Archivi autore: Giorgio Jannis

AAA Direttore Agenda Italia Digitale cercasi

Qui di seguito, alcuni degli obiettivi dell’Agenda per l’Italia Digitale, quelli riportati dal bando per la selezione del Direttore generale.

Animo, ragazzi, che siamo nel 2012, e queste cose potevano essere tranquillamente progettate e pian piano realizzate nel corso degli ultimi dieci anni.

  • la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana, in coerenza con gli indirizzi elaborati dalla Cabina di regia di cui all’articolo 47 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito in legge con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, nel quadro delle indicazioni dell’Agenda digitale europea, di cui alla comunicazione della Commissione europea COM (2010) 245 definitivo/2 del 26 agosto 2010;
  • la diffusione dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, allo scopo di favorire l’innovazione e la crescita economica, anche mediante l’accelerazione della diffusione delle Reti di nuova generazione (NGN);
  • l’elaborazione di indirizzi, regole tecniche e linee guida in materia di omogeneità dei linguaggi, delle procedure e degli standard, anche di tipo aperto, per la piena interoperabilità e cooperazione applicativa tra i sistemi informatici della pubblica aministrazioe tra questi e i sistemi dell’Unione Europea;
  • l’assicurazione dell’uniformità tecnica dei sistemi informativi pubblici destinati ad erogare servizi ai cittadini ed alle imprese, garantendo livelli omogenei di qualità e fruibilità sul territorio nazionale, nonché della piena integrazione a livello europeo;
  • il supporto e la diffusione delle iniziative in materia di digitalizzazione dei flussi documentali delle amministrazioni, ivi compresa la fase della conservazione sostitutiva, accelerando i processi di informatizzazione dei documenti amministrativi e promuovendo la rimozione degli ostacoli tecnici che si frappongono alla realizzazione dell’amministrazione digitale e alla piena ed effettiva attuazione del diritto all’uso delle tecnologie di cui all’articolo 3 del Codice dell’amministrazione digitale;
  • la vigilanza sulla qualità dei servizi e sulla razionalizzazione della spesa in materia informatica, in collaborazione con CONSIP Spa, anche mediante la collaborazione inter-istituzionale nella fase progettuale e di gestione delle procedure di acquisizione dei beni e servizi, al fine di realizzare l’accelerazione dei processi di informatizzazione e risparmi di spesa;
  • la promozione e diffusione delle iniziative di alfabetizzazione informatica rivolte ai cittadini, nonché di formazione e addestramento professionale destinate ai pubblici dipendenti, anche mediante intese con la Scuola Superiore della pubblica amministrazione e il Formez, e il ricorso a tecnologie didattiche innovative;
  • il monitoraggio dell’attuazione dei piani di Information and Communication Technology (ICT) delle pubbliche amministrazioni, sotto il profilo dell’efficacia ed economicità proponendo agli organi di governo degli enti e, ove necessario, al Presidente del Consiglio dei Ministri i conseguenti interventi correttivi.

Tablet a scuola, a Pordenone

PORDENONE. Rivoluzione tablet in terza liceo scientifico: la scuola digitale è nel Don Bosco, a Pordenone. Per 20 liceali didattica digitale 2012-2013 avanti tutta già da oggi con la prima campanella. Costo previsto del progetto Sdi, cioè Sistema didattico integrato in collaborazione con l’azienda Kne di San Donà di Piave: 20 mila euro. Pagano il Don Bosco e un benefattore privato che è sponsor dell’impresa.
E-book, tablet, lavagna digitale e la classe di viale Grigoletti diventa i-cloud, con la “nuvola” a portata di clic. Prima scuola nel pordenonese con e-book, testi condivisi, presentazioni interattive, blog, piattaforma di istituto: per cinque discipline che sono italiano, matematica, fisica, inglese, scienze naturali. Il progetto ridurrà il salasso del caro-libri per le famiglie: 50 per cento nel 2012-2013. Poi, la scuola digitale si spalmerà a onda nelle altre classi e indirizzi classico ed economico.
«Il cuore del progetto è la piattaforma open source a cui accedono i ragazzi e professori – ha spaziato don Silvio Zanchetta direttore della casa salesiana di Pordenone con il professore di matematica Francesco Saitta tutor dell’operazione -. Niente più libri cartacei, speriamo: entro il 2015 ogni studente avrà un tablet con tutti i libri di testo. E’ una sfida educativa: primo bilancio alla fine del primo quadrimestre, in gennaio».
Disco verde alle tecnologie in aula, con video-proiettore multimediale, computer e tablet. I pacchetti didattici costruiranno un data-base con testi digitali, contenuti multimediali, arricchiti dai contributi degli studenti e il social reading, con le note condivise.
«E’ una rivoluzione nel metodo di apprendimento e di insegnamento – sono entusiasti i liceali -. Lo start-up sarà per una ventina di compagni, ma ci saranno novità per tutti gli studenti: wi-fi in tutto l’istituto e potremo attingere agli iper-testi, video e altro». Per esempio: la videata del tablet ha icone varie, compreso “mio diario” che si clicca e si entra in “lezioni”, per scaricare dispense, segmenti di e-book di scienze, matematica e altre discipline. «La rivoluzione tecno si innesta su una grande tradizione scolastica – dicono al Don Bosco -. Il tablet si carica alla sera, a casa, per infilarlo nello zaino al posto dei libri. Una “tavoletta” che diventa libro, quaderno e banca-dati con un clic sulla piattaforma di istituto». Contenti i “nativi digitali”, con la pagella elettronica in dote.
Chiara Benotti

Crowdfunding civico

Un Comune che predispone una piattaforma web per far finanziare progetti di migloramento urbano, magari anch’essi emersi (proposti e votati) dalla collettività. Non so se sia corretto, non credo. Come cittadini paghiamo già delle tasse, affinché la Pubblica Amministrazione provveda a fornire servizi, ottimizzare qua e là, distribuire risorse materiali o immateriali.
Parliamo di “impegnarsi coi soldi”, che qua mi sembra stia diventando il modo per impegnarsi, o forse lo è sempre stato, nelle campagne civiche, per coinvolgersi nella vita pubblica. Come fa Obama, su altra scala, in quegli USA dove chi raccoglie più soldi in campagna elettorale vince… e da Giovanna Cosenza qui potete leggere cosa dice Obama, e cercare di decifrare il suo tono nel chiedere donazioni, di portarvi su Contribute Barack Obama, la piattaforma di fundraising a suo sostegno.
Però tornando a piattaforme di proprietà pubblica, non credo dovrebbero essercene. Piattaforme per la partecipazione e l’ideazione collettiva di ottimizzazioni della macchina governativa, a ogni livello, sì. Chiedere soldi, no.
Però privati cittadini potrebbero promuovere piattaforme di crowdfunding, e il Comune partecipare con finanziamenti per qualcosa voluto e votato da molti cittadini, purché si tratti di cose apartitiche e dichiaratamente per il bene della collettività. O far proprio il progetto e gestire i soldi raccolti da privati per loro conto, nella logistica della realizzazione del bene comune. Ecco, meglio.

