Archivi autore: Giorgio Jannis

Un certain regard a Bruno Vespa

Maateo qualche post più sotto/indietro mi segnala un .pdf su WuMing/Giap dove una studiosa francese ci propone una analisi conversazionale di una decina di minuti della trasmissione televisiva “Porta a Porta” di Bruno Vespa. Partecipano, oltre al noto anfitrione, qualche psichiatra da studioTV e soliti opinionisti: l’attualità da commentare riguardava i recenti fatti di cronaca (violenza sulle donne) compiuti da persone di nazionalità rumena.Sì, una vera analisi del testo orale, dove si comincia (prima ancora di farsi domande sui significati) individuando le sequenze di discorso, poi si ricavano i programmi narrativi dei parlanti, ci si annota il tono linguistico utilizzato, si scoprono i valori assiologici impliciti, si pone attenzione alle configurazioni discorsive di superficie, si indagano i risvolti patemici.

E si scopre come si forma l’opinione pubblica in tempo reale, come le macrosequenze narrative della trasmissione in realtà compongano un messaggio di tutt’altro tenore rispetto ai ragionamenti sul tema della violenza alle donne su cui la puntata di “Porta a Porta” avrebbe dovuto essere incentrata; un messaggio intessuto di ignoranza degli argomenti trattati, di paralogismi, di falsa scientificità (interessante come mostrare dei numeri su uno schermo crei un fortissimo effetto di “inconfutabile realtà”), di riposizionamenti valoriali (sarebbe sufficiente guardare i verbi utilizzati nelle affermazioni dei parlanti, dove si giunge pian piano all’area modale del “DOVERE essere/fare”) dove l’Io del discorso si tramuta in un Noi, per tracciare ancora una volta delle linee di separazione tra persone e tra popoli.

“Si parte quindi da un punto di vista soggettivo come premessa a un discorso personale che diventa poi quello del dovere collettivo: tecnica oratoria meno grossolana, molto efficace.”

Eh. Il senso emerge.

Abitanza biodigitale

Il solito, ottimo articolo di Giuseppe Granieri, su Apogeo.

Granieri prende le mosse da alcune considerazione su SecondLife; il discorso affronta in seguito la tematica dell’abitare consapevolmente nei mondi digitali, e soprattutto pone l’attenzione sui processi sociali in atto che portano i nuovi ambienti di vita degli Umana ad essere percepiti e riconosciuti come dimensione imprescindibile del vivere odierno.

Alcune frasi interessanti:

… Il blogging e il social networking imponevano, per essere capiti, la necessità di cambiare completamente schemi mentali nel rapporto con l’ambiente mediale.

… Non c’è redenzione, l’uomo del XXI secolo è destinato a non smettere mai di imparare (B. Sterling)

… Pensiamo a come percepiamo la responsabilità delle nostre azioni in un ambiente che consideriamo virtuale, quindi – in vulgata – non esistente, contrario a reale

… De Kerkhove parla della necessità, per capire chi siamo oggi, di superare il vincolo naturalistico e accettare che viviamo in una condizione anche digitale che ristruttura la nostra vita sensoriale. Rodotà ragiona sulla necessità di adeguare il diritto, partendo da una considerazione dell’habeas corpus che oggi è sia fisico sia elettronico. Antonio Caronia parla di corpo disseminato

… Per ragionarci, come nella tradizione del web, tutti insieme. E per imparare, come abbiamo fatto con il web, a superare la fase delle cassettiere o delle gif animate.

Google Image Labeler – taggate, taggate

Il tag rivoluzionerà il mondo.
Il social tagging stravolgerà il modo stesso in cui pensiamo lo scibile, modificherà le nostre abitudini nell’andare alla ricerca di informazioni, condizionerà le gerarchie dei risultati delle ricerche: la pratica socialmente diffusa dell’etichettamento dei contenuti permetterà al contempo di superare alcune contraddizioni interne ai sistemi di catalogazione ad albero e di far emergere interessanti dimensioni “antropologiche” legate allo stile cognitivo e affettivo che guida ciascuno di noi, imbevuto della propria cultura, ad attribuire certi tag piuttosto che altri allo stesso oggetto culturale, etc.
Detto questo, passiamo al gioco vero e proprio.

Lo trovate qui, si chiama Google Image Labeler. Appena gli date l’ok (usate un nickname), il servizio web vi trova istantaneamente un compagno di giochi ovunque sul pianeta, e vi sottopone delle immagini prese dal web che dovrete taggare più velocemente che potete (avete due minuti), in maniera coerente con il contenuto della foto.

Quando voi e il vostro remoto compagno di gioco azzeccherete la stessa tag-parola, guadagnerete dei punti e andrete in classifica.

In pratica, Google ci utilizza aggratis come manovalanza per taggare le immagini e migliorare i risultati del suo motore di ricerca, però è divertente e interessante.

E se qualche insegnante di inglese delle medie mi sta leggendo, sappia che il Labeler di Google Image potrebbe essere una ottima risorsa didattica online per spingere i ragazzini (motivati già per il fatto di “andare in internet”, motivati dalla finta dimensione agonistica – in realtà è un gioco collaborativo win-win, e motivati dal fatto di poter svolgere l’azione in piccolo gruppo) a tenere in costante allenamento il proprio vocabolario in english, nella rapida ricerca di quelle tag che maggiormente corrispondano ai contenuti proposti.

http://images.google.com/imagelabeler/

 

Riti di passaggio

Riporto qui integralmente un articolo di Luca Sofri per Nova, riguardo la nota passione del giornalista Gigi Moncalvo per le querele verso chi scrive liberamente di lui.

Se siete interessati all’argomento, con qualche ricerca troverete tutto.

In realtà l’articolo si rivela molto interessante nella seconda parte, perché sancisce a chiare lettere le differenti “qualità ambientali” dei Luoghi online e conseguentemente la necessità per ciascuno di noi di immergersi in questa nuova realtà (flusso di informazioni, relazioni interpersonali, comportamenti) prima di pronunciare giudizi affrettati, malfondati.

