Archivi autore: Giorgio Jannis

Web20, scuola, wiki: il cambiamento necessario

Metto qui un’interessante presentazione di Luisanna Fiorini, insegnante ed esperta di nuove tecnologie, dedicata ai cambiamenti sociali in atto, alle nuove webtecnologie, alla scuola e alle tematiche dell’apprendimento. La seconda parte prende in considerazione inoltre l’utilizzo dei wiki nell’uso didattico.

Credo sia importante sottolineare l’affermazione secondo cui in questo momento storico è vitale puntare in maniera decisa verso l’aggiornamento delle competenze di cultura digitale possedute dagli insegnanti, proprio per far fronte alla consapevolezza di una sostanziale non adeguatezza della scuola rispetto alla preparazione culturale da passare alle nuove generazioni, al fine di rendere queste ultime pronte ad abitare in un mondo necessariamente 2.0.

Di un insegnante che non sappia ragionare di blog e di podcast, che non sappia riflettere sul valore della folksonomia, che non comprenda la filosofia opensource e la società della conoscenza, oppure le nuove forme di abitanza digitale, semplicemente non mi fido. Non lo ritengo in grado di preparare i giovani al futuro, tutto qui.

Iniziative sulla webtv

Fonte: Innernet

Si chiama vogliamolawebtv il Movimento per una tv di qualità e l’informazione dal basso che raccoglie, in una sola home page, i volti degli italiani che dicono basta alla pessima tv generalista, commerciale, povera di contenuti, diseducativa. poco attenta ai grandi temi sociali.

Genitori, studenti, insegnanti, attori, psicoterapeuti, imprenditori, manager, musicisti, blogger e tanti altri hanno già aderito, alcuni anche con un video amatoriale in cui spiegano perché auspicano l’avvento di una nuova tv su web, più libera e democratica. Ma bisogna diffondere il tam tam in Rete. Bisogna essere in tanti.

Uno dei motivi per cui l’Italia è in declino sul piano sociale, economico e spirituale è perché, a mio avviso, stiamo subendo da circa vent’anni un poderoso inquinamento televisivo, e dunque mentale, che ci mostra un’Italia fatta di concorsi, veline, lacrime finte, nomination, reality, canzoni, pacchi e premi, aggressioni verbali, vip e roba del genere. Soprattutto: una informazione televisiva censurata, manipolata, controllata. La web tv, al contrario, può fare la differenza.

Video prodotti dal basso e dagli utenti, nessuna necessità di ottenere concessioni televisive, investimenti ridotti. Dunque una possibilità concreta di produrre contenuti di qualità e interessanti, che nutrono la mente e l’anima.

Se proprio dobbiamo guardare la tv, allora che sia di qualità. Personalmente, come spesso ripeto dal mio blog, la tv italiana è infetta e diseducativa. Io non la guardo. E’ una tv imposta dall’alto. Ma le cose possono cambiare: io mi batto per un’ecologia dell’informazione, soprattutto per i tanti giovani di questo Paese. Ed anche per le mamme e i papà che desiderano un mondo migliore per i propri figli e non si rispecchiano nella cattiva tv italiana, che veicola modelli molto discutibili. Posso assicurarvi, siamo davvero in tanti a non poterne più di questa pessima tv italiana.

Come presidente di Netdipendenza Onlus sono impegnato in progetti e iniziative che possano limitare la dipendenza dagli schermi. E la tv che abbiamo in Italia, imposta da un cartello politico e finanziario, induce la passività, il sonno delle menti, e ciò può favorire la dipendenza. Dunque, se proprio bisogna guardare la tv, allora che sia una tv di qualità.

Contribuiamo alla nascita di una web-televisione che migliora l’uomo. Una tv dove e’ possibile scegliere i contenuti e produrre notizie dal basso, per una ecologia della mente e dell’ambiente. E’ possibile sperare in questo paradigma? Si può credere che la web tv sia l’alternativa alla pessima tv di oggi? Io credo di sì. La Rete appartiene soprattutto alle nuove generazioni: sono loro i principali protagonisti.

Chi sceglie la Rete, a qualunque età anagrafica e specialmente i blogger, è gente che pensa con la propria testa, cerca, s’informa. Gli utenti stanno dominando la Rete con una informazione prodotta dal basso e le grandi aziende si adeguano. Dunque, credo che web tv possa sposare una nuova filosofia: cultura e qualità. Ci sarà comunque anche il peggio in Rete, è certo. Ma chi vuole contenuti migliori li troverà. Oggi, invece, sulla tv pubblica e privata non trova niente di interessante. E’ una sfida interessante: voi che ne pensate?

