Così come in tutto il resto dell’Europa, i collegamenti radio tra privati sulle frequenze collettive (2.4 GHz, 5 GHz, 17 GHz) sono stati liberalizzati dal nuovo codice delle comunicazioni elettroniche entrato in vigore a giugno 2012, così come recita il sito dell’ispettorato delle comunicazioni della Liguria:
“Uso privato: non è prevista alcuna autorizzazione. Le apparecchiature sono comprese in quelle previste di libero uso ai sensi dell’art. 105, comma 1, lettera b del D.Lgs. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), così come modificato dall’art. 70 del D.Lgs. 70/2012.”Più specificamente, il Decreto Legislativo 28 maggio 2012, n. 70 ha modificato il D.Lgs. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), a seguito del recepimento delle direttive europee 2009/140/CE e 2009/136/CE. A partire dall’entrata in vigore del Decreto (1 giugno 2012), non sono più soggette ad autorizzazione le reti RadioLAN-HiperLAN (wi-fi) ad uso privato, anche nel caso transitino al di fuori del proprio fondo.Anche condividere la propria connessione WI-FI liberamente non è più illegale da quando il decreto Pisanu, che imponeva pesanti restrizioni e condizioni all’accesso ad internet, non è stato prorogato.
Archivi autore: Giorgio Jannis
Open Source in Regione FVG, sito morto
Sono anni che parliamo di utilizzo di software opensource nelle pubbliche amministrazioni, ci sono anche le leggi nuovissime e meravigliose che ne stabiliscono la precedenza nell’adozione rispetto a soluzioni commerciali.
La Regione Friuli (trattino) Venezia Giulia ha promosso nel 2009 la realizzazione di CROSS, un portale
“attivato nell’ottica delle nuove strategie di innovazione programmate con il Piano strategico della Regione FVG.
Il progetto, presentato dalla Direzione centrale organizzazione, personale e sistemi informativi e coordinato dal servizio eGovernment, come azione di innovazione tecnologica ICT, intende creare un Centro Regionale per l’Open Source Software (CROSS) con l’intento di favorire la diffusione del Software Open Source nelle PA e nelle imprese presenti sul territorio regionale. “
e tenete presente che questo copiaincolla dal sito non avrei nemmeno potuto farlo, perché a pie’ di pagina c’è scritto “Copyright ® 2009 Regione FVG”. Che ridere.
Ma il problema è questo: perché questo sito è morto? Ha pubblicato una cosetta come fotografia del territorio rispetto alle soluzioni informatiche adottate (con errata corrige), ha segnalato un’altra cosetta in un convegno, ha fatto un po’ da vetrina domanda-offerta. Proprio adesso che sarebbe utilissimo, e servirebbe un regìa regionale per l’attuazione dell’Agenda digitale declinata contestualmente su necessità e peculiarità regionali.
Cambiamento
Un articolo di Carlo Mochi Sismondi su ForumPA.
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La PA non può riformare se stessa: la riforma della PA non è dentro il sistema, ma riguarda la sua capacità di governare con la rete: ne consegue che pretendere che l’apparato si riformi da solo, magari con qualche iniezione di nuovo e illuminato diritto amministrativo, è una fatica di Sisifo, come la storia delle riforme legiferate e abortite ha sin qui ampiamente dimostrato. Ne consegue che da una parte dobbiamo seriamente ripensare ai perimetri dell’azione pubblica, dall’altra dobbiamo inserire nuove competenze, ma soprattutto nuovi modi di pensare dall’esterno. La necessaria trasformazione della PA da apparato autoreferenziale a strumento di attuazione delle politiche e di risposta ai bisogni è impossibile restando all’interno della PA.