E il ragionamento su quanto sia importante comprendere il mondo digitale nelle sue peculiarità (come forma e possibilità di Abitanza digitale, in questo blog), senza applicare pedissequamente norme e regole che qui dentro lo schermo semplicemente non funzionano, viene condotto da un giornalista di fama nazionale come Sofri jr., osservatore acuto di costumi e lifestyle, non certo informatico o persona connotata come geek.
Forse qualcosa si muove nell’opinione pubblica; forse stanno prendendo forma storica e sociale le prime norme etiche di una collettività in grado di comprendere il Ben-stare in maniera biodigitale.

L’onere delle avanguardie: educare le retroguardie di Luca Sofri

Ci sono alcune ragioni, dalla parte di Gigi Moncalvo. La pretesa che poiché la rete sarebbe libertà, democrazia, bla bla bla, questo consenta a chiunque qualsiasi inciviltà è una sciocchezza che ricorda le parodie di Corrado Guzzanti sulla Casa delle libertà, quella dove “facciamo un po’ come cazzo ci pare”. Poi si può suggerire a Moncalvo maggiore indifferenza e serenità nei confronti delle violente ma piccole aggressioni di critici con pochi mezzi, lui che va in onda in tv tutte le settimane: ma è indubbio che alcune delle sue querele stiano del tutto dentro la legittimità legale.

Poi ci sono diversi torti, dalla parte di Gigi Moncalvo.
Alcune delle sue denunce riguardano espressioni che solo giudici molto bigotti potrebbero definire “diffamazione” (e però ci sono, giudici molto bigotti), e le sue cause legali travolgono con seccature, spese, e preoccupazioni persone che non hanno fatto nulla di male. Quando non si arriva addirittura a una condanna – come è avvenuto – per l’uso dell’espressione “ex idiota”, di cui ognuno valuti la gravità: probabilmente dovrebbe esistere una differenza tra la critica antipatica o maleducata e la diffamazione.
Differenza percepita dal giudice che ha invece archiviato la denuncia nei confronti del blogger che lo aveva definito “leghistone” e “ridicolo”.

Ma gli argomenti di Moncalvo sollevano un altro problema, e non solo quello delle normative che riguardano internet. Ed è quello della grandissima difficoltà che molte persone hanno a relazionarsi con un mondo che non ha niente a che fare con quello che conoscono e a cui fanno riferimento. Ed è una difficoltà di cui non si può solo sorridere, avendo gli strumenti per farlo. Perché l’abitudine che tutti abbiamo, nel tentativo di definire le novità della rete, a fare dei paralleli con il mondo “di prima” o “di fuori”, è utile fino a un certo punto: oltre il quale diventa fuorviante o impraticabile.

Questo mondo, la rete, funziona in tutti altri modi e con tutt’altri meccanismi: è un’altra cosa. E bisogna inventare nuove regole per spiegarla e definirne i casi, e sapere chiarire queste regole.

Altrimenti, quando si parla di internet usando per facilità i paragoni con il mondo che c’era prima, poi bisogna affrontare l’obiezione di Moncalvo di fronte a un link: “io clicco, e mi trovo davanti un testo diffamante. È come un giornale che pubblichi una calunnia copiata da un altro giornale. È come se io in tv ospito uno che dice cose diffamatorie nei confronti di qualcuno: io sono responsabile, e vengo denunciato e condannato”. Avendo gli strumenti, è facile vedere le differenze tra questi casi: quello che è difficile, è vedere qualcosa a cui invece assomiglino, i links.

Perché non assomigliano a niente di quello che c’era prima, di quello che conoscevamo, di quello che per gran parte delle persone è ancora la realtà: e forse bisogna trovare modi e pazienze per spiegarle, queste cose, perché d’ora in poi siano chiare per tutti. E non definite dalla roulette russa delle sensazioni di giudici più o meno preparati e attenti.
Nova [*]

[il grassetto è mio]

De Vespa

Se pensate che stia per raccontarvi della Vespa intesa come mia amante che al momento riposa in garage, vi sbagliate; però se proprio volete ecco qui la roadmap dell’ultimo giretto, assaporato in slow-drive una ventina di giorni fa insieme al mio avvocato/batterista su Primavera ET3 dell’80 e al mio psicologo/chitarrista su Vespa moderna.

Quello che volevo dire in realtà riguarda BrunoVespa®, e alcune modalità interpretative del testo.
Cioè, quando dico testo, immaginatevi tutto quello che riuscite a pensare quando di colpo sentite o leggete la locuzione “BrunoVespa”.
Anzi, per fare le cose precisine, dovreste scrivere l’elenco di tutte le occorrenze della locuzione “Bruno Vespa”, sia come soggetto, sia come predicato; quindi provate a pensare l’insieme di tutte le frasi del tipo “BrunoVespa è/fa x”  e tutte le frasi composte secondo lo schema “x è/fa BrunoVespa”. Vabbè. Insomma tutto il pensabile vespiano (e non vespistico, badaben).

Ecco, ora mi vien da pensare che tutti i grandi libri dell’antichità ci sono arrivati grazie alle manine sante degli amanuensi nei monasteri medievali, i quali studiando i testi trovavano comodo prendere appunti proprio a margine del testo, anzi spesso ricopiavano anche i commenti che incontravano, e quindi tutto questa produzione testuale ad un certo punto è esplosa e i Commentari sono diventati un vero e proprio genere letterario a sé stante.
Fondamentalmente, l’interpretazione e la comprensione dei testi classici originali per quelli del 1042 avveniva sempre dentro quella nuvola di significati (l’insieme dei percorsi interpretativi possibili) formata congiuntamente dal testo e dai suoi commentari, e solamente la passione umanistica/filologica del Rinascimento italiano, trecento anni dopo, avrebbe pazientemente provato a districare il ginepraio di questi testi multipli e stratificati.

Quindi, siccome grossomodo tutti avete presente il testo-Vespa, provate a seguire Tamas e Bucknasy mentre commentano la diretta televisiva chattando.
E’ meraviglioso.

