Archivi autore: Giorgio Jannis

State of the wild

Scusate, riparto da martedì scorso, che poi era anche martedì di carnevale. Un concertino dei Delorentos al NoFun, con la musica nèrvola al punto giusto, provate a sentire sul loro sito o in giro. Meno cerebrali degli ArticMonkeys, ma sempre tiratissimi e a volte perfino agitati, ma con stile, i ragazzi. Venticinquenni irlandesi da due anni in giro per l’Europa e oltre, una meraviglia un po’ into the wild, a modo loro.
Peraltro, tutti questi gruppetti sono molto mod.

Poi arriva venerdì, comincia StateOfTheNet. In realtà ero passato al Visionario giovedì e mi ero subito trovato coinvolto nell’ardita manovra di posizionamento del bannerone 400×100 (centimetri, neh) con il nome della manifestazione, quello bianco che vedete nelle foto appeso al terrazzo. Poi ci ho anche pranzato, con il terzetto degli organizzatori e Silvia, e tutti i pensieri vertevano sull’imminenza.
Ora ritorno al venerdì successivo (come vedete, anche l’italiano conosce i suoi metodi per ingannare il tempo) e agli incontri della mattinata: comincia SOTN e dopo l’iniziale pacato intervento dei soliti tre – Valdemarin ha però più piglio brillante, Benny espone argomenti, Sergio articola… assegnerei l’inventio a Benny, la dispositio a Maistrello e l’elocutio a Paolo, nel mio schema attoriale – il ritmo degli eventi ha decisamente accelerato, il racconto lineare delle esposizioni dei relatori è stato spesso interrotto da interventi giocosi dal pubblico e poi gli stessi relatori procedevano come se fossimo tutti in salotto, e ci stessimo tutti raccontando aneddoti e riflessioni sparse e statistiche e catastrofismi. Credo proprio che il setting abbia influito, e che quel divano Fidanzato abbia inopinatamente fornito un clima affettivo perfetto per l’instaurarsi di modalità piuttosto morbide e dialogiche, ecco. Provate voi a fare un discorso serio spaparanzati sul divano (credo Mattina abbia anche apertamente mimato Fantozzi che lotta con la poltrona-sacco). Anzi, ho notato almeno Rullani (credo, o forse quell’altro, Lalli) e DeBiase che per dire qualcosa con un certo tono si sono seduti a fil di chiappa, sul bordo, sporgendosi in avanti.

Poi me ne sono andato via, a fare delle ore di lezione in Carnia a quattro diciassettenni esistenzialisticamente disperati, per poi tornare al Visionario verso le sei, in tempo per Mafe (donna più alta di quanto avrei detto, e anche più simpatica di quanto avrei detto). Ma il sabato ero lì dalla mattina, ho riso di cuore con Gaspar e l’ho seguito nei suoi ragionamenti, poi mi sono un po’ annoiato, ma a pranzo su in terrazza è stato tutto molto piacevole, belle chiacchiere in clima rilassato. E nessuno sottolineerà mai abbastanza la fortuna di avere a Udine una temperatura così ai primi di febbraio – di solito il sole c’è, ma accompagnato da venti freddi della Siberia, minimo. E invece stare in terrazza era una figata, e siamo diventati tutti una grande famiglia. Ahh. La ripresa dei lavori ha confermato il tono da commedia brillante, o almeno dell’Arte, con tutti i personaggi ben delineati e riconoscibilissimi.

Il goodbye party era al Caffè Contarena, ovvero lo storico bar meravigliosamente Liberty in pienissimo centro a Udine, il quale essendo sabato sera ch’aveva pure il deejay dentro, un vecchio lupo obeso, così per l’aperitivo era pieno di cafoni italoforzuti o peggio, quei giovinastri con il colletto della camicia rialzato e quelle tipe da sottobosco televisivo che troieggiano (ma come cazzo fanno ad avere le gambe NUDE con 5°? e qui da noi si sta parecchio anche fuori dai bar)… e udine non è newyork, sia chiaro, e tolti dieci di loro che forse erano cittadini gli altri vengono giù con la piena dai paesi. Peccato che vengano giù con le automobiline, e nella piazzetta antistante l’ambiente ci fossero credo almeno 500mila euro parcheggiati sui quattro stalli riservati handicap.
Quando siamo riusciti a finire il prosecco, siamo andati a mangiare mortadella da Pieri Mortadele, abbiam chiacchierato un bel po’ intanto che Giordano (che è uno che pensa pulito e ha pure vinto un Premio Recanati) ci passava le bottiglie e la mortazza, e ora che ci penso avevo anche nel tardo pomeriggio bevuto due tagli di rosso con Jacona, Sofi, Della Pasqua, la DottoressaDania e Dadevoti, accompagnando il tutto con paninetto di prosciutto cotto caldo con sopra il kren grattuggiato, ed era sì buono che Antonio ha detto bissiamo e ha fatto benissimo.
Mentre eravamo fuori in strada lì della mortadella, di notte, c’erano almeno Gaspar e Sergio, Antonio e Alessio, forse Joshua, dei ragazzi credo allievi della locale Accademia d’Arte Drammatica hanno improvvisato uno spettacolo dalle finestre del secondo piano della casa contigua, in questa via stretta e curva del centro di Udine: prima ad alto volume delle musiche che mi sembravano tipo anni ’30, tipo altoparlante d’oratorio con le musichette, poi tutta una recitazione abbastanza ben orchestrata di cose di Dante e poi anche un pezzo della “Pioggia nel Pineto”, su richiesta (!) di qualcuno di noi dalla strada; gli attori si sporgevano dalle finestre, e noi sotto applausi, risate, tutto bello.
Sì, sono contento che Udine sia piaciuta a più d’uno; ma la città ha giocato chissà perché un po’ delle sue carte, quella notte, e ha fatto buona impressione (e non pioveva).

Come la sera prima, poi me ne sono andato a ballare. Allo Zoo, stavolta, dove sono riuscito a convincere la tipa al bar timida ma efficentissima a farmi un toast alle tre di notte. Suonava un gruppetto di ventenni, anche loro nervosetti, però di quelli coi ciuffetti e le magliettine attillate.

E per giustificare il titolo, vi dirò che ho visto stasera IntotheWild, il filmone del tipo che va in Alaska. Beh, è tutto chiaro: i sentimenti sono liquidi, e lui ha problemi con l’acqua.