Sia chiaro: il mondo in cui viviamo lo hanno creato anche gli schermi. E gli schermi lo possono cambiare. Le grandi multinazionali che impongono modelli di sviluppo cosa sarebbero senza i milioni di schermi che per decenni hanno promosso i loro prodotti? Crescere, consumare, produrre. Per un certo periodo e’ andata bene, ma ora le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

La pubblicità, veicolata da milioni di monitor, ha contribuito a rendere fragile l’ambiente in cui tutti viviamo. Le aziende hanno una grande responsabilità, certo. Ma non sapevano guardare oltre. Ci sono case automobilistiche che per anni hanno pubblicizzato auto inquinanti, ed ora si convertono all’ambiente per vendere veicoli a emissioni zero. Potevano pensarci prima? Eppure, ancora oggi, commissionano spot di auto che sfrecciano sui mari, sulle colline, tra i monti innevati, ben sapendo che chi le compra le usa in città. Dovrebbero invece realizzare spot di auto elettriche, solari, che si muovono in città senza emissione e senza rumore.

Questo significa guardare lontano. Ecco: bisogna cambiare modello di pensiero, partendo dal basso. Bisogna produrre contenuti sani, ecologici, e ora la Net Tv lo permette. La generazione del Terzo Schermo, a mio avviso, può determinare in Italia il cambiamento: i giovani devono studiare la tecnica televisiva (libri alla mano ragazzi!) per produrre (con pochi soldi) contenuti più interessanti. Lo chiamano citizen journalism (giornalismo partecipativo) o informazione dal basso. Video di pochi minuti, montaggio ben fatto, un tema interessante che fa riflettere.

I primi esperimenti di web tv, nel mondo e in Italia, sono nati dall’impegno dei giovani. Prendete l’esempio di Max Haot di Mogulus.com Oppure i ragazzi di Streamit.it. O Tommaso Tessarolo che porta in Italia Current Tv. Sono tutti giovani. E scelgono la “free Net-Tv”.

Gli italiani che non guardano più la tv tradizionale sono in forte aumento. Sono stanchi, perché hanno poca scelta. Girano canale e trovano sempre gli stessi format: canzoni, lacrime e risse. Sempre le stesse facce. Il Moige (movimento italiano genitori) ha denunciato innumerevoli volte i programmi diseducativi, infarciti di modelli effimeri e litigiosi, che i giovani subiscono. E’ materiale avariato. Roba che non aiuta a pensare.

L’Italia è stanca dell’inquinamento televisivo, che poi e’ inquinamento mentale. A sostegno di questa tesi ci sono ricerche serie, come quella di 60 psicoterapeuti che hanno analizzato i contenuti della tv italiana: sono arrivati alla conclusione che e’ ansiogena, diseducativa, stressante. Capite? Un tv malata genera persone malate. E in agguato c’è anche il rischio videodipendenza, cioé vivere passivamente incollati a uno schermo.

Il guru della pubblicita’ Kevin Roberts (Saatchi & Saatchi) parla di Screen Age (era degli schermi) e afferma: “I lovemarks si possono trovare ovunque, ma nell’epoca dell’attraction economy due sono i luoghi che contano: sullo schermo e in negozio. Nel XXI secolo il numero di schermi nelle nostre vite continua a crescere: cellulari, computer, cartelloni pubblicitari digitali e televisori ovunque. In questo mondo di schermi i consumatori si possono collegare subito on line o dal cellulare e interagire coi prodotti cui sono interessati.”

Bene. Se allora dobbiamo vivere nel mondo degli schermi, allora veicoliamo contenuti sani, culturali, ecologici, spirituali, riflessivi, che mostrano il lato bello del mondo. Chiediamo a gran voce in Italia una web tv che tenga conto dell’ecologia dell’informazione. L’Italia ha un ruolo importante: dopo anni di tv mediocre imposta dall’alto dalle logiche politiche e di potere lobbista, ora possiamo cambiare. Il movimento per l’Informazione dal basso è fatta di gente che ci mette la faccia. Attraverso Internet afferma: vogliamo una nuova tv.