Weekend vagabondo

Comincio elencando i posti dove avrei voluto e potuto essere nei giorni scorsi, ma non fui.

Intanto, considerato il fatto che il congresso si è svolto a 500 metri da casa mia, avrei voluto andare qui, all’Assemblea delle Regioni d’Europa. Illy gongolante anfitrione di un Barroso sorridente, a raccontarsi cose abbastanza cruciali per i prossimi anni per uno sviluppo socioecoterritoriale bottom-up delle Regioni Europee. Non fui.
Ne parla Beniamino Pagliaro, che provvede anche utili link. Ok.

Poi avevo addirittura preso in considerazione, riuscendo a far coincidere alcuni viaggi di lavoro, l’idea di andare a Firenze a seguire l’incontro pubblico su Reti civiche 2.0, l’evoluzione del rapporto tra cittadini, istituzioni e web, per via del fatto che infatti ecco c’erano un po’ di belle persone a ragionarci sopra… ma aspetterò pazientemente che Sergio o Antonio Sofi presenti all’evento scrivano qualcosa al riguardo *altrimenti li bombardo di mail*.
[La frase tra asterischi è stata composta dal tool di scritturaautomaticadesiderante: si tratta di nuovo servizio di Google che scrive autonomamente nei Luoghi online, bypassando la nostra vigile coscienza e postando quello che in realtà si agita negli imperscrutabili meandri dell’inconscio.]
Comunque, non fui.

Venerdì e sabato sono andato invece a Kranjska Gora, da quelle parti un po’ strane della mia Regione dove si incontrano le tre culture dell’Europa continentale, dove le parlate latine slave e tedesche si mescolano. Sono arrivato quasi fino a Tarvisio, ma poco prima ho girato a destra, imboccando la Val Romana (dritta dritta lungo l’asse est-ovest) e dopo una dogana dove gli ultimi finanzieri mi fanno passare forse guardandomi, arrivo in questa cittadina fatta di alberghissimi e casinò.
Vedete, mi era rimasto uno struggimento per Kranjska Gora, dai tempi delle elementari: mi ricordavo di Thoeni venir giù fluido nella neve del mio televisore in biancoenero, e lo speaker continuava a ripetere questa parola dal suono strano. Trenta e passa anni fa, mi chiedevo come fosse fatta questa cittadina con questo nome.
Poi venerdì ho colmato la mia curiosità.

In realtà si trattava del solito convegnone di robe scolastiche, progetti europei e scambi di esperienze tra insegnanti che vanno in giro per l’Europa a mostrarsi dei powerpoint barocchi; per dire, l’altr’anno in questa stagione fui spedito a Barcellona per lo stesso identico motivo.
Ad un certo punto, stavo seguendo un tutor d’aula sloveno e nevrotico (tipo Anthony Perkins, toh, però slavato) che ci imponeva di aprire degli account su Ning per costruire delle community di classe… allora nella chat parallela pubblica su Meebo che avevo appena proposto a tutti giusto per moltiplicare l’apprendimento sociale della situazione mediante i commenti e le riflessioni di tutti in tempo reale (*puntare scientemente a suscitare in aula un casino indomabile, solo per vincere la noia delle lezioni frontali sul web20*; GScritturaDesiderante) ho chiesto a tutti di che nazionalità fossero, e ho scoperto che i turchi ballano la quadriglia e cantano spesso abbracciandosi come nell’iconografia classica degli ubriachi, che le ragazze polacche sono cattoliche durissime, che il tedeschino nerd fa il duro poi beve una birra e ho dovuto fermarlo prima che si mettesse a raccontarmi della scissione dei neutroni (i miei) e fenomeni quantistici annessi, che la tipa fotomodella è ungherese, che quella cicciottella giuliva quarantenne era insegnante di religione luterana in Slovacchia e quando le ho detto che il monoteismo era out-of-fashion non mi ha più parlato.

Il convegno era appunto in un albergone con piscina olimpica coperta e superterme e tre stanze con venti PC ciascuna e auditorium e comodi salottini ovunque, eppure come al solito quando si organizzano queste cose non si progettano gli spazi sociali informali, i luoghi e le occasioni di chat che poi portano ad instaurare quelle relazioni interpersonali che sono il vero scopo di un Comenius o di un eTwinning.
Vabbè, ad un certo punto arriva sempre un compagnone (un paio di turchi ed il sottoscritto: ho dovuto riattivare alcune mie porzioni di DNA derivanti dai parenti meridionali, e zittire le sequenze prettamente friulane, ché in queste occasioni non si può essere orsi e starsene in parte corrucciati) capace di trovare argomenti di conversazioni buoni per tutti e di buttare lì due battute telefonatissime giusto per creare il clima yes.

Ma non è finita qui.
Ieri domenica sono stato ad un incontro-seminario dell’Officina per la Decrescita Felice, dove ho partecipato volentierissimo ad alcune belle discussioni sulle strategie ormai necessarie e impellenti da adottare per promuovere attivamente sul territorio alcune progettazioni attente all’impronta ecologica delle cose e delle collettività.
Ero dall’altra parte del Friuli rispetto a sabato, ero dove il Pordenonese diventa Veneto, in terre ricche di acqua e fiumi e dove delle leggere ondulazioni del terreno rivelano il prelievo di crete e argilla per le fornaci, fin dai tempi dei romani o prima ancora.
Della Decrescita, scriverò sicuramente qualcosa in futuro.

Archeologia industriale

Articolo originariamente apparso sulla rivista culturale “LaBassa” n°42/2001, qui pubblicato per gentile concessione.

Parlando di Archeologia Industriale fra il latisanese e il portogruarese: le fornaci “a fuoco continuo” Hoffmann nella Provincia del Friuli tra il 1866 e il 1920
di Valentina Piccinno

L’Archeologia Industriale è un mezzo importantissimo per studiare e comprendere il passato più recente della nostra attuale civiltà industriale.

