Archivi autore: Giorgio Jannis

Un classico

Dopo tanto livore (il lavoro stressa, come sapete) pubblico anch’io un classico dei blog:
tralasciando il fatto che io abbia scritto mesi fa un post su Pornotube (azz, ci sono ricascato) e moltissimi imperterritino, ecco la lista delle astruse parole-chiave con cui la gente giunge fino qui.

Scimmie bonobo, brava ragazza, vecchio porco, questionario hai mai nuda, reggicalze anni60
queste per l’immancabile categoria sesso creativo

Frasi sul matrimonio, lei lui e l’altro
categoria vicissitudini umane

Feste musulmane racconti, arabi video sex
interessi etnologici

La specializzazione è per gli insetti
condivido (ma non tutto Heinlein)

Toccare il naso secondo la psicologia significa?
sicuramente una via regia

Hard dsik vibrano
scritto così, vibra tutto il pc

Filosofo burt
categoria epistemologia della modernità

Un quarto e mezzo
di cosa?

Come accordare la chitarra tramite internet
conosco la risposta, ma non l’ho mai scritta

Microvideocamera per biciclette
interessantissimo. una volta ho incastrato la mia videocamena in un bracciòlo di quelli per i bambini, per imparare a nuotare. Funziona, stabilizza e protegge.

CON CALMA IN LATINO
esaaaatto.

Tecnica e Cultura Tecnologica, insegnanti e le forme del sapere.

Stanotte ho scritto il post precedente a questo, dove volevo raccontare solamente di Ubuntu, e come al solito parlando di scuola va a finire che perdo le staffe, comincio a lamentarmi della chiusura mentale di certi insegnanti, della loro incapacità di mettersi in gioco dinanzi ai cambiamenti epocali che stiamo vivendo noi tutti, grazie alla Rete e alle nuove modalità di condivisione della conoscenza.

Come già dissi, in me si agitano ancora degli assetti valoriali sgocciolati giù dagli anni sessanta e dai dibattiti degli anni settanta, in me sopravvivono richiami ad una rivoluzione giovanile che chi è cresciuto in pieno negli anni ottanta già non possiede più.
A Udine, periferia dell’Impero, nel 1982 la cultura era ancora quella dei Settanta, nei bar suonavano jazz-rock o blues, Weather Report o Canterbury Sound o Peter Green, le ragazze fricchettone avevano le camicie indiane, borsa di cuoio con saffi arrotolato alla cinghia pronto per filtrare il cilum, si innamoravano di Morrison o di Robert Plant.

Ma per cambiare il mondo serve educazione.
Ho provato a lavorare nel sociale, poi ho redatto e condotto dei progetti territoriali rivolti alla popolazione giovanile, poi mi sono accorto che in realtà proprio le scuole elementari sono il luogo della formazione delle personalità dei futuri cittadini (non parlo di contenuti, parlo dei contenitori destinati ad accogliere le identità), e che quindi se volevamo cambiare il mondo io e Jim Morrison dovevamo rivolgerci agli insegnanti delle scuole primarie, perché lì avvengono le alchimie della trasformazione, lì vengono dissodati nutriti e bagnati i campi ovvero le giovani menti degli allievi, affinche siano pronte ad accogliere e far germogliare i contenuti, le capacità e le competenze che gli ordini scolastici successivi semineranno.

Poi oggi leggo su FuoridiClasse un bell’intervento di Lorenza, il quale a sua volta richiama Zambardino a sua volta ripreso da Lipperini.

C’è un gran bisogno di Cultura Tecnologica. Punto.
C’è un gran bisogno di superare dualismi del tipo “le due culture”, stantii e superati da sessant’anni.
C’è un gran bisogno che la Scuola si dia una mossa, e parlo di comportamenti e competenze, di visione-del-mondo, non di computer.

Fuori di Classe

“Ubuntu, LAN e mentalità” aka “ansia da cambiamento”

Talvolta per lavoro porto quote di innovazione nelle scuole.
Per mia passione e interesse professionale, preferisco di gran lunga innovare gli umani, ovvero le credenze e i comportamenti (e quindi identificare e far lo sgambetto alle resistenze al cambiamento, tipiche di ogni organizzazione lavorativa), ma ci sono argomenti per i quali prima di aprir bocca è necessario allestire degli strumenti, dei supporti alla conoscenza e alla comprensione dell’innovazione, in questo caso tecnologica.

Ebbene, sappiate, o voi che come me non siete né linuxmaniaci né geek né smanettoni, che c’è in giro un sistema operativo di qualità mirabile, opensource, il cui carattere è contraddistinto dalla peculiare attitudine di essere alquanto portato alla socialità, al lavoro collaborativo, alla condivisione delle risorse. Il suo nome infatti, Ubuntu, secondo un’antica lingua africana significa “umanità agli altri” oppure “io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti”.

Ubuntu è disponibile anche in versione educational, con il nome di Edubuntu, ma ormai tutti qui lo chiamiamo affettuosamente Sburubuntu.

Nell’ultimo anno e mezzo, ho già fatto allestire un’aula multimediale di un Istituto Comprensivo con Ubuntu, e sto attualmente costruendo una rete presso una Direzione Didattica composta da 15 pc in un’aula multimediale (connessi via cavo) e altri 8 computer dislocati uno per classe, lungo un corridoio, da connettere alla stessa rete però con tecnologia wireless.

Il tutto sempre in LTSP (Linux Terminal Server Project), nativo su Ubuntu.

