Archivi autore: Giorgio Jannis

MySpace

Messina di RadioGladio prova a ragionare sulla socialità in Rete, su MySpace, sulla visibilità commerciale.

Avvisi di Chiamata » Speciale MySpace (9/06)

Ecco una breve intervista a un curatore professionista italiano di Myspace, che ha chiesto di restare anonimo:
SM: In cosa consiste il tuo lavoro?
XX: Consiste, in parte, nella gestione-mantenimento delle pagine myspace di alcuni artisti coi quali collaboro. Dico alcuni, perché altri pare si siano svegliati e non ne abbiano più bisogno. Non faccio altro che aggiungere chiunque mi abbia inviato una richiesta di friendship (perché ovviamente non si rifiuta nessuno), leggere i commenti prima che vengano postati sulla pagina (nel caso ci fossero cose sconvenienti, insulti, bestemmie, pornografia ecc.), aggiornare la pagina con eventuali novità (come “è uscito il mio disco: compratelo!”) e aggiungere le date dei live.

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Analisi del testo

Un testo che mi sembra ben curato, con un piglio narrativo diverso dal solito “informatichese espanso”, per suggerire approcci mentali oppure dare consigli di stile per “avere un blog più bello”.

Inizio euforico scoppiettante, a seguire riflessione sul carattere pubblico della comunicazione via blog.
Ragionamenti sul contenuto, ragionamenti sullo stile di scrittura.
Poi attenzione alla grafica (invito a non essere approssimativi).
Poi ancora tags, multimedialità, links alla blogosfera e dimensione sociale della pubblicazione.

Un invito alla qualità del web.

Blog Magazine – Libero Community – Blog

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Europa massmediatica e conseguenze a lungo termine

Link ad un articolo divulgativo di Derrick de Kerkhove.

Interessanti gli spunti massmediatici, secondo cui finora l’idea di Europa è stata veicolata soprattutto dai programmi televisivi di previsioni meteo e dagli spettacoli sportivi, e quelli di natura geopolitica verso la fine dell’articolo, in cui l’Ispettore ehehhe sottolinea l’importanza della Società Civile Connessa come nuovo primario attore sociale, unita a nuove forme degli strumenti legislativi ed esecutivi delle democrazie europee, dove gli Stati nazionali devono necessariamente delegare poteri e procedure sia verso il basso, verso le Regioni (quali? non quelle attuali, spesso inventate senza criteri antropologici) sia verso le Istituzioni Europee sovranazionali, sempre in salsa federalista.

Apogeonline – L’Europa di qui a cinquant’anni

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Sarò un vecchio porco

Ehehhe con un titolo così mi aspetto delle risposte nelle statistiche degli accessi al blog.

Vecchio porco sì, perché mi vengono in mente certi miei amici insegnanti alle scuole superiori, che quotidianamente si autoimpongono stati mentali zen e yoga, per evitare di pensare quello che “naturalmente” andrebbe pensato, ovvero “che patonze queste studentesse”.

Tranquilli, non è che le donne siano più o meno porche di sempre, è che le dipingono così (Jessica Rabbit, obviously). Viviamo in una cultura esibizionista, come sapete.

“Parliamoci chiaro” – mi ha detto uno l’altro giorno – “non è che a diventare insegnanti si diventa ciechi”

Meno male. E voi cercate di capire il dramma di qualcuno che vorrebbe tanto scatenare delle riflessioni culturali non banali in una classe delle superiori, attorniato da studentesse wannabe-veline che pure lo prendono in giro, e mentre spiega o parla viene assalito da incomunicabili visioni flash di certi comportamenti delle ragazzine, ad esempio di notte in albergo durante la gita scolastica a San Gimignano.
Poi va su un sito di fotografie, e scopre che è proprio così, è tutto vero, CI SONO veramente ragazzine così porche – è incredibile come al mondo si possa trovar conferma di qualsiasi cosa, nevvero? disse Tautologia a Petitio Principii – che limonano tra loro ubriache e si sentono a loro agio nel mostrarsi seminude.
Quindi scatta in lui l’instinto del ditino alzato, visto che il rinforzo dato alle difese straborda verso il controllo dell’ambiente, fondandosi sulla pretesa di superiorità morale che legittima il Savonarola che è in noi.