Brevettare l’umano

Il design che ricorre a una semiotica naturale, si sarebbe detto. Quel mondo là fuori e qui dentro la mia testa e su di me senza soluzione di continuità, quel mondo che è già linguaggio e narrazione per le sue qualità sensibili – fisiche, biologiche, chimiche. Pensate al famoso gesto cinematografico di utilizzare un osso come protesi del braccio, e colpire con più forza, un gesto vecchio di qualche milione di anni, che nasce nel dialogo tra sviluppo corporeo e habitat naturale, è come una frase nel discorso della specie umana rispetto all’ambiente di vita di questo pianeta. Impugnare qualcosa per l’uomo è naturale, e il pollice opponibile è proprio una nostra caratteristica (non siamo gli unici), e le forme del fare che una mano permette hanno condizionato nei millenni il nostro pensare, vadasé.
E se vedo una foto piccolina sullo schermo di un smartphone mi viene abbastanza naturale provare a ingrandirla stiracchiandola con due dita. Come se fosse di pongo, elastica. L’ho già fatto con altre cose, nel corso della mia vita. Si può fare certo in altri modi, dipende da quale concetto guida la tua mano, per come il nostro vivere in un ambiente naturale e sociale dipenda dalle metafore del “funzionamento” della realtà che abbiamo appreso. Esistono le porte, esistono i cardini le maniglie le serrature le chiavi. Impariamo, fissiamo il senso nelle credenze (il destino di ogni segno), automatizziamo il fare nelle abitudini, ne ricaviamo pattern di comportamenti a cui diamo vita, nell’occasione, con il nostro corpo. Un mondo significante, che giunge a noi già significante, impastato di natura e cultura.
Una volta c’erano i carri, e chi li guidava teneva le redini per gestire i cavalli. Un oggetto millenario, il morso è un’invenzione, stringhe di cuoio comode e efficienti, per gestire un cavallo. Poi è arrivata l’automobile, e chissà perché si è deciso di utilizzare un volante come interfaccia per le azioni di sterzo. Oppure due leve, o una cloche, quello che volete. Tanto sono tutte macchine che realizzano tecnologicamente una metafora e un modello di intervento sulla realtà, e ci risultano facili da apprendere, proprio perché basate su semiotiche del mondo naturale. Alto-basso, destra-sinistra, vicino-lontano. Un volante, tondo, che gestisce in modo analogico l’angolo di sterzata delle gomme, e un bambino di due anni non ha difficoltà a gestire la complessità cognitiva e motoria del gesto.
E nessuno che io sappia ha provato a brevettare il volante.
Mentre qui ora si brevettano i gesti, dice Luca DeBiase. I gesti diventano proprietà.
Le interfacce diventano trasparenti perché vanno a cercare i gesti nelle grammatiche del corpo, e picchiettare o zoomare con due dita sono i fonemi o le sillabe del linguaggio della mano, come stringere a pugno o ruotare o afferrare o indicare. Siamo vicini alla soglia bassa della semiotica, dove la cultura si scioglie nel fisiologico, a sua volta frutto di un dialogo con l’ambiente della nostra forma di vita, dei nostri geni. 
Credo si potrebbe arrivare al “darsi al mondo”, al nostro essere gettati in una vita, con un corpo. E quei gesti diventano manipolazione del mondo, e quindi segno, e quindi valore. Universale, perché credo nessuno sul pianeta abbia trovato assolutamente inconcepibile l’operazione di zoomare con due dita.
E insomma, non si brevetta questa roba qui.

Ma se i gesti naturali possono diventare proprietà intellettuale vuol dire che qualcosa sta andando storto.

Il punto è che la proprietà intellettuale è diventata un campo sofisticatissimo nel quale si intrecciano brevetti e copyright, marchi e segreti industriali, storytelling e pubblicità. Ogni nuova piattaforma digitale è in realtà un mondo di senso, abilitato da funzionalità tecniche ma utilizzato in base a una metafora che a sua volta discende da un’identità e una narrazione e si comprende solo attraverso un design. Non se ne esce facilmente.

La privacy in classe

La privacy in classe, dal tablet alla pagella elettronica. (fonte: Sole24ore)

Obbligo del consenso per video e foto sui social network. Scrutini e voti pubblici. Sì alle foto di recite e gite scolastiche. No alla pubblicazione on line dei nomi e cognomi degli studenti non in regola coi pagamenti della retta. Su cellulari e tablet in classe l’ultima parola spetta alle scuole. A pochi giorni dall’apertura degli istituti il Garante per la protezione dei dati personali fornisce a professori, genitori e studenti le indicazioni generali per la tutela della privacy sui banchi di scuola

Cellulari e tablet L’uso di cellulari e smartphone è in genere consentito per fini strettamente personali, ad esempio per registrare le lezioni, e sempre nel rispetto delle persone. Spetta comunque agli istituti scolastici decidere nella loro autonomia come regolamentare o se vietare del tutto l’uso dei cellulari. Non si possono diffondere immagini, video o foto sul web se non con il consenso delle persone riprese. La diffusione di filmati e foto che ledono la riservatezza e la dignità delle persone può far incorrere lo studente in sanzioni disciplinari e pecuniarie, ma anche in veri e propri reati. Stesse cautele vanno previste per l’uso dei tablet, se usati a fini di registrazione e non soltanto per fini didattici o per consultare in classe libri elettronici e testi on line.

Iscrizione e registri on line, pagella elettronica In attesa di poter esprimere il previsto parere sui provvedimenti attuativi del ministero dell’Istruzione riguardo all’iscrizione on line degli studenti, all’adozione dei registri on line e alla consultazione della pagella via web, il Garante auspica l’adozione di adeguate misure di sicurezza a protezione dei dati.