Ho fatto quindi comprare dalla scuola un bel server, su cui gira Ubuntu o Edubuntu, e due access-point, da mettere in alto a metà corridoio.
Ho recuperato dall’obsolescenza dei pc 400MHz, ci ho messo su Ubuntu (anche versioni light) e una scheda di rete PCI wireless (l’antennina del pc); se avete pc più vecchi che non reggono la scheda wireless, potete comprare dei bridge, in pratica degli accesspoint/scheda di rete ethernet, alimentati (sono quelli che usano i ragazzini per giocare a videogame in LAN wireless), da connettere ad una normale scheda di rete del pc remoto. bridge esempio

Il problema è permettere alle macchine remote di effettuare il boot in modalità LTSP connettendosi con il server. Se fossimo in una LAN cablata, non ci sarebbe problema: sarebbe sufficiente avviare i pc inserendo un floppy che dice alla macchina di attivare schermo, tastiera, mouse e scheda di rete tramite cui connettersi al server ed effettuare il boot del sistema.
Ma se la rete è wireless quest’ultima deve essere ovviamente già presente, all’avvio della macchina. Ecco perché torna utile il bridge.

A questo punto, aggiungo per quelli che non conoscono le possibilità di una rete LTSP, è possibile per i vecchi PC della LAN aprire ad esempio OpenOffice recuperando l’applicativo dal server, il quale si fa carico con la sua ram/processore di sostenere i documenti aperti nei vari pc. Il pc remoto diventa un semplice terminale del server, quindi può essere un pc anzianotto (non andrei cmq sotto il 200MHz con 128MB di ram) sul quale di per sé sarebbe impossibile far girare applicazioni tipo le suite ufficio (troppo pesanti), le quali invece in questo modo possono essere comodamente impiegate, insieme alle solite centinaia di programmi edubuntu o debian in generale.

Ripeto: tutto va a meraviglia, tecnicamente.
Se siete insegnanti in una scuola e intendete garantire stabilità, sicurezza e performance alla vostra aula multimediale, questa è la soluzione migliore da praticare in questo momento.
Anche se avete un piccolo ufficio e usate perlopiù una suite Office, fate questo passaggio e dimenticate Windows per sempre.

Ma questo significa cambiare i comportamenti, e qui infatti cominciano i veri problemi.
Ho visto delle insegnanti storicamente recalcitranti all’utilizzo del computer in classe, lottare strenuamente per avere almeno la possibilità di usare Powerpoint su una macchina in dual boot; docenti capaci di fare “gruppo di pressione” sul dirigente scolastico affinché venissero spesi migliaia di euro (aggiornamento hardware, sistema operativo windows, office, moltiplicato per 50 computer non sono pochi spiccioli) pur di rimanere su cose conosciute, “perché vanno meglio”. E non hanno neanche la competenza per giudicare. I prigionieri si affezionano alle gabbie.

Persone intelligenti che hanno imparato a usare Windows e Word perché grazie a quel furbacchione di Gates lo trovavano già dentro il pc al momento dell’acquisto, oppure glielo craccava il figlio quindicenne, dinanzi alle tecnologie TIC si rivelano improvvisamente stupide, non essendosi mai poste il problema che potessero esistere strumenti migliori per fare il loro lavoro di insegnanti, né che un applicativo di nome Office potesse non essere il miglior ambiente di produttività per un bambino di otto anni.

Tutto sommato, bene. Avrò lavoro per i prossimi anni, a raddrizzare pensieri nati storti. A seminare curiosità, spirito critico, creatività.
Poi vedo gli insegnanti, le scuole, e capisco che mi tocca portare una rivoluzione culturale dove non avrebbe dovuto essercene bisogno, perché mai avrebbero dovuto entrare in classe strumenti (che si impiantavano spesso) non progettati per i bambini e le loro necessità formative.
Sono passati dieci anni, e per spedire un allegato nella mail è ancora buona cosa organizzare prima un corso di formazione di 12 ore, destinato però solo a quelli bravi con il computer, ovvero che sanno già spedire una mail.
Se la cartuccia della stampante è finita, mi raccomando, chiamate il tecnico.

Orribile

Pensavo che simili strafalcioni fossero finiti nel 2001, quando i titoli dei giornali confidavano stizziti “La Mafia usa internet per scambiarsi informazioni”, via mail, ovviamente.

Invece trovo su La Stampa questo articolo sui linguaggi contemporanei, non firmato, dove il meno che si possa dire è che l’autore non abbia la minima idea di cosa sta parlando.
Possibile che in redazione nessuno si accorga che gli schermi dei computer sono polverosi, i cestini stracolmi, e che tutti questi lavori potrebbero essere svolti con risorse interne, senza ricorrere a cooperative? In particolare proporrei l’autore di questo articolo, ecco.

Io parlo simlish, e tu? – LASTAMPA.it

 

I mercati sono conversazioni

Infatti Hillary esordisce dicendo “I’m not just starting a campaign tough, I’m beginning a conversation… with you”.Notate la semplicità grafica del sito, il tono amichevole della comunicazione testuale, la complicità del nome proprio, in questa “Hillary TV”

Avviso a tutti gli studenti di Scienze della Comunicazione: preparate e approfondite le vostre conoscenze sulle grammatiche dell’audiovisivo via web, tra poco in Italia ricominciano le campagne elettorali.

HillaryClinton.com – Video

AGGIORNAMENTO 22 gennaio : qui si parla proprio di cosa potrebbe succedere nelle campagne prossime future per le elezioni americane.
E di come i guru della comunicazione video hanno fondamentalmente vent’anni.

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Los Angeles 1964

Ecco, dichiaro ignoranza.
Non è una grossa fatica, finché riesco a rimanere fedele al mio motto personale riguardo l’atteggiamento da tenere nei confronti della conoscenza e del conoscere, ovvero “Vai verso l’ignoto”.
Lavoro con argomenti che non ho studiato a scuola ma ho appreso sul campo, sposto continuamente la mia attenzione su quello che non so, cammino in paludi con le scarpe sbagliate ed inizialmente faccio un sacco di fatica, però ne esco fortificato (ai muscoli delle gambe soprattutto).
Non ho nessuna scienza a cui appoggiarmi, essendo la semiotica nient’altro che una disciplina, un punto di vista, un metodo per guardare proprio lì dove sgorga il senso, dove s’accende la scintilla della significazione.
Poi nelle sfere altissime della cultura planetaria si parla da decenni dell’importanza della multidisciplinarità, e spesso incontro universitari che sono dei cretini specializzati. Cheppalle.
Sei un ingegnere? Prova a ragionar di psicologia cognitiva e di apprendimento per tre anni, con degli insegnanti preparati e motivati. Sei un archeologo? Prova putacaso a “divertirti” per qualche tempo con le nanotecnologie: arricchirai te stesso, l’archeologia, i nanotecnologi ed il mondo intero, perché porterai un punto di vista nuovo in territori prima mai attraversati da persone con simile bagaglio culturale, e acquisterai a tua volta un paio di occhiali che magari (benedetta serendipità) ti permetteranno in seguito di scoprire novità nel giardinetto di casa tua.