Prendere coscienza di questo passato, capirne i meccanismi e i passaggi, significa trovare una risposta a molti quesiti sul nostro stesso modo di vivere. Il termine Archeologia Industriale fu coniato in Inghilterra negli anni Cinquanta anche perché in questo periodo di cambiamento e di distruzioni non belliche, le vecchie fabbriche e le strutture di servizio venivano abbattute e ricostruite senza troppo pensarci. In Italia si cominciò a parlare di Archeologia Industriale in ambito universitario a Milano solo agli inizi degli anni Settanta e in seguito si pose l’attenzione su tutti quei manufatti che in qualche modo erano e sono testimonianze produttive del nostro passato tecnologico. I monumenti che l’archeologia annovera sono in generale tutte quelle fabbriche che si svilupparono con l’avvento dell’industrializzazione in Italia, dalle filande, per fare un esempio, alle fornaci e comunque tutti quegli edifici che applicarono le nuove tecnologie e improntarono la produzione sul concetto della continuità.

Il copioso patrimonio dell’Archeologia Industriale in Friuli presenta, dal punto di vista del linguaggio e delle forme, una fisionomia difficilmente riconducibile a schemi costanti. Gli edifici industriali della prima industrializzazione sono, in genere, sviluppati in altezza e solo in seguito si sono trasformati in costruzioni orizzontali al massimo di due o tre piani, a differenza delle fornaci che solo agli inizi del Novecento si ampliarono in altezza. Il linguaggio dell’architettura delle industrie ha anche molto attinto dalle consuetudini locali e dall’impiego di materiali reperibili in loco; nel caso delle fornaci i manufatti si presentano con forme inedite ed originali, che senza camuffamenti derivano dalle funzioni ospitate.

Le fornaci, dopo l’introduzione del forno Hoffmann, assumono caratteristiche forme allungate dalle quali fuoriesce la ciminiera con soluzioni edilizie non sempre scontate.

Delle numerose fornaci “a fuoco continuo” Hoffmann diffusesi nella Provincia del Friuli (le attuali province di Udine e Pordenone) censite in uno studio in corso di pubblicazione, poche sono rimaste a testimonianza dell’attività produttiva industriale. Il Friuli essendo terra ricca di argilla adatta alla confezione dei laterizi, nel suo paesaggio da sempre sono esistite fornaci per laterizi e per la calce.

Prima dell’introduzione del forno Hoffmann, fornaci a fuoco intermittente o provvisorie di campagna a metà dell’Ottocento in Friuli ne esistevano praticamente in ogni comune e anche successivamente, dopo l’introduzione della fornace Hoffmann, alcune fornaci provvisorie continuarono a lavorare e a produrre laterizi e calce.

Il principio di funzionamento delle fornaci provvisorie arriva da una tradizione secolare sopravvissuta praticamente immutata dove i tempi di attesa tra una cottura e l’altra variavano da cinque a trenta giorni, mentre con l’introduzione delle fornaci “a fuoco continuo” il nuovo metodo di cottura cambiò radicalmente poiché non esistevano più tempi morti e la cottura dei laterizi proseguiva ininterrottamente.

Le fornaci industriali nella Provincia del Friuli si diffusero sia in corrispondenza dei maggiori agglomerati urbani sia nella campagna e anche in prossimità delle città minori.

La diffusione nella Provincia del Friuli delle fornaci “a fuoco continuo” inizia dopo l’annessione di questa parte di territorio alla giovane Italia. La svolta tecnologica di portata storica fu introdotta dall’Ingegner Architetto Friedrich Hoffmann (Gröningen 1818, Berlino 1900) che brevettò, in Italia, nel 1864 un progetto di fornace “a fuoco continuo” rivoluzionando il metodo di cottura dei laterizi e con l’introduzione di quest’innovativo metodo di cottura cambiò radicalmente il significato di forno per laterizi perché con il forno “a fuoco continuo” non esistevano più tempi morti.

Non tutto il territorio delle attuali province di Udine e Pordenone applicò con rapidità il nuovo metodo di cottura, alcune fornaci seguirono uno sviluppo complesso e frammentato perché si attuarono con ritardo rispetto all’impulso dell’industrializzazione del restante territorio. Si approssimava l’epoca dell’urbanizzazione e le fornaci esprimevano una significativa dipendenza sia dall’economia rurale sia da quella urbana, resa evidente dall’utilizzo di risorse e forza-lavoro condivise con l’agricoltura e il rafforzarsi dei legami commerciali con le città. Vi era una continua domanda di materiali da costruzione per il crescente bisogno sia di trasformare sia di fare realizzazioni ex novo.

Nella Provincia del Friuli il forno continuo fu impiantato già dal 1870, quando l’imprenditore Carlo Chiozza costruì una fornace Hoffmann in una plaga della bassa pianura pordenonese e quando Giuseppe Fabretti, negoziante in Udine, acquistò la privativa industriale o brevetto del forno Hoffmann, ma solo per i distretti di Udine, San Daniele, Palmanova, Tarcento, Cividale e Gemona e nel 1872 costruì una fornace sistema Hoffmann in Zegliacco in comune di Treppo Grande.

Per comprendere fino in fondo la novità del forno introdotto da Friedrich Hoffmann bisogna capirne il funzionamento che nella forma originale consisteva in un canale circolare continuo, nella parete esterna del quale erano aperte, ad intervalli costanti, le porte per l’introduzione e l’estrazione dei materiali. In corrispondenza di ciascuna porta il canale di cottura poteva essere costruito con diaframmi in ferro, aventi esattamente le dimensioni della sua sezione trasversale, che si manovravano dalla parte superiore della fornace alzandoli od abbassandoli a guisa di paratie. Il tratto di canale compreso tra i due successivi diaframmi prendeva il nome di cella o camera di cottura. Ogni camera presentava nella parete interna, verso il basso ed all’estremità opposta a quella dove si trovava la porta di servizio, un passaggio che si scaricava in un canale collettore del fumo, concentrico al canale di cottura.
Questi passaggi potevano essere chiusi con valvole, manovrabili
dall’alto per mezzo di aste che passavano entro fori praticati nella volta del collettore del fumo. Il camino, situato al centro della costruzione, comunicava con il canale del fumo per quattro aperture. La volta del canale di cottura presentava numerosi fori o bocchette per l’introduzione del combustibile, chiuse da un coperchio cavo di ghisa, assicurando la chiusura ermetica. Si caricava il materiale crudo in una bocca, in quella subito a destra si scaricava il materiale cotto; le altre camere erano piene di prodotti che avevano subito la cottura e si stavano raffreddando. Il fuoco si trovava nella camera caricata con materiale crudo.

