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Cellulare glocale, e senso di communitas.
A Bill of Rights in Cyberspace
- Abbiamo il diritto di connetterci.
- Abbiamo il diritto di esprimerci.
- Abbiamo il diritto di parlare nella nostra lingua.
- Abbiamo il diritto di riunirci.
- Abbiamo il diritto di agire.
- Abbiamo il diritto di controllare i nostri dati.
- Abbiamo diritto alla nostra identità.
- Ciò che è pubblico è un bene pubblico.
- Internet deve essere costruita e deve funzionare in modo aperto
Jeff Jervis propone degli emendamenti alla Dichiarazione d’Indipendenza del Cyberspazio di Barlow.
Meglio l’Indipendenza.
Cucinare la democrazia
“Il diritto di tutti è perfettamente garantito dalla legge. Naturalmente, chi intende partecipare all’elezione deve sottostare ad alcuni ovvi adempimenti circa la presentazione delle candidature. Qualcuno non ha rispettato le regole. L’esclusione non è dovuta alla legge ma al suo mancato rispetto. È ovvio che la più ampia “offerta elettorale” è un bene per la democrazia. Ma se qualcuno, per colpa sua, non ne approfitta, con chi bisogna prendersela: con la legge o con chi ha sbagliato? Ora, il decreto del governo dice: dobbiamo prendercela con la legge e non con chi ha sbagliato”.
Internet è libertà, perchè dobbiamo difendere la rete
Diretta in streaming sulla webtv diMontecitorio.Giovedì 11 marzo alle 15, presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio, si terrà il convegno “Internet è libertà, perchè dobbiamo difendere la rete”. I lavori saranno aperti da un intervento del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Seguirà la Lectio magistralis su “Il web e la trasparenza tra ideali e realtà” di Lawrence Lessig dell’Università di Harvard.
Successivamente, interverranno Franco Bernabè, Amministratore delegato di Telecom Italia, Umberto Croppi, Assessore alle Politiche culturali e della comunicazione del Comune di Roma, Fiorello Cortiana, Responsabile Innovazione della Provincia di Milano, Juan Carlos De Martin, Responsabile Creative Commons Italia, Paolo Gentiloni, Deputato del Partito Democratico, Stefano Quintarelli, Presidente di Reeplay, Paolo Romani, Viceministro allo Sviluppo economico.
Alfabetizzazione e competenze per il XXI secolo
Alfabetizzazioni e competenze del XXI secolo
In questa nostra epoca digitale, gli educatori devono padroneggiare alcune abilità conoscitive cruciali. Quali? Il teorico dei media, nonché concreto professionista, Howard Rheingold ha parlato di quattro “Alfabetizzazioni del Ventunesimo secolo” – attenzione, partecipazione, collaborazione e consapevolezza della rete – a cui dobbiamo orientarci, che dobbiamo comprendere e coltivare nell’era digitale (vedi qui). Tutti conosciamo le tre alfabetizzazioni standard del “leggere, scrivere, far di conto”. Che altro è richiesto nella nostra era digitale? Il futurista Alvin Toffler sostiene che, nel ventunesimo secolo, dobbiamo conoscere non solo quelle tre, ma anche come imparare, disimparare e re-imparare. Ragionando su queste suggestioni, ecco qui dieci alfabetizzazioni che sembrano cruciali per la nostra era digitale. Nessuna di queste è rintracciabile nella “metrica” normale del nostro sistema educativo, tuttavia tutte sono abilità cruciali per il nostro tempo.
Attenzione: Quali sono i nuovi modi con cui prestiamo attenzione nell’era digitale? Come dobbiamo cambiare i nostri concetti e pratiche dell’attenzione per una nuova era? Come impariamo e pratichiamo nuove forme di attenzione nell’era digitale?
Partecipazione: Soltanto una piccola percentuale di coloro che usano i nuovi media partecipativi contribuisce realmente. Come incoraggiamo l’interazione e la partecipazione significativa? Con quale obiettivo, a livello culturale, sociale, o civico?
Collaborazione: Come incoraggiamo forme di collaborazione significative e innovative? Gli studi indicano che la collaborazione può riconfermare semplicemente il consenso, agendo più come pressione esercitata dal gruppo dei pari piuttosto che come una leva al vero pensiero originale. Andrebbe forse coltivata una metodologia di “collaborazione per differenza” per potenziare e orientare in modo più significativo e efficace l’apporto che i diversi gruppi possono fornire.
Consapevolezza della rete: Che cosa possiamo fare per meglio capire sia in che modo prosperiamo come individui creativi sia per comprendere appieno il nostro contributo all’interno di una rete fatta di altre persone? Come avere una comprensione adeguata di cosa sia una rete allargata, e ciò che possiamo da essa ottenere?
Disegno e progettazione: In che modo l’informazione è convogliata nelle diverse forme digitali? In che modo capiamo e pratichiamo gli elementi di una buona progettazione in quanto parte delle nostra comunicazione e delle nostre pratiche interazionali?
Descrizione, narrazione: In che modo gli elementi narrativi modellano le informazioni che desideriamo trasferire, aiutandole ad avere forza in un mondo fatto di flussi informativi moltiplicati e tra loro in competizione?
Consumo critico dell’informazione: Senza un filtro (quali i redattori, gli esperti ed i professionisti), molte informazioni sul Internet possono essere inesatte, ingannevoli, o inadeguate. Anche i media tradizionali, naturalmente, risentono di questi difetti che però oggi sono esacerbati dalla diffusione digitale. Come impariamo a essere critici? Quali sono gli standard della credibilità?
Digital Divide, partecipazione digitale: Quali divisioni ancora permangono nella cultura digitale? Vi sono aspetti basilari dell’economia, della cultura, e dei livelli di alfabetizzazione che dettano non solo chi può partecipare all’era digitale ma anche come partecipiamo?