Senonché, mi piccavo di essere un buon conoscitore della cultura musicale degli anni sessanta, soprattutto british. Ho persino dato il mio contributo a delle voci sulla wikipedia (magici Zombies).
Anzi, più che limitarmi alla sola musica pop e alle analisi più o meno musicologiche, mi piace investigare il “contorno”, i fenomeni culturali, gli ambienti di crescita degli stili giovanili… sociomusica.
Indagare cosa significa essere teddyboy, mod, freak, grunge, dark, glam, punk, raver non solo negli stilemi musicali, ma anche nell’abbigliamento e nelle idee politiche e nell’atteggiamento dinanzi al mondo. Perché tutti siamo stati giovani, e le idee che aleggiavano nei nostri ambienti di crescita, in cui ci siamo per sorte imbattuti nella nostra adolescenza, diventano cardini fondanti e spesso rimossi della nostra personalità.
E che ci crediate o no tutti noi, ovvero il modo in cui pensiamo il pensabile, il modo in cui siamo stati ribelli a diciassette anni e conformisti a ventisei, è tuttora frutto di idee germogliate negli anni sessanta.
Si è magari aggiunto il “no future” del settantasette come scenario esistenziale, il don’t-believe-the-hype hip-hop degli ottanta come riflessione esplicita sui media, l’accesso a fonti e culture planetarie come nei novanta, le nuove forme di “intimismo elettronico” come in questa decade, ma leggendo i sixties inglesi e americani mi accorgo che si tratta appunto di forme, di nuove vesti e paramenti di contenuti già espressi altrove ed in altri tempi, e che la loro rivisitazione permette il progredire della consapevolezza (per gli adolescenti di ogni tempo, l’iniziale presa di coscienza delle forme di essere al mondo) perché traduce in linguaggi e codici aggiornati i soliti grandi temi delle narrazioni umane, le mitologie ormai pop della nostra cultura occidentale. Amore, destino, solitudine, eroismo, squallore, tradimento… “E’ sempre la stessa canzone che va, la stessa di 1200 anni fa” pseudoreppava Jovanotti prima di essere per fortuna solo Lorenzo.

Perché i punk ballano musica reggae e indossano scarpe creepers con inserti in pelle leopardata? Se vi interessa rispondere a questa domanda, vi consiglio il classico “Sottocultura: il fascino di uno stile innaturale” di Dick Hebdige, Costa e Nolan 1983.

Bene, torno sull’argomento principale.
Ascoltavo Joanna Newsom, una delle grandi scoperte musicali del 2006 (belle cose, bei testi, ma non mi piace), e vedo che gli arrangiamenti sono di Van Dyke Parks, la produzione è di Steve Albini e il mixaggio è di Jim O’Rourke. Però. Guardate Parks in questa foto qui a lato, e ditemi se non sembra un giovanotto di oggi, mentre in realtà l’immagine risale alla prima metà degli anni sessanta.
E’ famoso soprattutto per i lavori con Brian Wilson dei Beach Boys, ma il punto non è questo.
Mi sono chiesto ad un certo punto perché in California a fianco del surf in quegli anni ci fosse questa “scuola” di musicisti e produttori decisamente non-rock, anzi di estrazione orchestrale, acculturati, capaci di badare alle costruzioni armoniche delle canzoni (fatto per me importantissimo, perché le riff-based songs mi stufano presto), portatori di un estetica musicale peculiare. Da dove venivano? Chi erano?
Ecco, ho trovato questo bell’articolo di Fred Cisterna, e ho capito che mi mancava una fetta importantissima di cultura sociomusicale dei sixties. Per dire, adesso anche i Doors mi sembrano molto più chiari, nello spiegarmi quella strana commistione di generi presenti nei loro primi due LP (gli altri dischi, quelli dei Doors blues, sono abbastanza inutili), del perché il batterista si dicesse “venisse dal jazz” (locuzione linguistica odiosa… “sai, Tizio Sempronio viene dal jazz…”, e dove sta andando, per curiosità?) ed il chitarrista avesse una passione per i ritmi caraibici o sudamericani.

Poi surfando sui link della Wikipedia giungo a Jack Nicholson, altro tipico figlio della cultura californiana di quegli anni: mi era giunta una notizia secondo cui sarebbe stato scoperto da Dennis Hopper durante “Easy rider”, poiché fino a quel momento altro non sarebbe stato che un giovane contestatore/capopopolo (po po po, come gli WhiteStripes: trovatevi i loro primi dischi) nei movimenti giovanili universitari della Bassa California, un po’ come un Mario Capanna chiamato a fare per caso l’attore.

Tutto falso: Nicholson ha fatto gavetta come attore e sceneggiatore fin dalla fine degli anni ’50, si è costruito una carriera con le proprie mani, ma soprattutto non sapevo avesse scritto la sceneggiatura assai sperimentale di The Trip, un film del 1966 dichiaratamente allucinogeno con la regìa di Roger Corman, dove gli attori protagonisti sono proprio Peter Fonda e Dennis Hopper.
Come dire: Easy Rider a questo punto mi sembra la versione per famiglie.