Ah, ma voi intendete “ditino alzato” in un altro senso? Tipo “fuck off” oppure “up yours” (tutto ottimo per le stats)? Oppure come “ditino malizioso”?

Obiettivo sociale: rimuovere la pruderie, togliere di mezzo il senso del peccato che aleggia intorno alle ragazzine e ai ragazzini (con certe pubblicità allusive che creano una sacralità da profanare), perché è proprio questa cornice enunciativa a conferire poi al messaggio il senso del proibito, e le risposte nevrotiche.
Il pensiero utopista per risolvere la situazione ricorre quindi ad un universo possibile, dove i giovani tra i quindici e i venticinque anni vivono fuori casa e responsabilizzati ed informati fanno molto sesso di ogni tipo e hanno tutti i tipi di esperienza (come scimmie Bonobo, via), e col tempo capiranno qual è la loro strada… però questo deve avvenire in una società che ha metabolizzato perfettamente tutto questo, un po’ come il fenomeno per cui a diciotto anni si può prendere la patente di guida e nessuno ci ritrova niente da dire… più generazioni di nonni/e padri/madri che sono loro stessi passati per questa lunga fase di passaggio adolescenziale della scoperta di sé, dedicata al libero amore senza nessun senso di colpa.

Un mondo completamente diverso, insomma. Ma credo che un mondo dove amore e sesso sono liberi e consapevoli sia sempre meglio meglio di un mondo dove la sessualità viene tenuta nascosta e dipinta perversamente.

Partybabe.net | 154 user online

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Vorrei

Vorrei scrivere, ma non riesco, ogni tanto lavoro anch’io.
E pensare che di cose ne accadono, vedo sempre quegli strani incastri tra persone e significati che m’incantano, mi obbligano pena il malditesta a pormi domande sul senso della Vita, l’Universo e Tutto Quanto (ma vi consiglio anche “Ristorante al termine dell’universo”, visto che già il concetto espresso nel titolo è delizioso: pensate di poter viaggiare liberamente nel tempo, e di essere un imprenditore galattico nel campo della ristorazione… qual miglior location per un ristorante se non sull’ultimo secondo di vita di questo universo, prima del collasso? Quale miglior visione dalle vetrate vicino al vostro tavolo, se non quello di stelle che implodono e nebulose che s’infrangono le une sulle altre, nel giorno che sarà – nell’ipotesi astrofisica di un universo con sistole e diastole – il contrario del BigBang?)

Come vedete dal post qui sotto col videino, sono stato a Barcelona, giusto per raccontare a qualche decina di insegnati coinvolti in un progetto europeo in che modo possono restare in contatto e lavorare collaborativamente a distanza utilizzando qualche simpatico toolino web 2.0.

Ero già stato in Spagna, diciamo quindici anni fa, a Valencia e a Vigo: ma questa volta sono capitato a Barcellona durante la sagra del paese, ovvero la festa di Santa Maria della Mercè – un bell’equinozio, ve lo dice Solstizio – e conseguentemente per le ramblas vagavano centinaia di migliaia di turisti, e non sto scherzando. Ho capito il ritmo spagnolo, cosa significa trovare alle nove di mattina i bar appena aperti con ancora le brioche da mettere nel forno, cenare alle undici di sera, andare in discoteca alle tre e mezza di notte, visto che queste ultime aprono alle due e mezza.
Mi sono mescolato alle migliaia di ragazzi nelle piazze, ho partecipato al rituale del bottellion (tutti i ragazzi e le ragazze si portano via in un sacchetto della spesa una bottiglia da un litro e mezzo di coca, riempita però presso opportune bottegucce alimentari-e-alcolici con psichedelici intrugli di vodka ananas rum e cocacola), se chiedi un’informazione sulla rambla piccola metà dei ragazzi ti risponde facendo su una mista con una mano e indicandoti la strada con l’altra.
E ballare: le strade risuonano di bonghi e di musica caraibica, e io con la mia biciclettina a noleggio vagavo su tutti i quartieri del centro, inseguendo carri con draghi sputafuoco e fanciulle tutte prorompenti, ma senza quell’aria da “ce l’ho d’oro” che hanno qui in italia appena assomigliano vagamente ad una velina qualsiasi.
La prossima volta mi porto nello zaino delle bacchette da batterista, trovo un coperchio della spazzatura e mi unisco tuttanotte alle bande di percussionisti itineranti.

