Archivi categoria: Cittadinanza digitale
Analisi sociale
http://www.techeconomy.it/2012/11/05/elesicilia-twitter-le-reti-e-la-correlazione-tra-buzz-e-risultati/
Habemus Agenda (quasi)
Consultazione pubblica del Miur sui principi fondamentali di Internet
Consultazione pubblica del Miur sui principi fondamentali di Internet
Re-framing della collettività
Nel frattempo, l’Agenda Digitale del Veneto
Focus Group per l’Agenda Digitale del Veneto
Dotarsi di un’Agenda Digitale, vale a dire di uno strumento programmatico per la promozione della conoscenza, dell’innovazione, dell’istruzione e della società digitale, rappresenta una priorità sancita a livello europeo, ora rilanciata anche a livello nazionale in Italia. Nel Veneto ciò significa dare continuità e nuovo impulso a processi pianificatori intrapresi da tempo.
Per questo la giunta regionale il 7 agosto scorso ha autorizzato la realizzazione dell’Agenda Digitale del Veneto e, a tale scopo, è stato individuato un “focus group” di esperti che si è insediato oggi a Palazzo Balbi e che contribuirà alla redazione di questo importante documento programmatico.
Componenti Focus Group
- Marco Camisani Calzolari, CEO di Speakage e docente IULM
- Michele Vianello, Direttore Parco Scientifico VEGA
- Stefano Micelli, Docente Economia Ca’ Foscari e VIU
- Riccardo Donadon, CEO di H-Farm
- Carlo Mochi Sismondi, Presidente di ForumPA
- Stefano Quintarelli, Direttore dell’Area Digital del Gruppo 24 ORE
- Ernesto Belisario, Presidente Associazione Italiana per l’Opengovernment
La stesura di un’Agenda Digitale del Veneto non è nella mia visione un punto di arrivo, ma èun assetto e una modellazione organica degli interventi che già abbiamo messo in cantiere per il rilancio della cultura ed economia digitale nel nostro territorio. L’Agenda Digitale del Veneto rappresenta quindi un punto di partenza per implementare questa prima fase e sapersi orientare all’interno di nuovi scenari di grande impatto economico e sociale.
In questi miei primi due anni di mandato, la Regione ha dato attuazione a un ampio programma di lavoro su queste tematiche, comprendendo tra l’altro:
- l’abbattimento del DigitaI Divide Infrastrutturale con la diffusione della Banda Larga, progetto per il quale sono stati messi a disposizione 40 milioni di euro ed è prossimo un ulteriore finanziamento;
- l’abbattimento del DigitaI Divide Culturale con la creazione di luoghi (Centri P3@) infrastrutturati orientati a soddisfare le esigenze di connessione, ma soprattutto di acculturazione informatica, in tutti i comuni veneti. Attualmente con 2 milioni di euro ne sono stati già aperti 167 ma la Regione si adoperando per raggiungere la totalità dei comuni del territorio veneto;
- la diffusione del modello del “cloud computing” attraverso il finanziamento di 23 progetti delle PMI venete che operano nel campo dell’ Information & Communication Technology. Su questo ambizioso progetto, prima esperienza assoluta a livello nazionale, la Regione ha messo a disposizione 2.3 milioni di euro e, attualmente sta operando per stimolare la domanda verso questi servizi, offrendo incentivi alle PMI che non appartengono al settore dell ‘ICT, con altri 2 milioni di euro;
- la diffusione della cultura della trasparenza e del dato aperto con più di 100 dataset nel portale veneto degli Open Data e molti altri che si stanno aprendo, anche grazie alla collaborazione con gli Enti e le Agenzie pubbliche di tutto il territorio veneto.
Facendo tesoro di questo bagaglio di progetti è stato disegnato il proseguimento di un percorso con cui saranno definite le strategie digitali del Veneto per i prossimi anni. Servirà anche al rilancio di quei settori produttivi che, adottando il paradigma digitale, potranno competere a livello globale dimostrando ulteriormente il loro talento e l’indiscussa creatività che li ha sempre contraddistinti.