Tra il pop orchestrale di Los Angeles e il Trip di Nicholson, mi tocca ora rivedere tutti i miei collegamenti mentali per cercare di dare un senso compiuto ai mille rivoli di quel fiume in piena che è stata la cultura giovanile californiana post-beat, il calderone dove han preso forma gli atteggiamenti innanzitutto mentali di una generazione che ha cambiato veramente il mondo, e di cui noi siamo tuttora figli somigliantissimi.

 

Sono nervoso, ma c’è un limite.

Non sopporto la gente finta calma. Quelli calmi veramente li vedi, li noti: sono quelli serafici. Gli altri sono quelli che fanno i calmi.Purtroppo confondono la calma con la lentezza, ovvero si sono convinti che sia sufficiente rallentare il ritmo per essere letti come “quelli calmi”, ma non hanno capito un cazzo… millantano, ma con un piccolo sgambetto si svelano subito.

Fin qui, nessun problema. Vivo e lascio vivere.

Ma poi arrivano quelli tra i self-labeling “calmi” che si ritengono superiori, giudicano frettolosamente gli altri, e li escludono se ad esempio non assomigliano a quelli che loro ritengono “calmi”.

Atteggiamento che senza tema di smentita ritengo a priori sbagliato, perché equivale ad accettare solo quelli che ti assomigliano (cioè che assomigliano a quella idea di “persona calma” che questi qui cercano di impersonare malamente).

Se non sei calmo nel modo che intendono loro, non sei calmo.
Io sarò anche un tipo nervosetti, ma talvolta sono molto calmo, me lo dice il mio pancino educato dal tai-chi.

Credo che funzioni come nella regola della scala reale a poker, dove la scala media batte la minima, la massima batte la media ma la minima batte la massima: non vi è certezza di gioco.

In maniera simile, immagino l’insieme delle persone un po’ agitate, alle quali i sedicenti calmi guardano con sufficienza, ritenendosi al top nell’ascesa verso la consapevolezza; questi ultimi in realtà ignorano che quelli veramente interiormente calmi possono apparire ai loro occhi come persone nervose e agitate, solo perché riescono anche ad avere un buon ritmo corporeo, e non si fanno problemi nell’apparire non-flemmatiche.

Questo perché il livello superiore di consapevolezza recupera la via del Fare, tornano ad essere potenti dopo aver attraversato il deserto depresso della consapevolezza di sé, proprio perché consapevolezza significa saper trasformare l’Agire in Fare.

Ma purtroppo a quelli del livello intermedio il livello superiore appare in tutto e per tutto simile al livello inferiore, e quindi non comprendono il salto di qualità. Confondono, e si confondono.

Che delirio di soggettivismi.

Allora vi racconterò, tuffo impossibile nell’oggettività, che stasera sono andato ad una abbastanza rinomata rassegna locale ARCI di produzioni video, e sono rimasto allibito dalla pochezza della qualità delle cinque/sei opere presentate.

Documentari hiphop adolescenziali, esperimenti grafici, una orribile situazione tragica narrata con lo stile e piglio da “telenovela piemontese” di vecchissima gialappiana memoria, un due videoclip palesemente fuori posto – di solito i videoclip hanno una categoria apposita, perché sono un genere ben distinto dalla fiction – anche se uno di questi presentava almeno una trama, uno spunto narrativo non banale.

Solo un’opera, in bianconero, mostrava un po’ di riflessione e di scelte narrative. Manifestava una poetica, ecco, un intento da raggiungere e un progetto per raggiungerlo, con la grammatica e gli strumenti espressivi propri della videoarte.

Per dirla tutta, ha vinto poi un’opera che consiste nel mostrare a inqudratura fissa una riga di bicchieri che vengono via via riempiti di vino, e poi la stessa sequenza montata al contrario, dove si vedono i bicchieri che si “svuotano verso l’alto”, dove il vino rientra nella caraffa; il tutto per sei lunghissimi minuti. Il titolo era “Furlan time”, giusto per rendere esplicito un banalissimo spunto di racconto per dipingere la gente friulana, secondo stereotipi. Se durava sei secondi, era uguale.

Ray e TzaraMa perché la gente non legge, non studia? Perché non appena si ha per le mani Vegas oppure Final Cut e si mettono due effetti su una traccia di audio o di video si pensa di aver fatto una figata pazzesca? Perché sono costretto a rivedere sempre cose già fatte largamente nei settanta con i VHS, a loro volta frutto di speculazioni artistiche dei sessanta tipo le gelatine e la pellicola, a loro volta frutto di ragionamenti un po’ surrealistici un po’ formalisti tipo negli anni ’30 e ’40, perché devo sempre rivedere le stesse cose già pensate e realizzate dai futuristi e dai Dada ottant’anni fa? Perché la gente rimane sorpresa e si emoziona per ogni sciocchezza che dice? Non sorge mai a nessuno il dubbio che qualcuno possa averla già detta?

Con calma… beninteso, nessuno si deve vergognare di produrre qualcosa.
L’espressione di una propria idea, di una propria intuizione è sempre lodevole.

Quello di cui bisognerebbe vergognarsi è il proporre la propria opera ad un concorso video serio, dove mi aspetto di vedere delle sceneggiature un minimo elaborate, un po’ di ricerca visiva consapevole, al limite una trovata narrativa anche minima, ma raccontata sinteticamente con senso del ritmo e buona intenzione.

Presentarsi ad un concorso, anelare perfino a vincere un premio, senza pudore… il premio migliore non dovrebbe essere nient’altro che i commenti lasciati dai naviganti allo stesso video pubblicato su Youtube, e meno male che al giorno d’oggi pubblicare non è più un problema.

Sol Statio

Ecco qua, adesso ho la mia bella età più sei mesi.
L’altro giorno, non vi sarà sfuggito, era il Solstizio d’inverno. Il giorno in cui il Sole sta fermo, raggiunge una stazione, arresta il suo cammino verso il basso (misurato a mezzogiorno come distanza verticale dall’orizzonte, non come movimento da est a ovest, sennò significherebbe che la Terra ha smesso di girare su sé stessa e vi garantisco non sarebbe una bella cosa) e riprende a salire nel cielo.