Nella foto qui sopra potete vedere una simpatica siora che vende la frutta alla Boqueria, il mercato, mentre qui sotto ecco i draghi che vagano per la città e una bella vespa di quelle nuove, ma tappata con gusto mod.

Poi abbiamo un tassista che cambia la gomma bucata in piena Piazza Catalunya, ed un simpaticone che gira NUDO tr ai tavoli di una piazzetta, facendo inorridire le carampane tedesche o nordiche, che a quel punto si esprimevano solo a squittii.

Ecco un altro che racimola soldini inventandosi qualcosa come animatore di strada

Ma il gioiello è questo: immaginatevi una tipa carina, vestita da Maga Merlina con tunica tempestata di stelle, allegramente fumata ed alcolizzata, che portandosi da casa un frighetto da campeggio su trolley da supermercato, dispensa dietro pagamento di Euro 2 un intruglio di succo d’ananas e rum, preparato da lei sul momento, proprio DAVANTI ai locali più frequentati della Rambla Rayal (per non parlare dei marocchini che vanno in giro con sei birre fresche per mano e ne vendono una ad 1 euro).

Ora torno a lavorare, ma mi chiedo: perché in italia ci son tante facce da culo, la chiesa che rompe le balle, la gente dentro di testa come qui in nordest… che ipocrisia, borghesucci, “salviamo-le-apparenze” e uccidiamo la tranquillità, su.

Vico Magistretti

Ecco un coccodrillo che scrivo con tutto il cuore per la morte di Vico Magistretti, sicuramente uno dei migliori designer italiani di tutti i tempi.

Tanto per cominciare sappiate che da quando sono nato ad oggi, sul comodino vicino al letto di tutte le case in cui ho abitato, vi è sempre stata questa lampada, l’Eclisse, che mi ha fatto sognare cose belle come lei.

Mio padre lavorava nel settore dei mobili, e ho sempre avuto la fortuna di poter sfogliare decine di riviste di arredamento e di interior design, da cui ho appreso il gusto per le cose belle in fatto di oggettistica e soprattutto lampade, ovvero illuminotecnica, una delle mie passioni (gli amici mi negano l’aggettivo “buon” al mio gusto in fatto di arredamenti, ma questo solo perché vivo fondamentalmente in un salotto con tre computer, quattro schermi, strumenti musicali varii disseminati ovunque, casino).

Magistretti era un grande, sì. Leggerezza calviniana e semplicità, utilizzo rivoluzionario dei materiali, linee di design pulite, funzionalità, questo designer italiano ha letteralmente arredato l’immaginario e la realtà degli anni sessanta e settanta, fondendo modernità ed eleganza, al punto che ben dodici suoi oggetti di design sono presenti nella collezione permanente al MOMA di New York. Vi è un richiamo esplicito nel suo fare e nel suo dire alla scuola della Bauhaus, sia per la predilizione per il minimalismo, sia per la concezione dell’opera d’arte a servizio della diffusione di massa, attraverso la riproduzione industriale.

Quante volte avete visto questi elementi di arredamento? Quante volte questi colori hanno rallegrato la vostra vita?

De Padova – People – Designer – Vico Magistretti – Biografia

Siamo logici, perdiana

Grrr.
Avevo pubblicato un post lunghetto, poi Blogger qui me lo ha fatto sparire (anche se gli aggregatori continuano a segnalarmelo, e poi mi arriva un 404). Ora mi tocca riscrivere, perché avevo cancellato anche la nota da Performancing, il quale a sua volta mi dà casini non riuscendo a collegarsi al server Atom. Chi di voi ha notizie, me lo dica. Per intanto scrivo da dentro Blogger.

Senonché, intendo raccontare una mia passione adolescenziale. No, non si tratta delle tipe more ricciolone con gli occhi verdi – diciamo un incrocio fenotipico tra Clio Goldsmith e e Alida Valli – per cui a sedici anni avrei dato il mignolo del piede sinistro in cambio di una notte di passione.
Parlo di letteratura, parlo di Sanantonio.