Ne consegue che la ministerializzazione della dirigenza pubblica, specie quella apicale, sarebbe la iattura peggiore: quel che ci serve non è una nuova classe di burocrati modello ENA francese (per altro se ne sono accorti anche i cugini d’oltralpe), ma manager flessibili e innovativi, specializzati nella difficile arte del coaching e della negoziazione, che sappiano far lavorare assieme pubblico, privato, privato sociale, terzo settore e cittadinanza organizzata e che siano misurati sui risultati oggettivi non tanto del loro lavoro come singoli (output) ma delle loro organizzazioni (outcome). -
L’innovazione non nasce dove la stiamo cercando: ossia non nasce, armata come Atena dalla testa di Zeus, nelle Università e negli istituti, ma nasce da un disobbedire, da un “uscir fuori” che è sintesi hegeliana tra una tesi data dai risultati della ricerca e dall’impegno della migliore tecnocrazia e un’antitesi data dalla tenace volontà dei prosumer (ossia i consumatori che nell’economia 2.0 sono anche produttori di servizi) di usare le innovazioni come gli pare per raggiungere i loro propri obiettivi. In parole povere l’innovazione diventa cambiamento sociale e quindi nuove opportunità di vita solo quando incontra la creatività di chi la usa. Solo così riesce a sviluppare le sue potenzialità rivoluzionarie.
Ne consegue che l’innovazione, come la conoscenza, è tale solo se diffusa e disponibile: la cosiddetta “free knowledge society” non è roba da fricchettoni, ma l’ecosistema dello sviluppo sostenibile.
Nel campo dell’innovazione della PA questo vuol dire sviluppare ogni occasione di vera Partnership-Pubblico-Privato che abbatta il muro tra domanda e offerta e promuova un lavoro collaborativo di co-progettazione. -
Le città e le comunità intelligenti non si identificano con le loro istituzioni: se possiamo immaginare smart city, non ha senso immaginarle chiuse nei loro Municipi.
Come giustamente fa notare Mauro Bonaretti “La città è un insieme ben più ricco e articolato del Comune inteso come singola organizzazione pubblica. Comprende i cittadini, le imprese, il terzo settore, le associazioni di rappresentanza, gli intermediari finanziari, le public utilities, le fondazioni bancarie, le altre istituzioni pubbliche e private. Limitare il dialogo tra l’offerta di tecnologie e il Comune è restringere a un perimetro troppo ristretto la rete degli interessi in gioco. E’ pur vero che sempre più ai Comuni è richiesto un ruolo di governance (regista e catalizzatore delle politiche pubbliche), di tessitore principale di una rete diffusa di attori protagonisti per il successo di obiettivi condivisi. Ma è pur altrettanto vero che progetti così ambiziosi come quello di infrastrutturare la città di sistemi permanentemente interconnessi, interattivi e di interesse generale, non possono vedere coinvolta la sola responsabilità dell’attore pubblico.”
Ne consegue che i progetti per le smart community non si vincono “dentro” l’amministrazione della città, ma in un più ampio spazio di co-progettazione con tutti i portatori di interesse. -
La crisi dell’informatica non si risolve dentro l’informatica: se i mercati dell’hardware e del software decrescono irrimediabilmente, con altrettanta certezza sono in crescita tumultuosa i mercati dei servizi digitali a valore aggiunto, della gestione dei cosiddetti big data, dei contenuti digitali, ecc.
Ne consegue che se vogliamo sostenere la nostra ICT non dobbiamo chiedere alla PA di comprare più informatica, ma di creare le condizioni favorevoli per lo sviluppo di imprenditoria innovativa (non solo start-up). -
La crisi della politica non si risolve dentro la politica, né tantomeno dentro la sua caricatura controdipendente che è l’antipolitica. Come la cronaca di questi giorni dimostra è estremamente difficile che la politica sia in grado di autoemendarsi. Quel che la farà cambiare sarà una robusta inserzione di vera trasparenza che abiliti il controllo sociale e l’empowerment dei cittadini. Solo abbattendo l’asimmetria informativa di creano infatti le condizioni per la cittadinanza attiva che, come la nostra Costituzione impone, deve essere favorita da tutte le articolazioni della Repubblica.
Trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni
Il Consiglio dei Ministri n. 66 del 22/01/2012 ha approvato, su proposta del Ministro della pubblica amministrazione e semplificazione, due decreti legislativi che attuano la legge 190 del 2012 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”).Il primo provvedimento riordina tutte le norme che riguardano gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione delle informazioni da parte delle PA e introduce alcune sanzioni per il mancato rispetto di questi vincoli. Di seguito, in sintesi, i punti principali del provvedimento:
- viene istituito l’obbligo di pubblicità: delle situazioni patrimoniali di politici, e parenti entro il secondo grado; degli atti dei procedimenti di approvazione dei piani regolatori e delle varianti urbanistiche; dei dati, in materia sanitaria, relativi alle nomine dei direttori generali, oltre che agli accreditamenti delle strutture cliniche.
- viene data una definizione del principio generale di trasparenza: accessibilità totale delle informazioni che riguardano l’organizzazione e l’attività delle PA, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche. Il provvedimento ha infatti lo scopo di consentire ai cittadini un controllo democratico sull’attività delle amministrazioni e sul rispetto, tra gli altri, dei principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza dell’azione pubblica.
- la pubblicazione dei dati e delle informazioni sui siti istituzionali diventa lo snodo centrale per consentire un’effettiva conoscenza dell’azione delle PA e per sollecitare e agevolare la partecipazione dei cittadini. Per pubblicazione si intende la diffusione sui siti istituzionali di dati e documenti pubblici e la diretta accessibilità alle informazioni che contengono da parte degli utenti.
- si stabilisce il principio della totale accessibilità delle informazioni. Il modello di ispirazione è quello del Freedom of Information Act statunitense, che garantisce l’accessibilità di chiunque lo richieda a qualsiasi documento o dato in possesso delle PA, salvo i casi in cui la legge lo esclude espressamente (es. per motivi di sicurezza).
- si prevede che il principio della massima pubblicità dei dati rispetti le esigenze di segretezza e tutela della privacy. Il provvedimento stabilisce che i dati personali diversi dai dati sensibili e dai dati giudiziari possono essere diffusi attraverso i siti istituzionali e possono essere trattati in modo da consentirne l’indicizzazione e la tracciabilità con i motori di ricerca. È previsto l’obbligo di pubblicazione dei dati sull’assunzione di incarichi pubblici e si individuano le aree in cui, per ragioni di tutela della riservatezza, non è possibile accedere alle informazioni.
- viene introdotto un nuovo istituto: il diritto di accesso civico. Questa nuova forma di accesso mira ad alimentare il rapporto di fiducia tra cittadini e PA e a promuovere il principio di legalità (e prevenzione della corruzione). In sostanza, tutti i cittadini hanno diritto di chiedere e ottenere che le PA pubblichino atti, documenti e informazioni che detengono e che, per qualsiasi motivo, non hanno ancora divulgato.
- si disciplina la qualità delle informazioni diffuse dalle PA attraverso i siti istituzionali. Tutti i dati formati o trattati da una PA devono essere integri, e cioè pubblicati in modalità tali da garantire che il documento venga conservato senza manipolazioni o contraffazioni; devono inoltre essere aggiornati e completi, di semplice consultazione, devono indicare la provenienza ed essere riutilizzabili (senza limiti di copyright o brevetto).
- si stabilisce la durata dell’obbligo di pubblicazione: 5 anni che decorrono dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui decorre l’obbligo di pubblicazione e comunque fino a che gli atti abbiano prodotto i loro effetti (fatti salvi i casi in cui la legge dispone diversamente).
- si prevede l’obbligo per i siti istituzionali di creare un’apposita sezione – “Amministrazione trasparente” – nella quale inserire tutto quello che stabilisce il provvedimento.