Lo stato delle cose

Giorni strani, lenti da sembrar sabbiosi e veloci da farmi scivolare cieco sugli specchi che-sono-gli-altri.

Però ha smesso di piovere dentro, e talvolta soleggia.
Vaticinii cupi con le monete, wu-wei seee, diaframma non pervenuto e respirazione random, primavera del cazzo.

Sono stanco di correre come un cretino per tutto il Friuli, domani vado a State of the Net, al Visionario qui a Udine, mi spaparanzo da qualche parte e ascoltovedo un po’ di gente simpatica che parla di cose interessanti, spesso in modo nuovo e divertente. Quei momenti dove impari qualcosa anche per sbaglio. Datemi un qualcosa per bloggare e twitterare in realtime.

Metto anche una playlist, per darvi un’idea di come il mondo sia eloquente.

Afterhours – Ballata per la mia piccola iena
Bugo – Amore mio infinito (la versione con Violante Placido, sul Tubo)
Beck – Already Dead
Cardigans – I need some fine wine
Garbo – Radioclima
Verdena – Phantastica
Interno 17 – Liquido
Velvet feat. Edoardo Bennato – Una settimana, un giorno
Amari – Campo Minato
Pixies – Hey
PJ Harvey – A Perfect Day Elise
The Searchers – Love Potion #9

Denunciateli

Approvo, e diffondo le indicazioni di Metilparaben.

La Stampa di oggi racconta l’odissea notturna di una donna che cerca inutilmente di farsi prescrivere la pillola del giorno dopo, compiendo una vera e propria via crucis negli ospedali romani e ottenendo in risposta una interminabile serie di dinieghi, motivati dall’obiezione di coscienza dei vari medici di turno.
Stante il fatto che questa stucchevole tiritera, a quanto risulta, si ripete continuamente in numerosi ospedali italiani, mi corre l’obbligo di ricordare che la pillola del giorno dopo non è un presidio abortivo, e che la legge 194/78 prevede la possibilità dell’obiezione di coscienza esclusivamente nel caso di interruzione di gravidanza.
Tanto premesso, invito le donne che dovessero vedersi rifiutata la prescrizione della pillola del giorno dopo a seguire i suggerimenti che seguono:
  1. farsi sempre registrare all’entrata del Pronto Soccorso;
  2. chiedere al personale medico e infermieristico con cui vengono in contatto di qualificarsi;
  3. se viene detto loro che il ginecologo di turno non può riceverle, chiedere cosa glielo impedisce e farsi dare le sue generalità complete;
  4. farsi rilasciare una cartella di Pronto Soccorso contenente i motivi della mancata prescrizione;
  5. in caso di non adesione del personale ospedaliero alle legittime richieste di cui ai punti precedenti, chiamare immediatamente le forze dell’ordine e denunciare l’accaduto sul posto e in loro presenza.
Una volta ottenuti questi dati sarà possibile denunciare il medico che non ha voluto prescrivere la pillola del giorno dopo dichiarandosi obiettore (già che ci sono, aggiungo che identica misura può essere adottata nei confronti dei farmacisti che si rifiutano di venderla).
Qua tutte le informazioni; qua e qua i modelli da utilizzare per le denunce.
Svegliamoci, gente, o questi ci si mangiano.
Vivi, ché godono di più.

Open Education

Segnalo, invitando alla sottoscrizione, la pregevole Dichiarazione di Cape Town per l’Educazione Aperta. Un altro passo fondamentale per la futura Società della Conoscenza.

Dichiarazione di Città del Capo sulla Istruzione Aperta:
sbloccare la prospettiva di risorse educative aperte

Siamo all’apice di una rivoluzione globale nell’insegnamento e nell’apprendimento. Educatori di tutto il mondo stanno sviluppando un ampio bacino di risorse educative su Internet, aperte e gratuite per tutti. Questi educatori stanno creando un mondo in cui ogni persona sulla Terra possa accedere e contribuire alla somma delle conoscenze dell’umanità. Inoltre stanno piantando i semi di una nuova pedagogia, in cui insegnanti e studenti insieme creino, diano forma e sviluppino la conoscenza, approfondendo le loro capacità e la loro comprensione mentre operano.

Cape Town, Open Education, Declaration

Sul sito della Dichiarazione è possibile sottoscrivere il documento, all’indirizzo http://www.capetowndeclaration.org

Dichiarazione di Città del Capo sulla Istruzione Aperta:
sbloccare la prospettiva di risorse educative aperte

Siamo all’apice di una rivoluzione globale nell’insegnamento e nell’apprendimento. Educatori di tutto il mondo stanno sviluppando un ampio bacino di risorse educative su Internet, aperte e gratuite per tutti. Questi educatori stanno creando un mondo in cui ogni persona sulla Terra possa accedere e contribuire alla somma delle conoscenze dell’umanità. Inoltre stanno piantando i semi di una nuova pedagogia, in cui insegnanti e studenti insieme creino, diano forma e sviluppino la conoscenza, approfondendo le loro capacità e la loro comprensione mentre operano.

Questo movimento emergente per un’educazione aperta unisce la tradizione consolidata di condividere le buone idee tra colleghi insegnanti, con la cultura collaborativa ed interattiva di Internet. Si basa sul principio che tutti devono essere liberi di usare, adattare alle proprie esigenze, migliorare e redistribuire le risorse senza restrizioni. Insegnanti, studenti, ed altri che condividono questo concetto, si stanno unendo per prendere parte ad un impegno mondiale per rendere l’istruzione più accessibile e più efficace.

La crescita della raccolta globale di risorse educative aperte ha creato un terreno fertile per questa iniziativa. Queste risorse comprendono materiali per corsi con licenza aperta, programmi didattici, libri di testo, giochi, software ed altro materiale di supporto all’insegnamento ed all’apprendimento. Tutto ciò contribuisce a rendere l’istruzione più accessibile, specialmente là dove i fondi per i materiali didattici sono scarsi. Alimenta inoltre un modo partecipativo di apprendere, di creare, di condividere e cooperare che è necessario in società in cui le conoscenze si evolvono rapidamente.

