenza e di identità personale e gruppale?

Telefonini, megaschermi, twittervision e flickrvision, blog urbani, webtv dal basso, rilevazioni dei flussi delle collettività, segnaletica dell’abitanza… sarà da colorare degli angoli della città di arancione e dipingere su un muro il logo del feedrss, per indicare le Luoghi territoriali caratterizzati dalla presenza di molte porte pubbliche verso la città digitale? E come sono fatte queste porte (ecco il gangherologo che si agita)?

Di porte di questo tipo, capaci di mettere in contatto due mondi, a me vengono in mente quella di Stargate, il filmone, e lo specchio di Alice. Entrambe ad un certo punto diventano “liquide”, attraversabili. La trasparenza delle interfacce.

Ragionarci sopra, a tutto ciò, include l’obiettivo delle scienze sociali di raccogliere informazioni circa l’uso e gli utenti della tecnologia in un mondo reale, l’obiettivo ingegneristico del test sul campo delle tecnologia impiegate, e l’obiettivo progettuale di ispirare gli utenti e progettisti ad immaginare nuove forme di tecnologia per sostenere le loro necessità e i loro desideri, o viceversa a rendere praticabile delle forme di socialità interumana prima mai esperite.

Ed è giusto sottolineare, decrescendo felicemente, che la tecnologia TIC del networking e del socialweb, esondando dagli uffici e riversandosi nelle strade e nelle case, non deve necessariamente recare con sé tracce di quei valori riferiti al “luogo di lavoro”, come l’efficienza e la produttività a scapito delle altre possibilità. Se sperimentazione ha da essere, in questi tempi pionieristici, allora che sia libera e coraggiosa, e talvolta magari financo un po’ futile ma divertente, nella consapevolezza che dal moltiplicarsi delle pratiche spontanee di Doppia Abitanza emergeranno immancabilmente i nuovi comportamenti sociali delle collettività connesse.

Rappresentazioni mediatiche delle identità collettive territoriali come processi di Abitanza biodigitale nell’EuroRegione AlpeAdria. MittelCamp. Yess.

Dall’altro ieri non ci sono più frontiere, borders, confini, dogane, sbarre tra l’Italia e la Slovenia.
Anzi, con perigliosa manovra, Illy gli sloveni e un mucchio di sindaci di qua e di là (locuzione obsoleta) le sbarre dei valichi le hanno materialmente segate – è sempre commovente vedere quanto senso sgorghi da un bell’atto simbolico – e poi festa dappertutto.
Questo significa che la prossima estate io prendo la Vespa e vado dritto verso est fino al lago Balaton, e nessuno mi ferma.

Quindi, Enrico Marchetto ed Enrico Maria Milic con Bora.la e SWG han messo su il MittelCamp, dove provare a “costruire nuove relazioni, amichevoli e fruttuose, tra persone diverse che vivono nella nostra regione Mittel-Adriatica e fuori di essa. Questo può essere il primo passo di molti altri per sostenere e scatenare una rete transfrontaliera che si dà da fare sulla politica, l’arte e la cultura, l’informazione e l’economia.”, come dice il wiki. E la diretta webtv andava benissimo.

All’inizio c’è stata una serie di interviste a personaggi varii, si è parlato un po’ di cultura qui e là e sopra e sotto, giornalisti e aneddoti, vogliamoci bene. Mi sono piaciute le parole di Jani Sever, quando riguardo la questione della lingua ha risposto che ognuno dovrebbe parlare la propria, mostrarla agli altri perché conoscere qualche parola straniera è già bello, e poi ci pensi la tecnologia a rendere tutto comprensibile per tutti.

Il buffo è che oggi è uscita questa notizia sul blog di Stefano Mainardi, ripresa credo anche dai Googlisti, dove si spiega come aggiungere un bot di traduzione istantanea, via Google Translate, ai propri contatti di GTalk su GMail, poi avviare delle chat di gruppo con sloveni e austriaci, invitare anche il bot ad esempio it2en@bot.talk.google.com per tradurre dall’italiano all’inglese (avvertire Google che ci serve qualcosa per lo sloveno) e parlare tutti contemporaneamente nella propria lingua e leggersi gli uni con gli altri in inglese.

Per dire, se questa cosa fosse stata pubblicata ieri, il MittelCamp sarebbe stato completamente diverso, perché magari ci si sarebbe orientati decisamente verso un bel discorso collettivo dove provare a individuare alcune possibilità pratiche di costruire ambienti biodigitali condivisi per fare Rete qui nella Regione AlpeAdria.