Un momento dell’anno che tutte le culture hanno reso significativo, in una semiotica del mondo naturale. Quest’ultima presuppone che per rendere
il mondo significante sia necessario porre su di esso una griglia (la
cultura), uno schema di rappresentazioni che ci consenta di
identificare le figure come oggetti, classificarle e collegarle, ed il solstizio d’inverno e d’estate è fuori di dubbio siano elementi forti della grammatica dei moti siderei.
In un mondo agricolo, narrativamente circolare, siamo nell’anti-climax, siamo nel minimo dell’azione, dove tutto sta immobile eppure tutto ricomincia, il momento in cui scocca una scintilla profonda nel cuore dell’Essere: andiamo verso la Luce.

Siate politeisti.

Briciole di futuro

Altro non è che un motore di ricerca.
E come al solito non si tratta più di problemi tecnici, perché credo non sia un’interfaccia di difficile realizzazione.
Occorrono le idee, ora; Ms. Dewey (nome non a caso, imho) si presenta moolto ergonomica. Un’interfaccia che non pone problemi nell’interazione uomo-macchina. E poi è pure simpatica.

Ms. Dewey

Andate, e rivestite il mondo di codice

Questo è lo scenario: mettiamo stiate per entrare a Udine ahimè in automobile, e vediate sul cartello stradale della città un segno grafico, un codice come questo qui a destra.Allora lo fotografate col telefonino wap, e siccome il disegnetto funziona come un codice a barre quando siete a far la spesa, subito il vostro cellulare si connette con Wikipedia alla pagina di Udine, illustrandovene le meraviglie, cosicché possiate decidere se fermarvi oppure continuare verso l’Altrove.

Questo significa che tra qualche anno tutto ciò che ci circonda parlerà (e magari rumorosamente) di sé pescando le informazioni direttamente dalla Rete. Immaginate di essere in un museo, e puntando il cellulare sul codice a corredo delle tele siete subito informati da Wikipedia sulla vita e la storia di quei particolari quadri esposti.

Io voglio gli occhiali tecnologici: intanto mi piacerebbe ci fosse una microvideocamera in una stanghetta, per registrare in audiovideo tutto quello che vedo premendo un bottone o sbattendo quattro volte di fila le palpebre.

Non c’è bisogno di archiviare il video in una memoria flash da 1 tera che conservo sotto l’unghia del mignolo e con la quale comunico via conducibilità elettrica dell’epidermide, mi accontenterei di spedirlo in wireless planetaria su miei spazi pubblici e privati su web.

Eppoi nella lente destra degli occhiali, come Robocop e Terminator, vorrei ricevere in tempo reale via onderadio delle informazioni proprio su quello che sto vedendo, proprio come questa tecnologia dei codici permette di fare già oggi.

http://it.semapedia.org/

 

Incontri del quarto tipo e mezzo

Negli Urania e nei racconti di fantascienza in generale, soprattutto anni cinquanta e sessanta, si parla spesso di prelievi umani.Ovvero, gli alieni arrivano e si portano via qualcuno per capire la nostra biologia e soprattutto la nostra cultura, perché sono in grado di saggiarci il cervello e comprendere quindi le nozioni e il senso del pensare umano, attraverso una sola persona.

In fondo, un Umana rappresenta tutta l’Umanità, su un astronave aliena o su un altro pianeta.

Ma secondo me i tempi sono cambiati: adesso mentre sono ancora comodamente al largo dell’orbita di Venere già possono percepire onderadio, canali satellitari, tutto internet.
Quindi se proprio han bisogno anche di dati di prima mano sulla biologia umana, vengono giù e ci rapiscono, sennò ripartono e vanno su un altro pianeta – spesso gli alieni che ci vengono a controllare sono i tirocinanti delle facoltà di Antropologia o equivalenti, delle varie sedi del Consorzio Università Galattiche; i nostri dati biologici li conoscono da millenni.

Questo significa che adesso che c’è Internet gli avvistamenti UFO diminuiranno.

Perché scendere a terra, consumando combustibile per le manovre nell’atmosfera?
Stando sulla Luna a bere un drink fanno un backup in wireless di tutto Internet terrestre, lo mettono sulla loro pennetta usb (che rimane ovviamente semivuota), oppure lo trasmettono direttamente al Database Galattico (ma allora perché non se ne stanno a casa loro, e ci backuppano da remoto? Per me anche la tecnologia aliena ha un limite).

Scopitone vs. MTV

Ecco un recupero tecnologico.

Sapevo degli Scopitones già da anni, ma la prima volta che trovai del materiale in rete avevo il modem a 56. Venti mega di .mov erano sempre impegnativi.Sì, perché mia intenzione era scaricare i video, ovvero le copie digitalizzate dei filmini su pellicola che allora, nei primi anni ’60, venivano visualizzati dentro questo videojukebox diffuso nei bar soprattutto francesi, ma anche americani.

Cioè, ragioniamo: un videojukebox con dentro delle pellicole? A colori, 16mm, con anche un buon audio su banda magnetica? Ma che meraviglia! Vuol dire trovarsi di fronte a buona documentazione dei primi anni sessanta. Che infatti gorgheggiano twistettando allegramente, come anche in Italia in quegli anni su Scopitone o CineBox finivano tutti questi qui, e insomma si potevano guardare in faccia gli idoli musicali, studiarne le mosse(ttine), farsi già rapire da ministorie videoclip, spesso trucide o blandamente sexy, con i balletti e i bikini e le pistole.

Mi verrebbe da pensare alla grammatica visiva e filmica di MTV, ai meccanismi di creazione delle icone pop.
Avere vent’anni nel 1960, in Italia. Chissà com’era, chissà che poco traffico sulle strade bianche, e il silenzio ancora di un mondo agricolo.