Etica e tutela: In che modo etico e responsabile possiamo muovere partendo da partecipazione, scambio, collaborazione e dalla comunicazione in direzione di una maggiore qualità sociale del vivere, grazie agli strumenti digitali?
Apprendere, disimparare e re-imparare: Alvin Toffler ha detto che, nel mondo in evoluzione rapida del ventunesimo secolo, l’abilità più importante è avere la capacità di fermarsi, vedere che cosa non sta funzionando e conseguentemente scoprire i modi per disimparare i vecchi modelli e reimparare a imparare. Questo richiede il coinvolgimento di tutte altre abilità, ma si tratta forse della singola capacità che è più importante insegnare. Significa che, ogni volta che qualcuno pensa in maniera nostalgica, domandandosi se “i bei vecchi tempi” torneranno, un riflesso “disimparante” possa rapidamente forzare quelle persone a pensare che cosa realmente significa una tal comparazione, che vantaggio ci porta, e cosa di buono possa fare provare a invertire il pensiero stesso. Cosa possono portare “questi nei nuovi giorni”? Proprio in quanto esperimento di pensiero gedanken experiment – il tentativo di disimparare le nostre risposte irriflesse, automatiche, alla situazione del cambiamento è l’unico modo di riflettere veramente sulle nostre abitudini nel resistere al cambiamento.
La Scuola? Ha un futuro alle spalle
Poi tutto si blocca, davanti a un dirigente miope, a insegnanti timorosi ignoranti e arroganti, a riforme scolastiche indegne.
Ecco Maragliano, come commento a una discussione sulle LIM:
La fortuna delle LIM è di chiamarsi lavagne. Se venissero usate da individui e individue con buona familiarità con la comunicazione di rete si potrebbe capire che LIM sta a lavagna d’ardesia come cavallo sta ad auto. Nella mia auto ci sono cavalli, che però non nitriscono. Nelle aule italiane ci sono LIM che nitriscono, perché restano lavagne. Come uscirne? In un altro paese, in un’altra cultura, anzi in un’altra antropologia si potrebbe sostenere che il problema non è scolastico o pedagogico, ma civile. Insomma, invece che perdere tempo dietro a diatribe interessate (vedi i paginoni di ieri, domenica 7 febbraio 10, sul Corriere, con i soliti allarmi su Internet che disinsegna a leggere e scrivere) si dovrebbero rendere sempre più attivi e vicolanti i servizi civili sul web (pagamenti, atti amministrativi e burocreatici, fonti di informazione), sempre più vantaggiose le offerte di connessione da qualsivoglia attrezzo, sempre meno eccezionale il ricorso alla rete come luogo di incontro e condivisione. In un altro paese. Diverso dal nostro.
Zitti e ignoranti, dobbiamo stare
Zitti e ignoranti, non solo non possiamo reagire, ma nemmeno sappiamo di poter reagire: qual miglior garanzia per chi comanda di non trovarsi qualcuno che mette i bastoni tra le ruote?
Ormai da molti anni, da quando è emersa la sua valenza sociopolitica, la rete internet è soggetta a tentativi di controllo “dall’alto” e a proposte di legiferazioni che cercano di limitare le potenzialità di comunicazione offerte dal web a tutti i cittadini.
Motivi tecnici (l’assoluta neutralità dell’infrastruttura della Rete rispetto ai contenuti pubblicati, per cui le mail del Presidente del Consiglio non viaggiano più veloci di quelle che spedisco io) e motivi etici (l’assoluta importanza della condivisione della Conoscenza tra le comunità locali e planetarie) garantiscono su web la libertà di espressione di ognuno di noi, fermo restando che i reati esistenti di diffamazione e di calunnia nei confronti di altre persone già ora permettono ai magistrati di inquisire chi ecceda nelle proprie invettive o chi pubblichi illazioni non comprovate dai fatti, senza bisogno di ricorrere a specifiche “leggi per internet”, che guarda caso finiscono sempre per limitare le nostre libertà personali.
Qualche anno fa provarono a far tacere i blog, equiparandoli alla stampa periodica editoriale, cosa che evidentemente non sono, prescrivendo che per ogni sito web di informazione fosse indicato un direttore responsabile, ovvero un giornalista iscritto all’albo. Non funzionò.
Ma il web si è evoluto, quello che si poteva fare con il testo scritto oggi si può fare direttamente producendo e pubblicando in proprio contenuti di tipo audiovideo, da trasmettere liberamente.
Questo è quanto cerca oggi di regolamentare il decreto Romani, dove tra diritto d’autore e definizioni di broadcasting si indica come “i servizi, anche veicolati mediante siti internet, che comportano la fornitura o la messa a disposizione di immagini animate, sonore o non, nei quali il contenuto audiovisivo non abbia carattere meramente incidentale” debbano essere sottoposti a controllo governativo.
Significa che non possiamo più pubblicare liberamente documentazione video di tipo giornalistico, non possiamo fare più videostreaming inventandoci una nostra webTV (tecnicamente cosa ormai facile da realizzare, utilizzando semplicemente un cellulare connesso alla Rete), le piattaforme pubbliche tipo Youtube potrebbero vedersi oscurate per via di un video incriminato.
Dietro le limitazioni della libertà di espressione personale, si agitano ovviamente anche grossi interessi economici, quelli relativi alla battaglia in corso (il caso Mediaset-Youtube, a esempio) tra l’industria tradizionale degli audiovisivi e le nuove forme di pubblicazione disintermediata permessa dalla rete Internet.
Vi rimando per un’analisi tecnica del decreto Romani all’articolo di Elvira Berlingeri segnalato anche da Vittorio Zambardino su repubblica.it, nonché all’Osservatorio sulle famigerate “leggi di internet” disponibile presso Apogeonline.