L’educazione aperta non è limitata solo alle risorse didattiche aperte, ma si fonda anche su tecnologie aperte, in grado di facilitare un apprendimento collaborativo e flessibile, e sull’aperta condivisione di tecniche didattiche che permettano ai docenti di giovarsi delle migliori idee dei loro colleghi. Il tutto può crescere fino ad includere nuovi approcci alla valutazione, al riconoscimento dei meriti ed all’apprendimento collaborativo. Comprendere ed adottare innovazioni come queste è fondamentale in una prospettiva di lungo termine del movimento.

Ci sono molti ostacoli alla realizzazione di questa visione. La maggior parte dei docenti resta ignara della crescente quantità di risorse educative aperte. Molti governi ed istituzioni educative non conoscono o non sono convinti dei benefici di una formazione aperta. Le differenze fra i tipi di licenza per le risorse aperte generano confusione ed incompatibilità. E, naturalmente, la maggior parte del mondo ancora non ha accesso ai computer ed alle reti che sono parte integrante degli attuali sforzi in direzione di un’educazione aperta.

Questi ostacoli possono essere superati, ma soltanto lavorando insieme. Invitiamo studenti, insegnanti, educatori, autori, scuole, licei, università, editori, sindacati, associazioni professionali, legislatori, governi, fondazioni, e altri che condividono la nostra visione ad impegnarsi per raggiungere e promuovere l’educazione aperta e, in particolare, li invitiamo a seguire queste tre strategie per aumentare la diffusione e l’effetto delle risorse educative aperte:

  1. Insegnanti e studenti: In primo luogo, consigliamo agli insegnanti e studenti di partecipare attivamente al nascente movimento per l’istruzione libera. Questa partecipazione comprende: creare, usare, adattare e migliorare le risorse educative aperte; adottare le tecniche didattiche sviluppate sulla collaborazione, sulla scoperta e sulla creazione di conoscenza; ed invitare omologhi e colleghi a partecipare. Creare ed usare risorse aperte dovrebbe essere considerato parte integrante del processo formativo e dovrebbe essere sostenuto e ricompensato di conseguenza.
  2. Risorse educative aperte: In secondo luogo, invitiamo insegnanti, autori, editori e istituzioni a rilasciare con licenza libera le loro risorse. Queste risorse educative aperte dovrebbero essere rilasciate sotto licenze che ne facilitino l’uso, la modifica, la traduzione, il miglioramento e la condivisione da parte di chiunque. Le risorse dovrebbero essere pubblicate in formati che facilitino sia l’uso sia la pubblicazione e che siano compatibili con le diverse piattaforme tecniche. Per quanto possibile, dovrebbero anche essere disponibili in formati accessibili a persone disabili ed a persone che ancora non hanno accesso a Internet.
  3. Politiche di formazione aperta: In terzo luogo, governi, istituti scolastici, licei e università dovrebbero dare la massima priorità alla formazione aperta. Teoricamente, le risorse educative finanziate con fondi pubblici dovrebbero essere risorse educative aperte. Le procedure di adozione e di riconoscimento dovrebbero dare la preferenza alle risorse educative aperte. Le raccolte di risorse educative dovrebbero attivarsi per includere ed evidenziare le risorse educative aperte al loro interno.

Queste strategie rappresentano non sono solo la cosa corretta da fare ma costituiscono un saggio investimento per l’istruzione e l’apprendimento nel ventunesimo secolo. Permetteranno di spostare gli investimenti oggi rivolti a costosi manuali verso un migliore apprendimento. Aiuteranno gli insegnanti ad eccellere nel loro lavoro e ad offrire nuove occasioni di visibilità e di effetto globale. Accelereranno l’innovazione nell’istruzione. Daranno maggior controllo sull’apprendimento agli studenti stessi. Queste sono strategie sono ragionevoli per chiunque.

Migliaia di insegnanti, studenti, autori, operatori e legislatori sono già coinvolti in iniziative di formazione aperta. Ora abbiamo l’occasione di far crescere questo movimento per includere milioni di insegnanti e di istituzioni da tutti gli angoli della terra, ricchi e poveri. Abbiamo l’opportunità di raggiungere i legislatori, lavorando insieme per rendere concrete le prospettive che ci si presentano. Abbiamo l’occasione di coinvolgere gli imprenditori e gli editori che stanno sviluppando innovativi modelli aperti di business. Abbiamo la possibilità di sostenere una nuova generazione di studenti che si misurino con i materiali didattici aperti, facilitati nell’apprendimento dalla condivisione della loro nuova conoscenza e consapevolezza con altri. Ma prima di ogni altra cosa, abbiamo un’occasione per migliorare sensibilmente le vite di centinaia di milioni di persone nel mondo attraverso opportunità didattiche e di apprendimento liberamente disponibili, di alta qualità e adatte alle realtà locali.

Noi, sottoscritti, invitiamo tutti gli individui e tutte le istituzioni ad unirsi a noi nel sottoscrivere la dichiarazione di Città del Capo per l’educazione aperta e, così facendo, ad impegnarsi ad attuare le tre strategie indicate sopra. Inoltre incoraggiamo i firmatari a seguire strategie supplementari per la tecnologia didattica aperta, per la condivisione delle pratiche d’istruzione aperta ed altri metodi che promuovano la più ampia causa dell’educazione aperta. Con ogni persona o istituzione che assume questo impegno – e con ogni sforzo teso ad articolare ulteriormente la nostra visione – ci avviciniamo ad un mondo di educazione aperta, flessibile ed efficace per tutti.

15 settembre 2007 Città del Capo, Sudafrica

De gangherologia

Ormai la notizia è pubblica, non devo tacere.
Sempre su Bordopagina, trovate anche un ottimo commento/resoconto delle tematiche affrontate, a cura di Roberto.

Insomma, l’altro ieri mattina sono andato a Pordenone, al Liceo, dove ho tenuto pubblica concione nella mia ieratica veste di guru gangherologo.
Sottolineo: sono stato ufficialmente invitato a parlare di gangherologia in una classe del Liceo. LOL.
Perdonate, ma sono soddisfazioni.

Ringrazio di cuore Piervincenzo, un prof. che senza dubbio lascerà segni indelebili di passione per le cose umanistiche a generazioni di studenti pordenonesi, e tutti quei diciassettenni che hanno avuto pazienza e fiducia nell’immancabile arrivo di una campanella che li liberasse dall’obbligo di starmi ad ascoltare, mentre ovviamente cercavo di liofilizzare qualche millennio di storia umana in due ore di cabaret.