In tali condizioni, il serviziodi “infornatura” e di “sfornatura” si effettuava attraverso una bocca di carico, che era la sola aperta mentre tutte le altre erano chiuse. Il fuoco era alimentato con il combustibile che si introduceva dalla volta. L’aria esterna, richiamata dal tiraggio del camino, penetrava nel forno per la bocca di caricamento, passava attraverso i materiali cotti riscaldandosi progressivamente, giungeva nella zona del fuoco e attivava la combustione. I gas caldi che si producevano, proseguendo sempre nella stessa direzione, venivano a contatto con i materiali crudi, ai quali cedevano buona parte del loro calore, e si liberavano infine nel camino passando attraverso l’apertura dell’ultima camera, la cui valvola era sollevata a differenza delle altre che erano chiuse. Con questo metodo si procedeva all’infinito, avanzando in media di una camera ogni quattro ore. Il principio basilare di queste fornaci consisteva nel riscaldare l?aria di alimentazione a spese del calore ceduto dai prodotti cotti che si raffreddavano e di utilizzare il calore posseduto dai prodotti della combustione per il riscaldamento dei materiali da cuocere.

Se focalizziamo l’attenzione sulle fornaci costruite nella bassa latisanese ci rendiamo subito conto che in questo territorio si adottò il nuovo sistema di cottura per laterizi con qualche anno di ritardo rispetto alla vicina San Giorgio di Nogaro, ad esempio, dove già da anni si utilizzava un forno “a fuoco continuo” per la cottura dei laterizi.
Solo all’inizio del Novecento si diffusero, nella bassa latisanese, le fornaci sistema Hoffmann e tra queste quelle di Dal Maschio-Visentin a Palazzolo dello Stella, quella dei fratelli Anzil a Sivigliano di Rivignano, quella di Antonutti e Minzi a Talmassons, quella di Mangilli D’Agostini Turini, detta di Torsa, ma anch’essa in comune di Talmassons.

Nel vicino Veneto le fornaci ebbero uno sviluppo diverso, legato alla qualità dell’argilla, più adatta alla produzione di ceramiche in genere e si potenziarono con fornaci continue con molto ritardo rispetto alle fornaci del Friuli, solo a Treviso esistevano fornaci continue già dal 1875.

La difficoltà principale nel compiere una ricerca precisa e puntuale delle fornaci da laterizi industriali è stata la difficoltà di reperire i materiali e la documentazione, in quanto non vi è stata non solo la distruzione degli edifici industriali ma anche la dispersione degli archivi di queste industrie.Ad esempio poco si conosce del grado di industrializzazione della fornace di Dal Maschio e Visentin di Palazzolo dello Stella: sappiamo con certezza che utilizzavano un forno Hoffmann e che l’oggetto della società, costituitasi con contratto privato agli inizi del Novecento, era l’esercizio di una fornace per la fabbricazione di materiali laterizi in comune di Palazzolo dello Stella, l’esercizio di commercio di legname ed altri materiali da costruzione ed infine fabbricazione e smercio di materiali in cemento a Latisana, con l’esecuzione di lavori in cemento e cemento armato in provincia di Udine.

Con certezza sappiamo che Luigi Visentin già dal 1898 a Latisana possedeva una rivendita di legnami, materiali laterizi, calce, cementi e calci idrauliche; del suo socio Angelo Dal Maschio conosciamo poco: veneziano di nascita divenne subito socio della fornace Hoffmann e mantenne la proprietà anche dopo la morte di Luigi. Intorno al 1921 la fornace “a fuoco continuo” di Palazzolo era ancora in attività come lo era anche il commercio a Latisana della famiglia Visentin, rimangono aperti ancora molti interrogatici anche perché non è stato possibile rintracciare gli credi di queste famiglie.

Dell’opificio industriale di Talmassons al contrario si è potuto tentare una ricostruzione del passato grazie ai molti passaggi di proprietà della fornace e con certezza si può affermare che l’opificio fu costruito i primi anni del Novecento. Gli iniziatori di quest’industria furono i fratelli Ciro, Giovenzio e Ludovico Antonutti di Talmassons e Umberto Minzi di Trieste, che operavano con contratto societario avente per iscopo la fabbricazione e smercio di laterizi.La società possedeva una fornace sistema Hoffmann e la produzione dei laterizi in principio avveniva a mano, esperti fornaciai forgiavano i mattoni operando a cottimo.

Lo stabilimento in località detta Levada, nel comune di Talmassons, oltre al forno “a fuoco continuo”, era affiancato da una vasta tettoia, esisteva anche un’abitazione per gli operai, successivamente la fornacesi attrezzò con macchinari per la formatura dei laterizi. La fornace di Talmassons superò la Grande Guerra, ma nel 1923 cessò definitivamente la produzione di laterizi e si presume vi fu la demolizione del forno “a fuoco continuo”. La fornace “a fuoco continuo” Hoffmann dei fratelli Domenico, Geremia e Giovanni Battista Anzil a Sivigliano di Rivignano fu costruita sul finire del 1900 ed impiegava 65 operai, di questa fornace oggi esiste lo stabilimento, stravolto nella sua forma originale per ospitare un’altra industria.
Anche lo stabilimento detto di Torsa, a Talmassons, di Mangilli, Agostini e Turini è in parte ancora visibile, il forno “a fuoco continuo” si è conservato, anche se sono state apportate alcune variazioni al canale di cottura, il camino è stato di recente abbattuto per problemi statici. Questo opificio fu costruito intorno agli anni venti del Novecento e, infatti, ha caratteristiche architettoniche diverse rispetto alle fornaci più antiche.