Antropologia e educazione per l’Information Overload
Infatti, le giaculatorie di filosofi e pensatori che si lamentano della progressiva scarsità di attenzione delle persone esistono dal Cinquecento con il diffondersi dei libri, Diderot in seguito si preoccupava che il numero dei libri è destinato a salire e quindi diventerà per noi difficile (!) apprendere dai troppi libri e bisognerà inventarsi qualcosa, ogni tanto un guru a noi contemporaneo fa notare pensosamente come ci siano sempre più informazioni, sempre più veloci, e sempre minore sia la nostra capacità di attenzione.
Ma questa affermazione contiene una sua tutta sua logica peculiare, che la fa funzionare e in grado di essere giudicanta coerente e di buon senso.
Ci sono degli impliciti, che se indagati non si rivelano poi così lampanti, dice l’autore del pezzo, Stowe Boyd.
A esempio, la cornice di queste argomentazioni presuppone un “c’era una volta, molti anni fa” un mondo in cui l’attenzine non era scarsa, in cuii non soffrivamo di troppa informazione, e tutti avevamo un sacco di tempo per ragionare sul mondo, su qual era il nostro posto, e magari anche prendere decisioni più sagge e ragionate.
Insomma, un tipico meccanismo da “fuga nell’Età dell’Oro”. Un sacco di gente e di gruppi sociali si inventano il mito dell’età dell’Oro, perché narrativamente poi torna molto comodo impostare questa Età dell’Oro in modo che poi venga facile capire dove ci troviamo adesso. E se quella là era l’Età dell’Oro, questa qui è sicuramente qualcosa di peggiore, dove la civiltà è decaduta, i costumi degli antichi sono andati perduti, e le innovazioni moderne minacciano di distruggere tutto ciò che c’era di buono e giusto. Già questa è una credenza poco razionale.
Poi, l’altro classico argomento è che la specie umana non ha proprio la capacità di padroneggiare tutta la massa smisurata di informazioni che si riversa addosso a ogni individuo con la forza di un torrente, nella liquidissima società odierna. L’uomo non è cognitivamente adeguato a fronteggiare tutti questi stimoli.
Ma in realtà cosa ne sappiamo noi nel cervello? delle sue potezialità di attenzione e di selezione del flusso? E non dimentichiamoci di cosa avviene su scala generazionale, e basta guardare i ragazzi e i bambini per vedere come abbiano già diverse nuove competenze (nuove strategie) per gestire i rapidi e multipli flussi informativi veicolati da nuovi strumenti – videocamere e videoregistratori, videogames, web, cellulari propri della loro generazione, ma non di quella adulta. E anche gli adulti di oggi sono a loro volta cognitivamente diversi dai loro genitori, essendo a differenza di loro cresciuti immersi nel flusso televisivo commerciale, molto più rapido.
Pensiamoci: come specie ci siamo sviluppati in un mondo naturale e antropico (manufatti tecnologici) che offre un infinito ammontare di stimoli e informazioni; abbiamo sviluppato utensili concreti e concettuali – la scrittura, la matematica, le mappe e il disegno, il metodo scientifico – per capire meglio il mondo, sviluppando insieme le nostre capacità emotive e cognitive di comprensione; siamo oramai dentro un mondo postindustriale, dove abbiamo creato dei sistemi di supporto all’informazione su scala planetaria in tempo reale, dove il web è diventato tra i più importanti artefatti umani, in quanto sostegno alla comunicazione e alla relazione interpesonale; stiamo costruendo in questo stesso momento artefatti e strumenti ancora più complessi, come la realtà aumentata, Luoghi sociali di massa, dispositivi di connessione mobile ubiquitarii, e al contempo ci inventiamo le nuove norme sociali e le struttre che ci assistano in queste nuove attività umane.
Quindi, non si può in realtà “rispondere” a quelli che parlano di information overload, se non dicendo loro che non possiamo rispondere a qualcosa dentro cui siamo coinvolti personalmente fino al collo, nell’inventarci quotidianamente nuovi usi sociali e nuove possibilità di espressione personale proprio con gli strumenti stessi, che conosciamo forse da cinque anni (web20, videostreaming, socialnetwork): stiamo sperimentando.
E le nuove tecnologie, il web o la scrittura o la stampa o l’invenzione dei soldi e della medicina scientifica sono innanzitutto ponti che ci portano verso qualcosa di nuovo, verso cui siamo socialmente evoluti o di cui perlomeno abbiamo sentito la necessità e operato per rimediare alla mancanza, e non sono delle ruspe con cui demolire il passato.
Sul breve periodo, ci saranno burrasche notevoli. E’ come un movimento tettonico, dove ampie aree continentali collidono, e si creano catene rocciose. Sto pensando al destino degli organi di informazione tradizionali, ai supporti che veicolano queste ultima (giornali, libri, video), ma anche alle mareggiate subite dall’idea stessa di privacy e di anonimato, di competenze per la gestione cognitiva e affettiva del proprio abitare in un Mondo connesso, un pianeta su cui dall’invenzione del web in qua è possibile comunicare multimedialmente il proprio pensiero a tutti in tutto il mondo, in tempo reale, e l’umanità può ragionare tutta insieme come se fosse un sol’uomo (o donna), dove democraticamente ognuno di noi volendo interviene liberamente nel dibattico pubblico.
Le vecchie logiche non “tengono”, la vecchia crosta raffreddata di consuetudini e costumi obsoleti in quanto non più adeguati, codificati poi in leggi e senso comune non può sostenere un magma che da sotto ribolle, fatto di nuovo ritmo e accresciuta potenza mediatica e smisurato numero di partecipanti. Si proverà un po’ a irrigidire le difese, ma non servirà. Ci han provato l’industria musicale con gli mp3 di Napster, ci han provato i mercati del cinema, ci sta sbattendo contro il mondo della carta stampata oggi, semplicemente all’apparire diffuso di supporti mobili con uno schermo decente, iphone compreso. Ci stanno avendo a che fare la Scuola e le Istituzioni tutte con questo “cambiamento necessario”, e non si accorgono che stanno cambiando.