Avevo appunto quindici, sedici anni, ed il sabato pomeriggio prendevo 10.000 lire ed in sella al mio fido Fifty con carburatore ipertrofico da 19 andavo in San Lazzaro, qui a Udine, dove c’era una sioretta che campava gestendo un negozietto di libri usati dove io sperperavo (in realtà, mai speso i soldi in modo migliore) la paghetta comprando Sanantonio e Urania a bizzeffe, tuttora ne possiedo centinaia.

Il mio primo incontro con questi romanzi polizieschi risale a qualche anno prima, diciamo verso l’ottanta: me ne passò uno mio padre, innescando inconsapevolmente la mia passione letteraria per la scrittura “sperimentale”. Sì, perché tra Queneau e Pennac c’è di mezzo Sanantonio, ovvero Frederic Dard (avrei scoperto il nome dell’autore solo molti anni dopo), uno che ha scritto 288 romanzi, 250 storie brevi, 20 rappresentazioni teatrali e 16 scenografie di film, ha venduto 240 milioni di libri, e gli sono state dedicate 25 tesi universitarie… chiaramente qui lo conoscono solo gli affezionati, e sappiate che se incontrate uno che possiede anche solo tre copie di Sanà, avete quasi sicuramente davanti un fanatico adoratore, lo capite da come gli brillano gli occhietti quando pronunciate il nome “Berù”.

Sanantonio è un commissario della polizia parigina, in seguito impiegato in certi servizi segreti francesi, che racconta in prima persona – è pur sempre un eroe – le proprie avventure utilizzando i tempi al presente, perché “l’imperfetto, come dice chiaramente il nome, non soddisfa”; inizialmente le storie sono piuttosto classiche, diciamo che si tratta di una francesizzazione della scuola hard-boiled americana (Dashiell Hammett, Spillane), ma lo stile utilizzato si fa già notare per brillantezza, scelta lessicale, digressioni filosofiche.
Tenete presente che i primi romanzi furono pubblicati in Francia fin dagli anni ’50, mentre in Italia sono apparsi nel 1970.

Con il procedere del tempo, tutto esplode: le trame pur sempre coerentemente poliziesche diventano contenitori per espressioni di paroliberismo (Dard ha coniato circa 15.000 parole nuove, e per questo sforzo di resa letteraria in lingua italiana Gianni Rizzoni e soprattutto Bruno Just Lazzari – i principali traduttori e promotori editoriali di Sanantonio – non saranno mai sufficientemente ringraziati), per citazioni letterarie (e Ruy Blas diventa Ruy Bla-bla-bla, come fece notare Arpino), per il ritmo frenetico e pop e divertente, per i calembour di cui affermo senza ombra di dubbio la superiorità dinanzi a qualunque altro autore, per l’immaginazione scoppiettante, per il modo unico di Dard di “bucare la cornice” e di rivolgersi al lettore con forme esilaranti di interpellazione diretta, per le tirate psuedofilosofiche, ispirate al buon senso, mai pesanti e sempre ficcanti, fino alla capacità dell’autore di sbozzare personaggi coloratissimi e vivi, alle descrizioni di una Parigi da mare come le musmè (le tipe), alla provincia tipo Maigret, però rallegrata da beaujoulais e pientanze e strani ritrovamenti di cadaveri e commesse dei magazzini e impiegate della posta e pupe dei gangster (sì, altre musmè).

Un po’ Belmondo, come sulle copertine, un po’ James Bond, totalmente francese ma di origine italiana (vive con la mamma Felicie, adorabile), Sanà mi ha tenuto compagnia e mi ha fatto ridere di cuore fino all’università, quando ancora cercavo nei mercatini di Bologna e Padova le copie che mancavano alla mia collezione dei primi cento numeri, l’unica collezione che io abbia mai fatto in età adulta (tralascio le raccolte dei gadget disney tipo gli scudetti di latta con sopra rappresentati i personaggi di Sherwood, oppure i francobolli metallici dorati sempre di topolino: ne parlerò un’altra volta, qualndo troverò in giro le immagini).