Questionari per attività di ricerca L’attività di ricerca con la raccolta di informazioni personali tramite questionari da sottoporre agli studenti è consentita solo se ragazzi e genitori sono stati prima informati sugli scopi delle ricerca, le modalità del trattamento e le misure di sicurezza adottate. Gli studenti e i genitori devono essere lasciati liberi di non aderire all’iniziativa.

Recite e gite scolastiche Non violano la privacy le riprese video e le fotografie raccolte dai genitori durante le recite, le gite e i saggi scolastici. Le immagini in questi casi sono raccolte a fini personali e destinati a un ambito familiare o amicale. Nel caso si intendesse pubblicarle o diffonderle in rete, anche sui social network, è necessario ottenere il consenso delle persone presenti nei video o nelle foto.

Retta e servizio mensa È illecito pubblicare sul sito della scuola il nome e cognome degli studenti i cui genitori sono in ritardo nel pagamento della retta o del servizio mensa. Lo stesso vale per gli studenti che usufruiscono gratuitamente del servizio mensa in quanto appartenenti a famiglie con reddito minimo o a fasce deboli. Gli avvisi messi on line devono avere carattere generale, mentre alle singole persone ci si deve rivolgere con comunicazioni di carattere individuale. A salvaguardia della trasparenza sulla gestione delle risorse scolastiche, restano ferme le regole sull’accesso ai documenti amministrativi da parte delle persone interessate.

Telecamere Si possono in generale installare telecamere all’interno degli istituti scolastici, ma devono funzionare solo negli orari di chiusura degli istituti e la loro presenza deve essere segnalata con cartelli. Se le riprese riguardano l’esterno della scuola, l’angolo visuale delle telecamere deve essere opportunamente delimitato. Le immagini registrare devono essere cancellate in generale dopo 24 ore.

Temi in classe Non lede la privacy l’insegnante che assegna ai propri alunni lo svolgimento di temi in classe riguardanti il loro mondo personale. Sta invece nella sensibilità dell’insegnante, nel momento in cui gli elaborati vengono letti in classe, trovare l’equilibrio tra esigenze didattiche e tutela della riservatezza, specialmente se si tratta di argomenti delicati.

Trattamento dei dati personali Le scuole devono rendere noto alle famiglie e ai ragazzi, attraverso un’adeguata informativa, quali dati raccolgono e come li utilizzano. Spesso le scuole utilizzano nella loro attività quotidiana dati delicati – come quelli riguardanti le origini etniche, le convinzioni religiose, lo stato di salute – anche per fornire semplici servizi, come ad esempio la mensa. È bene ricordare che nel trattare queste categorie di informazioni gli istituti scolastici devono porre estrema cautela, in conformità al regolamento sui dati sensibili adottato dal ministero dell’Istruzione. Famiglie e studenti hanno diritto di conoscere quali informazioni sono trattate dall’istituto scolastico, farle rettificare se inesatte, incomplete o non aggiornate.

Voti, scrutini, esami di Stato I voti dei compiti in classe e delle interrogazioni, gli esiti degli scrutini o degli esami di Stato sono pubblici. Le informazioni sul rendimento scolastico sono soggette ad un regime di trasparenza e il regime della loro conoscibilità è stabilito dal Ministero dell’istruzione. È necessario però, nel pubblicare voti degli scrutini e degli esami nei tabelloni, che l’istituto eviti di fornire, anche indirettamente, informazioni sulle condizioni di salute degli studenti: il riferimento alle “prove differenziate” sostenute dagli studenti portatori di handicap, ad esempio, non va inserito nei tabelloni, ma deve essere indicato solamente nell’attestazione da rilasciare allo studente.

Insegnanti, svegliatevi, osate

Anni e anni  a parlarne, siam sempre lì.
Una svolta importante nella mia vita fu quando vidi un’insegnante di quinta elementare (sì, ok, primaria) FARE IL DETTATO alla classe, usando Word.
“Bambini, aprite Word, e scrivete quello che vi detto”.
Uno strazio, vedere i bambini con quelle ditine che cercavano le lettere sulla tastiera. E nella loro mente si andava formando l’idea del computer come macchina per scrivere però bella, con lo schermo.
Bambini che a 5 anni sanno usare quasi tutti un mouse, mentre solo il 10% sa allacciarsi le scarpe. Non so se ci siamo capiti, anche se sono anni e anni che…

Vabbè, insegnanti, datevi da fare. E metteteci tutta la vostra intelligenza e professionalità nell’inventarvi i nuovi modi di far didattica, con tutti gli strumenti che avete già intorno.
Aspettando una connessione seria in banda larga per tutte le scuole, che civiltà dovrebbe aver già imposto da anni.

Qui un bel sito in inglese con decine di buone idee per una “didattica mediata” http://edudemic.com/

Durante i concerti, la gente fa i videi col telefonino

Abbiam tutti in tasca un telefono che è sempre meno usato come telefono e sempre più come macchina per raccontare storie multimediali a qualcuno, da qualche parte. Il testo è una macchina, sì, mentre la macchina crea il testo. Lo informa, anche. E ci vengono in mente idee per fare cose che dipendono dagli strumenti che abbiamo, dagli usi che permettono. E bisognerebbe pensare a cominicare a realizzare cose che oltre a fare il loro lavoro, racchiudono in sé una germinazione di idee, di fughe su possibili utilizzi. Se sono tecnologie abilitanti, almeno cerchino di essere “consapevolmente” abilitanti, no? Ovvero che mostrino di sapere che loro e il loro utilizzo innesca fughe.

Telefonini, con cui vien facile raccontare il territorio. Gli eventi, le emozioni del paesaggio, le occasioni sociali, i luoghi significati per molte persone. Tagghi, e quello emerge. Narri, e magari il tuo pacchetto di informazione viene mostrato nei motori di ricerca, viene catturato da aggregatori metti turistici, viene likato e diventa sintomo di un Luogo. Lo chiamo sintomo, per scherzare su quell’essere “fisicamente” connesso alla realtà che intende rappresentare, quel segno. Perché la rappresentazione mediatica dei Luoghi realizzata da milioni di persone con multimedialità e ipertestualità e rigettata negli ambienti sociali non è una fotografia del territorio. E’ il territorio, per come viene visto e vissuto, in tempo reale. E’ come viene narrato.