Vado per punti elenco, ché qui ci sarebbero da dire un mucchio di cose:

  • è necessaria una colossale opera di allestimento culturale dei nuovi contenitori dell’Abitanza biodigitale
  • dobbiamo costruire il passato, cerchiamo di esserne criticamente consapevoli, nel momento in cui arrediamo ambienti digitali connotati territorialmente
  • tutte le fonti informative (blog, agenzie, testate giornalistiche, communities tematiche) dovranno essere raccolte e rese disponibili in forma centralizzata, o comunque taggate adeguatamente: questo per cominciare a costruire il futuro, che poi anche se nessuno fa niente emerge dal calderone delle conversazioni
  • quindi voglio un aggregatore che tenga traccia di tutte le fonti informative AlpeAdria suesposte, di ogni blog, e offra di ogni singola riga di testo una traduzione in inglese – cioè il cammino è blog – > feed – > traduttore -> aggregatore collettivo, questo perché a forza di leggere anche solo due post al giorno di blog sloveni o austriaci aggregati so che tra un anno mi sentirò un po’ più Mittel, e capirò di più e magari potrò anche dare il mio contributo almeno informato
  • pian piano emergeranno le rappresentazioni mediatiche delle collettività territoriali, e sarà interessante vedere le connotazioni che prenderanno i Luoghi delle tribù telematiche; o forse pensiamo che il proverbio secondo cui gli istriani sono tirchi varrà anche nei nuovi mondi digitali? forse emergerà da eBay?
  • vanno alimentati tutti i possibili legami capaci di aggregare persone secondo tematica condivisa, al di là della prossimità fisica
  • che a nessuno venga in mente di “progettare troppo”, perché quando si cerca di impostare dei contenitori di comunicazione, e si è consapevoli che la qualità dei contenuti viene dal basso, è controproducente pensare di potersi prefigurare e quindi a priori incanalare flussi di comunicazione spontanea dentro spazi o tag predefiniti: meglio lasciare che emergano alcune prime configurazioni discorsive di superficie, nel pentolone mediatico, che in seguito come “attrattori strani” nei frattali coaguleranno intorno a sé comportamenti tribali e gruppi di interesse sui quali si può lavorare, per ottimizzare e moltiplicare le occasioni e gli strumenti di dialogo
  • ragionare per group-centered design, come dice Mucignat, è quindi preferibile a ragionare per user-centered design, perché pone in giusto rilievo le dinamiche dei flussi informativi e di opinione
  • quello che noi ex gente di confine bisogna fare ora è sognare la cultura condivisa che vogliamo, darne rappresentazione quasi onirica nella produzione giornaliera di tutti i blog di questo Territorio austroitalosloveno, in tutte le immagini che vengono caricate su Flickr taggate AlpeAdria, e ognuno di noi sarà al contempo sinapsi e deposito di tracce mnestiche nelle communities biodigitali, dove importare la cultura pre-digitale, donarle contesto e quindi senso polivocale, e dove costruire exnovo, ora che i confini non hanno più senso, un’identità multipla e autonarrantesi delle collettività territoriali coinvolte
  • consapevolezza che i linguaggi sono molti, e un qualsiasi mashup serio su Youtube già mostra alcune linee su come avverranno le ibridazioni culturali e la nascita di nuovi macro-significanti delle dinamiche abitative
E per mostrare cosa intendevo dire, sono andato su Dreamlines e ho scritto le parole chiave “confine, italia, slovenija” e insomma a me quel costruirsi irripetibile di percorsi di senso è proprio buona metafora di come il nostro sognare/navigare/viveresimboli per libere associazioni nella quasi-mente della Rete produrrà nel suo fare quotidiano quelle rappresentazioni mentali affettivamente connotate (linguaggi veri, dal basso, parole parlate, folkso) delle collettività territoriali, rappresentazioni con cui ciascuno di noi costruirà le proprie idee di partecipazione e appartenenza ai nuovi territori biodigitali, senza confini.
La foto di Katja Vukcevic in alto è di Novecentino, presa qui.
Saluto Elena aka DelyMith e Andrea Cips Buoso, senza blog ma non ci credo, ha troppe cose da raccontare; ciao a Mauro Missana con cui mi sono concesso un bel pomeriggio/sera a Trieste, che a noi udinesi sembra proprio una metropoli, dove anche i locali piccoli hanno dei bei palchi per far suonare la gente, e potrebbe veramente essere la capitale d’Europa.

Abitanza digitale a Pordenone

Alla fine a Pordenone l’altro giorno ho passato un pomeriggio piacevole, con una platea abbastanza folta e incuriosita da questo progetto cittadino della connettività wifi con eDemocracy incorporata che li riguarda direttamente. Un signore di una certa età ha voluto sapere per bene eventuali spese tasse balzelli, ma gli è stato assicurato che la connettività è garantita gratuita per i cittadini e anche per quelli che vengono da fuori, con delle password specifiche.