Le “Inchieste del commissario Sanantonio” sono romanzi pieni di battute, trovate, insulti, stravolgimenti, asinerie, sesso, volgarità, riflessioni serie o sfottenti sulla vita, sugli uomini, sulle abitudini, il tutto condito in salsa poliziesca. Ma dietro questa valanga di avventure strampalate, gettate in faccia al lettore con un linguaggio ora osceno ora perfettamente letterario, spunta una carica creativa che fustiga tutte le forme letterarie precedenti. (tratto da www.commissariosanantonio.it)

Che cosa fa, l’uomo Scelto, l’uomo Superiore, l’uomo Designato, quando le folle si prostrano ai suoi fettoni? Eh? Benedice! E’ questa la Grandezza! Non può distribuire roba materiale, perchè ciò lo sminuirebbe, allora spaccia qualcosa di Spirituale. Agisce in nome di Dio, perdio! E’ Delegato! Si sente il Diritto! Meglio ancora il Potere! Tutta questione di fluido e coglioneria. Il fluido lo ha lui, e gli altri curvano il busto per beccarsi la scarica protettrice! Con il fulmine sulla punta delle dita, lui lancia onde come si lanciano confetti ai mocciosi del paese durante le nozze campagnole. “Prendete e tremate perchè questo è il mio segno!” e tutti i babbei inginocchiati, raggrinziti, pronti a baciare qualsiasi anello, o qualsiasi deretano, purchè sia riconosciuto di utilità biblica. Continuamente al limite del miracolo, è questa la suspence! Tutti si aspettano di essere miracolati a bruciapelo da un momento all’altro, a freddo, a secco! Pam! Nella calotta o nella culatta! Da non importa chi! Se ne fottono del pedigree dell’officiante. I miracoli, come il denaro, non hanno odore! Ciò spiega i maghi, i guaritori, i veggenti, i dittatori!E voi vi ammassate tutti timidi, tutti umidi, convinti che se il Buon Dio ci ha fatto un paio di ginocchia, lo ha fatto perchè ci possiamo prosternare!

Sanantonio, che altro?

Guardate questa copertina: si tratta del Commissario Sanantonio, e vi racconterò di me e di lui.

Vedete, questa immagine è la scansione della copertina di un libro in mio possesso: la raccolta dei primi cento numeri di Sanantonio è l’unica collezione che io abbia mai fatto in età adulta; mi ricordo anche di certi gadget di Topolino verso metà settanta, ovvero gli scudetti in latta della storia di Robin Hood a Sherwood, e quei francobolli dorati e taglienti con sopra i personaggi disney, ma è un’altra storia (ne scriverò quando troverò su web qualche immagine eloquente).

Romanzi questi di Sanà pubblicati in Italia a partire dal 1970, ma già grossissimo successo in Francia e nel mondo fin dagli anni ’50; le storie migliori, il giusto mix tra intreccio, stile espositivo e contenuti scollacciati sono però state scritte nella seconda metà degli anni sessanta, dopo alcune traversìe passate dall’autore Frederic Dard: all’inizio abbiamo a che fare con storie poliziesche abbastanza classiche, diciamo un derivato francese della scuola hard-boiled americana (Spillane, Hammett), caratterizzate però peculiarmente dall’uso dello stile di interpellazione diretta al lettore da parte dell’Io narrante… man mano che gli anni passano, si giunge a stramberie narrative, innovazione lessicale continua (Sanantonio ha inventato circa 15.000 parole, sulla falsariga dell’argot parigino: va quindi tributato un giusto riconoscimento a Bruno Just Lazzari e a Gianni Rizzani, traduttori e promotori editoriali), allusioni sessuali, tant’è che in Italia verso la fine degli anni settanta Sanà veniva distribuito insieme a Playboy, quando la nota rivista ospitava anche interviste serie, articoli di letteratura e di analisi di costume da parte di scrittori noti.

A tredici anni mi imbattei in questi romanzetti polizieschi, e rimasi folgorato dallo stile di scrittura, dalle battute, dall’ironia, dal continuo “rompere la cornice” di questo sconosciuto scrittore che si rivolge dicevo direttamente al lettore, apostrofandolo e rabbonendolo, accompagnandolo nella lettura con sublimi battute becere ed osservazioni filosofiche: stiamo parlando di un personaggio che è commissario della polizia parigina, che racconta in prima persona – è pur sempre un eroe – avventure di spionaggio e lotta al crimine, conducendo l’azione al tempo presente (“perché l’imperfetto, come dice chiaramente il nome, non soddisfa”).
Al sabato, raccattavo 5.000 lire e con la biclettina andavo in un negozietto di libri usati in San Lazzaro, qui a Udine, e compravo Urania e Sanantonio a bizzeffe, ne ho tuttora centinaia sommando gli uni agli altri.