Educazione civica, e-Democracy

Introdurre i giovani alla politica e ai meccanismi che stanno alla base dei processi decisionali in modo semplice ed interattivo. Oggi tutto questo è possibile come dimostra il nuovo progetto del Consiglio regionale Veneto, Civil Life. L’iniziativa, presentata alcune settimane fa nel corso della rassegna “Dire e Fare nel Nord-Est”, rientra nei piani di e-democracy della Regione Veneto ed è stata pensata con un obiettivo preciso ed ambizioso: rimuovere tutti gli ostacoli che possono compromettere il dialogo fra la Scuola veneta e l’Istituzione regionale. Un risultato che può essere raggiunto facilmente se il dialogo fra politica e scuola avviene con i linguaggi interattivi che caratterizzano il web e che rendono più immediata la comprensione dell’attività del Consiglio regionale.

Una sezione di “Terzo Veneto”, il portale dedicato dalla Regione Veneto all’e-democracy, ha sviluppato un sistema informatico per favorire la partecipazione degli studenti con tecnologie quali forum e sondaggi interattivi. A questi si affiancano però anche due proposte multimediali di “educazione civica”. Dal sito del Consiglio regionale sarà possibile simulare una visita virtuale a Palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio, ed effettuare così un percorso nelle sale di maggior interesse storico-architettonico alla scoperta delle attività istituzionali. La visita virtuale offre la possibilità di muoversi all’interno delle sale attraverso alcune animazioni e di ascoltare l’audio-guida descrittiva.
Per spiegare ai giovani la vita democratica e politica, il Consiglio Regionale ha deciso di coinvolgere gli studenti anche nella sperimentazione di un innovativo videogioco: “Election Play, il videogioco della democrazia”.
Utilizzando il modello dei giochi di ruolo, Election Play vuole dare, a giovani e meno giovani, l’occasione di confrontarsi con le prove cui deve sottoporsi chi intende presentarsi al confronto elettorale: stesura di un programma, scelta dei candidati, impiego dei media, confronto pubblico, insidie e trabocchetti degli avversari politici. All’interno del videogioco l’aspetto ludico si fonde con la funzione didattica. Ogni studente ha il compito di raggiungere il punteggio più alto superando anche prove che richiedono di raccogliere informazioni e documenti sulla struttura, le leggi e molti altri aspetti della realtà italiana.

L’idea di utilizzare un videogioco a scopo didattico può rappresentare un’interessante esperimento anche per quanto riguarda l’insegnamento della storia. La Provincia di Bolzano sta sviluppando, a questo proposito, un gioco on-line che aiuterà gli studenti a comprendere meglio la stora della loro terra. Il video-game sarà on-line per il 2009 in occasione del 200esimo anniversario dell´insurrezione guidata dal patriota tirolese Andreas Hofer contro Napoleone. Proprio quest’evento sarà il tema del game che cercherà di mettere in contatto gli studenti con la storia tirolese in maniera ludica e interattiva, dando spazio non solo alle vicende storiche, ma anche alla cultura e alla natura.

Fonte: Sophia.it

Schiaffo a Microsoft, l’Ue sceglie l’open source

Che tra il commissario europeo alla concorrenza Neelie Kroes e Microsoft non corresse buon sangue è cosa nota: negli ultimi quattro anni ha inflitto al colosso di Redmond sanzioni per circa 1,68 miliardi di euro. Con la sua ultima uscita in favore del «software libero» poi, la responsabile Ue ha tolto ogni dubbio. «So riconoscere una scelta imprenditoriale intelligente e preferire programmi open source è una di queste» ha detto Neelie Kroes in una conferenza stampa di Bruxelles. «Nessuna azienda o cittadino dovrebbe essere costretto ad adottare una tecnologia chiusa» ha proseguito.

La Kroes ha citato direttamente il comune di Monaco, che da settembre ha adottato il sistema operativo Linux al posto di Windows e il suo paese, l’Olanda, dove Governo e Parlamento si sono impegnati ad utilizzare software libero. «Le istituzioni comunitarie hanno molto da imparare da questi esempi. Il problema dell’interoperabilità è molto importante. Per affrontarlo nel migliore dei modi, è meglio evitare di affidarsi ad unico committente. Ciò significa compromettere il controllo totale sulle informazioni» ha puntualizzato.

Nel suo discorso, il commissario ha evitato di parlare apertamente di Microsoft, il primo produttore di software al mondo, ma il riferimento all’azienda guidata da Steve Balmer è risultato evidente. «Prima d’ora non c’è mai stata, nella storia del commissariato, un’azienda che è stata condannata per due volte consecutive in un caso di concorrenza» ha detto sottolineando il rischio che corre Microsoft.