Se avete Quicktime potete subito apprezzare la pericolosissima intramontabile Joi Lansing cliccando qui mentre interpreta “The Silencer”, oppure qui su YouTube, nel classico “Web of Love”.
Un altro classico: Nancy Sinatra con i suoi stivali fatti per camminare, in un video minigonnato della seconda metà sessanta. Un po’ di twist? Una BeBopALula francese (sempre un po’ ridicoli, i francesi)? Jane Morgan in “C’est Si Bon” con molti reggicalze? E c’è anche un bel pezzone sixties di un gruppo sconosciuto, con l’assolo di organo qui. Il mio anno è un giorno.

Scopitones.com
Bedazzled

Pratiche culturali emergenti

La parola inglese /media/ si pronuncia /midia/, e altro non è che la contrazione di /mass-media/.
Non è latino: è inglese.
Se in latino /medium/ e /media/ significano “mezzi”, di sicuro non significano mezzi di comunicazione di massa, per banali motivi di storia della tecnologia. Punto.

Gli anglofoni (come accade in tutte le lingue) hanno formato una parola con un prestito linguistico in questo caso dal latino e hanno dato a questa nuova locuzione il significato di “mezzi di comunicazione”; inizialmente il gioco era più esplicito perché /mass/ faceva ben comprendere il riferimento, ma in ogni caso se parlando intendo dire “mezzi di comunicazione (di massa)” e utilizzo la parola /midia/, sto introducendo un anglicismo nella lingua italiana, perché il significato che intendo veicolare fino alla rappresentazione mentale dei miei interlocutori è quello attribuito dal codice linguistico della lingua inglese, non quello del latino.

Stabilito questo, mi prendo un appunto di un bell’articolo di Robin Good, il quale riporta un aticolo di Henry Jenkins Director del MIT Comparative Media Studies Program, sul profondo intersecarsi storico e sociale di nuove possibilità mediatiche (non scriverò altre righe per spiegare perché /mediatico/ è una nuova parola italiana) e di nuove forme di essere della collettività umana.

Il panorama dei New Media possiede queste caratteristiche:
è innovativo
è convergente
è “everyday”, quotidianamente presente
è appropriativo
è “in network”
è globale
è generazionale
è diseguale

L’esplosione delle nuove tecnologie alla fine del 19° secolo ha portato allo sviluppo di un periodo di auto-coscienza che ora chiamiamo modernismo.

Il Modernismo ha avuto un impatto su tutte le istituzioni esistenti, ha modificato tutte le forme di espressione artistica, ed ha dato vita ad una serie di cambiamenti il cui impatto possiamo notare ancora oggi.

Come il Modernismo anche i new media odierni danno vita a nuovi esperimenti sociali ed estetici. L’antropologo Grant McCracken ha descritto il momento presente come una “plenitude,” culturale rappresentata dalla possibilità di scegliere tra numerose opzioni.

McCracken afferma che la “plenitude” emerge perchè le condizioni culturali sono pronte per il cambiamento. Le tecnologie new media hanno diminuito le barriere di accesso ai mercati culturali mentre le istituzioni tradizionali perdevano la loro influenza.

Il risultato è stato una diversificazione della produzione culturale. Ogni nuova tecnologia promuove diversi utilizzi di sè, ispira risposte estetiche differenti da parte di differenti tipi di comunità di utenti. Queste trasformazioni promuovono nuove espressioni sia da parte del singolo che della collettività.

Interessante questa idea del momento di “plenitudine” (ahh, quanto piace agli americani parlare in latino, avete notato?) in cui stiamo vivendo, una situazione di pienezza potenziale percepibile appena sotto la superficie dell’attuale panorama mediatico mondiale, da cui inesorabilmente discenderanno nuove forme di collettività e nuovi processi sociali, nuovi discorsi con cui gli individui e i gruppi e le organizzazioni esprimeranno sé stessi e la propria idea di mondo, lo sgorgare del senso.

Media: Le Caratteristiche Dell’Universo New Media – Robin Good’s Latest News

Generazione morale

Segnalo un post disperato e un po’ romantico, anzi no… alla fine una speranza c’è.

E non si tratta nemmeno di lodare i tempi che furono oppure giocare a “Signora mia, non ci son più le mezze stagioni” da cui peraltro discende come corollario che “non ci sono più le mezze maniche”.

E ho intenzione di dirlo seriamente: qui è tutto marcio. L’Occidente, l’Italia, i valori, le norme, la Scuola, l’Impresa, l’Amministrazione. Ma non è poi così grave… in fondo è un sistema che si evolve, una muta, un rinnovamento “naturale” dei paradigmi culturali su cui sono incardinate le epoche storiche.
Quello che è grave sono le risposte culturali a questi macrofenomeni di cambiamento sociale. E se diciamo cambiamento, diciamo ansia da cambiamento, nelle organizzazioni e nei gruppi e negli individui. E se percepiamo il cambiamento come ansiogeno, scattano delle difese, irrigidimenti, nevrosi, attacchi e fughe, valvole di sfogo.

Non serve molto indagare le cause del mutamento sociale: credo sia sufficiente per iniziare il ragionamento prendere atto dell’accelerazione del mondo a partire dalla metà degli anni ’70 (sistema dei mass-media, telematica, sistemi di grande distribuzione commerciale, passaggio al terziario), che altro non è che il primo vagito di una finalmente raggiunta globalizzazione mediatica, con il Web.
La differenza sul piano dell’espressione è data quindi da un tratto soprasegmentale, l’improvvisa accelerazione del ritmo del discorso tenuto dall’Umanità a sé stessa, ovvero il suo stesso vivere su questo pianeta, discorso che alcuni chiamano storicamente Progresso.

Ed il nuovo ritmo dell’Umanità non può essere facilmente ingabbiato nelle solide ma lente categorie della socialità concepite e create secoli fa.
Molte delle istituzioni sociali che abitano la nostra vita (banche, la democrazia come meccanismo tecnico per gestire il potere, università e scuole, il settore giornalistico, ma praticamente quasi tutto) sono state inventate da Umana senza il telefono, per non dire senza treni, per non dire senza la posta, per non dire senza la stampa, e tuttora con la stessa struttura magari un po’ rabberciata agiscono in un mondo fatto per esempio di pubblicazioni in formato audiovideo da parte di chiunque verso tutti gli abitanti del pianeta (YouTube).