I temi da affrontare sono di primaria importanza come le start-up d’impresa, le reti di nuova generazione, le smart-cities e molto altro ancora. Con l’Agenda Digitale ci attende una sfida epocale che sono certo potremo affrontare mettendo in prima linea capacità e risorse per raggiungere i risultati che ci siamo prefissati per fare del Veneto una regione di primissimo livello nel campo delle comunicazioni tecnologiche”.
Martedì 18 settembre 2012 | Palazzo Balbi | Venezia
Vice Presidente e Assessore al sistema informatico ed e-government
Regione del Veneto On. Marino Zorzato
Fonte: marinozorzato.it
Le scuole digitali, subito
Scuola digitale ostacolata da classi senza internet e dal caos sui nuovi libri
di Martina Pennisi
Il ministero dell’Istruzione si accorda con le Regioni per attrezzare gli istituti. Le aule connesse però sono ancora troppo poche. E manca un modello condiviso di editoria digitale
Mentre procede il piano del Miur sulla Scuola digitale, emergono tutti gli ostacoli da superare per raggiungere gli obiettivi. In particolare la lacuna fondamentale sono le connessioni internet nelle classi, come evidenzia uno studiodell’Università La Cattolica. E c’è ora il caso di 3.800 scuole che, per motivi economici, perderanno la connessione all’Spc dal 20 ottobre. Regna inoltre, ancora, la confusione sulla nuova editoria scolastica digitale.
Gli ultimi passi avantiIl tutto mentre nei giorni scorsi c’è stata una storica stretta di mano con 12 Regioni e 40 milioni di euro messi sul piatto: il ministero dell’Istruzione presieduto da Francesco Profumo spinge sulla digitalizzazione della scuola, in attesa che l’argomento faccia capolino all’interno dell’Agenda digitale. Il decreto sulle norme volte ad aggiornare il Paese dal punto di vista tecnologico e dell’innovazione verrà presentato a fine mese, come annunciato dal ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera in occasione della presenza del rapporto sulle startup. Profumo ha cominciato a muoversi nell’area di sua competenza a fine dicembre 2011, lanciando il progetto La scuola in chiaro e rendendo disponibili i recapiti e le caratteristiche principali di 11mila scuole italiane. In luglio è stata la volta della presentazione del portale UniversItaly, per aggregare le informazioni sugli atenei nostrani.Il primo giorno dell’anno scolastico 2012/2013 è stato occasione per annunciare lo stanziamento di 31,836 milioni di euro per portare un computer in ogni classe delle medie (34.558) e superiori (62.600) e l’intenzione di consegnare un tablet a ogni insegnante del 64,5% delle scuole di Puglia (599 istituti), Campania (712), Sicilia (584) e Calabria (233). La stretta di mano odierna con le regioni del nord, che contribuiscono con 16 milioni, vede Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Toscana, Veneto e Umbria spendersi per portare nelle aule 5.906 lavagne interattive, fornire agli studenti 77.073 tablet, realizzare 2.764 Cl@assi 2.0 (una lavagna interattiva, un device per alunno e per insegnate, accesso alla Rete e a contenuti didattici digitali) e 17 Scuole 2.0 (produzione digitale di processi e contenuti, orari scolastici compresi). Rimangono fuori solo Sardegna, attiva autonomamente con il progetto Scuola Digitale, Veneto, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta.