A me piacerebbe sentir dire che si tratta proprio di un diritto dei cittadini, dalla nascita. Diritto di banda. Ci arriveremo. E misureremo anche il grado di civiltà delle collettività planetarie in base alla banda disponibile pro-capite, dice uno che conosco.Ad un certo punto nella mia relazione – la trovate a questo indirizzo, per provare l’ho fatta con GooglePresentazioni – racconto di come in questo momento storico di edificazione “urbanistica” degli spazi sociali online sia credo importante riuscire a costruire collaborativamente da parte degli Attori sociali di un territorio una grammatica dei Luoghi rilevanti, dove alla semantica dei nodi delle reti socioterritoriali esistenti (PA, proloco, servizi, terzosettore, associazioni, gruppi, sportivi, parroco, scuola buddista, comunità cinese, biblioteche, negozi, imprese, etc.: ciascuna entità produrrà e manterrà una immagine di sé dentro la Rete Civica online) bisogna aggiungere una sintassi delle relazioni tra i nodi: qui un valido aiuto lo offre la Cultura TecnoTerritoriale, nel mostrare le reti tecnologiche di produzione e distribuzione che da secoli innervano il Comune di Pordenone, e che vanno mediaticamente rappresentate nelle linee relazionali tra portatori di interesse, dentro le comunità digitali territoriali.

E’ argomento che mi affascina molto, questo della costruzione delle identità web come rappresentazione o ri-modellazione delle collettività territoriali. C’è di mezzo un passaggio, un accorrere di simboli, avatar gruppali.
In realtà si tratta come al solito di identità in progress, che auspicabilmente saranno in grado di narrativizzare sé stesse, sapranno leggersi, e quindi progettarsi (dopo il saper leggere, il saper scrivere) coerentemente con i valori di Abitanza digitali che emergeranno dal calderone delle community.

Questo comporta però una postura progettuale attenta alle strategie identitarie dei gruppi sociali e relative dinamiche comunicative, ma soprattutto una consapevolezza sui limiti stessi del progettare: come sento dire da più parti, bisogna progettare meno. Lasciare il tempo alle cose, aver fiducia.
Soprattutto poi quando si cerca proprio di trarre indicazioni di tipo folksonomy nel progettare flussi informativi e relazionali, potrebbe essere buona cosa approntare dei contenitori generici o comunque abbastanza destrutturati (la cosa può creare ansia, ma si può fronteggiare con linguaggio appropriato e procedure snelle) dove possano incontrarsi le idee e nascere dei motori di socialità digitale.

Saluto nuovamente Sergio, che sta facendo un ottimo lavoro per la sua città, e gli auguro buon viaggio e buon divertimento verso questo convegno eccezionale di Matera, intitolato “La nuova grammatica digitale per comunicare la promozione del territorio. Dai linguaggi della rete all’esperienza di Second Life”; già aspetto impaziente le relazioni online degli invitati.

e-Democracy a Pordenone

L’11 dicembre, martedì pomeriggio, sarò ad un seminario pubblico (vedi invito) organizzato dal Comune di Pordenone, per parlare in qualche modo dei valori civili dell’Abitanza digitale.

O meglio, come rappresentante dei NuoviAbitanti (qui il blog), cercherò di indicare alcune strade progettuali che meglio potrebbero contribuire alla realizzazione di una rete civica territoriale – su infrastruttura wireless: questo l’intento di Pordenone – dove sia possibile veder fiorire delle iniziative sociali di partecipazione della collettività ai processi di governo del territorio, ovvero riuscire a vedere un po’ di e-Democracy.

In queste cose, c’è di mezzo l’Economia del Dono, un pizzico di Decrescita Felice (ultimamente sono molto interessato alle Fattorie Sociali, perché la Rivoluzione partirà dal settore Primario, rurale prima ancor che agricolo; ma questa è un’altra storia), la promozione di una consapevolezza tecnoterritoriale quale fondamento dell’Abitanza biodigitale, l’attenzione ai gruppi territoriali e relative reti sociali quali motori dell’identità collettiva pordenonese, per come quest’ultima emergerà nei Luoghi mediatici, ovvero quella cangiante rappresentazione di sé che sarà coralmente e quotidianamente messa in scena dai futuri Abitanti di Pordenone WiFi.

Strategie identitarie e dinamiche (anche affettive) dei gruppi, però online, attraverso la mediazione delle TIC e del web evoluto: già mi vien da pensare che tra poco emergeranno nella Rete molti Luoghi fortemente legati al Territorio (ovvero i luoghi di e-Democracy) e sarà possibile praticare una stilistica delle rappresentazioni mediatiche delle diverse collettività umane.

Per fortuna, all’incontro a Pordenone ci sarà anche Sergio Maistrello: è davvero un piacere poter ragionare con lui di Abitanza digitale.

MittelCamp

Pasteris è lontano almeno 600km da qui, e parla di MittelCamp.

Enrico Marchetto pure me ne ha parlato, al punto da convincermi, me pur pigrissimo, a partecipare alla deconferenza che peraltro si preannuncia succulenta (in realtà, gongolo).

Di cosa potrei parlare? Di quando nei fine anni ’80 andavo a Vencò oppure a Gorizia a far benzina e a comprare stecche di sigarette? Degli etti di carne squisita che ho mangiato vent’anni fa in quanche paesello nei boschi oltreconfine? Di come Sandy Marton abbia plasmato le mie idee sulla gente slovena? O di quella volta che in Vespa, sperduto nei boschi a 20 km dalla civiltà, ho attraversato un valico di categoria z, di quelli per i trattori, e due finanzieri sono usciti da una casetta mimetizzata con le pistole in pugno e anzi uno me la stava anche puntando contro perché era ovvio che stavo esportando armi e droga in Slovenia?