Questo post, questo blog rimane per quegli studenti un luogo di libera espressione, per riflessioni e approfondimenti attinenti. Altresì mi dichiaro disponibile a partecipare ad eventuali discussioni da voi intraprese sui vostri blog, sui vostri ambienti scolastici di socialità digitale.

Argomenti: semiotica, leggibilità del mondo, abitudine e forme della conoscenza, analisi di testi massmediatici, antropologia dell’online, generazioni biodigitali, citizen journalism, dinamiche affettive e strategie identitarie dei gruppi (in presenza e online), testo&contesto, grammatiche situazionali, circostanze di enunciazione, Territorio come ipertesto, dinamiche di Abitanza biodigitale.

Si tratta, in fondo, di linguaggi e di grammatiche. Qualcuno alle elementari ci spiega la grammatica della lingua che parliamo, ma nessuno ci racconta da piccoli le grammatiche dei telefilm, delle riunioni condominiali, delle decorazioni delle torte nuziali, dell’astrologia, della moda, dell’economia, degli schemi strategici delle partite di calcio, dei rituali e dei cerimoniali, delle autostrade e dei comportamenti degli automobilisti, la grammatica della idee e quella del dialogo millenario delle collettività umane con i territori su cui abitano, collettività peraltro spesso inconsapevoli della propria impronta ecologica. Questi mille linguaggi che parliamo, linguaggi dentro cui siamo nati, talvolta ci parlano. Noi siamo parlati. Cioè, dicono loro delle cose al posto nostro. Ci agiscono.
E se non possediamo le grammatiche, siamo meno efficienti nel maneggiare operativamente quel linguaggio: magari sappiamo, ma non sappiamo di sapere, non avendo mai nominato quel linguaggio nelle sue parti componenti e nella sua sintassi.

Oppure talvolta siamo tutti concentrati sul testo, sul messaggio, e non badiamo al contesto. Non badiamo alle altre persone e alla circostanza dell’enunciazione, quella situazione reale e concreta in cui quelle parole diventano suono, il progetto diventa edificio, l’emozione diventa gesto.

  • Un testo che sicuramente oggi necessita di re-interpretazione è l’Io, per lo meno nelle sue parti sociali. La nostra identità è biodigitale: traiamo come sempre senso di noi stessi dai flussi comunicativi che ci avvolgono, ma gli strumenti tecnologici di cui disponiamo (Rete, cellulari, flussi audiovideo, reperibilità continua) ci impongono di ripensare le dimensioni antropologiche delle nostre personae, essendo cambiato il ritmo e la quantità di informazioni/relazioni che intratteniamo con gli altri e con il mondo.
  • L’altro testo assolutamente da riconsiderare è il Territorio, da intendere come Ambiente Costruito, e la sua relazione (dialogo) millenaria con le collettività che lo abitano: anche in questo caso è necessario provvedere nuove competenze “linguistiche”, nuovi codici interpretativi (Cultura Tecnoterritoriale) per una corretta lettura/scrittura delle dinamiche abitative in cui siamo coinvolti, dei flussi nomadici o stanziali che attraversiamo nel nostro risiedere sia nel mondo fisico sia nei nuovi Luoghi di Abitanza digitale.
  • L’acquisizione di nuovi strumenti di decodifica della realtà nella sua complessità dovrebbe auspicabilmente portare gli individui e le collettività a una nuova forma di consapevolezza di sé, dove vengono riconosciute l’importanza dell’autopoiesi e le strategie da adottare per progettare un Ben-Stare (concreta forma di ben-essere) fondato sulla tensione etica dell’aver cura degli ambienti di crescita e di vita delle generazioni biodigitali.

La leggibilità del mondo

Minicity, Citycreator, Zanpo, ma anche Popomundo e altre cose più tematiche/specifiche tipo MetaPlace. Quest’ultimo ad esempio serve per arredare il proprio appartamento in 3D sul proprio dominio usando tool collaborativi online (non solo disegnarlo come ho fatto io con 3Dxplorer su jannis.it) e fondamentalmente costruire un MMORPG tutti insieme.

Abbiamo una visione: fare in modo che tu possa costruire quasiasi cosa, e giocare a qualsiasi cosa, da ovunque.

Noto quindi come le città online siano in aumento, oppure ne siano ultimamente nate alcune forse più rapidamente usabili, e qualche buon meme ha sollecitato la curiosità di molti. Da diversi canali amici e conoscenti e sconosciuti mi dicono di cliccare e di fare un giretto e di giocare a “facciamo casetta” oppure “giochiamo al Sindaco”.

In molte di queste nuove webcittà ora l’interazione con i residenti avviene senza previa registrazione: quindi non solo i cittadini (coloro che iscrivendosi al socialweb in questione hanno manifestato una volontà di partecipazione, talvolta con impegno economico) ma anche i turisti semplicemente cliccando di qui e di là su vari oggetti contribuiscono all’allestimento dell’insediamento abitativo.
Quindi forse sta scemando questa necessità di doversi iscrivere (anche OpenID aiuterà, certo) a millemila community per ogni minima interazione sociale. Ci son cose (scelta d’interazione, stile, modelli) che ci connotano e ci narrano, e queste cose le facciamo sia come turisti sia come cittadini. La presenza lascia tracce.
Quindi potrebbero nascere delle città online per così dire “turistiche”, urbanisticamente e interattivamente disegnate per essere divertenti, e quindi altamente cliccabili, ma in modo esplicito per persone di passaggio. Pensare a chi non risiede significa in particolare tenere in considerazione i flussi, quindi porre attenzione alle stazioni e ai teleport, alla segnaletica stradale, ai luoghi sociali di scambio estemporaneo, agli eventi culturali online, ai questionari rapidi e anonimi.

Credo fermamente che il cervello di molti disegnatori di interfacce in questo momento sia in ebollizione. Per ogni metafora che prende vita digitale si aprono mondi abitabili prima impensabili.

Interessante anche l’evoluzione che stanno avendo i meta-aggregatori di GReader e altri (ne ho parlato qui): stanno nascendo luoghi web come ReadBurner oppure SharedReader dove senza alcuna registrazione voi fornite – se volete – il feed della pagina pubblica del vostro GReader per contribuire a far emergere folksonomicamente le notizie più condivise sul pianeta; nel contempo, potete ovviamente abbonarvi al feed del socialweb scelto, e ricevere nel vostro Reader le dieci cose più condivise oggi da migliaia di persone.
E nessuno ha detto che fossero cose importanti. Ma guarda caso emergono come cose importanti, se milioni di persone hanno ritenuto il contenuto meritevole di “passaparola”.