I problemiA fronte di un tale, e (pro)positiva, convinzione sul dispiegamento delle macchine sono due le valutazioni da fare: prima di tutto quella relativa alle connessioni a Internet degli istituti e, soprattutto, delle aule dei singoli istituti. E in seconda battuta sulla formazione dei docenti, che dovranno per forza di cose imparare a dialogare con i dispositivi di nuova generazione e trovare uno spazio agli stessi nel processo didattico. Il primo àmbito non è di competenza diretta del Miur: trattasi di cablaggio degli edifici pubblici, che è già stato menzionato fra le priorità della più ampia agenda. Di lavoro da fare ce n’è, a fronte di un 7% delle scuole con tutte le classi in grado di navigare e un 10,96% che si connette solo da alcune aule, parlando delle medie, e un 7% circa delle superiori dotato di collegamento wireless. La percentuale degli istituti cosidetti secondari con accesso alla Rete in tutte le classi sale al 13%. I dati sono contenuti in una ricerca dell’Università Cattolica di Milano del 2009/2010, commissionata da Scuola digitale. L’ufficio statistico del Miur accorpa tutti gli istituti e individua un 73% di scuole connesse, anche solo in biblioteca e segreteria, e un 33% in cui il segnale arriva nelle aule. L’Adsl è presente nel 44,8% dei casi. Riavvolgendo il nastro al Programma per l’informatica e la telematica voluto da Luigi Berlinguer, correva l’anno 1998 e si tratta dell’ultimo sforzo significativo prima di quello in esame, si parte dal 39,4% degli istituti collegati. Mentre ora si apprende che 3.800 scuole perderanno internet il 20 ottobre. Lo rivela una nota della Direzione generale per gli studi, la statistica ed i sistemi informativi del Miur; comunica la fine del progetto Spc scuole: “Ridotti i fondi stanziati per un’iniziativa che è interamente a nostro carico”. “Spc è un progetto finito e riguarda solo servizi in più, di segreteria. Non c’entra con la didattica”, ribatte Giovanni Biondi al nostro sito. E’ il responsabile di questi temi per il Miur. “Nell’Agenda prevediamo un piano di cablature e connessione delle scuole”. Altre scuole in digital divide dovrebbero essere coperte dal piano nazionale banda larga del ministero allo Sviluppo economico (ora in fase di approvazione; risorse comunitarie di 1,08 miliardi di euro che serviranno principalmente a dare banda larga di base alle case).La variabile internet è determinante, come tiene a sottolineare il professore dell’Università meneghina Bicocca Paolo Ferri e consulente per l’innovazione del Miur, perché “senza Internet, senza la banda larga le macchine non servono. Il cablaggio di scuole e uffici pubblici deve essere la priorità assoluta”. L’approccio di Profumo, “che si è trovato senza soldi e al cospetto di una situazione a macchia di leopardo”, è da considerarsi positivo in termini di “attenzione al tema” e in un contesto in cui non si assiste a un “intervento strutturale da 12 anni”, la riforma Berlinguer appunto. La formazione dei docenti è il secondo aspetto su cui è necessario concentrarsi: “Qualcosa è già stato fatto, 4-500mila insegnanti sono stati formati in questi anni, ma bisognerebbe permettere l’incentivazione contrattuale nei confronti di chi si dimostra ricettivo”. “Se non”, provoca Ferri, “introdurre una carriera dell’insegnamento, ma la Cgil non lo permetterebbe mai”. Con la stessa urgenza, passando al terzo intervento auspicabile, bisogna “occuparsi dei contenuti”. Fra le voci evidenziate dal Miur è presente quella dedicata all’Editoria digitale scolastica e, secondo quanto stabilito da Tremonti nel 2009, i libri pubblicati dal 2011/2012 devono essere misti. Manca però un modello comune agli editori: negli Stati Uniti, spiega Ferri, “il libro digitale viene venduto al 50% del prezzo di copertina con funzioni aggiuntive”. Così facendo si è anche superata la riluttanza dei medio piccoli, il 40% del nostro mercato, che temono di rimetterci economicamente nella transizione al digitale. Profumo ha messo a disposizione 10mila euro a progetto per una ventina di spunti, ma “c’è il problema dei diritti d’autore da affrontare: il bando prevede che i contenuti realizzati siano di proprietà della scuola e possano essere sfruttati da terze parti”. Sulla possibilità che siano gli insegnanti a pubblicare i libri, l’iniziativa si chiamaBook in progress, Ferri è abbastanza scettico, “è uno scenario utopico e gli editori sono troppo legati al loro business tradizionale, non rendendosi conto che nell’arco di 5 o 6 anni i contenuti digitali saranno la maggior parte”. Così