Ecco, immaginateveli questi due finanzieri da soli in mezzo ai boschi per settimane senza veder animaviva, mentre in tanga rosso fuoco si inseguono garruli tra gli alberi e la neve. Cioè, io li immagino così, mi fa più allegria e mi rasserena col mondo.

Ecco, io da bambino guardavo anche TVZagabria e Koper Capodistria, e su quest’ultima c’era una sigla di avvio trasmissioni con una statuina di un bambino che suonava il flauto e la statuina ruotava lentamente su sé stessa, e rimanevo incantato. E la Slovenia era esotica.

Son talmente pigro, dicevo sopra, che adesso incollo qui quello che ha scritto Pasteris.

Il 22 dicembre la Slovenia festeggia a Rabuiese, in presenza di Barroso, l’abbattimento definitivo dei confini. Il MittelCamp sarà una festa dedicata alla caduta dei confini tra l’Italia e la Slovenia, una festa dedicata a tutti coloro che questi confini li hanno abbattuti molto prima: i blogger, le riviste online, le comunità virtuali che da sempre si occupano di tematiche Euroregionali.

Venerdì 21 dicembre, a partire dalle 16 e 30, all’interno dello spazio messo a disposizione dall’associazione culturale Etnoblog si alterneranno gli interventi degli ospiti. A seguire dalle 21 e 30, al Tetris Palace per una grande festa, un vero e proprio EuroParty, per ballare fino a notte fonda.

Aah, ballare. Coi lupi.

Progettare tra mentale e virtuale

Copioincollo un bell’articolo di Gianandrea “Ibridazioni” Giacoma, relativo all’emergere nella nostra vita quotidiana di certi artefatti cognitivi, alla progressiva “trasparentizzazione” delle interfacce, alla progettazione dell’esperienza del fruitore nei nuovi ambienti sociali.

Nel mio intervento a Frontiers of Interaction III ho cercato di proporre una veloce e generale riflessione sulla recente diffusione del virtuale come parte di un processo più ampio di “emersione” della nostra mente, messo in atto dagli artefatti cognitivi.

Partendo dal presupposto che da secoli gli artefatti cognitivi estendono, memorizzano, diffondono e potenziano la possibilità dei contenuti mentali (conoscenze, idee, fantasie, desideri, intezioni, ecc.) di agire sul mondo e di influenzare più persone, oggi, con i recenti sviluppi della ICT, questo processo ha raggiunto livelli tali che permettono una prima possibilità di diffusione del virtuale in varie forme.

La distanza tra la nascita di un pensiero, la possibilità di trasformarlo in un contenuto rielaborabile, comunicabile e condivisibile, fuori e oltre noi, è sempre più facile, efficace, vario e potente. E’ in atto un processo di progressiva dilazione del canale di emersione e influenza del mentale sul mondo. Il quotidiano esercizio di trasformazione di un nostro contenuto mentale su di un “supporto” per memorizzarlo, comunicarlo, condividerlo, rielaborarlo e la visione di crescenti contenuti generati da altri utenti, mette in atto un processo di naturalizzazione di questa tecnologia, rendendola “trasparente” nella sua vincolante materialità. In modo, più o meno consapevole, ogni anno che passa siamo sempre più immersi, interessati, vincolati alle nostre idee e fantasie che viaggiano, si difondono, si moltiplicano e ci influenzano sempre di più, come mai nella storia dell’uomo.

Questa evoluzione tecnologica, culturale e psicologica accellera ulteriormente un progressivo movimento (già in atto da molto tempo) di destrutturazione di un mondo passato, lento, vincolato alla materialità, che non riesce a tenere il passo. Si potrebbe dire che la materialità tecnologica (nel senso di hardware) che ha permesso questo salto “esiste” solo quando manca, mentre invece ”scompare”, diventa “trasparente”, quando c’è; l’hardware diventa il vincolante presupposto da cui emergere ma al quale non ci si può più ridurre (vedi il concetto di emergenza).

A mio parere, per capire la recente diffusione del virtuale è importante inserirla come parte di questo salto tecnologico e di Cultura di Interazione. La tecnologia e soprattutto un crescente numero di utenti sono oggi in grado di ricollocare la “materialità perduta”, le riduzioni dello spazio e del tempo, in un nuovo “luogo”, che si aggiungerà alle “pagine” del Web e alle “cose” del mondo, ampliandole. Solo adesso siamo tecnologiamente e culturalmente in grado di aggiungere il virtuale a quel costante processo di estensione e diffusione della mente.

Collocare il virtuale in questa lunga e complessa mediazione tra mente e mondo, messa in atto dagli artefatti cognitivi, ci può aiutare a capire come “l’immedesimazione” sommata alla “immersione” (intesi come processi fondanti la virtualità) portino in superfice parti più profonde della mente creando la necessità di passare ad un altro livello che è quello dell’emersione della Psiche. Infatti, il processo psichico di immedesimazione (identificazione cognitiva ed emotiva con un personaggio e/o alter ego) sommato a quello di immersione (esperienza percettiva, cognitiva ed emotiva di essere “gettati in un mondo” altro) può creare una leggera alterazione di coscienza (di varia tipologia e grado) che apre un canale tra l’esperienza nel mondo virtuale e il nostro inconscio.