Non può funzionare.
Sento spesso sindaci o dirigenti scolastici dire “qui salta tutto”. Si è giunti ad una percezione diffusa secondo cui il sistema è talmente un colabrodo che è inutile cercare di mettere delle toppe, bisognerebbe riprogettare tutto, re-ingegnerizzare tutto, avere il coraggio di fare un social designing radicale; ma è un’opera immane.
Di certo però se continuo a vedere un solo grande problema non lo risolverò mai: meglio sarebbe suddividerlo in problemi più piccoli e affrontarli uno per uno, con coraggio.

E riguardo al problema della scuola, dei telefonini, del sesso che in questi giorni ha interessato la cronaca, io spero che mai quelle insegnanti delle scuole primarie o delle medie che frequento per lavoro, quelle per intenderci che assomigliano un po’ a Lina Volonghi o a qualche altra sioretta a vostra scelta, vengano a sapere cosa fanno con le webcam e con i telefonini i sedicenni di oggi, la prima generazione mai vissuta che abbia appreso la sessualità da Internet, visto che a tutto il 2006 né la famiglia né la Scuola sono culturalmente in grado di offrire qualcosa di più che ipocrisie cattoliche e pseudoscientificità e moralismi ignoranti.

Quello che bisognerebbe dire è che tutti noi scopiamo allegramente dai quattordici anni in poi (e se sono responsabile di uccidere qualcuno col motorino sono anche responsabile di mettere al mondo una creatura), quindi bisognerebbe creare delle istituzioni sociali – palestre, scuole di affettività, sessuologi, nicchie nel pubblico e nel privato – dove vengano passate ai giovani alcune competenze su come farlo al meglio, con soddisfazione, con consapevolezza etica, con considerazione delle implicazioni emotive, con conoscenza dei risvolti scientifici della fisiologia umana, con una valutazione sana delle relazioni interpersonali.

Ma si tratta di un mondo completamente diverso da questo in cui viviamo. In questo momento, agitandoci nelle vecchie gabbie culturali non più adeguate ai tempi, come possiamo credere, o noi adulti, di poter insegnare qualcosa ad un diciassettenne dai comportamenti tipicamente felicemente masturbatorii, che da quattro anni si diletta ogni giorno scandagliando centinaia di directory porno dedicate ai video BDSM e all’anal più spettacolare?
E’ impossibile non imbattersi nel porno, anche senza volerlo: il diciassettenne di prima può trovare in cinque minuti tante immagini e film porno quanti io ne ho visti in tutta la mia adolescenza. Lui vive la normalità, tutti i suoi amici lo fanno. Anche le sue amiche lo fanno, che poi si dilettano a roteare amabilmente il sedere davanti alla webcam e poi si autopubblicano su YouTube o PornoTube oppure si spediscono i filmati come MMS sui telefonini e li guardano sull’iPod del compagno di banco. Sono cresciuti con la televisione, diventano parte attiva della società pubblicando su web… non sono come noi, ed il mondo è loro, a loro e alla loro generazione, la prima “nata in Internet” toccherà dar senso a questo epocale cambiamento culturale provocato un’altra volta, dopo Gutemberg, da una modificazione dei supporti per la circolazione di informazioni.

La mia generazione, dai trenta ai cinquanta, ha scoperto e colonizzato un Nuovo Mondo, costruendo in un fare cieco (senza mappe) le prime strade e le prime istituzioni del Web, perlopiù mutuandole da entità pre-web. Sono fatto di libri, mi esprimo in un nuovo linguaggio con vecchi contenuti, perché non sono nato dentro questo nuovo linguaggio, come i diciassettenni.

E dovrei svolgere una funzione genitoriale, senza sapere nulla sul mondo di mio figlio?
Posso insegnanrgli ad andare in bicicletta, perché io ho imparato ad andare in bicicletta da mio padre. Come posso insegnargli a navigare in Internet, se non l’ho mai fatto?
E io dovrei normare ciò che non conosco, né posso pensare nei suoi significati per me imprendibili? Che ridere.
E a questo cambiamento a cui non posso opporre nulla, che mi sgomenta e mi mette ansia, rispondo con censura e chiusura, perché sono impaurito e mi sento minacciato? Che ridere.

La mia generazione ha un compito immane da svolgere: traghettare il Mondo 1.0 dentro il digitale, salvando il passato nel futuro, come un’Arca Digitale in cui trasportare l’Umanità e i suoi significati sopra le onde del Diluvio Telematico (banalmente, l’arrivo del web) fino all’approdo ad una nuova civiltà. Dobbiamo consegnare un mondo che nessuna generazione precedente ha mai visto, e per quanto riguarda questa generazione attuale questa affermazione è un po’ più vera che in tutti gli altri casi fin qui accaduti, di passaggio di consegne generazionale.

Chi vivrà vedrà, e credo ne vedrà delle belle. Come quegli Umana nati a luce di candela e morti spedendo una videomail.

Link per adulti sui nuovi comportamenti sociali legati al porno amatoriale: http://realcore.radiogladio.it/
del sempre ottimo Sergio Messina.

Angela esiste?: Degrado
Andavo a scuola ed era già degrado: insegnanti frustrati e spesso vili, ragazzi malati di troppo e troppo poco motivati per vivere. Da insegnante scoprivo che i ragazzi erano anche ammalati di abbandono in luoghi tristi e sciatti che dovevano rappresentare il loro quotidiano (quel colore statale verde-acqua grigia dall’intonaco senza più coraggio di restare fisso sulla parete e i bagni -latrine di alcuni licei, lo stesso colore e lo stesso anonimato degli ospedali e delle asl!) con famiglie distratte, travolte dai bisogni smisurati che la civiltà contemporanea produceva a livelli industriali, famiglie senza più orientamento.