si spiegano anche alcune disavventure su cui, con il nuovo anno scolastico, si cimenta l’ironia dei blogger.L’aspetto che desta meno preoccupazione è quello legato alla penetrazione dei dispositivi: “Hanno un costo ormai ridotto e l’80% dei genitori italiani ne possiede uno. E secondo i dati Istat, la percentuale degli insegnanti ad avere il computer è pari al 95%”. Oltre a essere una buona notizia in termini di alfabetizzazione digitale, quantomeno potenziale, potrebbe essere il punto da cui partire per organizzare una rivoluzione strutturale con le poche risorse economiche disponibili. Secondo un dossier de Lavoce.info servirebbero 10 miliardi di euro per portare la didattica nostrana al livello di quella britannica, banda larga ovunque, lavagne interattive e quattro o cinque computer connessi per aula. Una soluzione intermedia, spiega Ferri, dovrebbe partire dal “cablaggio delle scuole supportato dallo stato”, passare per “agevolazioni per le famiglie che investono in tecnologia”, tenendo conto della buona diffusione di partenza; e “trovare un accordo solido con gli editori”. La rondine di questi mesi non fa (ancora) primavera, ma ci sono buone ragioni per essere ottimisti. Le altre sono da ricercarsi nel decreto di fine settembre
Per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal progetto Cl@ssi 2.0, che ha, a livello internazionale, dei “progetti gemelli”- in Spagna il progetto Escuela 2.0 e in Inghilterra il progetto CAPITAL – è necessario tenere presente alcune tendenze diffuse negli ultimi anni nell’ambito dei servizi e degli strumenti a supporto dell’apprendimento. Questi infatti si presentano come applicazioni di facile uso che non richiedono specifiche competenze e rendendo quindi indipendente l’utente. Tra queste tecnologie rientrano anche le Lavagne Interattive la cui rapida diffusione ha dimostrato l’alto potenziale delle ICT nel guidare il cambiamento degli ambienti di apprendimento.Terminati i processi di diffusione delle tecnologie su larga scala a scuola, anche a livello europeo, è urgente verificare se e quanto le tecnologie siano state integrate all’ambiente di apprendimento e se la loro presenza abbia apportato delle modifiche/cambiamenti alle metodologie didattiche al fine di sostenerne il processo di stabilizzazione.Alcune tra le tendenze diffuse (EU Digital Agenda, Marzo 2010, 2020 Vision – Report of the Teaching and Learning in 2020 Review Group) rivelano che:
- I modelli pedagogici, costruttivista e sociocostruttivista, includono le ICT come strumenti per potenziare la didattica tradizionale che privilegi un approccio attivo, compiti aperti che mirino alla riflessione sul processo ed alla personalizzazione dei percorsi di apprendimento.
- Un ulteriore concetto ormai ampiamente condiviso, anche se ancora poco sperimentato realmente, riguarda il ruolo dell’insegnante che si configura come il punto chiave nel processo di trasformazione delle azioni di apprendimento. La presenza sempre più diffusa e naturalizzata nella scuola da qui a dieci anni delle tecnologie renderà necessario all’insegnante sviluppare e mettere in campo competenze oggi ancora timidamente espresse.
- Gli spazi dell’apprendimento a livello strutturale probabilmente resteranno immutati, ma la differenziazione dei modelli di apprendimento sarà orientata prevalentemente alla collaborazione tra studenti e alla personalizzazione dei contenuti/percorsi sia per il modello classe tradizionale che per modelli diversi da questa con il supporto delle ICT (es. classe diffusa).
- I vincoli strutturali sono stati superati in questi anni dall’estensione dello spazio classe con ambienti di apprendimento virtuale (VLE) e sistemi di gestione dei contenuti, LMS (Learning Management System), a cui si sono associati strumenti del Web 2.0.
- Sul fronte contenuti didattici digitali si rileva la produzione di contenuti autoprodotti dall’utente che potrebbe restare la tendenza più diffusa se si trovassero standard descrittivi adeguati.
- La grande diffusione delle lavagne Interattive Multimediali e di superfici interattive in generale avvierà l’ampliamento del numero di device tecnologici (tablet, netbook, ebook, risponditori…) che orienteranno l’attività didattica sempre più verso la collaborazione.
- La valorizzazione dell’apprendimento informale sarà un ulteriore fattore chiave. In questa direzione l’uso di giochi, ambienti immersivi e augmented reality richiederà ulteriori approfondimenti di ricerca per far si che questi vengano considerati come potenziali scenari di apprendimento.