Capite che, a questo punto, progettare una esperienza immersiva diventa qualcosa di molto complesso e si aprono nuovi scenari sulla diffusione e l’uso che si può fare del virtuale. Un esempio, può essere ragionare sullo stato dell’arte della progettazione in Second Life non dimenticandosi comunque che c’è stato un virtuale prima e ci sarà un virtuale dopo Second Life.

A mio parere, negli anni futuri, gli scenari di diffusione del virtuale oscilleranno tra un uso estrinseco, come applicazione, come interfaccia grafica (più adatta per certi contesti e fini) rispetto alle solite metafore delle pagine e delle cartelle, oppure come assistenti virtuali , e un uso intrinseco, per il gusto dell’immersione stessa intesa come “esperienza”.

In particolare credo che la progettazione delle immersioni possa diventare nei prossimi anni molto importante nel mondo della comunicazione (pensiamo alla società della conoscenza in cui gli utenti, clienti, pazienti, studenti, cittadini, saranno sempre più attivi e vicini alla conoscenza, alle istituzioni e alle aziende grazie alla rete), del marketing (si parla già di marketing esperienziale), dell’intrattenimento (dove i videogiochi saranno l’avanguardia che condizionerà e ibriderà tutti gli altri prodotti come Cinema e TV), della ditattica, della riabilitazione e per creazione di prodotti e servizzi che non riusciamo ancora da immaginare.

Abitanza digitale

Incollo qui le parole della responsabile per la Società dell’Informazione e Media della Commissione Europea Vivane Reding, per come riportato da BeppeGrillo nel suo blog.

“La situazione italiana è molto chiara: in Europa il tasso medio di penetrazione della connettività è del 18%. l’Italia si attesta intorno al 17%, quindi sotto la media europea, ed è del 20% sotto il dato migliore. Credo che l’Italia possa davvero fare meglio, ma c’è qualcosa di più preoccupante, cioè la copertura dell’accesso.
Guardiamo le persone che vivono nelle città: hanno accesso alla banda larga. Ma appena si esce dalle città le persone non hanno alcun accesso alla Rete. Sono ciò che chiamo “macchie bianche”, sulla mappa. Abbiamo troppe macchie bianche ed è una situazione che va cambiata perché credo che tutti abbiamo diritto all’accesso alla banda larga in una società che voglia svilupparsi in modo omogeneo.

Nel mondo, i quattro migliori Paesi per tasso di penetrazione della connettività sono europei, mi riferisco a Danimarca, Olanda, Finlandia e Svezia. Bene. Ma abbiamo una coda orribile, con tassi bassissimi e questo, ovviamente, abbassa la media al 18%, quando i player migliori hanno un tasso del 20% più alto e la differenza con i peggiori è del 30%.

E’ evidente che nei Paesi dove il tasso è alto c’è concorrenza nel mercato. La concorrenza porta investimenti, innovazione e ciò permette l’accesso prima di tutto agli enti pubblici, cittadini anche a prezzi accettabili. Quindi, il punto centrale è investire in concorrenza e innovazione che spingono in basso i prezzo e l’accesso verso l’alto. Questo è il motivo per cui devo promuovere le riforme in favore della concorrenza, che è il cuore dello sviluppo.
Più offerte ci sono meglio è.

Credo che tutte le tecnologie vadano usate perchè sono complementari. Infatti, non è molto economico portare la fibra ottica in un paese di montagna, ma si può usare il WiMax, è logico. Anch’esso dovrebbe essere introdotto con la competizione tra differenti aziende e la migliore dovrebbe fornire il servizio. Ma fornire il servizio è la cosa importante, non come viene introdotto. Io sono contraria a tutti i monopoli perchè non portano concorrenza. Se non c’è concorrenza non c’è accesso, è chiaro. Se ci sono più provider i cittadini possono scegliere e i più informati possono scegliere l’offerta migliore.

Questo è il motivo per cui nella mia riforma è previsto l’obbligo per i provider di informare davvero i cittadini. La trasparenza è una regola fondamentale.
Non credo che ci sia conflitto di interessi. Credo solo che sia da incentivare la concorrenza. Alla gente non interessa chi gli fornisce la banda larga. L’unica cosa a cui è interessata è avere il servizio a un prezzo decente.