Infatti ci sono dei siti dove la cura e l’impostazione grafica estetizzano il flusso delle “cartoline” dei ricordi, i file audiovideotesto che scriviamo in Rete. Ti guidano a una rappresentazione determinata, per alcuni aspetti. Oppure le app sui telefoni ti lasciano confezionare un pacchetto informativo per la narrazione dei Luoghi e delle collettività, poi spediscono il tutto da qualche parte che ne ricava un’altra app che poi i viaggiatori turisti possono scaricare per saper qualcosa del luogo in cui si trovano. Su certi social avrò certi strumenti, resterò sintonizzato su certi Luoghi, ma alla fine tutto sarà dappertutto, tra pochi anni il materiale documentativo per ogni singolo luogo del pianeta sarà enorme, le discussioni saranno migliaia, nasceranno strumenti che ritagliano l’orizzonte, come i telefonini.

Progettare una smart-city

Un bell’articolo di Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, su CheFuturo.it. Lo copio integralmente qui su NuoviAbitanti, mi piace molto. L’articolo tratta della progettazione partecipata di un Ecosistema digitale per la città di Trieste.

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Vi è mai capitato di riprogettare in una settimana il sistema di comunicazione urbana di un’intera città coordinando un gruppo di 15 futuri designer e architetti? Una città, fra l’altro, che avreste sempre voluto visitare ma dove la vita non vi aveva ancora portato? A noi sì, circa un mese fa. La città in questione è Trieste  e l’occasione è stata offerta da Insegna Trieste, un workshop intensivo promosso da ISIA Firenze in collaborazione con l’Amministrazione Comunale che ha coinvolto cinque atenei: l’ISIA di Firenze e di Urbino (design), lo IUAV di Venezia e l’Università di Trieste (architettura), l’Università di Nova Gorica (new media art). Per chi fosse interessato ad aggiornamenti in tempo reale, è attiva una pagina Facebook.
Il progetto ha preso da subito una piega interessante, trasformandosi in uno scenario di near future sulle smart city dove gli open data si mischiano con le retiwireless e le tecnologie ubique. Una città tanto più smart quanto più è capace di farsi piattaforma di espressione, relazione e comunicazione oltre che opportunità per la pluralità di soggetti che la popolano, la attraversano e la usano. In una parola: un nuovo ecosistema digitale urbano in cui agire e interagire, contribuire e condividere, produrre conoscenza e remixarla, fruire di informazioni e servizi, e crearne di nuovi. Il tutto accessibile sia dallo spazio fisico della città, sia da ogni angolo del pianeta, attraverso la rete.
1. La Città Piattaforma: teoria e pratica per una Human Centered Smart City
Lo scenario proposto è quello della Human Centered Smart City, in cui la città diventa un luogo sensibile, attivo, polifonico, libero, resiliente, ricombinante, emergente. La sua intelligenza si basa prima di tutto sulle persone, sulle relazioni e le interazioni. Prendendo spunto dalle architetture delle tecnologie Internet, si può infatti immaginare che una città si trasformi in una vera e propria piattaforma aperta, su cui costruire l’Ecosistema Digitale Pubblico. Qui la città diventa un sistema aperto e accessibile grazie ad infrastrutture tecnologiche quali il cloudcittadino, le reti WiFi e meshed, i network di sensori capaci di registrare i dati ambientali in tempo reale, la mobilità, la comunicazione, l’uso dell’energia, le forme di espressione, informazione e comunicazione digitale a disposizione di persone e organizzazioni.
Nel progettare un sistema di comunicazione urbana per la città, ci siamo ben presto resi conto che sarebbe stato impossibile affrontare questo compito in maniera significativa senza assumere un approccio olistico, orientato all’innovazione radicale e sistemica. È così che abbiamo affrontato il nostro compito servendoci di uno strumento complesso: l’Ecosistema Digitale (DE, Digital Ecosystem). Nel DE, la Città Piattaforma prende corpo, realizzando un ambiente umano e tecnologico capace di aprirsi alla società civile per consentire di esprimere desideri, aspettative, visioni, opportunità, disponibilità, necessità e capacità. Il tutto cercando collaborazione, aggregazione, iniziativa, sostegno, scambio.
 Un framework per l’espressione, l’informazione e la comunicazione, in cui sono disponibili strumenti per creare contenuti e per ascoltare la vita digitale pubblica.
Il DE è come un social network di nuova generazione, capace di uscire fuori dallo schermo e collegare tanto i profili dei cittadini quanto tutte le cose che ci sono e avvengono in città. Di conseguenza, il DE permette alle persone di esprimersi (“ecco quello che mi piace fare a Trieste”), di coordinarsi (“chi vuole organizzare questa cosa con me in città?”), di fare business (“facciamo filiera su questo processo!”) e, più in generale, di trasformare saperi, capacità, opportunità e progetti in risorse disponibili per l’intero ecosistema.
Così, strumenti come Facebook escono dallo schermo del computer grazie alle tecnologie ubique e al Web 3.0 e si trasformano  in sistemi umani che appartiengono alla città e ai suoi cittadini: interconnettono persone, cose, aziende e istituzioni per creare benessere ed opportunità. Infine, c’è anche la trasparenza: nel nuovo ecosistema cittadino le informazioni sono distribuite sotto forma di open data, offerti in formati standard e accessibili che diventano una risorsa pubblica, un nuovo “commons digitale” a disposizione di tutti.
Ecco come si esprime Fabio Omero – assessore allo Sviluppo economico e Fondi comunitari, Turismo, Aziende partecipate e controllate del Comune di Trieste e promotore del progetto con Elena Marchigiani, assessore alla Pianificazione Urbana, Mobilità e Traffico, Edilizia Privata, Politiche per la casa, Progetti Complessi – secondo il quale la Città Piattaforma è anche un modo per rispondere alla crisi:
Mi ha colpito che a distanza di pochi mesi ci siamo imbattuti in due mondi apparentemente tra loro distanti, ma che alla fine hanno parlato lo stesso linguaggio. Mi riferisco al dottor Mauro Bonaretti, direttore generale del Comune di Reggio Emilia, che in un seminario organizzato dal nostro Comune ha proposto il concetto di rete tra pubblico, impresa, lavoratori e terzo settore per affrontare in questa situazione di crisi il governo dell’economia, della società e del territorio con un’idea sistemica e integrata della città. E mi riferisco al workshop dell’ISIA di Firenze e all’idea di Città Piattaforma emersa dai lavori: una città dove non solo le istituzioni, i grandi operatori e le piccole associazioni, ma gli stessi cittadini – nati, immigrati o solo in transito – mettono in rete i propri saperi, scambiano informazioni, rendono leggibile la città e in definitiva comunicano. Che poi queste reti intelligenti stiano dentro all’idea di smart city a cui il Comune – con grave ritardo – sta lavorando, è solo un’altra coincidenza. Ma essendo la terza, non è più un caso, non è nemmeno più un indizio: è ormai una prova“.
2. Il workshop
Per entrare nel vivo del progetto, è interessante seguire lo sviluppo del workshop, che Stefano Maria Bettega, Direttore di ISIA Firenze, riassume così:
L’esperienza triestina rappresenta una sperimentazione esemplare per molti aspetti. Didatticamente efficace: ibrida i saperi svincolandoli da una logica strettamente disciplinare; mette a confronto studenti provenienti da diverse strutture; obbliga alla finalizzazione del lavoro con il decisivo contributo di una committenza (l’amministrazione comunale di Trieste) che mai come in questo caso ha svolto ruolo di stimolo e indirizzo rispetto al rispetto del mandato progettuale. Le necessità della PA nel settore del design non sono ancora riconosciute in modo strutturato se non recentemente con il fenomeno open data. È merito degli amministratori triestini quindi l’aver intercettato un bisogno reale e intrapreso una strada innovativa che sono certo possa portare alla realizzazione di economie e all’ottenimento di risultati di qualità, in un processo di ricerca e produzione che coinvolge in maniera attiva la componente accademica”.
Simone Paternich, docente ISIA e responsabile della collaborazione della città di Trieste con ISIA Firenze, sorride ricordando la genesi del nome: “Quando ad Aprile abbiamo incontrato gli assessori Omero e Marchigiani ci hanno illustrato la necessità del Comune di riprogettare la cartellonistica della città (le insegne), ma allo stesso tempo di evolvere l’idea stessa di insegna aprendola all’allestimento/arredamento urbano e alle tecnologie digitali. Da qui, nel titolo, l’abbinamento di “Insegna” (insegna come cartello e insegna come insegnare) al nome della città: Insegna Trieste“.
Il workshop, strutturato in 7 densi giorni, inizia con una una serie di incontri in cui sono invitati a parlare esponenti dell’amministrazione comunale e regionale, dell’Agenzia Turismo Friuli Venezia Giulia, del Consorzio Promo Trieste, delGruppo Eurotech Spa e di progettualità cittadine di matrice associazionistica. Discussioni su temi come turismo, caratterizzazione e identità della città di Trieste, strategie di comunicazione, approcci e sistemi tecnologici hanno offerto elementi rilevanti per la comprensione della città, aiutandoci a chiarire le esigenze progettuali e il contesto locale.
Trieste è stata dipinta come una città priva di centro, una città dove non esiste un attrattore unico capace di fungere da driver per il turismo e lo sviluppo, ma una molteplicità di centri. Una città il cui valore sta principalmente nella qualità della vita (benessere diffuso), nell’attività di centinaia di associazioni culturali e gruppi di cittadini, nelle spiagge, nei castelli, nella diversità culturale, nel patrimonio ambientale ed enogastronomico. Sviluppare la capacità di passare nei prossimi anni da “un turismo” a “tanti turismi” è presentata come altamente strategica. Tutto ciò coinvolge operatori di grandi dimensioni ma anche centinaia di piccole nicchie diverse impegnate a creare esperienze per turisti non convenzionali, appassionati di sport, cucina, fantascienza o qualsiasi altro segmento sia possibile immaginare.
L’associazione Manifetso2020 – con Marco Svara e Marco Barbariol insieme all’architetto Claudio Farina – ci ha accompagnato in un peculiare tour cittadino in cui abbiamo avuto l’occasione di attraversare Trieste e i suoi paradossi, coma hano sottolineato gli organizzatori. Enormi da opportunità per realizzare progetti come l’ex-opp (l’ex Ospedale Psichiatrico di S. Giovanni) e il complesso del Vecchio Porto (qui un articolo del Corriere per i cuiriosi), fino alla possibilità di incontrare operatori della cultura e dell’intrattenimento ed esponenti dell’architettura e della progettazione. Non limitandosi a luoghi e monumenti, la concezione del tour ci ha consentito di accedere ad una visione etnografica della città, con l’osservazione sul campo dei modi e dei ritmi della vita quotidiana triestina. Dall’andare al mare alPedocin o sui marciapiedi affollati di Barcola, allo spritz, alle innumerevolicommunity e gruppi che riempiono la città. A tour concluso siamo pieni di stimoli e informazioni e si entra nel vivo del workshop.
3. La progettazione
Per la progettazione abbiamo scelto un approccio basato sulle metodologie di co-creazione e abbiamo usato una sequenza di esperienze costruttiviste, seguite da sessioni di progetto, disegno e sviluppo collaborativo. Il primo passo è consistito nella definizione dell’obiettivo: un sistema di leggibilità e navigazione dello spazio urbano. Il progetto è cominciato, quindi, dall’immaginare come fosse fatta l’architettura dell’informazione di una città come Trieste. Di quali informazioni hanno bisogno le persone quando sono lontane dalla città? Quali mentre viaggiano per arrivare a Trieste? E quando giungono in città? Di quali informazioni necessitano quando vi si fermano per un minuto, un’ora, un giorno, un mese, un anno o per tutta la vita, seguendo le traiettorie del turismo, del lavoro, della famiglia, del desiderio, delle emozioni, delle passioni, o della scienza?
Come ci si orienta in città dal centro di una candida piazza, da dentro un parco, dalle mura di un castello, dal marciapiede del porto o da una larga strada che attraversa edifici di archeologia industriale abbandonati? Come è fatto un sistema di navigazione della città, capace di rendere leggibili, visibili e accessibili e interattive queste tipologie di informazione e le loro declinazioni? Per capirlo abbiamo applicato le metodologie dell’Architettura dell’Informazione (AdI) nella progettazione della nostra Human Centered Smart City: la Città Piattaforma.
Lavorando sull’AdI ci siamo confrontati innanzitutto con la necessitè di descrivere una “città semantica” in cui ogni elemento fosse collegato agli altri attraverso legami di significato. In maniera simile a come si fa progettando un sito web, ci si è domandati come poter realizzare un sistema di navigazione semantica per la città, articolato su tre livelli:
  • globale – navigare la città secondo i grandi temi, quali i servizi, la cultura, l’ambiente, la storia, il divertimento;
  • locale – scelto un tema: cosa offre la città a riguardo?
  • contestuale – “ok, sono qui: cos’altro c’è?”, per trovare servizi correlati, cose compatibili o simili, o anche solo vicine.
Questa strategia determina una visione innovativa della città, in cui le informazioni digitali e fisiche si incontrano in uno spazio pubblico nuovo, pensato per visualizzarle attraverso una molteplicità di media, strumenti e modalità differenti. Ad esempio, combinando i segni grafici classici (ad esempio, la cartellonistica) con le tecnologie che si insinuano nel tessuto urbano in modi diretti (ad esempio, attraverso l’uso di app per smartphone, chioschi digitali, QRCode, RFID e così via) e in altri più inaspettati quali le esperienze di interazione naturale e gestuale.
4. Risultati: il prodotto
L’ultima parte del workshop è stata, infatti, dedicata alla progettazione di alcuni concept che rappresentassero la visione globale del progetto. Il risultato non poteva che avere una forma Ecosistemica. Già dalla definizione del target è emersa la metafora della “Città della Coda Lunga”. Le caratteristiche stesse della città, assieme all’idea del passaggio “dal turismo ai turismi”, ci hanno portato a configurare il nostro target come la somma delle infinite nicchie, grandi e piccole, che generano la domanda e l’offerta di mercato, proprio come teorizzato a suo da Anderson nel suo noto articolo “The Long Tail”.
Trieste come “Amazon”, dunque: una piattaforma in cui operatori di ogni dimensione possano trovare uno spazio di esistenza e azione. Tutto ciò è abilitato dall’esistenza dell’Ecosistema Digitale (DE) che, come detto in precedenza, è stato immaginato come un social network pubblico di nuova generazione che esca dallo schermo del computer, capace di interconnettere persone, organizzazioni, luoghi e processi della città.