Storia della VideoCamera

Appunti per una cultura visiva (in inglese, ma interessante pure questo).
Curioso anche leggere cosa Nam June Paik o altri artisti ’60/’70 della VideoArt prevedevano per il futuro, nell’intersecarsi di media diversi e comportamenti sociali.

History of Camcorders

er, and then send it off to be developed. When you got it back in a week or so, you had to pull out your 8mm film projector and set it up in front of a big blank white wall or set up a projection screen. Then after threading the film onto the reels through the pr

 

 

Ri-mediare

Tutti quelli con più di 55 anni hanno un compito importante, anche se dichiarano di non saper/voler usare il computer e la rete.Devono infatti fare la loro parte nel grande Gioco della Digitalizzazione, decidere cosa salvare nell’Arca Digitale, cosa rendere disponibile nel futuro, quali contenuti culturali meritano assolutamente di sopravvivere al Diluvio Telematico (banalmente, l’avvento del Web).

Tutta la mia generazione, diciamo quelli dai 25 ai 55 anni, ha invece il compito di tracciare il solco delle centuriazioni, ha da essere geometra, e mi vien da dire en passant che il vecchio Platone potrebbe tornarci d’aiuto… Come la scritta sulla porta dell’Accademia: “Non si entra qui se non si è Geometri” fa ben comprendere l’approccio teorico, e infatti non ci sono misurazioni negli Elementi di Euclide, l’altra formula di Platone, “Dio è un perpetuo Geometra”, è senza dubbio a doppio senso, e si riferisce insieme all’ordine del mondo e alla funzione mediatrice del verbo.

Insomma, l’apparizione della geometria in Grecia è la più sfolgorante delle profezie che hanno annunciato il Cristo – Simone Weil, Intuizioni precristiane – oppure il Web, direi io, che comincio a pensare che sia la stessa cosa. Con forse la differenza che il Web è il pensato dell’Umanità, Dio è invece il pensabile, ma visto che non si dà l’uno senza l’altro – a meno di rimuovere questa muffa superficiale di Umanità dalla faccia del pianeta – non ha senso una rappresentazione dualistica, molto meglio considerare pensiero e mondo come stesso identico fenomeno. Si tratta di oggetti pensati: ma quali categorie e sensibilità guidano la percezione e la concezione di questi oggetti? Siamo ancora Umana di un mondo agricolo o industriale? Cosa se ne potrebbe fare Leonardo da Vinci del concetto di Bancomat?

Tra parentesi – così anziché metterle le nomino – vi dirò che devo smetterla di aprire digressioni dentro i post, sennò toccherà inventare i feedRSS specifici per seguire non solo i post, ma anche le digressioni dentro i post.

Moral della morale, la mia generazione di pionieri colonizzatori sta tracciando le prime strade, edificando i primi luoghi pubblici online della collettività, sta conferendo al Grande Cambio Paradigmatico Epocale (dall’invenzione CERN del www in avanti) il significato tutto umano dell’abitare i luoghi, inventare i paesaggi, gestire i territori.

Con quale cultura? Quella del Mondo 0.1, prima delle tecnologie mediatiche (il telegrafo, innanzitutto), che vede ancora il mondo come luogo in cui reperire risorse con scarsa considerazione ambientale e produrre beni, in un’ottica prettamente Industriale? Oppure riusciamo almeno a metterci nella prospettiva post-industriale di un mondo liquido, dove la velocità delle informazioni e l’attenzione ai servizi alla persona concentra l’attenzione sull’immateriale?

La mia generazione è fatta di libri, ha vissuto le sue emozioni più forti (prima dei dodici anni) in un mondo poco o punto popolato da oggetti telematici, e come sempre accade nella storia dei media le nuove possibilità espressive, i nuovi modi per veicolare visioni culturali si nutrono inizialmente dei vocabolari predisposti da media più anziani, ricalcandone i codici comuicativi.

Lo abbiamo visto nel passare dal teatro al cinema, dal cinema alla televisione, dalla televisione a internet: noi siamo quelli dell’ultimo traghetto.

Per quelli sotto i venticinque anni il problema non si pone, loro sono Abitanti autoctoni dei nuovi territori digitali, ci sono nati dentro (grazie all’ecografia anzi sono digitali-zzati prima ancora di nascere) a loro toccherà viverci dentro tutta la vita e cominceranno sensibilmente a divergere da noi, essendo il germoglio di una nuova modalità dell’essere Umana.

Come vorrei poter leggere tra cento anni le pagine di un nuovo filosofo, che ristabilirà il senso profondo dell’EsserCi e dell’aver cura del territorio anche digitale (sì, anche e soprattutto con una comprensione epistemologica profonda della Cultura Tecnologica, caro H. esistenzialista tedesco) e del linguaggio e dei nuovi linguaggi come luoghi di Abitanza.

Noi dobbiamo ri-mediare.

Nel senso di correggere gli errori provocati essenzialmente dalla televisione (non come strumento in sé, ma dalla mancanza di conoscenza e cultura sugli effetti e sulle implicazioni etiche e sociali di un massmedia nato cinquant’anni fa, eppure ad esempio mai raccontato a scuola nelle sue proprietà di modificare il mondo attraverso la modificazione delle credenze e delle opinioni deli Umana… a quanto pare non si ritiene formativo dare agli allievi qualche nozione di grammatica dei media, condurre delle analisi del messaggio televisivo, proporre degli approcci di Media Education, ignorando bellamente il fatto che la formazione dell’identità personale di ognuno di noi è largamente costruita su modelli e valori veicolati da mezzi di comunicazione di massa) e farci consapevolmente carico di questo nostro obbligo storico e generazionale di essere i primi colonizzatori di un Nuovo Mondo che vuole essere narrato e costruito tutto dentro un Nuovo Linguaggio, un Nuovo Media, ovvero il Web, con la consapevolezza di aver a che fare con nuove forme di realtà, costruendo case e strade e piazze per la città che abiteranno i nostri figli, nel Mondo 2.0.