Quindi: cercare di comprendere a fondo le dinamiche di quanto sta avvenendo, tenendo sempre presenti il carattere ipoteticissimo attuale delle nostre interpretazioni a causa della rapidità dei cambiamenti attuali, e fiducia nella conversazione, perché con molta probabilità molti che ragionano tutti insieme vedono meglio il problema rispetto a una persona sola.
E poi: l’eterno unico strumento per migliorare l’ambiente di vita futuro, visto che è nel futuro che vogliamo agire, ovvero l’Educazione.
Una Educazione che sappia anche raccontare innanzitutto come funzionano le cose di oggi, le autostrade e i bancomat e le Istituzioni e le filiere economiche concrete di un territorio, per meglio lasciar libere le nuove generazioni di vivere nel loro mondo, dove non vincolati possano cercare a loro volta di seguire il loro ideale di Benessere, senza essere costretti a vivere male a cause di nostre scelte sbagliate, magari radicali e indelebili.
Se così faremo, quando i nostri figli si guarderanno indietro ci giudicheranno per i nostri valori e pratiche di possibilistica apertura al nuovo, cioè al mondo che loro abiteranno, piuttosto che per nostre stolte scelte di un pensiero unico e troppo schematico in cui loro un domani si troveranno impacciati a doversi dibattere per liberarsene.
Il discorso di Capodanno 2010
Il Discorso di Capodanno 2010 del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Giusto per segnalare quel “giovani”, in un discorso necessariamente istituzionale, eppur forse meno retoricamente ingessato e più concreto rispetto ai precedenti.
Qui sotto, il Discorso per il 2009.
Metto anche quello del 2008, per la bellezza di fare comparazioni (prendete il solito granello di sale con voi).
Statistiche europee
Per vedere le percentuali in formato di grafico a barre, oppure sotto forma di mappa geografica, cliccate nella colonna di destra, nel riquadro “Country profiles”, oppure provate a cliccare qui.
Per le tematiche affrontate da NuoviAbitanti, vi consiglio ovviamente di prendere in considerazione soprattutto le categorie “Information society”, “Education”, “Environment and Energy” e “Science and Technology”, tramite il menù a discesa che trovate vicino alle mappe.
L’Italia, lo sappiamo, non è messa benissimo: spesso occupa posizioni medio-basse in molte “classifiche”, nei diversi indicatori.
Sul piano dell’Educazione ci sono buoni numeri, specie nel settore delle scuole primarie, i quali però peggiorano se guardiamo il numero dei ricercatori oppure il livello di disoccupazione di persone con buon grado di scolarizzazione.
Dal punto di vista della Società dell’Informazione, siamo decisamente indietro come numero di connessioni a banda larga, come penetrazione di Internet sul territorio, ma siamo primi per numero di contratti di telefonia cellulare: ogni 100 abitanti in Italia ci sono 120 contratti telefonici, un mucchio di SIM che abitano nei telefoni.
Nella media, oppure valori ancor peggiori riguardano l’utilizzo che i cittadini italiani fanno della rete per comunicare con le Istituzioni e le Pubbliche Amministrazioni, nonché le statistiche riguardanti l’andamento del commercio elettronico.
Segnalo anche due documenti esplicativi in formato .pdf, in inglese.
Il primo riguarda lo Stile di Vita dei giovani europei, nell’età compresa tra i 15 e 29 anni. A che età i giovani mettono su casa, quali sono i livelli di istruzione, quanti hanno contratti di lavoro a tempo determinato, quanto frequentano cinema ed eventi culturali?
Il secondo riprende le statistiche sull’utilizzo di Internet, dando indicazioni specifiche sui comportamenti mediatici. Qui diventa importante comprendere la penetrazione della Rete nella fascia dei giovani (siamo vicini ad una frequentazione giornaliera, o almeno ogni due giorni nella larga percentuale dei giovani, in moltissime nazioni europee e indipendentemente dal livello di istruzione posseduto).
Obama è un NuovoAbitante
“Io credo nella trasparenza – dice il presidente – perché più l’informazione circola liberamente, più una società diventa forte. In questo modo i cittadini possono chiedere dei conti a chi li governa. Perciò sono contrario alla censura, anche quella che colpisce Internet. In America la libertà di accesso a tutti i contenuti online ci rende migliori. Come presidente, qualche volta preferirei che ci fossero meno critiche contro di me, e ne ho tante. Ma questo rende la nostra democrazia più sana, e mi costringe a governare meglio”.
via Repubblica
Quasi quasi gli mando una mail per proporgli di diventare socio onorario dell’associazione NuoviAbitanti.
Il tempo è galantuomo (ma si spicciasse…)
Robe di scuola, che sembravano qualcosa da realizare nell’arco di qualche mese, e invece oggi dopo sette anni abbondanti né le infrastruttre tecniche descritte sono tutte attivate né esiste nei normali comportamenti comunicativi identificabili sul territorio (PA locali e scolastiche) una rilevabile Cultura di Rete.
La Cultura Digitale in quanto basata su precise competenze digitali e non su semplice alfabetizzazione informatica – quest’ultima auspicabilmente propedeutica, ma non sufficiente a formare un Abitante digitale – e al contempo consapevole delle dinamiche sociali su web permesse dalla connettività sta nascendo in modo molto faticoso per piccoli esempi di buone pratiche locali, mentre la visione mainstream dei media tradizionali e dell’opinione pubblica continua a raccontare questo Mondo 2.0 con i toni degli articoli di costume, del ritratto macchiettistico dei comportamenti in Rete, della curiosità esotica, oppure con i consueti toni scandalistici nei fatti di cronaca.
Dov’è l’Educazione alla Cittadinanza Digitale?