- Gli esiti di alcuni progetti in paesi europei ed extraeuropei hanno rivelato che la formazione degli insegnanti sia metodologica che tecnologica rivela l’estrema importanza della qualità della stessa e della necessità di identificare nuovi modelli di formazione continua adeguati alle esigenze della popolazione insegnante (OECD – Education at a glance).
- La presenza diffusa delle nuove tecnologie sia in forma di strumenti (risponditori..etc) che in forma di applicazioni web 2.0 (wiki, blog, contenuti digitali o altro) consente di attivare processi di valutazione degli apprendimenti e di identificare le preferenze degli studenti. L’uso di questi strumenti probabilmente modificherà la valutazione formativa, mentre la valutazione sommativi manterrà un approccio basato sulla misurazione degli apprendimenti a partire da prove oggettive di valutazione (es. OCSE-PISA e INVALSI)
- Un ultimo elemento chiave da non sottovalutare è il ruolo dei genitori sempre più coinvolti e partecipi nel processo di crescita e formazione dei figli. Questi ultimi si mostrano favorevoli all’adozione di nuovi strumenti.
L’azione Cl@ssi 2.0 intende offrire la possibilità di verificare come e quanto, attraverso l’utilizzo costante e diffuso delle tecnologie nella pratica didattica quotidiana, l’ambiente di apprendimento possa essere trasformato.La logica del progetto tende a valorizzare l’attuazione di più modelli di innovazione che possano generare un contagio nel territorio anche tra quelle scuole che non partecipano all’iniziativa. In quest’ottica si auspica che si realizzi una casistica eterogenea di modelli di miglioramento nell’ottica dell’autonomia scolastica. In tal senso il processo di miglioramento che il progetto vuole promuovere comprende più livelli, dall’aspetto organizzativo a quello aspetto didattico nella gamma di azioni del processo insegnamento/apprendimento che, a partire dall’analisi dei bisogni della scuola, prevedano l’integrazione delle tecnologie (sia in termini strumentali che metodologici). Il focus non ruota attorno alla tecnologia in senso stretto, ma alle dinamiche di innovazione che può innescare.
AAA Direttore Agenda Italia Digitale cercasi
Qui di seguito, alcuni degli obiettivi dell’Agenda per l’Italia Digitale, quelli riportati dal bando per la selezione del Direttore generale.
Animo, ragazzi, che siamo nel 2012, e queste cose potevano essere tranquillamente progettate e pian piano realizzate nel corso degli ultimi dieci anni.
- la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana, in coerenza con gli indirizzi elaborati dalla Cabina di regia di cui all’articolo 47 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito in legge con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, nel quadro delle indicazioni dell’Agenda digitale europea, di cui alla comunicazione della Commissione europea COM (2010) 245 definitivo/2 del 26 agosto 2010;
- la diffusione dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, allo scopo di favorire l’innovazione e la crescita economica, anche mediante l’accelerazione della diffusione delle Reti di nuova generazione (NGN);
- l’elaborazione di indirizzi, regole tecniche e linee guida in materia di omogeneità dei linguaggi, delle procedure e degli standard, anche di tipo aperto, per la piena interoperabilità e cooperazione applicativa tra i sistemi informatici della pubblica aministrazioe tra questi e i sistemi dell’Unione Europea;
- l’assicurazione dell’uniformità tecnica dei sistemi informativi pubblici destinati ad erogare servizi ai cittadini ed alle imprese, garantendo livelli omogenei di qualità e fruibilità sul territorio nazionale, nonché della piena integrazione a livello europeo;
- il supporto e la diffusione delle iniziative in materia di digitalizzazione dei flussi documentali delle amministrazioni, ivi compresa la fase della conservazione sostitutiva, accelerando i processi di informatizzazione dei documenti amministrativi e promuovendo la rimozione degli ostacoli tecnici che si frappongono alla realizzazione dell’amministrazione digitale e alla piena ed effettiva attuazione del diritto all’uso delle tecnologie di cui all’articolo 3 del Codice dell’amministrazione digitale;
- la vigilanza sulla qualità dei servizi e sulla razionalizzazione della spesa in materia informatica, in collaborazione con CONSIP Spa, anche mediante la collaborazione inter-istituzionale nella fase progettuale e di gestione delle procedure di acquisizione dei beni e servizi, al fine di realizzare l’accelerazione dei processi di informatizzazione e risparmi di spesa;
- la promozione e diffusione delle iniziative di alfabetizzazione informatica rivolte ai cittadini, nonché di formazione e addestramento professionale destinate ai pubblici dipendenti, anche mediante intese con la Scuola Superiore della pubblica amministrazione e il Formez, e il ricorso a tecnologie didattiche innovative;
- il monitoraggio dell’attuazione dei piani di Information and Communication Technology (ICT) delle pubbliche amministrazioni, sotto il profilo dell’efficacia ed economicità proponendo agli organi di governo degli enti e, ove necessario, al Presidente del Consiglio dei Ministri i conseguenti interventi correttivi.