- viene disciplinato il Piano triennale per la trasparenza e l’integrità – che è parte integrante del Piano di prevenzione della corruzione – e che deve indicare le modalità di attuazione degli obblighi di trasparenza e gli obiettivi collegati con il piano della performance.
- Altre disposizioni riguardano la pubblicazione dei curricula, degli stipendi, degli incarichi e di tutti gli altri dati relativi al personale dirigenziale e la pubblicazione dei bandi di concorso adottati per il reclutamento, a qualsiasi titolo, del personale presso le PA.
Italia connessa – Agende digitali regionali
Rasol (sì, ruzzle)
Grazie a Google Analytics, Skagerwall ha poi scoperto che la febbre di Ruzzle ha cominciato a diffondersi dalla città di Collins, in Lousiana (Usa), l’8 dicembre scorso. “Possiamo solo ipotizzare che un gruppo di adolescenti abbiano iniziato a sfidarsi condividendo il gioco coi loro amici“.
Dov’è finito?
Agenda per la scuola
Copioincollo integrale.
Ecco, sì, visto che va di moda, lo fanno tutti, sarei tentata di metterla on line anche io una bella “Agenda” delle cose che secondo me sarebbero proprio da fare a scuola, e dire «Queste sono le idee, chi ci sta a realizzarle, con me.» Purtroppo sono cose che può fare solo Monti perché è Monti, e ho anche qualche dubbio che poi pure lui non riuscirà a realizzarne qualcuna delle sue, anche vincendo. Perché l’Italia è quel paese strano dove prima le elezioni tutti si dicono pronti a cambiare, e poi appena le elezioni sono passate, vinte, perse o pareggiate che siano, c’è sempre qualcosa di più importante, di più urgente, di più, e le idee van messe in soffitta, che possono tornare buone per il prossimo giro.La prima idea riguarda noi insegnanti, e questo benedetto fatto dell’orario di lezione, che i più confondono con l’orario di servizio, pensando che noi lavoriamo solo 18 ore, cioè quelle che passiamo fisicamente in classe. Io vorrei un cartellino da timbrare, come gli altri impiegati. Così tutte le ore di programmazione, di studio e di ricerca che faccio a casa adesso finalmente risulterebbero da qualche parte. Certo, mi ci vorrebbe un ufficio dove stare, o almeno una scrivania, ed un pc collegato alla rete con una adsl non pagata da me. Per lo Stato sarebbe forse una bella botta economica dover ristrutturare gli edifici per trovare questi luoghi di lavoro per i docenti, e anche i pc e i router in grado di supportare tante connessioni. Ora risparmia parecchio, con questa bella trovata, lo Stato, ma per noi insegnanti queste ricorrenti offese di essere dei privilegiati e degli scansafatiche costano ancora di più, in termini di prestigio sociale, e alla lunga tolgono la voglia di impegnarsi a farlo bene, il nostro mestiere, anche a quelli che ci terrebbero assai. Sono cose che ti logorano, queste continue accuse e questa diffidenza nei nostri confronti. Per cui, dateci il cartellino e una scrivania per lavorare a scuola fino alle cinque del pomeriggio. Così, dato che ci siete, mentre siete là a ristrutturare per creare i nostri uffici, date anche una controllata alle mura delle scuole, ai tetti, ai solai e ai controsoffitti, che quasi mai sono a norma e rischiano di caderci addosso. Un po’ di sicurezza per tutti, visto che noi ci lavoriamo ma i vostri figli ci studiano, dentro quei muri.La seconda idea anche questa è molto semplice: vorrei delle classi di venti alunni al massimo, quindici se per caso dentro alla classe ci sono ragazzini certificati, o con problemi comportamentali. Sembra strano, eh, ma quando hai venti alunni da seguire, e non 26, 29 o 30, viene più facile seguirli meglio. Si possono fare, per esempio, più giri di interrogazioni, più compiti, verificare più spesso chi non ha capito e cosa. Si riesce