Se tuttora, nel 2009, vedo lo sguardo annebbiarsi in coloro a cui racconto un po’ di questa nuova forma dell’Abitare umano nella consapevolezza tecnologica e nelle dimensioni digitali di un Territorio Aumentato 2.0 – facendo il formatore si cerca di capire quando l’interlocutore non ha ben compreso la nozione – chissà in quale angolo del cervello e della loro enciclopedia mentale i partner e i destinatari di quel progetto del 2002 archiviavano le informazioni alle riunioni di staff, mancando in loro quella cultura in grado di comprendere appieno il significato di alcuni presupposti del ragionamento.
Presupposti che oggi come allora per chi scrive vanno identificati con la promozione e la diffusione di strumenti culturali in grado di rendere i cittadini consapevoli dei loro diritti e doveri (vedi e-government, e-democracy), di moltiplicare l’efficacia dello scambio di informazioni e prassi tra gli attori sociali, di prepararsi a una rivoluzione dei paesaggi umani (fisici, mentali, digitali) armandosi a esempio di una visione sistemica degli accadimenti e di una sensibilità rinnovata riguardo la qualità di un Ben-Stare commisurato alle moderne esigenze del nostro abitare odierno.
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documento: cosa chiede la scuola al territorio (2002)Il sistema delle Scuole Autonome del Friuli-Venezia Giulia, la cui complessità si evince dalla presenza di più di 200 Istituzioni Scolastiche, con circa 12.000 docenti e oltre 100.000 alunni, nel momento in cui le nuove tecnologie divengono un supporto essenziale per la didattica, per l’organizzazione e la comunicazione interna ed esterna, istituzionale ed inter-istituzionale, richiede la creazione di una rete telematica territoriale.L’organizzazione della rete che si propone di istituire nell’ambito della Regione Friuli-Venezia Giulia.dovrebbe configurarsi attraverso:
1.. un sistema informativo interno ad ogni Istituto, a servizio dei docenti e degli utenti, visibile attraverso il proprio sito;
2.. una rete scolastica territoriale a supporto della progettualità delle scuole, con forti collegamenti con i servizi al cittadino;
3.. ambiti di riferimento organizzativo delle reti che si possono individuare all’interno delle aggregazioni territoriali già costituite attorno alle Aziende per i Servizi Socio Sanitari;
4.. alcuni centri polo territoriali che afferiscano ad ogni ambito, collocati presso scuole con funzioni di coordinamento ed a servizio delle autonomie scolastiche;
5.. un portale dell’Ufficio Scolastico Regionale a sostegno ed integrazione della rete dei centri scolastici;
Nell’ambito della Regione Friuli-Venezia Giulia, l’Amministrazione Regionale e gli Enti Locali afferiscono entrambi ad un unico gestore del servizio tecnologico.Le Scuole risultano essere l’unico servizio pubblico escluso attualmente dalla rete delle istituzioni.
A supporto della rete scolastica integrata con la rete dei servizi si richiede:a) un accesso in rete a larga banda per tutte le Istituzioni e sedi Scolastiche;
b)un servizio tecnico a supporto della rete garantito dal gestore in fase di realizzazione e di esercizio;
c) un servizio di tutoraggio alle scuole in fase di progettazione e gestione dei siti e delle attività telematiche;
d) il cablaggio degli edifici scolastici con l’obiettivo di introdurre tecnologie a livello di ogni aula;
e) una disponibilità di risorse finanziarie provenienti dalla Regione, dallo Stato, dagli Enti Locali, dall’imprenditoria locale, finalizzate al progetto della rete;
f) assegnazione di risorse umane, considerate essenziali alla continuità del servizio negli aspetti didattici e organizzativi, che al momento attuale si identifica in almeno un operatore per ogni centro polo e risorse interne adeguate alla complessità di ogni singola Istituzione Scolastica in rete;Si propone la creazione di un coordinamento attraverso accordi di rete, sulla base di quanto descritto nel Progetto già avviato a livello regionale dalla collaborazione tra M.C.E. – Istituti Scolastici – INSIEL;
Il coordinamento generale tra Scuole, Regione, Enti Locali, Direzione Scolastica Regionale, Enti che collaborano al progetto, Gestore tecnico del servizio telematico, si auspica venga effettuato attraverso un organismo di regìa da istituire al più presto presso la Regione Friuli-Venezia Giulia.
Decalogo per una Carta Etica Digitale
Il Decalogo prende atto dei cambiamenti sociali profondi avvenuti negli ultimi 25 anni e cerca di stabilire una visione aggiornata delle modalità interattive e delle implicazioni personali – in termini di diritto del cittadino, nonché di comportamenti attenti all’ecologia umana digitale – che possa tutelare e promuovere una certa qualità degli ambienti di comunicazione online.
Si tratta quindi di una indicazione di una condotta etica, la linea delle nostre azioni in questo fare tutto sociale che è abitare la rete, i cui valori sono espressi dall’appello alle “libertà di internet” (trasparenza delle fonti, approccio ecologico rispettoso dell’ambiente tecnologico e interumano, diffusione della Conoscenza, libertà sovrana di espressione) e dalla sua indipendenza da poteri forti ad esempio di tipo commerciale, per garantire Luoghi antropici digitali di socialità dove la discussione collettiva abbia libertà di azione per elaborare la Cultura e progettare il futuro.
Le leggi degli Stati dovrebbero magari aver cura di tenere liberi e puliti questi spazi conversazionali proprio in rispetto della libertà di espressione, anziché cercare a loro volta impauriti dalla Transizione di chiudere cingere stringere normare e controllare un cambiamento troppo veloce e liquido per essere maneggiato con i vecchi strumenti.
Questo Decalogo sembra fin troppo sintetico, ma dietro ogni articolo si può cogliere un preciso problema da comprendere e risolvere, in direzione del’apertura, dello scambio e del rispetto.