Paradigmi di comunicazione politica
Una presentazione di Dino Amenduni, con informazioni e punti di vista interessanti sulle nuove forme di gestione del territorio e della partecipazione civica e politica.
Progettare una smart-city
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Un framework per l’espressione, l’informazione e la comunicazione, in cui sono disponibili strumenti per creare contenuti e per ascoltare la vita digitale pubblica.
- globale – navigare la città secondo i grandi temi, quali i servizi, la cultura, l’ambiente, la storia, il divertimento;
- locale – scelto un tema: cosa offre la città a riguardo?
- contestuale – “ok, sono qui: cos’altro c’è?”, per trovare servizi correlati, cose compatibili o simili, o anche solo vicine.
- l’idea di Ecosistema Digitale come nuova infrastruttura pubblica cittadina: un ambiente umano e tecnologico accessibile in maniera ubiqua, che diventa unframework di espressione e di ascolto alla base della vita e dei processi della città;
- l’idea di Città Piattaforma in cui non solo è possibile accedere ed utilizzare informazioni e servizi, ma soprattutto attivare i cittadini e gli operatori al fine di crearne e realizzarne di propri, sia direttamente che attraverso remix/ricombinazione di informazioni, servizi, competenze ed opportunità presenti nella città;
- la Città-Cloud che, al pari di un sistema come Amazon, consente a operatori grandi, piccoli o piccolissimi di utilizzare e coordinare l’ecosistema per creare impresa, cultura, emozione, poesia, politica, divertimento. Non un centro singolo, ma le molteplicità potenzialmente infinite che riescono ad esprimersi attraverso la Città Piattaforma;
- la città Open Source, nel senso che l’amministrazione rilascia le API (Application Programming Interfaces) cittadine e un vero e proprio kit per lo svilupposoftware (SDK), offerto ai cittadini come strumento per la libera creazione di applicazioni, esperienze, operazioni creative ed artistiche, di servizi, culture, coordinamenti, filiere nuove e inaspettate. Un elemento talmente importante da essere intgrato nell’intero ciclo di vita scolastico, proprio come si impara a leggere, a scrivere e a far di conto.
ORIANA PERSICO E SALVATORE IACONESI
Obama sul web, scrive e risponde
We know how Republicans feel about protecting Internet Freedom. Is Internet Freedom an issue you’d push to add to the Democratic Party’s 2012 platform?
Internet freedom is something I know you all care passionately about; I do too. We will fight hard to make sure that the internet remains the open forum for everybody – from those who are expressing an idea to those to want to start a business. And although there will be occasional disagreements on the details of various legislative proposals, I won’t stray from that principle – and it will be reflected in the platform.
Arredo urbano per aree connesse
Aggiungo una riflessione sulle smart-maps, “Self-Mapping. Mappare le città: fra geoblogging, pratiche di progettazione urbana ed etnosemiotica”, trovata qui su Augenblick, il blog di Ocula.
Social Identity Card
La Rete come una sauna come una spiaggia
Una tipa, la vice-ministro della gioventù del Costarica.