Rintracciando tutte le fornaci “a fuoco continuo” sviluppatesi in Friuli (province di Udine e Pordenone) tra il 1866 e il 1920 si comprende come l’impulso dell’industrializzazione per i materiali da costruzione trovò terreno fertile e le poche fornaci rimaste a testimonianza di questo passato andrebbero conservate perché anch’esse fanno parte della cultura e delle tradizioni dei friulani, in quanto fornaciai più o meno specializzati e, del Friuli perché terra di fornaci.

Seamonkey e GMail IMAP

Da un po’ ho smesso con Thunderbird e Firefox, e sono passato a SeaMonkey, ovvero la suite sempre Mozilla che in sé ha tutto, è bella e va pure molto bene.

E poi qualche minuto fa mi son deciso a vedere dell’IMAP di Google Mail, così son passato alla visualizzazione in inglese della mia casella di posta (sennò in italiano non notavo nessuna novità disponibile), ho visto le configurazioni per IMAP sul client di posta di Seamonkey, e mi son messo ad ammirare la cordialità con cui ora la casella di posta di GMail e il mio programma di posta sono sincronizzati.

Poi ho scoperto che posso fare un bel backup di anni di posta su GMail, stando sempre dentro il programma di posta, dove ora sono visibili anche le cartelle remote su GMail; ecco, io prendo una cartella locale e la trascino con il mouse sopra quelle remote, e maghetto IMAP mi trasferisce tutto per bene.
Che sabato.

Wi-fi territoriali e Abitanza attiva

Vedete, parecchie Pubbliche Amministrazioni locali (Comuni più o meno popolosi, Comunità) di questi tempi stanno pensando o vengono loro proposti dei progetti per la realizzazione di una copertura territoriale in tecnologia wi-fi, per offrire a tutti i cittadini la possibilità di usufruire di una connessione veloce a Internet, indipendentemente dall’essere fisicamente connessi via cavo con una centralina ADSL.

Personalmente (confortato da Quinta) credo che il discorso della “fibra fino a casa” (FTTH, Fiber To The Home, ovvero collegare tutte le abitazioni nazionali in fibra ottica) non dovrebbe essere rapidamente accantonato, perché se è vero che sarebbero da sborsare un mucchio di quattrini per la posa dei cavi, d’altro canto in quanto a capacità tecnica della Rete saremmo a posto per i prossimi cinquant’anni. E badate che l’argomento sarebbe da inquadrare in un ragionamento serio, pari almeno alle discussioni presenti nell’opinione pubblica putacaso sulla TAV o sul Ponte di Messina, visto che in fin dei conti stiamo parlando di una di quelle grandi opere infrastrutturali su cui si fonderà il benessere del Paese, come ottant’anni fa le ferrovie o cinquant’anni fa le autostrade.

Inoltre, è opinione di qualunque NuovoAbitante che la connettività gratuita per tutti dovrebbe essere un diritto del cittadino, in quanto strumento essenziale nel nostro tempo per garantire l’espressione delle libertà individuali sancite dalla Dichiarazione Universale degli Umana (Articolo 19: ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere).

Magari le PA intendevano proprio questo, offrire connettività gratuita ai cittadini e nel contempo studiare nuove modalità di coinvolgimento della popolazione nei Luoghi online dedicati alla Comunicazione Pubblica, alle reti civiche e ai contenitori digitali per le nuove forme di e-democracy.
Ma wifizzare un territorio costa sempre una certa cifra, bisogna costruire la rete degli AccessPoint, sviluppare del software specifico, e anche formare e mantenere un po’ di risorse umane, negli anni.

Può capitare che una Pubblica Amministrazione non possa sostenere finanziariamente questa iniziativa, e che ritenga buona cosa appaltare il tutto ad un privato, o ad una partecipata, il quale provvede a proprie spese alla wifizzazione del territorio, riservandosi poi di chiedere ad esempio una cifra all’Ente per permettere la navigazione sui propri AccessPoint, oppure direttamente al cittadino.
Quindi non solo l’utente finale verrà discriminato in base al censo (e colmare il DigitalDivide resterà utopico), ma siamo nel caso in cui chi possiede l’infrastruttura possiede anche il servizio, ovvero l’offerta di contenuti da trasmettere sulla Rete, e quindi può decidere l’accessibilità a certe informazioni, ad esempio impedendone la visione oppure praticando tariffe differenziate.
E’ come se al pedaggio autostradale mi chiedessero di più perché voglio andare a Venezia o a Gardaland, luoghi turistici sponsorizzati.
Qui spero che qualcuno commenti per chiarirmi le idee.

Nel frattempo, dopo alcune notizie che parlavano di un certo ripensamento di certi avanzati progetti di wifi territoriale nelle grosse città degli Stati Uniti (link, dall’Economist.com), pare che le cose stiano riprendendo a muoversi, perché appunto quello che sembrava per le metropoli un investimento senza alcun ritorno economico, e quindi insostenibile, si sta rivelando (link, da Repubblica.it) uno strumento per abbattere alcuni costi dell’Amministrazione cittadina, sì da rendere la connettività via onderadio per tutti un’iniziativa nuovamente perseguibile.

Se ad esempio i parchimetri, i contatori del gas e dell’acqua, le ambulanze, i rilevatori ambientali, comunicassero in wifi, sarebbe possibile risparmiare moltissimo, dice l’articolo di Repubblica.

Per tener sotto controllo la situazione nazionale, tenete d’occhio i Centri Regionali di Competenza per l’e-Government e la Società dell’Informazione.

E’ giunta l’ora

ehIn fondo qui sul semioblog posso fare quello che voglio, sono contro le rigide demarcazioni tra luoghi per scrivere quick&dirty e i luoghi più macigni, che poi son pur sempre fluidi.

Spunto narrativo per romanzetto educativo
“Mamma, vado a fare un giro” disse mio figlio accendendo il computer. Ma dove andava, ogni giorno? Cosa faceva, con chi parlava? Decisi di indagare.