Fossi un insegnante delle Superiori passerei una bella ora di lezione a discutere la Carta Etica Digitale in classe.
CARTA ETICA DIGITALE
ottobre 2009
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Art.1 (Opportunità digitale)
A chiunque deve essere universalmente garantita l’opportunità di accedere ad Internet per la diffusione del proprio libero pensiero
Art.2 (Sviluppo)
I Governi favoriscono l’accesso locale ad Internet quale sviluppo democratico della Societa’ dell’Informazione.
Art.3 (Promozione)
I Governi sostengono l’utilizzo di Internet sviluppando procedure di governance che assicurino trasparenza, efficacia e tempestività nei rapporti tra Stato e cittadino.
Art.4 (Rispetto)
Chiunque nell’utilizzo di Internet e’ chiamato al rispetto della risorsa tecnologica nell’interesse proprio e della collettività.
Art.5 (Verifica)
Chiunque nella diffusione di informazioni deve accertare e verificare, prima delle divulgazione delle stesse, la veridicità della fonte.
Art.6 (Segreto)
Chiunque condivide informazioni in Internet non è tenuto a rivelare la fonte dell’informazione se non su richiesta dell’autorità giudiziaria.
Art.7 (Anonimato)
Chiunque può ricorrere a sistemi di anonimizzazione etica qualora il Governo del proprio Paese ponga in atto azioni lesive verso i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo.
Art.8 (Compilazione)
Chiunque scrive ed esegue un codice o un algoritmo informatico deve rispettare i diritti personali e patrimoniali altrui.
Art.9 (Standard)
Chiunque scrive ed esegue un codice o un algoritmo informatico deve porre ogni azione affinchè sia possibile garantire l’interoperabilità dei sistemi.
Art.10 (Gratuità)
Chiunque produce e diffonde liberamente la propria conoscenza non è tenuto alla corresponsione di alcuna tassa o esser sottoposto a vincoli di controllo.
Al barcamp di Venezia, 23-25 ottobre
Il convegnone su VeneziaDigitale (vedi qui il sito VeneziaCamp, oppure qui per il wiki dell’iniziativa) avrà luogo da venerdì 23 a domenica 25 ottobre, all’Arsenale.
L’isola del Lazzaretto, precedente location, andava già bene, ma considerata la prevista alta affluenza di persone (oltre mille) il trovarsi tutti all’Arsenale andrà ancora meglio, permettendo di recuperare anche la valenza simbolica del Luogo rispetto ai temi del convegno.
Cioè, l’Arsenale è dove i veneziani costruivano le navi, l’hardware su cui far girare quel software chiamato “commercio”, e i veneziani eccellevano nell’uno e nell’altro. E il commercio è una “tecnologia abilitante”, perché oltre alle merci fa viaggiare le idee, la cultura, modifica la visione del mondo, scommette sul futuro.
L’Arsenale è forse la prima “fabbrica” storicamente esistita, in un mondo ancora artigianale (l’energia veniva dal vento, dall’acqua, dalle braccia), che riesce a pensare se stessa in termini protoindustriali: qual posto migliore per incardinare la Cultura Digitale (abitare i mari della Rete) se non un vero tempio della Cultura Tecnologica, da risvolti territoriali così forti da riuscire a connotare di sé l’intero “fare” di Venezia, per secoli, e quindi la sua identità.
Questo convegno rappresenta la prima esplicita presa di coscienza vissuta da Venezia del proprio ruolo futuro, del proprio essere città digitale; qui ragioneremo, ancora brancolando ed esplorando, sui significati dell’abitare connesso, di Cittadinanza Digitale, delle conseguenze per le prossime generazioni del praticare socialità in rete, dell’evolversi dei sentimenti di appartenenza territoriale delle collettività per la prima volta slegate dalla fisicità dei corpi, dei campielli.
Un convegno che come mi dice Andrea Casadei (insieme a Gigi Cogo e Roberto Scano, promotore dell’evento) ormai assomiglia più a un rave dell’innnovazione che a un convegno vero e proprio, il che è abbastanza in sintonia con l’idea di creatività “Woodstock” che emergeva dai primi incontri organizzativi.
Anzi, se ci fossero strumenti musicali nelle stanze di decompressione, mi metterei volentieri alla batteria o al basso durante le blogger-jamsession, mentre su uno schermo vengono proiettati gli spartiti e le parole delle canzoni (da Orietta Berti “Fin che la barca va” ai Red Hot Chili Peppers “Under the bridge”, va bene tutto) in stile karaoke per chi volesse cimentarsi nel canto.
Dentro il convegno, nella giornata di sabato, avrà luogo un barcamp, ovvero una conferenza destrutturata. Detto en passant, visto che durante i barcamp gli spazi “slot” dei relatori vengono decisi il giorno stesso, nella mia testa ormai i barcamp si definiscono come “slot-machine”, e l’alone semantico di “alea” veicolato dal gioco d’azzardo riguarda l’efficacia stessa dello strumento barcamp. Rispetto alla sua capacità di veicolare idee e conoscenza, la formula della de-conferenza può funzionare molto bene oppure molto male. Spesso funziona male perché, tradendo la sua impostazione storica, si tratta in realtà di una conferenza classica (“lezione frontale”, palchetto ergo relazione comunicativa asimmetrica, nessuno risvolto conversazionale) camuffata da barcamp.
Ecco, a Venezia mi sono proposto per due interventi nel barcamp del sabato, oltre a partecipare domenica all’incontro dedicato alla Cittadinanza digitale.