Si mette in mutande e reggiseno, lei è proprio formosa, si stende sul letto talvolta ammiccando e manda un videomessaggio tramite Youtube al suo uomo, dice che lui le manca, che lo fa per lui, che lo ama. Un video pubblico, si può vedere anche qui da Pasteris, dove ho letto la notizia. Poi si è dimessa dall’incarico, e francamente non so perché. Robe di pubblico-privato, immagino, di reputazione, di moralità, di adeguamento dei comportamenti al ruolo sostenuto professionalmente. Adeguamento? C’è un codice da qualche parte, che stabilisce la giusta correlazione, quella appropriata. Le parole da pronunciare, i comportamenti da tenere in quel contesto devono essere ben formati, coerenti con un sistema di significazione stabile e stabilito, e nel corso del processo di comunicazione devono cadere nelle situazioni, trovar vita e senso, in modo da non contraddire alcune regole enunciative, da non compromettere la conversazione, in modo da garantire un riflesso sul discorso di quei valori che intendo trasmette insieme al mio dire. Cose che non vengono dette, ma accompagnano poi immancabilmente l’interpretazione. Veicolo un mondo nella mia visione del mondo, anche quando sto semplicemente chiedendo un caffè al bancone di un bar.
E una vice-ministro non può dire “ti amo” al suo uomo con un video pubblico in biancheria intima, e poi ragionare di politiche giovanili e comportamenti educativi. Capisco.
Ma la domanda è: la tipa è cretina? Si rendeva conto di quello che stava facendo? Ok, forse era un po’ brilla, ma sapeva giudicare le conseguenze delle sue azioni? Magari per lei è un comportamento abituale, metti che sono dieci anni che videochatta in webcam con amichetti, la sua soglia di praticabilità del gesto era bassa, per lei è una cosa normale.
Per milioni di persone su questo pianeta videochattare è una cosa normale, da anni. E quindi c’è una norma da qualche parte, che si è modificata.
Sì, voglio arrivare lì. L’ondata di moralità che vive nei pensieri del vice-ministro (spingendola a dimettersi o a accettare di) è la stessa che vive diffusa nei saperi condivisi della collettività del Costarica, e assomiglia parecchio alla nostra, visto che condividiamo molti fattori culturali – il Costarica ci è più comprensibile di Sumatra, per dire – e quindi possiamo a nostra volta esprimere giudizi sull’adeguatezza di quel comportamento, con codici simili. Ma quell’insieme di pensieri sillogismi argomenti mezzeverità esempiconcreti che costituisce il nostro concetto di “moralità” non si è adeguato alle nuove possibilità dell’espressione di sé offerte dai media digitali. Non si poteva mostrare in cinque minuti a tutto il mondo un video girato nella nostra camera da letto. Oggi sì, e a moltissimi piace, lo fanno quotidianamente, e sono cambiate le soglie di ciò che è ritenuto conveniente e sconveniente fare, di ciò che è pubblicabile. Si può fare, quindi si fa. Poter praticare quella forma dell’espressione, quella nuova parola che tutti possiamo pronunciare essendo ormai stabilmente entrata nel dizionario e nell’enciclopedia condivisa della collettività mondiale, significa trovare sul piano del contenuto qualcosa che ora può essere detto, una sostanza del contenuto che trova una sua forma nell’adeguarsi alle possibilità espressive, rivelando cose degli individui e del mondo che prima semplicemente non potevano essere dette, mancando le parole per dirle.
Una videochat pubblica o pubblicata è un elemento in più nella grammatica delle possibilità espressive della specie umana, e mostrerà lati dell’animo umano mai prima esplorati da nessuna arte o pratica sociale.
E quanti sono, al mondo, quelli che ancora dentro di noi chiamiamo esibizionisti? Pullulano in questi universi di discorso valori e configurazioni discorsive affettive legate alle aree semantiche del pudore, dello smascheramento, all’identità personale e sociale svelata e rivelata, della reputazione, della normalità, del socialmente adeguato. Tutta roba che dovrà adeguarsi, perché i valori sono liquidi e si adeguano ai contenitori.