“Le inchieste del commissario Sanantonio” sono romanzi pieni di battute, trovate, insulti, stravolgimenti, asinerie, sesso, volgarità, riflessioni serie o sfottenti sulla vita, sugli uomini, sulle abitudini, il tutto condito in salsa poliziesca. Ma dietro questa valanga di avventure strampalate, gettate in faccia al lettore con un linguaggio ora osceno ora perfettamente letterario, spunta una carica creativa che fustiga tutte le forme letterarie precedenti. (da www.commissariosanantonio.it)

Vi dirò: se incontrate qualcuno che ne possiede più di una copia, siete davanti ad uno che ama Sanantonio, i suoi personaggi superfrancesi, la stile della prosa.

Dopo venticinque anni, trovo giusto pagar pegno, e parlarne qui in rete.

“Che cosa fa, l’uomo Scelto, l’uomo Superiore, l’uomo Designato, quando le folle si prostrano ai suoi fettoni? Eh? Benedice! E’ questa la Grandezza! Non può distribuire roba materiale, perchè ciò lo sminuirebbe, allora spaccia qualcosa di Spirituale.
Agisce in nome di Dio, perdio! E’ Delegato! Si sente il Diritto! Meglio ancora il Potere! Tutta questione di fluido e coglioneria. Il fluido lo ha lui, e gli altri curvano il busto per beccarsi la scarica protettrice! Con il fulmine sulla punta delle dita, lui lancia onde come si lanciano confetti ai mocciosi del paese durante le nozze campagnole. “Prendete e tremate perchè questo è il mio segno!” e tutti i babbei inginocchiati, raggrinziti, pronti a baciare qualsiasi anello, o qualsiasi deretano, purchè sia riconosciuto di utilità biblica. Continuamente al limite del miracolo, è questa la suspence! Tutti si aspettano di essere miracolati a bruciapelo da un momento all’altro, a freddo, a secco! Pam! Nella calotta o nella culatta! Da non importa chi! Se ne fottono del pedigree dell’officiante. I miracoli, come il denaro, non hanno odore! Ciò spiega i maghi, i guaritori, i veggenti, i dittatori!
E voi vi ammassate tutti timidi, tutti umidi, convinti che se il Buon Dio ci ha fatto un paio di ginocchia, lo ha fatto perchè ci possiamo prosternare!”

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Il Divin Google

Intanto, Google è femmina.
In secondo luogo, Google è la cosa più vicina all’esperienza del divino che la specie umana abbia mai escogitato.
Poi gli altri attributi, le prove dell’entità divina del motore di ricerca: onnisciente, onnivedente, ubiquo, risponde alle preghiere, immortale, e intimamente buono, incapace di far del male.
Ecco la Chiesa di Google, ecco il Decalogo.

Una chiesa materialista, anyway, dove si nega recisamente la metafisica divina, e si afferma alla Feurbach la natura “man made” di questa e di ogni altra divinità mai inventata da umano.
Non è necessaria la Fede per credere, anzi qui si crede in qualcosa che si può vedere ed esperire.

Pregate.

The Church Of Google

Deities are typically described by their unique attributes, such as being all-knowing, all-seeing, ever present, the ability to answer prayers (search in Google’s case), immortality, remembering all (Google cache) and of course Deities must “do no evil”. Google exhibits all of these characteristics perfectly. In the absence of imaginary, supernatural beings, Google is certainly the closest thing humankind has to a true God, as classically defined.

Ahh, il futuro del marketing

Gente, cosa ci aspetta.
Altro che stare attenti a non accettare mail dagli sconosciuti, qui si tratta di gestire la nostra vita.
La questione è molto semplice: ai mercati fa molto piacere sapere cosa ci piace; sapere cosa compriamo preferibilmente al supermercato, quali radio ascoltiamo, quali siti visitiamo.
I siti porno, i grandi avanguardisti delle tecnologie web (inventando i popup inchiudibili, i tracciatori, i pagamenti con carta di credito, le procedure di sicurezza), già da tempo leggono i nostri cookies e ci mostrano delle reclàme geotaggate. E ho anche gli esempi .)