Il primo intervento riguarderà le “Narrazioni mediatiche per una identità territoriale“, il secondo tratterà di “Didattica aumentata: competenze digitali a scuola“
Nel primo caso proverò ad esporre rapidamente tutte quelle idee che da un po’ mi girano in testa e che provo a scrivere qui su questo blog, ovvero di come siano necessari strumenti concettuali e operativi nuovi per cogliere il farsi ormai quotidiano delle pratiche di partecipazione e relativa emersione dei sentimenti di appartenenza territoriale (territorio 2.0, però) nei processi autopoietici delle collettività umane. Il raccontare se stessi da parte degli attori sociali, dagli individui ai gruppi informali alle istituzioni, dentro i media moderni edifica complessivamente l’immagine, intenziona la rappresentazione che poi questa collettività (in questo caso, Venezia) offre al mondo, la quale riflessa e negoziata negli scambi conversazionali del web sociale va poi a costituire l’identità con cui quel territorio fisico, umano e simbolico viene percepito dal mondo intero.
In particolare, tenendo in considerazione l’imprevedibilità di questi fenomeni emergenti dalla complessità del calderone conversazionale (immaginate tutti i Luoghi massmediatici e della rete dove si parla di Venezia in tutti i suoi aspetti, siano essi blog personali o geoblog o urban blog o community o i siti delle PA o quelli della Biennale o del Festival del Cinema o di Ca’Foscari o delle imprese commerciali o il tg regionale o i canali youtube dedicati) e la necessità conseguente di provvedere in questo momento storico della nascita del web sociale forse non tanto i contenuti quanto i contenitori dove la socialità possa trovare spazi di scambio e confronto, pubblicazione e visibilità (da qui vengono poi i contenuti, “dal basso” e mashuppati e socialmente negoziati), mi piacerebbe poter scambiare delle idee con i partecipanti all’intervento su come possono essere impostati dei ragionamenti e degli strumenti capaci di cogliere appunto l’identità di una collettività, la qualità unica del suo abitare la Rete allo stesso modo in cui è unico e originale è il dialogo che quella intrattiene con il territorio che storicamente la ospita, e che oggi è anche territorio digitale.
Insomma, io parlerò dieci minuti, poi i restanti venti potrebbero giocarsi come gruppo di brainstorming: l’importante sarà uscire da lì con dei contenitori di idee (approcci, prospettive, fughe immaginifiche, squarci di futuro, scintille di netizenship), semi di progettazione sociale che poi germoglieranno quando troveranno un ambiente favorevole per diventare idee di marketing territoriale, di educazione civica, di abitanza concreta.
L’altro intervento in cui intendo spendermi riguarda il mondo della scuola.
Riguarda la necessità di superare rapidamente delle impostazioni vecchio stampo relative all’introduzione delle nuove tecnologie TIC in classe, per puntare risolutamente verso una Educazione alla Cittadinanza digitale.
Riguarda la necessità di passare dal ragionare di abilità informatiche alle competenze digitali (sul blog dei NuoviAbitanti trovi alcune riflessioni: qui, qui, qui, qui e qui, giusto per aver qualcosa da leggere), perché tra il sapere cosa sono la RAM e il discofisso e ragionare di reputazione online o di fiducia o di identità digitale sui socialnetwork o di diritti di cittadinanza nell’e-democracy vi è una certa differenza, e ogni volta che qui in Rete si parla di didattica sembra quasi obbligatorio dover ripartire da Adamo ed Eva (o Charles Babbage e Ada Byron Lovelace, se volete), senza tenere in considerazione almeno quindici anni di discussioni nazionali (Maragliano, Rotta, Calvani, Rivoltella, to name just a few), sulle tematiche dell’apprendimento mediato dalle nuove tecnologie, e sulle indicazioni di una corretta Media Education.
Mi piacerebbe fossero presenti all’incontro degli insegnanti capaci di tra-guardare lo strumento (lavagna interattiva o e-book, netbook per ogni studente o wifi in classe) per giungere a parlare, sempre in modalità conversazionale allargata e con approccio problem-posing, prima ancora che solving, di come il concreto fare in classe potrebbe essere potenziato da un uso intelligente dei dispositivi elettronici da intendere quali porte per portare la didattica e il gruppo classe ad abitare sul web (e quindi il web dentro la scuola) dentro gli ambienti di apprendimento online già ora disponibili.
Google Earth, perché fare geografia oggi senza mappe satellitari ha poco senso, come pure un blog di classe, dove rendere sociali e condivisi i processi dell’apprendimento.
Un wiki per la scrittura collaborativa e la creazione di nodi di Conoscenza, come un canale youtube di classe per ragionare di grammatica visiva, di learning-by-doing, di capacità critica di decodifica di linguaggi complessi.
Ragionare di Educazione alla Cittadinanza digitale, appunto, come parte di una Educazione civica in grado di rendere i giovanissimi attori protagonisti della società futura, consapevoli dei propri diritti e doveri rispetto all’accesso e alla pubblicazione di informazioni, dei problemi sulla proprietà intellettuale delle opere, dei risvolti della democrazia elettronica, delle battaglie in rete per la libertà di opinione, della tutela della propria identità e reputazione online, della natura intimamente conversazionale dell’ecosistema della Conoscenza, della propria partecipazione al dibattito pubblico mediante i Luoghi istituzionali di consultazione e di decisionalità nell’e-government, nonché di espressione personale sulla gestione della cosapubblica in quelli di e-democracy.
Insomma, vorrei mettere da parte quello che già tutti sappiamo per provare a parlare di quello che continuiamo a dire “è dietro l’angolo, sta per arrivare” e invece è già qui, nel linguaggio e nei comportamenti dei tredicenni, nei loro connessi telefonini/videocamera e nei loro profili sui socialnetwork.
Questo post, linkato dentro il wiki del convegno di VeneziaCamp, va considerato come luogo di propulsione rispetto alle tematiche da affrontare in presenza, all’Arsenale: usate pure i commenti per suggerire o discutere di approcci e contenuti, poi provvederò a distillare il meglio (sì, ci penso io) da portare sui tavoli del barcamp.