anche ad instaurare con ciascuno di quegli alunni un rapporto più personale (non “personalizzato”, più personale proprio, nel senso che hai più tempo per parlare con loro, ascoltarli, capirli) e quando un ragazzino si sente così, ascoltato, pare impossibile ma rende di più. Anche qua, ci vorranno vagonate di soldi, perché il numero delle classi salirà, bisognerà assumere più docenti, forse anche costruire qualche scuola nuova. Però, non c’è alternativa: solo un cretino può pensare che con sei ore di una materia in una classe di 30 alunni si possano fare le stesse cose che si fanno con sei ore della stessa materia in una classe di venti. Quindi siamo sempre là, purtroppo le nozze non si fanno con i fichi secchi, e per avere una buona qualità dell’istruzione bisogna anche trovare il modo di finanziarla.In cambio, però, potremmo stabilire, per esempio, che i docenti fanno solo i docenti, e che l’insegnamento non è un lavoro part time per gente che fa soprattutto altro. Vuoi fare il professionista? Benissimo, allora la scuola ti fa un contratto a progetto, mirato, per un tot numero di ore. Ma la cattedra di ruolo la tiene solo chi di mestiere fa l’insegnante e basta, perché se hai una professione, uno studio, una azienda da seguire non puoi trovare il tempo di prepararti bene ogni santo giorno per quei poveri ragazzini che ti ritrovi per alunni. E quei ragazzini lo meritano, invece.Altra cosa è che si potrebbe stabilire che ogni tot anni anche gli insegnanti di ruolo devono passare degli esami e delle verifiche, e magari produrre dei testi, delle tesine che dimostrino cosa fanno a scuola e quali tecniche o scelte didattiche hanno fatto nella loro esperienza di insegnamento; e stabilire che nel corso dell’anno i dirigenti dirigono davvero, cioè controllano i furbi, quelli che presentano certificati di malattia assurdi stilati da medici compiacenti, in classe vegetano come funghi sulla cattedra. Se per un tot di tempo hai valutazioni negative e se poi risulta pure che non ti sei aggiornato e non ti ricordi i fondamentali della materia che dovresti insegnare, via, vai a fare altro.Ah, i corsi di aggiornamento, altra piaga dolente. Io vorrei anche un po’ di controllo qua, perché è un guazzabuglio in cui si trova di tutto. Oggi basta che tu li frequenti per avere qualche tipo di bonus, e comunque se ci vai sembra che tu sia un docente che ci tiene, e se invece ne salti qualcuno no. Ma anche lì, ci sono tantissimi corsi di aggiornamento che sono fuffa pura, tenuti da personale dalle competenze non ben chiare e su argomenti anche abbastanza idioti. Io li dividerei in corsi fondamentali, che riguardano non solo la didattica ma proprio la materia di insegnamento specifica, magari con tanto di esame finale per vedere se chi lo ha frequentato ha seguito davvero o ha fatto solo atto di presenza. Basta però ai corsi “onnicomprensivi”, destinati a docenti di ogni ordine, grado o materia. No, specifici: quelli per chi insegna matematica alle medie, quelli per chi insegna inglese alle superiori e così via. E ci aggiungerei anche dei bei corsi di lingua inglese gratuiti per tutti, con lezioni di lessico specifico mirate, perché il Ministero ha detto che alcuni di noi dovrebbero saper fare lezione in lingua, e questo è bello e giusto, però non può pretendere che la lingua uno se la debba imparare o rinfrescare spendendo centinaia di euro privatamente.Passiamo alle valutazioni degli alunni. Pare che gli INVALSI diventeranno il metodo principe. E su questo, sinceramente, ho qualche dubbio. Perché i test INVALSI possono andare anche bene, purché siano fatti meglio – molto meglio – di quelli di questi anni, ma vanno integrati con altro. Intanto non si può farli solo di italiano a