Ed è proprio sulla scarsa interoperabilità dei programmi del colosso di Redmond, che si sono registrati gli scontri più duri tra Unione europea e l’azienda. Microsoft è già stata sanzionata per abuso di posizione dominante nel mercato dei media software (Windows media player) ed è stata bacchettata anche perché i suoi sistemi operativi hanno dei limiti a comunicare con i server. Nei mesi scorsi poi, la Kroes ha aperto altre due inchieste su Internet Explorer e sulla suite Office. L’accusa è sempre la stessa: essere poco compatibile con altri programmi e quindi costringere privati e aziende ad acquistare solo prodotti della stessa famiglia violando in tal modo la normativa antitrust dell’Unione europea. Microsoft, che lo scorso 21 febbraio si è formalmente impegnata a migliorare l’interoperabilità dei suoi programmi con quelli dei suoi rivali, non ha commentato le parole del commissario Kroes.

Fonte: Sole24ore

Anche YouTube fa booty

Ma chi sono i partner commerciali di YouTube?
Questa la storia: vedo un bottone nuovo su YouTube Italia, che mi chiede se voglio visualizzare, tra i video più visti, anche quelli dei cosiddetti “partner”. Partner di chi? Di Travaglio, il primo della lista? Dei sistemisti che lavorano sul Tubo?

Senonché, clicco.

E mi compare una lista un tantinello diversa, decisamente popolata di femmine discinte, variamente agghindate e congelate nelle tipiche posizioni esibizioniste, secondo l’iconografia classica dei siti pornelli. Ah, quindi qui si intende “partner” proprio in quel senso.

Procedo nelle indagini. Dal glossario di YouTube, apprendo che “Partner (account type) – There is a page under the channels tab with videos from our major content partners”, quindi quelli che si comprano un account speciale beneficiano di una scorciatoia, grazie alla quale i loro video vengono mostrati per bene in una pagina a sé stante.

E siccome dall’invenzione dei massmedia in qua (ad esempio, vasi greci di duemila e cinquecento anni fa) sappiamo che le cose che riguardano il sesso sono ricercate molto più dei pantografi o delle mongolfiere ad aria calda, ecco che i video con contenuti osé salgono più in alto nelle classifiche generate dai comportamenti degli utenti.

Quindi, ricapitoliamo.
YouTube offre visibilità speciale ai propri partner commerciali, ovvero ai fornitori di contenuti; questi ultimi produrranno senza dubbio cose di vario genere, ma di certo pubblicano anche materiale bollente; i fruitori ovvero i soliti milioni di persone cosa possono fare se non folksonomizzare… e infatti ciò che emerge sono le solite cose che si vedevano sui vasi greci, radunate per bene sulla pagina dei *più visti*.

E perché dico tutto questo? Perché mi stavo costruendo un’idea piuttosto romantica, sdolcinata e eroica di YouTube durante la tempesta che si protende verso il cielo urlando la propria indignazione contro il Fato del pornello dilagante, e invece non solo cominciano a essere migliaia le ragazze che ballano seminude nelle loro camerette di adolescenti più o meno ribelli e spediscono video ripresi con la cam, ma i partner ufficiali stessi di YouTube producono cose pornelle e poi invadono gli spazi, usufruendo anche di canali privilegiati.

Uffa.
Parliamoci chiaro, se voglio vedere video di Adolescent Sex vado su pecorine.net e magari trovo anche scene riprese nei bagni del mio liceo… però il sito si chiama così, ci sarà un motivo, so cosa mi aspetta, se la gente ci va ci sarà un motivo, sennò chiuderebbe.
A me scoccia che tutto questo booty sia anche su YouTube, ecco. Che poi le maestre delle primarie non possono usarlo a scuola, e i genitori fanno una capa tanta ai dirigenti scolastici, i quali poi non capendo niente di educazione alla Cultura Digitale (normale ambiente di crescita dei minori) impediscono ai docenti di aprire dei blog, di fare le foto e i video e le webtv come una scuola elementare seria dovrebbe fare oggidì, per abitare la Rete.

Le otto R di Latouche – verso la Decrescita

Copioincollo da questo bel blog “alternativo” di Daria e Marco.