Il Grande Fratello siamo noi
“Help, the paranoids are after me!!” era una battuta di trent’anni fa, la vedevo scarabocchiata sugli astucci alle medie.
E se cammino per strada nella mia cittadina, il saper di essere osservato da centinaia di videocamere potrebbe indurmi a comportamenti sospettosi, il che mi rende sospetto, quindi chi ti sorveglia a ragione direbbe “A-ha! Ecco quello lì che nasconde qualcosa, manda una Volante a controllare”, ed ecco che mi mordo la coda. Anzi, sto proprio deviando le linee del destino, mettendo in scena una profezia che si autodetermina, visto che se penso che mi controllino così allora mi comporto colà e quindi mi notano e quindi mi controllano etcetcetcetc.
Se vedete nelle serate dei finesettimana dei gruppetti di persone di mezza età che si guardano in giro con il naso all’insù, non preoccupatevi, sono i soliti amici avvocati architetti medici docenti universitari o psicologi che per fumarsi con tranquillità due canne in centro devono giocare a nascondino con gli occhietti elettronici che dovunque, a Udine come in molte altre città italiane, sorvegliano il territorio. Gente che si preoccupa, professionisti seri, che li sgami subito per la paranoia che hanno di essere beccati, appunto. Encomiabili, quelli, ci vuole un coraggio da leoni oggidì, mentre l’approccio corretto sarebbe fottersene platealmente dell’intero problema, visto che problema non è (tranne che per le stolti leggi italiane al riguardo).
E se tu che leggi qui sei contro l’uso ricreativo della canapa, sappi che con buona probabilità le persone intorno a te, il tuo avvocato o il benzinaio o il tuo medico o il bancario o la commessa del negozio di scarpe sniffano cocaina, e qui il problema c’è (tranne che per le stolte leggi italiane al riguardo, che non conoscono la differenza).
Ma delle ridicole politiche proibizioniste parleremo un’altra volta, torniamo al problema del Grande Fratello, le centinaia di videocamere che ci sorvegliano mentre passeggiamo in centro.
Qui a Udine vogliono metterne un altro centinaio intorno alle scuole, visto che i vandali cagionano 200.000 Euro di danni all’anno, come ci racconta un preoccupato (forse per i soldi) assessore provinciale sul Messaggero Veneto. E la Regione o altri stanzieranno un milione di euro per le videocamere. E a me sembrano tanti, 10.000€ per ogni telecamera e il lavoro di metterla e tutto. Ma vabbè, paghiamo e teniamo sotto controllo i giovani, dài. Vorrai mica e-du-car-li, no? Approccio obsoleto, suvvia. In questo modo poi imparano sul campo l’arte del sotterfugio, italico vanto, e le marachelle le faranno ugualmente, se non peggiori.
E in ogni caso per i prossimi anni non si tornerà indietro, garantito, la tecnologia verrà ampiamente utilizzata per il controllo del territorio e delle persone, in forme sempre più raffinate. Ce lo diceva paradossalmente anni fa Rodotà, da Garante della privacy: se non volete essere rintracciabili, non limitatevi a spegnere il cellulare, togliete proprio la batteria, sennò qualcuno (chi? con quali fini? ovviamente uno incorruttibile e di specchiata moralità) potrebbe sempre facilmente sapere dove siete.
La domanda è: chi le guarda, queste immagini? La Polizia, immagino, oppure i Vigili Urbani. Centinaia o migliaia di videocamere in funzione alle 3 di notte, esiste chi le guarda sui monitor nella centrale operativa? Nelle università e nei centri di ricerca stanno sviluppando software specifico per rilevare comportamenti aberranti di umani e automobili, sappiatelo, tipo riunirsi a capannello in piazza in tre persone. Non credo le immagini nemmeno servirebbero a cogliere i malintenzionati in flagrante, penso piuttosto le registrazioni costituirebbero materiale d’indagine successivo al reato, per l’identificazione degli autori.
Insomma, vengo al punto.
C’è solo un modo per evitare gli atteggiamenti sospettosi, la paranoia sociale, l’ombra del grande Fratello che si allunga minacciosa sulle nostre ridenti cittadine minando la fiducia nel prossimo e nelle istituzioni.
Le immagini riprese dalle videocamere di sicurezza sul territorio pubblico devono essere pubbliche. Tutti devono poter vedere quello che vedono le forze dell’ordine in centrale operativa.
Tutti devono poter vedere tutto, in tempo reale, su un bel sitino web dove posso scegliere camera per camera le varie inquadrature, e le mappe con le ubicazioni dei punti coperti pure devono essere pubbliche.
E grave assai dovrebbe essere il reato di non rendere pubblici questi dati sulle ubicazioni di tutte le videocamere, perché saremmo nel caso di pubbliche amministrazioni che celano dati pubblici.
Magari diamo una mano alle forze dell’ordine, gratis: gli insonni potrebbero buttare un occhio negli angoli bui della città, senza muoversi di casa, e segnalare stranezze.
E soprattutto, per cose che riguardano appunto gli spazi pubblici, togliamo di mezzo questa idea della sorveglianza occulta, dove non posso controllare cosa controllano i controllori.
Ma proprio questo è il problema: chi controlla i controllori? La risposta migliore è oggi tecnologicamente praticabile: tutti noi possiamo controllare i controllori, tutti noi controlliamo noi stessi, ché è meglio tutti che una parte soltanto. Sennò non mi fido, sono paranoico.
Fare, saper fare, far sapere
Qui sul blog di Claudio Cicali potete leggere un buon esempio di come un’attività didattica in classe, in questo caso la realizzazione di brevi simpatici filmati realizzati con la tecnica dello stop-motion, inneschi nei bambini tutta una serie di apprendimenti relativi al funzionamento attuale della Società della Conoscenza, nei suoi aspetti legati al copyright e alla duplicazione di opere e allo scambio culturale con scuole di altri Paesi.