Un mondo fatto di gente che in mutande parla in pubblico, di cose pubbliche o di cose private. E nessuno si stupisce. D’altronde qualcuno diceva che se alle riunioni di governo o del CdA di un’azienda fossimo tutti nudi, le cose andrebbero diversamente. I finlandesi (tutti, li ho contati) si vantavano di questo: le riunioni di governo dentro la sauna, tutti nudi e tutti uguali. Non hai la camicia più costosa della mia, non indossi nulla per migliorare agli occhi degli altri il tuo prestigio, corone o scettri o pellicce o abiti di alta sartoria. E la Rete ci permette di andare mezzi ignudi dappertutto, e non genera panico sociale. Come se quel vice.ministro fosse andata in spiaggia esponendo esattamente gli stessi centimetri quadrati di pelle, e avesse pronunciato quel saluto affettuoso davanti a una videocamera di un tg nazionale, e nulla sarebbe successo, forse le avrebbero detto che sarebbe stato più consono indossare un pareo, ma in fondo non farebbe scandalo. La stessa gente che la mattina incontri in giacca e cravatta in ufficio potresti incontrala in mutande in spiaggia, e non sembra strano. Una donna piega una gamba per mettersi la crema solare, e fa un gesto che mai farebbe in ufficio, per timore di essere presa per esibizionista dall’ormone bollente. Cambia il contesto, tutto torna ok. Abbiamo dei codici, ci sorreggono, dislocano il significato e sono sensibili al contesto.
Quelli che si vogliono impegnare nel costruire la propria identità digitale arredano con cura i propri spazi, dai colori del blog alle immagini sui social, facendo personal brand reputation, che abbiano dodici anni o settanta, che ne siano consapevoli o meno. E’ un tratto della personalità aver cura dell’ambiente di vita, dipende da cultura personale e sociale in cui siamo cresciuti. Alcuni ci mettono molte energie, alcuni semplicemente pubblicano cose secondo i gusti personali, e poi la reputazione emerge nel tempo, come linea di melodia infinita del nostro vivere in rete. Ma non puoi millantare reputazione. Posso sapere cosa hai fatto in rete e fuori in passato, il tuo stile di conversazione sui social, la qualità delle tue pubblicazioni in Rete, la rete sociale in cui sei coinvolto. In Rete sei uno che esprime opinioni, sei un punto di vista e sei prezioso proprio perché unico, sei un nodo di soggettività che agisce conversazione, costruisci società della conoscenza, offri informazioni e riflessioni. Su queste basi io ti giudico, in Rete. Nel tuo partecipare, sostenere una posizione, controbattere, saper cercare collaborativamente nel dialogo il bandolo di una matassa di ragionamenti, su una BBS o su un forum o nei comment di un blog o su un social.
E per me, puoi anche essere nudo. Anzi, forse meglio.
Essere in grado di
Ok, le smartcity. Ma qui si tratta delle smartcommunity. Le comunità vanno enpowerate nella consapevolezza di sé, nella motivazione di singoli e gruppi a partecipare, vanno connesse e interconnesse sul piano tecnologico e relazionale, servono piazze strade caffè e salotti, occorrono dei luoghi di visibilità pubblica delle forme sociali digitali. E delle mappe, segnaletica, percorsi emozionali, palestre di cittadinanza.
Vanno diffuse delle abilità nella popolazione, va promossa una competenza in ogni cittadino riguardo al sapere fare (e magari, al sapere di saper fare), riguardo al saper fruire del territorio fisico dandone immagine e verbo sul territorio digitale, e saper partecipare a pubbliche discussioni che possano contribuire a migliorare la qualità dell’abitare.
Forme di alfabetizzazione digitale strutturata e formale, mediante agenzie formative e utilizzando i media tradizionali. Poi se molte cose sono in Rete e le persone scoprono la loro utilità o partecipano a qualsiasi iniziativa ludica o professionale, altre competenze nasceranno dalla semplice frequentazione e comprensione dei meccanismi tecnologici e sociali della Rete, perché nessuno ha imparato Internet (o anche a usare il computer) da un manuale d’istruzioni.
Quindi, rendere appetibile l’uso della Rete, per far andare la gente online, e disseminare competenze come effetto laterale. Un po’ come quando si dice che Facebook ha alfabetizzato (ahia) l’italia.
Un luogo pubblico
Cultura digitale a scuola
Ma credo che l’elemento essenziale per costruire la nostra narrazione su scuola e nativi passi dal cominciare a raccontare di un ambiente di apprendimento aperto in cui gli spazi personali e sociali fuori dalla scuola, quelli ricchi di interfacce sociali come i social network, i wiki, ecc. stanno costruendo, siano incorporati nelle dinamiche educative e diventino un tema del dibattito pubblico e interno alle classi.