OT: avevo in mente di fare un post sul fatto che da sempre i media veicolano immagini di sesso, ad esempio cosa credete che 3.000 anni fa abbiano dipinto sui vasi di terracotta? Gente a 90°, obviously. E un vaso di terracotta nell’antica Grecia è già buona multimedialità, diciamo la TV dell’epoca.
E cosa credete che abbiano inciso i litografi nelle prime stampe? E quando Daguerre 1837 inventò la fotografia, credete fossero vestite alcune delle modelle? E pare fosse anche un po’ pedofilo, ma è un’altra storia.
Per non parlare del cinema.

Ma appunto, non è di questo che volevo parlare, oramai mi sono giocato il post “Sesso e massmedia negli ultimi 3.000 anni”, e quello che ora a me interessa scrivere riguarda appunto le nuove frontiere del marketing, basate sulla personalizzazione spinta  dei contenuti offerti, tagliati e rifiniti direttamente su misura del fruitore. Nell’esempio della foto qui a fianco della graziosa signorina, il sito pornello (trovato googlando “erotic greek pottery”, mah) ha letto dal mio browser tutte le informazioni che gli servivano, e mi ha offerto un click commerciale in grado di attirare la mia attenzione.

L’ultima novità è questa: i decoder per la TV via cavo, o digitale terrestre, hanno un microfono incorporato.
Si tratta quindi di progettare e offrire social television, basata sull’identificazione in tempo reale dell’ambiente sonoro in cui la trasmissione televisiva viene fruita.
Questo permette (vedi il .pdf, i link sotto) almeno quattro applicazioni di “personalizzazione di massa”: offrire in sovrapposizione all’immagine dei contenuti personalizzati, creare communities ad hoc, fornire statistiche di gradimento in tempo reale, offrire servizi di media virtual library. Lo studio dice che in realtà l’audio preso dal nostro salotto viene processato in locale, e soltanto alcuni descrittori del file audio (realizzati da software già esistenti per il riconoscimento audio) vengono inviati ad un database su un server, per l’elaborazione e la successiva offerta interattiva (su TV, palmari, cellulari, web).
Ascoltare cosa dice la gente davanti la TV, e usare queste informazioni in tempo reale.
Oppure ascoltare cosa dice la gente davanti al PC, venduto con un microfono segreto.

E già se mi mostrano una tipa con il cartello con su scritto “udine rulez”, sono preoccupato. Figuriamoci se guardando il film “L’erba di Grace” mi scappasse per caso, parlando nel mio salotto con la mia fiancée, “sai, Gianfranco ha due piante di ganja sul balcone”, e in cinque minuti io e Gianfranco ci trovassimo i carabinieri sotto casa.

Tra poco, se la paranoia galoppa, scriverò sul blog criptando tutto a 512 bit, e dò la chiave di decodifica solo a chi viene prima a bere un paio di bicchieri con me.

http://www.mangolassi.org/covell/pubs/euroITV-2006.pdf
Government, Industry To Use Computer Microphones To Spy On 150 Million Americans