(di seguito, incollare una bozzaprogetto da proporre alle scuole, dove sia finalmente possibile intitolare un corso di formazione per insegnanti all’Educazione Civica 2.0, all’analisi antroposocio sui comportamenti degli Umana negli ambienti digitali, ai linguaggi alla partecipazione al’Abitare online, ai risvolti formativi, alla Media Education, etc.)

La trama continua con la madre che si iscrive a tutte le cose social web esistenti, e poi il figlio quando la famiglia va a fare una gita deve staccarla dal monitor col verricello del SUV.

Linux Day e Cultura TecnoTerritoriale

lnxTra un paio d’ore vado all’UniUD, per cercare di raccontare qualcosa di sensato sulla promozione sociale della Cultura TecnoTerritoriale, in particolare rispetto alle scelte informatiche nelle Pubbliche Amministrazioni scolastiche.
Se incontro il Rettore Furio Honsell, vi prometto che lo saluto con un “Magnifico Buongiorno”.

Comunque, qui trovate qualche ulteriore informazione, qui trovate il programma del convegno LinuxDay 2007.

Progetto “Nuove tecnologie per la didattica”

Aver cura degli ambienti di vita e di crescita, abitare glocalmente in modo consapevole, oggi significa anche essere in grado di progettare iniziative per la qualità sociale degli Luoghi digitali, quelli Educational in particolare.NuoviAbitanti promuove, di concerto con alcune locali Amministrazioni Pubbliche scolastiche, una progettazione sociale capace di apportare una nuova visione e una diversa Cultura Tecnologica presso le scuole e le giovani generazioni, contraddistinta dalla filosofia OpenSource quale scelta anche etica nell’allestimento tecnico di laboratori informatici scolastici.

Dal punto di vista delle migliorìe tecniche, gli ambienti didattici coinvolti nel progetto possono ora contare su una infrastruttura informatica di rete molto più solida e potente; diventa ora possibile recuperare decine di computer obsoleti utilizzando Linux Edubuntu e LTSP, realizzare reti wireless di supporto alla didattica, lavorare e creare in ambienti OpenSource educational-oriented.

LinuxDay 2007: Cultura TecnoTerritoriale e promozione sociale: software Open Source e LTSP a Scuola

Qui sotto, una mappa schematica degli interventi NuoviAbitanti in Friuli Venezia Giulia per la promozione dell’Abitanza biodigitale in àmbito scolastico.


Ingrandisci la mappa

nuoviabitanti.blogspot.com

Imbavagliare il web italiano

Prepariamoci: dopo le riflessioni (?) massmediatiche di un mese fa per il VaffaDay, un altro argomento del tipo “Il potere oscuro di Internet” sta per arrivare su tutti i telegiornali, e si tratta veramente di una cosa vergognosa.

Un disegno di legge di agosto, approvato lo scorso 12 ottobre, stabilisce l’iscrizione al ROC Registro dell’Autorità delle Comunicazioni anche per qualsiasi attività editoriale su web, come ad esempio i blog; tutto questo comporta ad esempio che chiunque voglia scrivere su web le proprie  impressioni sul matrimonio di zia Matilde debba dotarsi di una società editrice, ed avere un giornalista iscritto all’Albo come direttore responsabile.

Se questa cosa passa, l’Italia non è degna di chiamarsi paese civile.

Ne parlano Grillo, Punto Informatico, Folletto.

List of social networking websites

Avete tanta tanta voglia di fare del sano social networking? Ecco qua la lista con tutti gli ambienti online dedicati a tale scopo.

List of social networking websites – Wikipedia, the free encyclopedia

Tra l’altro, mi accorgo che anche qui comincio a pensare in termini brevi, come Tumblr, Meemi, SharedStuff di Google, Profilactic, Twitter mi portano a fare.
Poco male. Tanto non ho nulla da dire di mio (…must be silent), ed inoltre questa attività di “smistatore di informazioni e meme” mi piace molto.
Siamo tutti dei router, ecco. Smistiamo pacchetti di meme sulle nostre reti relazionali.
Poi guardo il log e mi riconosco: narro a me stesso chi sono.

Enaction come co-emergenza

Un bell’articolo di Pier Luigi Luisi, sul concetto di autopoiesi.
Si parla di cellule, di omeostasi, di confine, di sistema regolato, di evoluzione, di adattamento, di cognizione, di ambiente, di vita. Maturana e Varela, obviously.Autopoiesi e definizione del vivente

Foto di PabloSanz, da FlickrQuello che distingue i componenti della ‘lista del vivente’ è questa capacità di mantenere l’identità grazie a un sistema di trasformazioni coordinate e organizzate, facenti parte del sistema stesso. Questo insieme di trasformazioni e la loro auto-organizzazione sono le chiavi del concetto di autopoiesi, e determinano e caratterizzano l’interazione del vivente con l’ambiente esterno, dall’evoluzione all’ecologia: il mondo è visto dall’interno del sistema vivente stesso. Quindi si arriva a questa definizione del vivente che è vera così per una cellula come per un albero. L’albero che perde i frutti e le foglie nell’inverno, li riproduce dal proprio interno nella primavera e nell’estate, anch’esso assimilabile alla definizione di ‘fabbrica che si rifà dall’interno’.

Passando dal piccolo al grande, l’autopoiesi oggigiorno è importante anche nella scienza sociale, perché questo discorso di un sistema che è definito dalle sue stesse regole e che tende ad auto-mantenersi a dispetto di trasformazioni interne, grazie al proprio sistema di rigenerazione, vale per una cellula ma vale, ad esempio, anche per un partito politico. In un partito politico entrano dei membri, è definito da certe regole, è delimitato da un certo confine nel quale i nuovi membri entrano. Questi vengono trasformati in membri del sistema dalle regole stesse. I membri diventano così parte del sistema e fanno, a loro volta, sì che altri vengano accettati grazie alle regole del sistema. Questo meccanismo vale per un ospedale o per una grossa compagnia, e si può applicare anche nello studio del marketing, come nel caso di Luman.