Sommario: La “società della decrescita” presuppone, come primo passo, la drastica diminuzione degli effetti negativi della crescita e, come secondo passo, l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita: ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo processo comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica.

La “società della decrescita” presuppone, come primo passo, la drastica diminuzione degli effetti negativi della crescita e, come secondo passo, l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita: ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo processo comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica.

Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che devono esser cambiati. L’altruismo dovrà prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro, la cura della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, il bello sull’efficiente, il ragionevole sul razionale. Questa rivalutazione deve poter superare l’immaginario in cui viviamo, i cui valori sono sistemici, sono cioè suscitati e stimolati dal sistema, che a loro volta contribuiscono a rafforzare.

Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso. Questo cambiamento si impone, ad esempio, per i concetti di ricchezza e di povertà e ancor più urgentemente per scarsità e abbondanza, la “diabolica coppia” fondatrice dell’immaginario economico. L’economia attuale, infatti, trasforma l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente mancanza e bisogno, attraverso l’appropriazione della natura e la sua mercificazione.

Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita, così da orientarli verso una società di decrescita. Quanto più questa ristrutturazione sarà radicale, tanto più il carattere sistemico dei valori dominanti verrà sradicato.

Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale. Di conseguenza, ogni decisione di natura economica va presa su scala locale, per bisogni locali. Inoltre, se le idee devono ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali devono invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai trasporti (infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra e cambiamento climatico).

Ridistribuire. Garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza, assicurando un lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose per tutti. Predare meno piuttosto che “dare di più”.

Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare che gli orari di lavoro. Il consumo di risorse va ridotto sino a tornare ad un’impronta ecologica pari ad un pianeta. La potenza energetica necessaria ad un tenore di vita decoroso (riscaldamento, igiene personale, illuminazione, trasporti, produzione dei beni materiali fondamentali) equivale circa a quella richiesta da un piccolo radiatore acceso di continuo (1 kw). Oggi il Nord America consuma dodici volte tanto, l’Europa occidentale cinque, mentre un terzo dell’umanità resta ben sotto questa soglia. Questo consumo eccessivo va ridotto per assicurare a tutti condizioni di vita eque e dignitose.

Riutilizzare. Riparare le apparecchiature e i beni d’uso anziché gettarli in una discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società dei consumi, dell’obsolescenza degli oggetti e la continua “tensione al nuovo”.

Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività.

Paleofuturo

Dovremmo essere tutti futurologi, e il fascino che hanno sempre avuto le visioni del domani è lì a confermare la vertigine del pensare ciò che potrebbe essere. O ciò che avrebbe potuto essere, ma non fu, nel caso in cui fossimo nella posizione di vivere nel futuro rispetto ai visionari di un secolo fa, e quindi ci permettiamo di giudicare le intuizioni di questi ultimi alla luce delle innovazioni tecnologiche successive.
Che sogno, vero?, poter essere connessi alle news geotaggate del pianeta in maniera multimediale, con i feed che arrivano per posta pneumatica. Da notare anche il pannello di controllo a sinistra, per selezionare le categorie.

L’immagine è del 1911, tratta dalla rivista Life; l’ho trovata qui.
Il movimento inverso, ovvero il bloggare credo fosse fuori dalla pensabilità dell’epoca, o perlomeno il pensiero di poter ciascuno di noi esprimere (liberamente, pubblicamente, globalmente) il proprio punto di vista, stazionava ancora nei regni di una fantasia che nessuno sapeva come tradurre in realtà.

No al bollino SIAE

In Italia molti reati previsti dalla legge sul diritto d’autore ruotano intorno al bollino SIAE (come elemento costitutivo e fondamentale); essendo quest’ultimo stato dichiarato inopponibile al privato, non è più necessario metterlo sui supporti. Tutta la notizia su PuntoInformatico, da GuidoScorza e da Quintarelli.

Anzi, proprio nel blog di Quintarelli viene riportata la conclusione di DanieleMinotti, che incollo qui: “Il contrassegno SIAE su supporti audiovisivi, software e banche dati già per effetto della sentenza di Lussemburgo non è obbligatorio. Chi vi chiede di apporlo, a pagamento, vi imbroglia, vi ruba i soldi.”

Vediamo di essere ottimisti.

Cultura Tecnoterritoriale su Apogeonline

Su Apogeo trovate un mio articolo, tutto dedicato alla Cultura Tecnoterritoriale e all’Abitanza digitale.

Ok, lo incollo qui.