Una mossa educativa a questo punto dovrebbe concentrarsi sulla pratica di item-sharing, da intendere come la mossa minima del nostro essere al mondo, agendo almeno come (soggetti semiotici) inoltratori di informazioni e opinioni altrui, a nostro parere meritevoli di segnalazione; mostrare alle giovani generazioni come anche un semplice atto come cliccare un bottone dentro Google Reader diventa – come ogni tag che mettiamo, se inteso sistemicamente – un atto di scelta e responsabilità rispetto alla costruzione collaborativa di una narrazione polivocale degli eventi e degli accadimenti planetarii, che poi il web trasformerà in Storia dell’Umanità.

Esageriamo. Qui sappiamo che quello che sta cambiando è proprio il modo in cui stiamo scrivendo la Storia (o per lo meno le rappresentazioni mediatiche caratterizzate da produzione e distribuzione partecipate degli eventi storici).
Ed è ancora vero che la Storia la scrivono i vincitori? Ma i vincitori non possiederanno i luoghi dell’editoria; qui su Mondo 2.0 esistono storie, non Storia in senso 1.0.
Mi viene da pensare che in uno scontro di civiltà, di pianeti o etnie più che scrivere il testo ufficiale degli eventi, sarà più importante cancellare la memoria storica della collettività conquistata, inseguendo fino nei server più scassati ogni singola traccia mnestica elettronica, manifestazione di quella identità collettiva, un po’ come una volta (?) si distruggevano i templi altrui.

Tornando a noi, non lamentatevi di avere trecento feed da leggere se poi siete famosi per segnalare fuffa. In ogni caso, il meccanismo complessivo dovrebbe essere a prova di fuffa (sarà vero? o si tratta pur sempre di codici enunciativi e segni menzogneri e manipolabili con finalità marchettare?), tant’è che continuo ad avere fiducia nel fatto che la qualità emergerà dal giudizio di migliaia di persone (ad esempio, quel post meraviglioso su un blog che mi era sfuggito), se quelle persone riterranno l’item degno di condivisione. Atto (comunicativo) degno di menzione, reintrodotto nel circuito come un feedback carico di vissuto umano con cui migliorare il sistema stesso.

In fondo, vi è del numinoso in ogni relazione autentica con l’Altro, si sarebbe detto una volta.

 

Tecnoterritorialità e promozione sociale

  • Il territorio è natura e tecnologia
  • La Tecnologia è cultura contestualizzata molto spesso mal conosciuta
  • Ogni cultura e paradigma storico esprime una propria tecnoterritorialità
  • Siamo in una società glocale e biodigitale
  • Caratteri tecnoterritoriali della società contemporanea
  • Dalla tecnoterritorialità elettromeccanica ed elettromagnetica alla tecnoterritorialità digitale e web
  • Bisogno di nuovi comportamenti e nuove organizzazioni
  • La società del meticciamento
  • La società dell’iconolese e dell’anglese
  • Il borghi digitali e la geografia digitale
  • Verso una diversa urbanistica della doppia abitanza
  • Crescere nuove generazioni in crescita
  • Necessità di antropogia, paradosso della condizione adulta contemporaneo che ‘deve’ apprendere dalle ultime generazioni
  • Rischi di perdita della prima abitanza
  • Rischi di autismo informatico e onirismo mediatico
  • Una nuova creatività: la scoperta del glocale
  • La socialità in rete
  • La necessità di essere abitanti
  • Non si può esercitare la prima abitanza senza il contatto diretto con i luoghi
  • Non si può esercitare la seconda abitanza senza l’interazione nei siti
  • Si è veri abitanti se si ha la doppia abitanza
  • In un mondo complesso non si riesce ad essere soggetti attivi se non si esprime una socialità ampia che però non può poggiare solo sulla relazionalità interpersonale
  • Occorre la dimensione socioambientale
  • Dalla democrazia rappresentativa e della delega alla democrazia partecipativa
  • Riconquista di prospettive di progettazione partecipata

Parva sed

Su jannis.it ho via via messo diversi ambienti.

I primi siti erano html, poi avevo provato un FlatNuke, un PostNuke, poi avevo installato un robo tipo Gelato, un WordPress, e ultimamente il sito era solo un enoorme mp3player con dentro una canzone sola, Allegria, e due link, uno a questo blog e l’altro a LinkedIn o a ClaimID, secondo ispirazione.

Poi stanotte ho seguito una qualche segnalazione e sono arrivato a 3Dxplorer, che mi dà la possibilità di costruirmi un ambiente tridimensionale da mostrare ai visitatori; alla fine delle azioni di arredamento, salvo il progetto e prelevo il codice, proprio come in Youtube, e lo incollo in un index.htm che ho fatto col blocconote e che ho caricato in ftp. Stop.

In fondo, jannis.it è casa mia, e proviamo quindi a farle sembrare una casa vera.
Pian piano aggiungerò oggetti o migliorìe cromatiche, magari altri collegamenti oltre agli stessi di prima che ho messo sulla TV e sul quadretto.
Se avete un pc veloce, dovrebbe metterci 10 secondi a caricare l’interfaccia: poi muovetevi con le freccette o con il mouse.

State of the Net

Dal blog di Vittorio Zambardino su Repubblica, incollo qui un’intervista/chat a Sergio Maistrello dove si parla dell’evento “State of the Net” che si terrà a Udine durante Innovaction 2008, e dove poi si prosegue con qualche ragionamento sui comportamenti sociali della parte abitata della Rete, ad esempio in relazione al caso Grillo.

L’8 e il 9 febbraio a Udine si tiene “State of the Net”, lo stato dell’arte della rete, sarebbe il caso di dire “edizione italiana”. Fra gli organizzatori c’è Sergio Maistrello . Quasi per caso su Gtalk abbiamo cominciato a parlarne, e questa ne è la trascrizione, depurata ovviamente di tutte le cose che non c’entrano e delle rozzezze dell’editing veloce, più qualche link.

Tu organizzi State of the Net . Posso dire che se guardo l’immagine che avete messo sul sito (foto in alto a sinistra) capisco che è un altro convegno dove parlerete male dei media e poi andrete a mangiare?