Accedendo alla piattaforma gli operatori possono pubblicare tutte le proprie iniziative all’interno dell’ecosistema: ogni elemento pubblicato – tra alberghi, eventi, ristoranti e quant’altro – viene corredato da un insieme di informazioni e metadati, che consentono di classificarlo nello schema dell’Architettura dell’Informazione della città. Gli operatori, inoltre, possono indicare le relazioni che intercorrono tra i vari elementi, contribuendo alla formazione della Città Semantica. All’altro capo del diagramma, le persone (tra cittadini, residenti e turisti) possono beneficiare di diverse modalità per navigare la città, inclusa una modalità casuale per perdersi in maniera intelligente nella città. Avete presente Stumbleupon? Pensatelo applicato ad una intera città che, se volete, potete navigare randomicamente.
Nel corso dell’esperienza in città, le persone possono di nuovo partecipare all’arricchimento dell’ecosistema, pubblicando valutazioni, feedback, emozioni o altri contenuti quali video e immagini. L’ecosistema fornisce infine agli operatori (ad esempio il Comune) anche una modalità di fruizione dashboard, tramite cui osservare la vita della città e modulare i parametri di comunicazione e interazione, al fine di ottimizzare le esperienze e coinvolgimento dei cittadini. Una volta definito il framework generale, abbiamo progettato diversi modi in cui l’ecosistema si manifestasse nello spazio fisico della città.
Siamo partiti dalla segnaletica urbana, capace di offrire alla vista una rappresentazione chiara del sistema di navigazione cittadina. I segni grafici utilizzati, inoltre, sono usabili attraverso smartphone. Sono, infatti, dei QRCode e dei marker per accedere alle informazioni digitali in tempo reale associate a luoghi ed eventi all’interno dell’ecosistema. Abbiamo poi immaginato diversi tipi di esperienze interattive. Alcune, come il grande schermo urbano mobile che permette di interagire con l’ecosistema digitale, sono da considerarsi dei landmark mobili della città. Uniscono alla suggestione visionaria la possibilità di attivare interessanti dinamiche di spostamento e diffusione dei centri di interesse della città, così da creare dinamiche di sviluppo diffuso (pensate ad un “Colosseo mobile” che l’amministrazione può spostare da una zona all’altra della città).
Altre, realizzano funzioni più espressamente dedicate alla pubblica utilità, fornendo esperienze interattive che consentano di utilizzare le informazioni in tempo reale in maniera accessibile ed usabile. E, infine, gli Experience Spot: questi dispositivi a basso costo sono disseminati per la città e permettono di realizzare micro-esperienze sensoriali capaci di ospitare informazioni utili tanto quanto piccoli segreti, sorprese e giochi. Distribuendo i piccoli supporti fisici degliExperience Spot e mettendoli in rete, la Città Piattaforma consente di ricombinare relazioni sociali e di creare reti distribuite in modo diffuso sul territorio triestino. Tutti i supporti sono collegati tra loro e hanno la possibilità di scambiare e pubblicare informazioni in tempo reale, generando una nuvola di dati che si estende su tutta la città.
Inoltre, un apposito kit consente alle persone di progettare nuove micro-esperienze, e di distribuirle sul territorio, anche organizzando innovativi modelli di business. Ma non solo: l’uso dei kit è insegnato a scuola: giocando da piccoli, e fino all’università, si impara ad usare la città, i suoi dati, le sue informazioni e l’intelligenza espressa dalla sua popolazione per inventare, costruire, visualizzare, remixare, attivare coordinare luoghi, risorse, visioni, desideri, emozioni ed aspettative. Il cerchio si chiude con la presenza di un “logo generativo”, a ripensare radicalmente il concetto di  identità visiva della città. Ad ogni elemento pubblicato nell’ecosistema viene associato in maniera automatica un segno, un marker univoco che permette sia di identificare l’elemento (due differenti elementi avranno markerdifferenti), sia di utilizzarlo per accedere in realtà aumentata alle informazioni digitali associate all’elemento e aggiornate in tempo reale.
Il marker è un segno grafico generativo che codifica in maniera visuale le principali informazioni dell’elemento pubblicato: il titolo, la location, la dimensione temporale e la sua caratterizzazione all’interno della architettura dell’informazione della Città. Un logo, ogni volta differente e unico, emerge dalla vita dell’ecosistema diventando una nuova risorsa per i suoi attori.
Ciò significa che, ad esempio, un operatore  può usarlo come certificazione (essere parte dell’ecosistema digitale di Trieste) e in altri modi interessanti. Pensiamo ad un evento: il marker-logo è fatto per essere facilmente riconoscibile da una app e viene stampato sul materiale informativo (poster, locendine etc). Inquadramdolo con lo smartphone, si accederà alle informazioni aggiornate in tempo reale in base al cloud cittadino e alle conversazioni sui social network che parlano di quell’elemento dell’ecosistema (che siano recensioni su Trip Advisor, conversazioni su Facebook e Twitter o immagini su Instagram). Il tutto previsto a livello di piattaforma cittadina.
5. Perchè questa esperienza è importante
Dall’analisi e dal racconto di questo progetto emergono una serie di riflessioni estremamente innovative riguardo modi di concepire, vivere, utilizzare una città. Queste mettono in luce alcuni elementi rilevanti nella definizione smart city, qui presentata nell’accezione di “human centered smart city”:
  • l’idea di Ecosistema Digitale come nuova infrastruttura pubblica cittadina: un ambiente umano e tecnologico accessibile in maniera ubiqua, che diventa unframework di espressione e di ascolto alla base della vita e dei processi della città;
  • l’idea di Città Piattaforma in cui non solo è possibile accedere ed utilizzare informazioni e servizi, ma soprattutto attivare i cittadini e gli operatori al fine di crearne e realizzarne di propri, sia direttamente che attraverso remix/ricombinazione di informazioni, servizi, competenze ed opportunità presenti nella città;
  • la Città-Cloud che, al pari di un sistema come Amazon, consente a operatori grandi, piccoli o piccolissimi di utilizzare e coordinare l’ecosistema per creare impresa, cultura, emozione, poesia, politica, divertimento. Non un centro singolo, ma le molteplicità potenzialmente infinite che riescono ad esprimersi attraverso la Città Piattaforma;
  • la città Open Source, nel senso che l’amministrazione rilascia le API (Application Programming Interfaces) cittadine e un vero e proprio kit per lo svilupposoftware (SDK), offerto ai cittadini come strumento per la libera creazione di applicazioni, esperienze, operazioni creative ed artistiche, di servizi, culture, coordinamenti, filiere nuove e inaspettate. Un elemento talmente importante da essere intgrato nell’intero ciclo di vita scolastico, proprio come si impara a leggere, a scrivere e a far di conto.
E sull’immagine di una classe di bambini intenta a smontare e rimontare il nuovo SDK cittadino insieme ai propri maestri, vi lasciamo con una frase di William Mitchell, nel suo bellissimo “The City of Bits”.
Le strutture civiche e le disposizioni spaziali che emergono nell’era digitale modificheranno in profondità la nostra possibilità di accedere ad opportunità economiche e ai servizi pubblici, le tipologie e il contenuto del discorso pubblico, le forme dell’attività culturale, l’esercizio del potere, e le esperienze che danno forma e tessuto al nostro quotidiano”.
Roma, 31 agosto 2012
ORIANA PERSICO E SALVATORE IACONESI