matematica, allora, ma di tutte le materie, e per tutte intendo tutte tutte. Poi fa ridere pensare che solo sulla base dei risultati degli INVALSI si pensi di stabilire se un docente è bravo, ed eventualmente premiarlo con bonus economici. Perché gli INVALSI non tengono conto dei livelli di partenza di una classe, per esempio, e anche del fatto che il lavoro di un docente spesso può anche non avere ricadute precise e quantificabili nell’immediato, e che poi la sarabanda dei docenti in più anni può rendere impossibile identificare chi poi abbia materialmente svolto il lavoro. Soprattutto, poi, gli INVALSI non tengono conto che un ragazzino o una classe che sa rispondere bene agli INVALSI potrebbe anche essere semplicemente una classe di brave scimmiette ammaestrate. Quindi, ok, facciamo gli INVALSI, se volete, ma affianchiamoli ad altri tipi di prove, che tengano conto dei programmi reali svolti nella classe e somministrate nel corso di tutto l’anno: prove di grammatica, problemi di geometria, test di traduzione dalle lingue straniere.C’è poi da affrontare un altro grande problema: come trattiamo chi non ce la fa. Perché se una scuola vuole funzionare seriamente non va invocata la meritocrazia, parola che io non amo molto, ma la più banale serietà: a fine anno non tutti possono essere sempre promossi con un pietoso sei. E chi non passa, come lo trattiamo? Innanzitutto bisognerebbe, e questo si fa già nella maggioranza dei casi, tentare di evitare la bocciatura. Ma per farlo bisogna poter fornire ai ragazzi in difficoltà delle ore di recupero, dedicate solo a loro. Il problema è che questo si può fare sempre meno, specie ora che abbiamo visto tagliare i fondi di istituto, che servivano proprio a questo tipo di attività. Perché se un docente deve fare un corso di recupero, magari pomeridiano, per un gruppo di alunni, bisogna che ci siano, molto banalmente, i soldi per pagare gli straordinari che fa, e questi oggi non ci sono più. Anche qua, rendiamoci conto una buona volta che non si può avere scuola di qualità senza spendere soldi, perché sarebbe come pretendere di comprarsi una Ferrari senza avere il becco di un quattrino.Altro problema è che la scuola ha spesso degli orari che non sono più rispondenti alle esigenze delle famiglie di oggi E’ nata quando le famiglie erano formate da una mamma ed un papà, papà lavorava e mamma stava ai fornelli, per cui al pomeriggio ai figli ci badava lei. Famiglie così non ce ne sono più, anche perché se non ci sono almeno due stipendi da lavoro a tempo pieno a fine mese non si arriva. Che facciamo? Proviamo a pensare una scuola che è aperta anche al pomeriggio? Sì, certo. Ma non si può risolvere il problema dicendo che i docenti fanno 40 ore a settimana tenendosi i ragazzi anche al pomeriggio, perché sennò quando è che preparano le lezioni, correggono i compiti, eventualmente tengono corsi di recupero per chi va male? Quindi bisognerebbe assumere del personale che garantisse lo svolgere di attività pomeridiane, tipo un doposcuola assistito per fare i compiti, o anche dei corsi gratuiti specifici per piccoli gruppi. Potrebbe essere un canale per inserire i giovani aspiranti docenti, che potrebbero (ovviamente con contratti regolari e stipendio dignitoso) farsi le ossa prima di diventare stabilmente di ruolo, imparare a trattare le problematiche degli alunni, farsi una idea di come funziona una scuola, senza essere “buttati” subito in trincea come invece è capitato a noi, ma potrebbe essere anche uno sbocco lavorativo per chi non è proprio un docente, ma magari solo un educatore generico, che avrebbe compiti di supporto.Voi mi direte: ma che schifo, in questa agenda manca il digitale! Da te non ce lo saremmo aspettato mai! Ecco, e