Puoi dirlo, ma non sarebbe del tutto vero. State of the Net è un tentativo di inserire anche l’Italia nel circuito di conferenze internazionali dedicate agli sviluppi della Rete e alle sue influenze sulla società. Il che significa avere interlocutori internazionali (Winer, Mayfield, tanto per cominciare), ma anche uscire dagli angusti dibattiti locali. L’Italia è una provincia, vista con gli occhi di Internet. Si mangerà, certo, ma si parlerà anche con professionisti competenti, a cominciare dal tuo collega Mario Tedeschini Lalli, che non è certo uno che svende il ruolo dei media, no?

Beato Mario, che può girare per convegni e invidio molto il cibo, meno il vino che non posso bere. E sono d’accordo che siamo una provincia. Ma uno dei modi per non essere provincia è fare tendenza in proprio senza importare le idee degli altri. Almeno questo penso io

Hai ragione, ma forse è necessario che l’Italia maturi ancora un po’ per fare tendenza a sé. Siamo spesso capaci di grandi aperture, ma nel contempo abbiamo una retorica sulle cose di Internet e un racconto delle tecnologie da paese medioevale. Mi piace pensare che occasioni come State of the Net, nel loro piccolo, riescano a dare un contributo in questo senso. Quanto meno questo è lo spirito con cui stiamo organizzando la conferenza (non solo io, l’idea è di Beniamino Pagliaro, ci lavora anche Paolo Valdemarin e ci sostiene la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia).

Se ti chiedessi di fare la sintesi dei contenuti di state of the net in cinque righe, cosa mi risponderesti?

Due giorni, li abbiamo chiamati “oggi” e “domani”. Oggi parliamo di numeri, economia, esperienze aziendali, comunicazione allo stato dell’arte. Domani approfondiamo le influenze su informazione, società, politica e cultura. Il tutto condito da tre keynote di indirizzo: Dave Winer, Ross Mayfield e una sorpresa che annunceremo nei prossimi giorni. Sono stato in cinque righe?

Dipende da come si intende la lunghezza delle righe, in quelle delle 61 righe di giornale, no, ma quella è una misura antiquata, nella quale voi non volete stare, con qualche eccezione di giornali amici

Touché. Pensa che sulla rivista online che mi capita di dirigere (Apogeonline) ho sostanzialmente abolito le misure, entro limiti ragionevoli. Se parliamo di Internet, non mi riconosco nei tempi imposti dagli standard del web design: c’è spazio per tutti/tutto, decide il lettore. Se parliamo di giornali, invece, le 61 battute per righe sono un limite che da buon giornalista nato sulla macchina per scrivere tendo a onorare.

61 poi erano solo a Repubblica…, fai bene a citare il tuo Apogeo on Line che è una delle poche realtà di informazione tecnologica che leggo con piacere – insieme direi a Punto Informatico e ai ragazzi di VisionPost
Ora tu non pensi che sia venuto il momento in cui si potrebbe smettere con la fase della “rete che parla di sé” e cominciare con la parte abitata della rete (l’autore di questa definizione dovresti conoscerlo) che parla del mondo? E ne parla con i media, con le forze economiche… Perché così, dico, viene meglio fuori chi siamo, perché se uno è un soggetto economico con degli interessi non smette di esserlo solo perché abita la rete…

Sì, lo penso. E mi sento di dire che è pure lo spirito con cui nasce State of the Net: non intendiamo parlarci addosso di rete, ma parliamo di realtà a confronto con la rete o di scenari in cui soggetti economici o semplici cittadini del mondo si troveranno verosimilmente a vivere. Senza alcuna ancora ideologica. Voglio dire: non è necessariamente tutto perfetto, non è tutto scontato. Ne parliamo, appunto.

Avrai seguito i commenti al post di Gilioli sull’intervista mai fatta a Grillo. Si pone una questione che mi è cara: che secondo me le dinamiche base della rete possono essere girate e usate in modo ideologico, manipolatorio dell’informazione, in modo fortemente equivoco.
Il caso dei “grillini” dimostra che si tende a vivere come vere notizie ciò che sono solo affermazione apodittiche. Non pensi che sia ormai matura una critica delle forme di “coscienza”, di auto consapevolezza della rete?
Intendo gli stessi strumenti della reputazione, della discussione, della disseminazione noi li viviamo e io li propongo in ogni sede, anche non pubblica, come strumenti di democrazia, di cambiamento e rigenerazione dei media. Poi il primo esempio concreto in cui il fenomeno prende massa critica è invece un caso clamoroso di manipolazione

I meccanismi della reputazione e dell’autoregolazione del sistema abitato della Rete funzionano se giochiamo tutti allo stesso gioco. Grillo non sta giocando il gioco che spesso invece adora sbandierare ai quattro venti. Il caso Gilioli-Grillo ne è una conferma non tanto per l’intervista mancata, che pure è un segnale estremamente interessante, quanto per la completa assenza di ogni partecipazione del comico al vasto dibattito che questi giorni lo sta interessando. Che questo produca storture come la massa di sostenitori acritici che si automotivano per abbattere in modo violento e non costruttivo ogni critica sul loro guru, mi sembra una conseguenza (allarmante, certo) di un gioco della Rete condotto senza trasparenza, ascolto e confronto aperto. E che umilia chi, tra i sostenitori di Grillo, ci crede davvero e prova a percorrere la propria via al cambiamento. Questo, sia ben chiaro, al di là della battaglia in corso da Grillo, parlo di metodo. Quindi, per rispondere alla tua domanda: io credo ancora e molto nella coscienza e nell’autoconsapevolezza della Rete, come le definisci tu. E non riconosco Grillo come un prodotto della parte abitata della Rete, per quel che conta. Dimostra semmai che è necessario investire molto su un racconto serio di Internet, elevando gli anticorpi di ciascuno piuttosto che limitando la portata dello strumento o negandone parte delle virtù.

Purtroppo io sono meno ottimista di te: penso cioè che lo strumento (le tecnologie abilitanti) siaquello che è, una rivoluzione, ma come tutte le rivoluzione si porti dentro la sua degenerazione.

Io ho un’ispirazione gandhiana, in questo. La rivoluzione è dentro noi. Gli strumenti abilitano e modificano le percezioni. Ma il cambiamento dipende da noi, oggi come un secolo fa. Per questo la Rete, che pure è un’innovazione meravigliosa, da sola non serve.