Obama sul web, scrive e risponde

Barack Obama su Reddit risponde realtime alle domande che gli vengono poste. Surprise chat. Chiedetemi quello che volete.
Dico, che idea di democrazia avete voi, adesso? Magari il fatto che accadano queste cose potrebbe instillare idee nuove di partecipazione civica e gestione della cosa pubblica, no?
La “democrazia” è un valore, è un concetto che vive nelle nostre teste. Se lo consideriamo auspicabile, adottiamo una forma di governo del territorio che con strumenti e attori sociali cerca di avvicinarsi il più possibile al valore ideale. Che credo sia il dare la possibilità a chiunque di esprimere la propria opinione sulla qualità del benessere sociale raggiunto, e poter suggerire ottimizzazioni nel funzionamento della cosa pubblica.
Ma cento anni fa le strade erano sterrate. La Pubblica Amministrazione, per come la pensavamo, era un’altra cosa. Giorni di cavallo, ecco come pensavamo, o treni per Roma. Perché le tecnologie della comunicazione condizionano la pensabilità della realtà. Certe idee nascono solo quando si apre una porta. E ci sono le Tecnologie della Democrazia. Anche inventare i partiti, come strumento del consenso della collettività, è tecnologia. Una volta servivano intermediari (i partiti), che coagulassero certi flussi di pubblica opinione, scuole di pensiero, organi di stampa. Lo strumento che abbiamo inventato, i sistemi elettorali. Mille possibilità. E parlo solo di quelle pre-Internet.
Ora parliamo col Presidente, lui ci risponde. Proponiamo leggi a una comunità, inneschiamo discussione, la proposta viene ritenuta valida nell’interesse della collettività, dalla collettività stessa nella sua partecipazione civica su piattaforme web municipali o governative. Si vota, anche connettendosi. Disintermediazione, una delle parole chiave del web. Quali modelli servirebbero, basati su qualcosa che funziona un po’ meglio di cavalli, telegrafo, telefono, televisione, telex, fax, telefono wireless. Che poi le tecnologie della Democrazie sono le Tecnologie della Comunicazione, usate con un fine. Si possono fare dei progetti pilota? Sperimentazioni locali, per vedere come varie soluzioni riescano o meno a interpretare correttamente il contesto, e permettere forse di fare un piccolo passo in avanti verso quell’ideale di democrazia?
Question:
We know how Republicans feel about protecting Internet Freedom. Is Internet Freedom an issue you’d push to add to the Democratic Party’s 2012 platform?
Answer:
Internet freedom is something I know you all care passionately about; I do too. We will fight hard to make sure that the internet remains the open forum for everybody – from those who are expressing an idea to those to want to start a business. And although there will be occasional disagreements on the details of various legislative proposals, I won’t stray from that principle – and it will be reflected in the platform.

Arredo urbano per aree connesse

Un’isola urbana, materiale e connessa con l’immateriale. Attrezzata, innanzitutto concettualmente, per abitare con dignità moderna i luoghi urbani. Esteticamente gradevole, o per lo meno il mio plauso per aver cercato di uscire da figuratività eccessivamente connotata di tecnologia e di futuristico, che spesso diventa una cosa fredda, disumana, disumanizzante.
Qui  http://www.mathieulehanneur.fr/projet_gb.php?projet=174#  l’idea progettuale dell’Escale Numérique, già installata sugli Champs-Elysées a Parigi. 
Via Mante, Eraclito.
 

Aggiungo una riflessione sulle smart-maps, “Self-Mapping. Mappare le città: fra geoblogging, pratiche di progettazione urbana ed etnosemiotica”, trovata qui su Augenblick, il blog di Ocula.