Non è importante il “brand”, non è importante l’operatore. E’ importante che sia fornito il servizio. E il modo migliore per farlo è in un mercato concorrenziale.
Se libero accesso significa gratuità, non sono d’accordo. Ma se vuol dire che si possa accedere liberamente all’informazione, questa è la grande battaglia che sto combattendo, in nome dell’Europa, alle Nazioni Unite in termini di Internet governance: ho spiegato con parole molto determinate che copiare le informazioni non è la strada che Internet deve intraprendere.
Crediamo che la creatività e le libertà individuali debbano potersi esprimere in Rete e questo è il motivo per cui crediamo in una Internet libera non solo in Europa ma a livello planetario. Questa è la ragione per cui insistiamo, e l’abbiamo fatto alla conferenza sulla Internet governance a Rio, nel dire che Internet, l’informazione, deve restare libera e senza ostacoli. Il Web 2.0 è la nostra risposta a coloro che cercano di impedire che le persone siano informate.
La mia opinione è che i blog debbano restare liberi, che la creatività e l’espressività dei blogger non siano limitate.

Ovviamente i blog non possono essere criminali, lasciatemelo dire molto chiaramente – non credo che nessuno voglia aiutare i blog criminali – ma a parte questo i blog devono restare aperti, dovrebbero… devono dare alla gente la libertà di esprimersi, di dire quello che vogliono, di criticare i politici se lo vogliono. Credo che noi dovremmo imparare a (comprendere) le critiche sui blog. Io amo i blog, sono un ottimo strumento di libertà di espressione.”

Viviane Reding

Wi-fi territoriali e Abitanza attiva

Vedete, parecchie Pubbliche Amministrazioni locali (Comuni più o meno popolosi, Comunità) di questi tempi stanno pensando o vengono loro proposti dei progetti per la realizzazione di una copertura territoriale in tecnologia wi-fi, per offrire a tutti i cittadini la possibilità di usufruire di una connessione veloce a Internet, indipendentemente dall’essere fisicamente connessi via cavo con una centralina ADSL.

Personalmente (confortato da Quinta) credo che il discorso della “fibra fino a casa” (FTTH, Fiber To The Home, ovvero collegare tutte le abitazioni nazionali in fibra ottica) non dovrebbe essere rapidamente accantonato, perché se è vero che sarebbero da sborsare un mucchio di quattrini per la posa dei cavi, d’altro canto in quanto a capacità tecnica della Rete saremmo a posto per i prossimi cinquant’anni. E badate che l’argomento sarebbe da inquadrare in un ragionamento serio, pari almeno alle discussioni presenti nell’opinione pubblica putacaso sulla TAV o sul Ponte di Messina, visto che in fin dei conti stiamo parlando di una di quelle grandi opere infrastrutturali su cui si fonderà il benessere del Paese, come ottant’anni fa le ferrovie o cinquant’anni fa le autostrade.

Inoltre, è opinione di qualunque NuovoAbitante che la connettività gratuita per tutti dovrebbe essere un diritto del cittadino, in quanto strumento essenziale nel nostro tempo per garantire l’espressione delle libertà individuali sancite dalla Dichiarazione Universale degli Umana (Articolo 19: ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere).

Magari le PA intendevano proprio questo, offrire connettività gratuita ai cittadini e nel contempo studiare nuove modalità di coinvolgimento della popolazione nei Luoghi online dedicati alla Comunicazione Pubblica, alle reti civiche e ai contenitori digitali per le nuove forme di e-democracy.
Ma wifizzare un territorio costa sempre una certa cifra, bisogna costruire la rete degli AccessPoint, sviluppare del software specifico, e anche formare e mantenere un po’ di risorse umane, negli anni.

Può capitare che una Pubblica Amministrazione non possa sostenere finanziariamente questa iniziativa, e che ritenga buona cosa appaltare il tutto ad un privato, o ad una partecipata, il quale provvede a proprie spese alla wifizzazione del territorio, riservandosi poi di chiedere ad esempio una cifra all’Ente per permettere la navigazione sui propri AccessPoint, oppure direttamente al cittadino.
Quindi non solo l’utente finale verrà discriminato in base al censo (e colmare il DigitalDivide resterà utopico), ma siamo nel caso in cui chi possiede l’infrastruttura possiede anche il servizio, ovvero l’offerta di contenuti da trasmettere sulla Rete, e quindi può decidere l’accessibilità a certe informazioni, ad esempio impedendone la visione oppure praticando tariffe differenziate.
E’ come se al pedaggio autostradale mi chiedessero di più perché voglio andare a Venezia o a Gardaland, luoghi turistici sponsorizzati.
Qui spero che qualcuno commenti per chiarirmi le idee.

Nel frattempo, dopo alcune notizie che parlavano di un certo ripensamento di certi avanzati progetti di wifi territoriale nelle grosse città degli Stati Uniti (link, dall’Economist.com), pare che le cose stiano riprendendo a muoversi, perché appunto quello che sembrava per le metropoli un investimento senza alcun ritorno economico, e quindi insostenibile, si sta rivelando (link, da Repubblica.it) uno strumento per abbattere alcuni costi dell’Amministrazione cittadina, sì da rendere la connettività via onderadio per tutti un’iniziativa nuovamente perseguibile.

Se ad esempio i parchimetri, i contatori del gas e dell’acqua, le ambulanze, i rilevatori ambientali, comunicassero in wifi, sarebbe possibile risparmiare moltissimo, dice l’articolo di Repubblica.