Grammatica e musica

Ecco un bell’articolo di Sergio Messina, aka RadioGladio.
Vi ricordate? Era la prima metà novanta, e questo pezzo che usava frasi televisive (Kossiga) su una base elettronica fece scalpore.
Ma Messina è musicista curioso e moderno, e inoltre scrive pure bene varie osservazioni di argomento musicale e non solo (encomiabili le ultime ricerche socioantropologiche sul porno amatoriale ed il sesso virtuale).
Lo conobbi a Bologna, quindici anni fa, ad una specie di dibattito organizzato dal collettivo Damsterdamned presso qualche centro sociale, poi ci siamo scambiati due mail nel 2000, dove gli chiedevo lumi riguardo la sua produzione musicale a 8 bit, visto che al tempo “portavo avanti” una sperimentazione musicale basata sulla creazione di pezzi che stessero obbligatoriamente dentro un floppydisk. E se il mega e 44 di spazio era insufficiente, non mi facevo nessuno scrupolo ad alleggerire i file, tipo rendendoli mono oppure abbassando le frequenze di campionamento. La riflessione sul contenitore era dentro quell’azione artistica più importante del contenuto.
Beh, in questo articolo Messina prova a delineare quella che può essere considerata una forma di grammatica moderna, adeguata a rendere esplicite le indicazioni per le “partiture” della musica moderna.
Come sarebbe possibile, infatti, scrivere sul pentagramma un pezzo di Tricky, o le complesse dinamiche interazionali che un Dj (o meglio un MC, Master of Cerimony) intrattiene con la folla danzante di una discoteca? Come indicare le parti del discorso, morfologia semantica sintassi, di un brano fatto di campionamenti e batterie elettrroniche e sweep realizzati cutoffando frequenze? Ed il Buco, quando tutta la parte ritmica (cassa e basso) vanno via, e rimane un sequencerino con un ostinato melodico, oppure dei sedicesimi di hi-hat, in attesa del Rientro? Occorrerebbe inventarsi un nuov omodo di scrivere le partiture, un po’ come John Cage cinquant’anni fa, oppure certe ricerche etnomusicologiche su popolazioni extraeuropee.
Dagli anni ’80, quando tra Sonic Youth e Tuxedomoon mi son messo ad ascoltare De La Soul (grandi avanguardisti) e produzioni dance di tipo house (fatte con i campionatori) utilizzo come categorie di giudizio musicale tre concetti che oggi ho ritrovato qui: si tratta di Groove, Beat e Sound.
Diciamo così: ogni pezzo musicale possiede per forza un beat, perché la musica è innanzitutto una organizzazione del tempo, foss’anche un’opera di Chopin, dove però l’elemento melodico (che è già ritmo) è certamente predominante. Altre musiche, di altre epoche e luoghi, hanno invece via via sottolineato maggiormente l’elemento armonico (tipo le fughe del ‘600, ma anche certo freejazz o le suite progrock dei ’70)… la forte cadenza ritmica è sempre stata invece carattere distintivo della musica popolare, da ballo, sia che si tratti di gagliarde, saltarelli, furlana, polka, rootblues, oppure tecno.
Non confondiamoci con il Beat come stile musicale batteristico dei Sixties, caratterizzato dal colpo secco sul rullante tipo Ringo Starr (rimshot: famoso è l’aneddoto in cui James Brown, che di ritmo se ne intende, apostrofa Ringo dicendogli che i bambini di Harlem suonavano la batteria meglio di lui, perché usano lo stile bouncing, ossia sfruttano il rimbalzo della bacchetta).

Ecco, ci sono dei beat che a parità di bpm e di struttura ritmica (l’incastro peculiare di bassdrum e rullante) fanno subito muovere il piedino e venir voglia di ballare, altri no. Perché manca il Groove, ovvero la capacità di coinvolgere l’ascoltatore (ecco perché nella mia grammatica musicale concepisco il groove come elemento della Pragmatica, ovvero di quella parte della grammatica che si occupa dell’effetto dei linguaggi sul mondo e sulle persone, sui comportamenti).

La mia ultima categoria è il Sound, ovvero semplicemente la pasta sonora (elementi morfologici) degli strumenti utilizzati nel brano da analizzare.
Un gioco simpatico è questo: quando si lavora con dei sequencer midi, una volta create le tracce con una tastiera o con un altro tipo di interfaccia, diventa semplice cambiare il suono dell’esecuzione, sostituendo ad esempio le congas con i timbales, i pianoforti con i clavicembali, una chitarra acustica con una elettrica (che in midi tuttora non suonano bene)… si tratta quindi di ragionare sull’arrangiamento, e si giunge a comprendere come la sonorità del pezzo, il suo Sound, influenzi completamente il tipo di storia che quella canzone sta per raccontarci.
Sergio Messina aggiunge nel suo articolo due interessanti elementi, tipici della musica dance elettronica, ovvero il Buco appunto e il Capatone, che però a mio avviso riguardano più le configurazioni discorsive del testo, ovvero la superficie del racconto, il suo modo di presentarsi e di narrarsi (essere narrato), quindi elementi di una grammatica situazionale maggiormente legata alla circostanza di enunciazione (vi sono casi di debrayage, per esempio, proprio nel modo in cui il DJ sul palco, sentendo il polso della dancehall, modifica la propria esecuzione in relazione al contesto).
Vedremo, ne parlerò.
In ogni caso, bravo Messina.

InLoop » Blog Archive » Andante con Groove

…non riconosceremo il prossimo Mozart dalla bontà delle sue cadenze o dalla sublime arte delle sue fughe, ma dalla velenosa inesorabilità dei suoi Groove