Risultati attesi

6 idee per un Paese digitale, un’Italia 2.0, di Francesco Nicodemo:
  1. Italia 2.0 è fatta di cittadini che non hanno alcuna difficoltà con questa tecnologia, dove lo spread digitale è minimo, indipendentemente dall’età e dalla classe sociale, perché sono rimossi tutti gli ostacoli di ordine sociale ed economico. Un Paese digitale in cui per i cittadini e per i migranti l’accesso alla Rete è sempre possibile e da qualsiasi luogo, che sia una piazza, una strada, un ufficio pubblico, una biblioteca, o persino sul tram.
  2. Italia 2.0 significa servizi online al cittadino, dall’anagrafe alla sanità, e servizi via web alle imprese, specialmente quelle piccole, su cui pesa la lentezza e la farraginosità della burocrazia.
  3. Italia 2.0 è integrazione dei nuovi cittadini attraverso gli strumenti di inclusione sociale ed è partecipazione democratica, trasparente e aperta attraverso il coinvolgimento dei cittadini nel progettare il futuro comune e nel giungere a scelte condivise.
  4. Italia 2.0 è open data, libera i dati della PA e li mette a disposizione di tutti gratuitamente, affinché ognuno li utilizzi per sviluppare idee innovative, sui trasporti, sull’ambiente, sui rifiuti, e persino sugli orari della movida, perché la città digitale riduce i consumi, migliora i trasporti, contiene la spesa, abbatte l’inquinamento.
  5. Italia 2.0 facilita la creazione di migliaia di posti di lavoro del futuro, quelli legati al mondo del digitale, avendo la consapevolezza che non occorrono colate di cemento o capitali immensi, perché il digitale ha bisogno soprattutto di cervelli e di ambienti congeniali in una Paese che favorisce l’applicazione del digitale a tutti i settori produttivi.
  6. Italia 2.0 è trasversale e tocca tutte le attività: cultura, infrastrutture, economia, alfabetizzazione, inclusione, democrazia, lavoro.


Coinvolgimento affettivo delle comunità digitali

Un bell’articolo esaustivo e documentato di Marco Minghetti sul Sole24ore “Di cosa parliamo quando parliamo di #Engagement”, sulla social organization, sullo scenario e le azioni comunicative delle organizzazioni lavorative al tempo del social web.
E si parla esplicitamente di affettività, nelle forme di coinvolgimento e partecipazione delle community interne o esterne all’organizzazione. Progettare esperienze, renderle praticabili, ricavarne identità, con passione.

“La cosa più importante che la collaborazione consente ai dipendenti è formare legami e connessioni tra loro, ovvero costruire relazioni. Queste relazioni fra dipendenti coinvolti (engaged employees) sono quelle che portano nuove idee all’interno delle organizzazioni. Quanto più i dipendenti possono condividere, comunicare, collaborare e coinvolgersi (engage with) uno con l’altro, maggiore è il flusso delle idee. Queste idee possono essere nuove opportunità di guadagno, strategie di riduzione dei costi, consigli per il miglioramento della produttività, miglioramenti nello sviluppo dei prodotti, eccetera”

I ricercatori identificano innanzitutto una precisa definizione di Engagement: “L’intensità della connessione o partecipazione individuale con un marchio o una organizzazione”. (…) L’Engagement richiede una connessione emotiva tra una marca o una organizzazione e un individuo. Questa connessione emotiva porta all’azione, magari sotto forma di Condivisioni, Like o Tweet dei contenuti associati a prodotti e servizi: una azione propedeutica (o successiva) al loro acquisto. “Dal punto di vista del cliente, l’Engagement significa la volontà di andare oltre il mero atto utilitaristico di consumare, per investire qualcosa nel rapporto”, spiega il Dr. Oullier economista comportamentale. Il neuroscienziato Dr. Ramsøy aggiunge: “L’Engagement è relativo alla volontà o capacità di spendere energia per ottenere qualcosa, energia che viene sottratta ad altri impegni e relazioni”.

Social Identity Card

Un articoletto su ZDNet sulle carte di identità digitali rilasciate dai social, Facebook e Google+.
Toccherà farne una per ogni social? O qualcuno si metterà d’accordo? Un ente terzo? L’anagrafe mondiale?
Qui c’è uno su Panorama che dice che è ora di basta all’anonimato. Solito articoletto estivo.
Fate quello che volete, io voglio che l’anonimato resti possibile e garantito, come garanzia di democrazia, come perlustrazione libera di ciò che possiamo essere e diventare, e dieci anni fa non sapevamo potessimo essere in quanto umani connessi.
Al limite, anonimato protetto, ma ho dei seri dubbi, come Mante scriveva anni fa. E subito qualcuno scopra il sistema per eludere il sistema. E più software per criptare i messaggi, per tutti, quando abbiamo voglia.

Filtri umani

Ci hanno educato per almeno cinquant’anni, dai Persuasori occulti in avanti. La tecnica è quella, instillare un bisogno. Di quelli che prima non avevo, magari. Un’automobile, un telefono, una lavatrice, un panino, un paio di calzoni, un profumo. E da molti anni non raccontano il prodotto, suggeriscono un’esperienza, uno stile di vita a cui tendere, un sogno, un’aspirazione – indotta. E sono bravi. Confezionano messaggi, mondi interi, per venderci un oggetto. Ma questa è l’economia dell’immateriale. Informazioni. Cose che ci nutrono, e ci dicono cosa pensare, non solo cosa indossare. E quindi ecco la semina del bisogno di informazioni. Di panini e jeans posso calibrare la produzione, sarò spesso in equilibrio tra domanda e offerta. C’è un limite materiale, e uno dettato dalla convenienza economica. Delle informazioni non c’è limite. Posso inventare storie, raccontare la stessa in mille modi, escogitare percorsi di senso che dentro il giusto contesto diventano appetibili. Le gallerie di foto dei quotidiani online, per esempio. I mille retroscena di una vicenda di cronaca. Posso riempire internet di parole, e poi vorrei fare in modo tu le leggessi, e magari le condividessi. Clicca, per dio. Clicca, e sentiti in ansia se non surfeggi compulsivamente tra mille cretinate. Ogni giorno. Che se per caso stai lontano dal pc per due giorni ti senti svuotato, ti manca il ritmo. Mail, socialino, socialone, geotagging, immagini, forum specifico, chat, blog, tutto il giro, tutto il giorno, e guardare se c’è qualcosa di nuovo. Indurre il bisogno di informazione. Sono un po’ stanchino.