Per tener sotto controllo la situazione nazionale, tenete d’occhio i Centri Regionali di Competenza per l’e-Government e la Società dell’Informazione.

Enaction come co-emergenza

Un bell’articolo di Pier Luigi Luisi, sul concetto di autopoiesi.
Si parla di cellule, di omeostasi, di confine, di sistema regolato, di evoluzione, di adattamento, di cognizione, di ambiente, di vita. Maturana e Varela, obviously.Autopoiesi e definizione del vivente

Foto di PabloSanz, da FlickrQuello che distingue i componenti della ‘lista del vivente’ è questa capacità di mantenere l’identità grazie a un sistema di trasformazioni coordinate e organizzate, facenti parte del sistema stesso. Questo insieme di trasformazioni e la loro auto-organizzazione sono le chiavi del concetto di autopoiesi, e determinano e caratterizzano l’interazione del vivente con l’ambiente esterno, dall’evoluzione all’ecologia: il mondo è visto dall’interno del sistema vivente stesso. Quindi si arriva a questa definizione del vivente che è vera così per una cellula come per un albero. L’albero che perde i frutti e le foglie nell’inverno, li riproduce dal proprio interno nella primavera e nell’estate, anch’esso assimilabile alla definizione di ‘fabbrica che si rifà dall’interno’.

Passando dal piccolo al grande, l’autopoiesi oggigiorno è importante anche nella scienza sociale, perché questo discorso di un sistema che è definito dalle sue stesse regole e che tende ad auto-mantenersi a dispetto di trasformazioni interne, grazie al proprio sistema di rigenerazione, vale per una cellula ma vale, ad esempio, anche per un partito politico. In un partito politico entrano dei membri, è definito da certe regole, è delimitato da un certo confine nel quale i nuovi membri entrano. Questi vengono trasformati in membri del sistema dalle regole stesse. I membri diventano così parte del sistema e fanno, a loro volta, sì che altri vengano accettati grazie alle regole del sistema. Questo meccanismo vale per un ospedale o per una grossa compagnia, e si può applicare anche nello studio del marketing, come nel caso di Luman.

Dichiarazione d’indipendenza del Cyberspazio

Dichiarazione d’indipendenza del Cyberspazio
di John Perry Barlow
Governi del Mondo, stanchi giganti di carne e di acciaio, io vengo dal Cyberspazio, la nuova dimora della Mente. A nome del futuro, chiedo a voi, esseri del passato, di lasciarci soli. Non siete graditi fra di noi. Non avete alcuna sovranità sui luoghi dove ci incontriamo.