invece aspettatevelo. Perché io sono favorevolissima che nelle scuole si insegni agli alunni ad usare il computer, ci mancherebbe. Ma credo anche che spendere vagonate di soldi per la sola vuota digitalizzazione senza prima mettere mano a tutto quanto ho elencato sia come pensare che se su una catapecchia vecchia do una dipintina ai muri fuori e ci metto una porta blindata di ultima generazione si trasformerà per incanto nel palazzo di Cenerentola. Mandate al diavolo e accusatemi di essere retrograda, ma per me la scuola di qualità si può fare persino solo con una lavagna e con un gessetto. Se imparano bene le tecniche per fare i riassunti, scrivere un testo, contare e risolvere problemi, poi ad usare l’ultimo cazzabubbolo informatico ci mettono due secondi. E allora non sono contraria agli investimenti sul digitale, ma io prima lavorerei sulla formazione degli insegnanti, investirei su quello: perché a fare lezione non è mai il tablet, ma la persona che lo tiene in mano.Tutto questo, naturalmente, potrebbe funzionare solo ad un patto: che oltre alla scuola deve cambiare, e anche parecchio e profondamente, la società che le sta attorno. Perché si può costruire una scuola efficientissima, che sforna, come già fa ora in molti casi, alunni competenti e bravi, ma se poi l’Italia attorno continua a non valorizzarli perché assume il cugino scemo del capo anche se ha preso la laurea comprandola sottobanco, e al ragazzo preparato ma privo di appoggi offre solo un contratto precario, tutta questo sforzo sarà solo un enorme spreco: i ragazzi formati e preparati scapperanno all’estero, e tutti i soldi spesi per la loro formazione frutteranno ad altri brevetti e scoperte scientifiche, mentre noir resteremo al palo. E giustamente, perché il male che ci si cerca, come diceva mia nonna, non è mai abbastanza.Insomma, io la mia “Agenda Vaglio” ce l’ho, e come le altre agende in circolazione, lo so che è in fondo un libro dei sogni. Perché nello scriverla sono consapevole che per metterla in pratica ci vogliono tre cose: una ferrea decisione nel mantenere fede agli impegni, molta serietà e anche tanti, tanti, tanti soldi. Delle tre, lo confesso, tutto sommato i soldi sono quelli che reputo più facili da trovare, in qualche modo, perché al mondo, e non solo in Italia, quando ci sono determinazione e serietà i finanziamenti poi da qualche parte si trova il modo di farli venire fuori.Sono le prime due cose che mi paiono assai difficili da reperire, perché noi siamo il paese dove scrivere una agenda è facilissimo, sono buoni tutti: ma quando poi bisogna metterle in pratica e stringere i denti per vedere i frutti, eh, c’è sempre qualcosa di più urgente, e poi anche di più facile ed immediato, che dà più soddisfazione.
Democrazia 2.0
1. di pubblicare online l’’elenco di tutte le candidature, offrendo a tutti i candidati una piattaforma web attraverso la quale aprirsi al dialogo e al confronto con i cittadini e presentarsi ai propri elettori con il proprio curriculum, le proprie idee e il proprio programma: massima trasparenza e apertura anche alle critiche dovranno essere irrinunciabili principi ispiratori della campagna elettorale online.
2. di dare pubblicità a tutte le riunioni politiche di vertice in live streaming e successiva archiviazione online, perché chi si candida alla guida del Paese non può e non deve avere niente da nascondere ai cittadini.
3. di garantire che tutti i candidati si impegnino, se eletti, a consultarsi costantemente attraverso strumenti telematici con i propri elettori, rispondendo settimanalmente online a interrogazioni pubbliche in livechat.
4. di impegnarsi nella prossima legislatura perché l’accesso a Internet diventi un diritto fondamentale del cittadino.