E su Gandhi siamo tutti d’accordo, anche se Gandhi era contro le ferrovie e contro i farmaci.

Love Potion #9

Già nel marzo scorso vi raccontavo di questa canzone dei Searchers che poi è una cover dei Clovers, eppoi è uno dei pezzi che suono giù in cantina con l’avvocato e lo psicologo, e tanto per dire è uno di quei pezzi che metto vicino a Hey dei Pixies nella mia classifica personale delle Canzoni Più Migliori di tutti i tempi (il ragazzo è disturbato, ha detto il chitarrista, di cui oramai avrete intuito la professione; il batterista ha infatti aggiunto di non preoccuparmi, che pensava a tutto lui).

Ma ne torno a parlare volentieri, della canzonetta della Pozione Magica n.9, perché ho trovato questo video in cui magari un ragazzo dicianovenne del North Carolina bricolando e inventandosi tutta una messa in scena basata su pezzi di video di animazione grafica presi da SecondLife o Mondo equivalente ne ha fatto un gustoso siparietto dove i personaggi mimano le azioni descritte nella canzone e insomma Frankenstein che non combina dal 1956 e singhiozza e allora va dalla maga per il filtro d’amore e poi bacia il poliziotto mi fa ridere. Ma perché il mostro di Frankenstein? Già qui cominciano i mescolamenti.

Bricolare come “fare un uso creativo e virtuoso di qualsiasi materiale càpiti sottomano (indipendentemente dal suo scopo originale). […] Bricolage è un approccio progettuale [design] – nel senso di costruire per prova ed errore, congettura e confutazione – spesso contrapposto a ingegnerizzazione, quest’ultima considerata come costruzione maggiormente basata sulle cognizioni teoriche” (traduzione al volo della voce su wikipedia).

Si può dire che un approccio bricolage sia più attento ai famosi segnali deboli? Ovvero ipotizziamo che sia maggiormente adatto a cogliere questi nuovi grumi di senso che emergono come attrattori strani nei frattali, si diceva, sulla superficie dei nostri mediascapes Paesaggi Mediatici, come un roteare apparentemente casuale di foglie nel vento di un cortile, che però poi sanno bene dove accumularsi.

Immaginatevi questi diciannovenni che ravanando di qua e di là possono rimodellare oggetti culturali, straniare il messaggio introducendo elementi surreali, riposizionare i contesti come nelle infinite stanze delle parodie sulle parodie, producendo e distribuendo a loro volta le loro opere magari con l’indicazione specifica che qualcuno possa riprenderle e reintrodurle nel meccanismo di variante/assimilazione. Gnamgnam, mi viene da pensare, e tengo fermo come limite il sincretismo culturale, quel possibile pentolone del futuro dove tutto (oggetti culturali e punti di vista) sarà omogeneo in quanto da lungo tempo rimestato e mescolato (mashuppato).

Oppure proiettiamoci nel passato: mettiamo che a un contemporaneo di Gutenberg, diciamo verso il 1480, sia venuto in mente di inventare i giornali quotidiani, che avrebbero visto la luce solo un paio di secoli dopo. Come avrebbe potuto raffigurarsi mentalmente la forma che avrebbe assunto l’industria dell’editoria mondiale nei secoli a seguire? La funzione e il ruolo sociale della stampa? La professione di reporter? Le “Lettere al Direttore” e i romanzi d’appendice? Quale baratro si spalanca ai suoi piedi, mentre si interroga su ciò che non può conoscere né raffigurarsi?

Il mio pensiero gira sempre intorno a questi interrogativi. Ma perché non vado a fare una corsa ogni tanto? No, meglio. Vado a suonare il basso appalla.

Nasce la Storia

La fine della pre-Storia

Nel momento in cui il “personale” diventa “pubblico” nasce un’estetica completamente nuova, e un’enorme porzione delle interazioni sociali, normalmente invisibili, viene memorizzata per sempre. Come nota Charles Stross, stiamo vivendo la fine della “pre-Storia”, gli ultimi giorni della storia-patchwork umana. Le vite di domani saranno ricordate dagli storici di dopodomani con strabiliante chiarezza e lucidità, ricostruite attraverso l’enorme massa di blips, twits e cirps emessi dai nostri software sociali.

Comparate a queste, le nostre vite attuali sembreranno opache e inimmaginabili come quelle vissute dai nostri progenitori che hanno abitato la stessa caverna per duecentomila anni, generazione dopo generazione, lasciando come unico ricordo nulla di più persistente di qualche osso sparso per terra.

Cory Doctorow sui diritti degli artisti. Ovvero come capire il copyright senza avvocati. :)

Fonte: Bookcafè

Città always-on

In questo blog miracolosamente intatto dopo un parziale rifacimento grafico, esordisco nel duemilaeotto con un post squisitamente gangherologico.

Mi trovo infatti a riflettere sulla forme di arredamento urbano da progettare per marcare quei Luoghi territoriali connotati dalla presenza di interfacce verso i Luoghi di abitanza digitale. Ovvero, dove la città atomica e quella digitale si toccano incontrandosi fisicamente in una interfaccia, come un totem elettronico o una panchina-wifi in una piazzetta (interfacce come i polmoni, come le stazioni, come i rituali) .

La tecnologia TIC diventa visibile nei paesaggi urbani, mostra le intersezioni dei nostri ruoli sociali nelle comunità biodigitali, con i nostri movimenti e le nostre tracce attraverso le città, e la nostra interazione con i Luoghi e gli artefatti pubblici.

Mimetizzare questi manufatti? O al contrario evidenziarli e connotarli, rendendoli espliciti segni di valori di abitanza biofdigitale? Luoghi sociali fisici di partecipazione mediatica? Come rendere visibile la rete dell’e-democracy? Come proporre delle attività sociali, che siano utili per scoprire rapidamente nuovi utilizzi urbani delle TIC e suggerisca delle metriche per la valutazione degli interventi, che siano provocatorie (un approccio tipo land-art?) eppure facilmente fruibili per il cittadino? Come progettare interventi sociali che diano buone indicazioni di feedback da reintrodurre nel ciclo di progettazione, ma capaci al contempo di far esperire dimensioni di socialità anche ludica o foss’anche politicamente partecipativa, però sempre con un approccio light, consapevole della user e della group experience? Conviene ragionare per “incursioni sul territorio”, dove dislocare improvvisamente interfacce anche temporanee d’interazione, piuttosto che proporre subito strutture disegnate e costruite in cemento? E dentro quale clima affettivo avverrà il cambiamento dei comportamenti? E’ possibile ipotizzare un certo orgoglio cittadino per la modernità e la qualità dell’offerta dei servizi, su cui poter contare per approntare quei contenitori di comunicazione adeguati alla partecipazione delle collettività dove emergeranno sentimenti di appartenenza e di identità personale e gruppale?