Per una cultura tecnoterritoriale

Abitiamo territori biodigitali, costruiamo oggetti sociali, progettiamo sistemi complessi, espandiamo reti relazionali, popoliamo paesaggi mediatici, agiamo sul futuro. Ma le grammatiche con cui impariamo a leggere il mondo sono datate e non ci aiutano a interpretare.

Nei primi anni Settanta, quando con il microprocessore e il DNA ricombinante s’inventava la modernità post-industriale caratterizzata dall’operatività tecnologica nel dominio del microscopico, vanno rintracciate le avvisaglie dell’epoca di cambiamento che gli Esseri Umani stanno ora attraversando. Da allora, le applicazioni concrete delle innovazioni tecnologiche che arredano la nostra quotidianità hanno trasformato radicalmente gli ambienti di vita e le forme della socialità delle collettività benestanti, introducendo necessariamente al contempo nuovi schemi di pensiero e nuove assiologie di valori: come si suol dire, negli ultimi venticinque anni dello scorso secolo il mondo è cambiato tanto quanto nei due secoli precedenti.

Dalla consapevolezza che una modificazione così profonda degli habitat umani non può rimanere esterna agli individui e alle collettività (vedi Longo, Homo technologicus), ma anzi innesca quei comportamenti sociali concreti da cui poi le persone e i gruppi traggono senso di identità e di appartenenza ai Luoghi, sorgono alcuni interrogativi relativi alle modalità stesse con cui “leggiamo” queste trasformazioni del nostro abitare i territori biodigitali, domande che dovrebbero innanzitutto riguardare riflessivamente proprio la nostra stessa capacità di interpretare la realtà in rapido mutamento. Sappiamo leggere e interpretare? Ovvero abbiamo con noi delle grammatiche aggiornate per decodificare senza troppe scommesse epistemologiche il funzionamento dei nostri ambienti di vita, per poter poi meglio decidere tutti insieme sulla qualità e sul significato della parola “ben-stare”? Stiamo indossando il giusto paio di occhiali? O, prima ancora, sappiamo di indossare un paio di occhiali, quando guardiamo le nostre città, i territori degli insediamenti umani? Se siamo stati culturalmente formati – poco – a cogliere le macro-entità del mondo industriale (ciminiere, capannoni, ipermercati, dighe), siamo oggi in grado di cogliere i segni di una modernità post-industriale fatta di manufatti miniaturizzati oppure totalmente immateriali come nelle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione?

Rimane fermo il fatto che una comprensione del nostro Abitare i territori fisici o digitali in termini di Cultura TecnoTerritoriale potrebbe esserci d’aiuto nella costruzione di modelli interpretativi adeguati alla complessità delle dinamiche sociali in atto, perché i valori propri della Cultura Tecnologica – la consapevolezza di agire sul futuro, la capacità di una progettazione sistemica e contestuale, la necessità di concepire comunque reti per la distribuzione di materia, energia e informazione – permettono di leggere il territorio e i flussi antropici con l’ausilio di grammatiche potenziate e affinate da nuovi sistemi di significazione, in grado di rendere percepibili i flussi fisici delle collettività, le reti relazionali e i processi comunicativi delle rappresentazioni culturali nei paesaggi mediatici.

La consapevolezza dell’abitare in un luogo biodigitale per me è arrivata appunto riflettendo, grazie a buoni libri e a insperati incontri, sulle caratteristiche ormai intimamente tecnologiche dei territori fisici degli insediamenti umani. Sappiamo come in ogni tempo e a ogni latitudine (vedi Righetto, La scimmia aggiunta) gli esseri umani vincano il confronto con la selezione naturale per il semplice fatto di possedere tecnologie dell’intelligenza e strumentali (arnesi, protesi) con cui poter modificare la propria relazione in quanto collettività con l’ambiente che li accoglie, in un dialogo continuo intessuto da parole come “utilizzo delle risorse naturali”, “produzione e distribuzione”, oppure in generale da concetti come materia, energia ed informazione ed il loro vario combinarsi nei manufatti.