5. di impegnarsi perché la Rete sia davvero neutrale e sia vietato ai fornitori di servizi di comunicazione elettronica ogni genere di attività di network management suscettibile di incidere sulla libertà degli utenti di accedere a ogni tipo di contenuto a condizioni tecniche ed economiche non discriminatorie.
6. di impegnarsi perché tutti i dati e le informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni siano resi disponibili online, in tempo reale, in formato aperto e con una licenza che ne autorizzi l’uso da parte di tutti anche per finalità commerciali
7. di impegnarsi perché i tribunali (e tutte le autorità svolgenti funzioni giurisdizionali) rendano accessibili ai cittadini, online e gratuitamente,i testi integrali di tutte le proprie decisioni.
8. di impegnarsi a fare in modo che il diritto d’autore sia, anche in Rete, uno strumento di promozione della creazione e circolazione dei contenuti artistici, culturali ed informativi e non solo un vincolo e un impedimento.
9. di impegnarsi a garantire che nessun contenuto di carattere informativo possa essere rimosso dallo spazio pubblico telematico o reso inaccessibile in assenza di un ordine dell’’Autorità giudiziaria.
10. di impegnarsi nell’adozione delle politiche di governo aperto che vanno diffondendosi in tutto il mondo creando straordinari benefici in termini di trasparenza ed efficienza dell’attività della pubblica amministrazione e di rafforzamento e consolidamento della democrazia.
Jannis on TV
Carl Gustav Jung – Dal Profondo dell’Anima [Integrale] di Werner Weick
Open Udine
Agenda digitale: è legge
“Lo Stato, nel rispetto del principio di leale collaborazione con le autonomie regionali, promuove lo sviluppo dell’economia e della cultura digitali, definisce le politiche di incentivo alla domanda dei servizi digitali e favorisce, tramite azioni concrete, l’alfabetizzazione e lo sviluppo delle competenze digitali con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione, nonché la ricerca e l’innovazione tecnologica quali fattori essenziali di progresso e opportunità di arricchimento economico, culturale e civile.”
E’ legge italiana, gente. Anni di battaglie.
Un lancio per #udinesmart
#udinesmart
Psicologia evolutiva dell’umanità
Talvolta la vedo così.
L’umanità sta finendo le scuole medie.
Fino a 3.000 anni fa parlava, poi si è messa a scrivere tutto quello che bisognava scrivere, nominare il mondo, imparare l’alfabeto. Poi nel profondo MedioEvo scocca una scintilla e rileggendo quello che ha scritto riflette un po’ su di sé e sul proprio linguaggio. Qui lasciamo le scuole elementari primarie, e andiamo alle medie. Con la stampa, siamo cresciuti con e dentro il testo, le sue regole e la sua forza. Ci siamo nutriti di nozioni e argomentazioni, espresse in modo statico e lineare. Come società, siamo progrediti dentro le linee di sviluppo che è possibile veicolare con un libro, dove proprio per la forma del contenitore e del codice linguistico usato per riempirlo siamo diventati così e non colà, ecco. Per il ritmo e la forma delle circolazione delle idee.
Adesso parliamo scrivendo, scriviamo parlando, e si sono aggiunti anche tutti i linguaggi multimediali del Novecento, cinema radio tv, e ci sentiamo baldanzosi di avere una personalità, magari soffertissima come ogni adolescente che si rispetti, e vogliamo far sentire la nostra voce nei social. Vogliamo avere un’identità, abbiamo scoperto il gruppo dei pari (cerchie sociali) e ci vediamo il sabato al muretto o in parrocchia o in sala giochi o in centro, salvo il fatto che oggi abitiamo connessi e parliamo sempre.
Siamo arrivati alle scuole superiori, dove la Cultura può essere rimescolata e mixata, dove le regole devi seguirle e ci si aspetta tu le capisca, dove puoi essere un silente o un conformista o un ribelle, ma pian piano impari a leggerti e a ascoltare gli altri.