Noi non abbiamo alcun governo eletto, è anche probabile che non ne avremo alcuno, così mi rivolgo a voi con una autorità non più grande di quella con cui la libertà stessa, di solito, parla. Io dichiaro che lo spazio sociale globale che stiamo costruendo è per sua natura indipendente dalla tirannia che voi volete imporci. Non avete alcun diritto morale di governarci e non siete in possesso di alcun metodo di costrizione che noi ragionevolmente possiamo temere.
I Governi ottengono il loro potere dal consenso dei loro sudditi. Non ci avete chiesto né avete ricevuto il nostro. Noi non vi abbiamo invitati. Voi non ci conoscete e non conoscete neppure il nostro mondo. Il Cyberspazio non si trova all’interno dei vostri confini. Non pensate che esso si possa costruire come se fosse il progetto di un edifico pubblico. Non potete. È un atto di natura e si sviluppa per mezzo delle nostre azioni collettive.
Non siete stati coinvolti nelle nostre grandi e partecipate discussioni e non avete creato il valore dei nostri mercati.
Voi non conoscete la nostra cultura, la nostra etica, e nemmeno i codici non scritti che danno alla nostra società piu’ ordine di quello che potrebbe essere ottenuto dalle vostre imposizioni.
Voi affermate che ci sono problemi fra di noi che hanno necessità di essere risolti da voi. Voi usate questa affermazione come un pretesto per invadere le nostre aree. Molti di questi problemi non esistono. Troveremo i conflitti reali e le cose che non vanno e li affronteremo con i nostri mezzi. Stiamo costruendo il nostro Contratto Sociale. Questo potere si svilupperà secondo le condizioni del nostro mondo, non del vostro. Il nostro mondo è differente.
Il Cyberspazio è fatto di transazioni, di relazioni, e di pensiero puro disposti come un’onda permanente nella ragnatela delle nostre comunicazioni. l nostro è un mondo che si trova contemporaneamente dappertutto e da nessuna parte, ma non è dove vivono i nostri corpi.
Stiamo creando un mondo in cui tutti possano entrare senza privilegi o pregiudizi basati sulla razza, sul potere economico, sulla forza militare o per diritto acquisito. Stiamo creando un mondo in cui ognuno in ogni luogo possa esprimere le sue idee, senza pregiudizio riguardo al fatto che siano strane, senza paura di essere costretto al silenzio o al conformismo. I vostri concetti di proprietà, espressione, identità, movimento e contesto non si applicano a noi. Essi si basano sulla materia. Qui non c’è materia. Le nostre identità non hanno corpo, così, diversamente da voi, non possiamo arrivare all’ordine tramite la coercizione fisica. Noi crediamo che il nostro potere emergerà dall’etica, dal nostro interesse personale illuminato, dal mercato comune. Le nostre identità possono essere distribuite attraverso molte delle vostre giurisdizioni. L’unica legge che le nostre culture costituenti riconosceranno in modo diffuso sarà la Regola d’Oro. Sulla base di essa speriamo di essere capaci di adottare soluzioni specifiche. Non possiamo però accettare le soluzioni che state cercando di imporre.
Negli USA abbiamo creato un legge, il Telecommunications Reform Act, che è in contrasto con la nostra Costituzione e reca insulto ai sogni di Jefferson, Washington, Mill, Madison, DeToqueville e Brandeis. Questi sogni adesso devono rinascere in noi.
Siete terrorizzati dai vostri figli, poiché sono nati in un mondo che vi considererà sempre immigranti. Poiché li temete, affidate alle vostre burocrazie le responsabilità di genitori che siete troppo codardi per confrontare con voi stessi. Nel nostro mondo tutti i sentimenti e le espressioni di umanità, dalla più semplice a quella più angelica, sono parti di un tutto senza confini, il colloquio globale dei bits. Non possiamo separare l’aria che soffoca dall’aria spostata dalle ali.
In Cina, Germania, Francia, Russia, Singapore, Italia e Stati Uniti, state cercando di tener lontano il virus della libertà erigendo posti di guardia ai confini del Cyberspazio. Questi potranno controllare il contagio per un po’ di tempo, ma poi non potrà funzionare in un mondo in cui i bits si insinueranno dappertutto.
Le vostre industrie dell’informazione, diventando obsolete, cercano di perpetuarsi proponendo leggi, in America e altrove, che affermano di possedere facoltà di parola in ogni parte del mondo. Queste leggi dichiarano che le idee sono dei prodotti industriali, meno preziosi della ghisa. Nel nostro mondo, tutte le creazioni della mente umana possono essere riprodotte e distribuite infinitamente a costo zero. La convenienza globale del pensiero non ha più bisogno delle vostre industrie.
Queste misure sempre più ostili e coloniali ci mettono nella stessa posizione di quegli antichi amanti della libertà e dell’autodeterminazione che furono costretti a rifiutare l’autorità di poteri distanti e poco informati. Noi dobbiamo dichiarare le nostre coscienze virtuali immuni dalla vostra sovranità, anche se continuiamo a permettervi di governare i nostri corpi. Noi ci espanderemo attraverso il Pianeta in modo tale che nessuno potrà fermare i nostri pensieri.
Noi creeremo nel Cyberspazio una civiltà della Mente. Possa essa essere più umana e giusta di quel mondo che i vostri governi hanno costruito finora.
Davos, Svizzera – 8 febbraio 1996.
John Perry Barlow, Dissidente Cognitivo e co-fondatore della Electronic Frontier Foundation

Il telefonino moderno

C’è quello con lo schermo estraibile, quello con il visore grande.
Due specie si fronteggiano nuovamente per la sopravvivenza, a decidere il loro destino siamo noi, con le scelte dettate dall’usabilità.
Sto parlando dei “cellulari che fanno tutto”, navigano, wifizzano, fotografano e filmano, hanno giga di memoria, e comunicano poi con altri telefoni.Stabiliamo subito che forma e funzioni debba avere lo strumento di comunicazione ipermediale portatile ideale, senza tanto cincischiare. Quello che tra 6 anni avranno tutti in tasca, come il cellulare tra il ’94 e il 2000.

Ma ad un certo punto arriverà una rivoluzione tecnologica ora ineffabile, e avremo magari un display innestato nella cornea o che so io. Cose che viste da qui, sembrano magìe.

Tutti diventaremo un po’ registi dell’espressione di sé, quindi, con competenze specifiche di psicologia, di comunicazione interpersonale online, di produzione di multimedia.
Giungerà il momento in cui saremo soffocati dai contatti personali: se ogni telefonata si trasforma in un viaggio nei documentari di Piero Angela o in una webquest collaborativa, giusto per dire la complessità della narrazione, patiremo eccessivamente l’immediatezza della presenza degli altri, il grado di coinvolgimento interumano richiesto sarà sempre altissimo, e sarà come vivere sempre connessi, alzando il “metabolismo della comprensione della comunicazione e della produzione di espressione”, accelerando il ritmo della socialità vissuta.

Non credo a priori sia una buona cosa, stiamo sempre parlando di un estremo, forse un eccesso, un fanatismo inziale che poi magari col tempo troverà il suo equilibrio, nel donare a noi equilibrio tra l’attenzione alle parti pubbliche del Sé e una certa riflessione sull’interiorità, chiedendo gli occhi e le orecchie e spegnendo gli strumenti che ci legano al gruppo.
Acquisteranno certamente valore gli spazi che garantiscono silenzio soprattutto mediatico, luoghi artatamente isolati dall’umanità connettivante.

Esiste certo il lusso di poter non avere il cellulare.