Progettare le città come hardware e software

Da Experientia, diffondo alcuni interessanti ragionamenti di Carlo Ratti: l’argomento è l’ideazione di “… una nuova piattaforma per archiviare e scambiare informazioni che siano sensibili a luoghi e tempo , rendendoli accessibili agli utenti attraverso i dispositivi mobili, le interfacce web e fisiche. Queste piattaforme permettono alle persone di diventare attuatori intelligenti distribuiti, che perseguitano i propri interessi individuali in cooperazione e competizione con gli altri, diventanto così loro stessi attori principali nel migliorare l’efficienza dei sistemi urbani.”

Mi ricorda, in qualche modo, un rastrello: in questo momento diventa interessante progettare dei rastrelli che siano in grado di raccogliere le innumerevoli informazioni e flussi che tutti noi emettiamo durante il giorno, con cellulari e la Rete e tracciabilità, per orientare poi l’interpretazione verso quelle qualità emergenti dal sistema, capaci di far meglio percepire l’Abitanza effettiva di un territorio, osservata in tempo reale attraverso i flussi di persone merci e denaro e idee.

Putting People First in italiano » WikiCity, un progetto MIT

Come può una città operare come un sistema open-source in tempo reale.

Sebbene sembri che l’approccio di questo progetto sia principalmente guidato da una perspettiva culturale, ci sono alcuni elementi centrati sulla gente interessanti:

Nei decenni passati, sono stati sviluppati sistemi di controllo in tempo reale in una certa varietà di applicazioni di ingegneria. Così facendo, è aumentata drasticamente l’efficienza dei sistemi attraverso il risparmio dell’energia, la regolazione delle dinamiche, la maggiore resistenza e tolleranza dei disturbi.

Adesso: può esserci una città che si comporti come un sistema di controllo in tempo reale? Questo è l’obiettivo del progetto WikiCity al MIT. Esaminiamo i quattro componenti chiave di un sistema di controllo in tempo reale:

1. entità da controllare in un ambiente caratterizzato dall’incertezza;
2. sensori capaci di ottenere informazioni sullo stato dell’entità in tempo reale;
3. intelligenza capace di valutare la performance del sistema contro esiti indesiderati;
4. attuatori fisici in grado di operare sul sistema per realizzare la strategia di controllo.

Una città rientra certamente nella definizione del punto 1, e il punto 2 non sembra porre particolari problemi, Per esempio, il progetto di Roma in Tempo Reale usava cellulari e dispositivi GPS per raccogliere gli schemi di movimento della gente e dei mezzi di trasporto, e il loro utilizzo spaziale e sociale delle strade e i quartieri. Ma come mettere in atto la città? Anche se la città contiene di per sè diversi tipi di attuatori come i semafori e la segnaletica stradale aggiornata a distanza, un attuatore ben più flessibile sarebbe i suoi stessi abitanti.

Di conseguenza, noi stiamo creando una nuova piattaforma per archiviare e scambiare informazioni che siano sensibili a luoghi e tempo , rendendoli accessibili agli utenti attraverso i dispositivi mobili, le interfacce web e fisiche. Queste piattaforme permettono alle persone di diventare attuatori intelligenti distribuiti, che perseguitano i propri interessi individuali in cooperazione e competizione con gli altri, diventanto così loro stessi attori principali nel migliorare l’efficienza dei sistemi urbani.

La visione del progetto, portata avanti dal SENSEable City Lab di Carlo Ratti, sta attualmente essendo applicata su Roma, Italia.

Visita il sito del progetto

Ambiente Luogo Territorio

Ragionare sull’ambiente, in questo blog, significa ragionare di territori abitati da Umana, significa cercare di fornire chiavi di lettura tecnoterritoriali per la comprensione delle dinamiche abitative degli Ambienti Costruiti, siano essi fisici o digitali.

Comprendere un territorio può anche voler dire essere in grado di decodificare, per esempio, la trama dei canali artificiali, la storia secolare dei mulini o dei battiferro, le reti dei trasporti di energia, materia ed informazione, giungendo infine a riconoscere le forme identitarie delle collettività di Abitanti, le scelte urbanistiche o industriali o estetiche, le cosiddette vocazioni del Territorio.

Guardiamo le strade, le connessioni tra i nodi, per scambiare sempre energia materia ed informazioni, quest’ultime sotto forma di idee che viaggiano con le persone e le cose.

Comprendere la qualità degli ambienti online significa saper predisporre buone opportunità per un’esperienza di Socialità in Rete ricca, nutriente.
Ecco un esempio di una progettazione sociale biodigitale (perché cerca di agire sui Luoghi dell’Abitanza sia fisici sia online) per una Pubblica Amministrazione, in particolare per una rete di scuole.

Portale delle scuole ambiente di community
Bozza progetto

La costituzione di un portale web condiviso per scuole coinvolte nel presente progetto di rete, dedicato alle risorse umane e alla cooperazione tra istituzioni scolastiche per lo scambio culturale e l’armonizzazione dei sistemi, richiede per sua natura la progettazione e l’allestimento di uno spazio telematico dedicato in grado di configurarsi come archivio indicizzato di documenti, nonché capace di incentivare la comunicazione diretta tra i partecipanti al progetto mediante l’implementazione di strumenti comunicativi ad hoc quali forum, blog, bacheche, spazi pubblici e privati per la redazione collaborativa di progettazioni e buone prassi scolastiche.
In particolare,il progetto richiede venga posto l’accento sulle tematiche della territorialità, come consapevolezza di un necessario forte radicamento delle iniziative qui descritte al contesto geografico specifico di attuazione, nonché sulle problematiche relative alla dispersione scolastica, ovvero come forma di incentivazione per la popolazione giovanile del territorio alla frequentazione delle scuole e delle iniziative locali, in luoghi fisici oppure online.

Almeno oggi 15 ottobre, dopo lunga pausa, ritorno a scrivere (anche) qui, partecipando al Blog Action Day