Telefonini, megaschermi, twittervision e flickrvision, blog urbani, webtv dal basso, rilevazioni dei flussi delle collettività, segnaletica dell’abitanza… sarà da colorare degli angoli della città di arancione e dipingere su un muro il logo del feedrss, per indicare le Luoghi territoriali caratterizzati dalla presenza di molte porte pubbliche verso la città digitale? E come sono fatte queste porte (ecco il gangherologo che si agita)?

Di porte di questo tipo, capaci di mettere in contatto due mondi, a me vengono in mente quella di Stargate, il filmone, e lo specchio di Alice. Entrambe ad un certo punto diventano “liquide”, attraversabili. La trasparenza delle interfacce.

Ragionarci sopra, a tutto ciò, include l’obiettivo delle scienze sociali di raccogliere informazioni circa l’uso e gli utenti della tecnologia in un mondo reale, l’obiettivo ingegneristico del test sul campo delle tecnologia impiegate, e l’obiettivo progettuale di ispirare gli utenti e progettisti ad immaginare nuove forme di tecnologia per sostenere le loro necessità e i loro desideri, o viceversa a rendere praticabile delle forme di socialità interumana prima mai esperite.

Ed è giusto sottolineare, decrescendo felicemente, che la tecnologia TIC del networking e del socialweb, esondando dagli uffici e riversandosi nelle strade e nelle case, non deve necessariamente recare con sé tracce di quei valori riferiti al “luogo di lavoro”, come l’efficienza e la produttività a scapito delle altre possibilità. Se sperimentazione ha da essere, in questi tempi pionieristici, allora che sia libera e coraggiosa, e talvolta magari financo un po’ futile ma divertente, nella consapevolezza che dal moltiplicarsi delle pratiche spontanee di Doppia Abitanza emergeranno immancabilmente i nuovi comportamenti sociali delle collettività connesse.

Progettare interfacce biodigitali

Progettare interfacce biodigitali per arredare gli spazi urbani, in quei Luoghi territoriali dove la città atomica e la città digitale si toccano.

Antenne, monitor, totem interattivi, segnaletica, iconografia, urbanistica digitale, e progettazione di percorsi di Abitanza.

Segnalo questo ottimo articolo di Putting People First, dove viene descritto un bel progetto Intel: “Le Atmosfere Urbane è un progetto che (video) esplora come le persone che vivono in città possono voler utilizzare la tecnologia, come questa possa aiutarli a sviluppare un senso di appartenenza e di comunità o giocare un ruolo importante nelle loro esperienze emozionali di vita urbana.”

Le città del futuro

Una riflessione di Luca De Biase, da qui.

Le città del futuro

Argomento appassionante, le città. Perché sono il principale contesto esistenziale della maggior parte della popolazione mondiale (secondo l’Ocse). Perché sono generatori di senso e di fatica di vivere. Perché ci parlano del progetto, implicito o esplicito, sul quale la comunità a noi più vicina sembra avere per costruire il futuro.Le città sono reti di relazioni e connessioni. Spesso si pensano come insiemi di case e strade appoggiate su un territorio, ma sono essenzialmente le persone che le abitano. Si attraversano in orizzontale ma nascondono gerarchie talvolta inestricabili. Sono piene di segni e di storia. Sono piene di sofferenze e di indifferenza. Le città sono la rivincita della geografia sulle tecnologie che si pensava le abolissero.

Sono il luogo dal quale parte la disperazione. Ma anche il centro dove nasce la costruzione del futuro. Il paesaggio industriale lascia quotidianamente il posto al paesaggio della conoscenza. Ma è una trasformazione che possiamo pensare. Dedichiamo tanto tempo a pensare internet, ma vale la pena di dedicare altrettanto tempo a pensare la città. In fondo, le nozioni di internet e di città hanno molto in comune…

Ecco alcune riflessioni sulla città che immagino si prepari a costruire il futuro:
1. La città migliore pensa al lungo termine. Il che si vede dalla sua capacità di raccontare la sua missione, identità, visione. Di definire il suo progetto. Di costruire il consenso. Di lasciare scorrere il dibattito e l’informazione libera. Per questo ci vuole, anche, una classe dirigente che sia davvero animata da uno spirito di servizio per la comunità. E una buona rete di relazioni tra università, autorità, innovatori.
2. Emergono indicatori che danno il senso dei risultati ottenuti nella direzione progettuale di lungo termine: infrastrutture e investimenti in ricerca, dotazione tecnologica e stato dell’educazione, attrazione di talenti e accessibilità, connessioni interne e collaborazione tra i cittadini, valorizzazione e produzione di cultura, ambiente e sanità…
3. Si dà un sistema di valutazioni della qualità dei sistemi incentivanti per lasciar fiorire una quantità sufficiente di iniziative tale da trasformarla in un laboratorio continuo nel quale si sperimentano le idee nuove.

Lo so… Si dicono queste cose e poi ci si guarda intorno… Ma l’utopia è una disciplina da coltivare. Imho.

governoinforma.it

In aprile scorso con un decreto è stata istituita la struttura di missione per la comunicazione del Governo; come conseguenza ad un certo punto è nato il magazine online del governo italiano, lo sapevate? Si chiama governoinforma.it, mi sembra progettato con l’intenzione esplicita di offrire una comunicazione rapida e pulita delle tematiche istituzionali, e prevede aree di interazione.C’è perfino un copyleft, apperò, dove leggo che posso fare quello che voglio dei contenuti purché citi la fonte e per uso non commerciale. Mi par chiaro che the-times-they-are-a-changing.

Interessante anche lo spazio (troppo denso) dato alla descrizione dei contenuti del progetto e al loro allestimento grafico sulle pagine, e allo stile di comunicazione da adottare, come narrato da apposito .pdf dedicato proprio alle “Linee di stile” per la comunicazione pubblica, edito da governoinforma.it a fine novembre.

Secondo me, tutta la redazione ha LuisaCarrada nell’aggregatore.