Essere un po’ tecnologi e saper leggere il territorio dovrebbe essere una competenza diffusa, visto che noi tutti cresciamo e abitiamo in mondi tecnologici (e tutto questo va oggi moltiplicato per il nostro essere always on, permanentemente connessi). Provate a guardarvi attorno in questo preciso istante: vedrete delle cose costruite, perché noi viviamo in un Ambiente Costruito. Anche se andate in giardino o in campagna, vedrete cose frutto della tecnologia, come piante magari non autoctone geneticamente modificate da secoli di sapienti incroci, oppure in cucina vedrete Oggetti tecnologici come il prosciutto oppure la mozzarella. A pensarci bene, il Paesaggio tutto è il più grande Oggetto tecnologico prodotto dagli Esseri Umani, dove reti di ogni sorta (strade, cavi, fibreottiche, onderadio, condotte, ferrovie) tengono insieme dei Luoghi di produzione e di trasformazione, Luoghi di Abitanza dove vengono manipolate materie prime, oppure l’energia, oppure le informazioni, come nelle botteghe rinascimentali oppure nell’Ufficio dei Servizi Sociali del vostro Comune o in una redazione giornalistica, normali ambienti di vita dove i flussi di relazione e di comunicazione tra gli oggetti e le persone andranno a costituire il tessuto della socialità, in fondo anch’essa rappresentabile come reti di reti.

Se un bambino in quarta elementare comprendesse il concetto di interruttore elettrico, potrebbe forse crescendo comprendere meglio, in modo sistemico, il concetto di impianto, e quindi quello di rete energetica territoriale… potrebbe forse rispondere con maggior cognizione di causa a una domanda che gli si porrà nella sua età adulta, per esempio “che cosa modificheresti nell’attuale sistema della viabilità cittadina? dove interverresti per ottimizzare la distribuzione delle risorse ed evitare sprechi e inquinamento?”. La scommessa riguarda quindi la possibilità di diffondere, a partire proprio dal sistema educativo di base, quelle competenze grammaticali che permettano di leggere il territorio e le sue conversazioni in modo reticolare e processuale (flussi e relazioni, non strutture), nonché consapevole del carattere costruito degli ambienti di vita, nel convincimento che queste scelte interpretative offrano con maggiore probabilità la possibilità di cogliere le rapide dinamiche sociali di quest’epoca di profonda transizione culturale.

Talvolta, senza calcar troppo la metafora dell’hardware e del software, immagino il territorio come la scheda madre di un computer, dove posso ad esempio trovare componenti dedicate alla gestione dell’energia, oppure interfacce, oppure ancora degli archivi di memoria: quanti gradi di separazione ci sono tra l’ufficio comunale dei Servizi Sociali di cui sopra e l’ufficio del rettore dell’Università? E tra la Centrale Idrica e il rubinetto di casa mia? Quali percorsi uniscono questi Luoghi, come si comportano ad esempio i pacchetti di informazione? E soprattutto, il mio partecipare fisicamente e mediaticamente a questi circuiti di comunicazione e di socialità, a gruppi più o meno strutturati delle collettività dove mi esprimo e da cui traggo beni e servizi, in che modo mi costruisce come cittadino e come abitante immerso consapevolmente in un flusso oggi moltiplicato dalle onorevoli Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione?

Proprio come un informatico porrebbe al centro del suo interesse professionale l’interrelazione tra il software e l’hardware, un urbanista digitale tenta di valutare le possibilità offerte alla socialità dalla presenza di ambienti biodigitali, dovenuovi manufatti e nuovi linguaggi ridisegnano la comunicazione interpersonale e l’immaginario delle collettività abitanti (vedi Sterling, La forma del futuro).

 laurenatclemsonCome Abitante, partecipo a conversazioni, e ne ricavo appartenenza. Promuovo qualità dentro i sistemi attuali, perché mettere pannelli fotovoltaici fa crescere (o meglio, decrescere) il territorio da molti punti di vista, così come realizzare percorsi ciclopedonali per far andare i bambini a scuola migliora tutta la qualità della viabilità cittadina, e gli effetti si sentono sistemicamente fino in periferia. Se poi frequento Luoghi web di abitanza digitale, partecipando a un forum tematico sulla rete Civica oppure pubblicando i miei video sui blog urbani dove si tiene traccia dei ragionamenti partecipativi degli Abitanti rispetto alle problematiche locali, contribuisco senz’altro alla costruzione corale dell’identità della collettività di cui faccio parte.

Un pensiero glocale, principi etici relativi al Ben-Stare sul territorio in modo sostenibile e rispettoso dell’impronta ecologica, una certa capacità di autonarrazione delle collettività (di dar senso a sé stesse, autopoieticamente) portano quindi alla delineazione del concetto di Doppia Abitanza come la capacità di manifestare appartenenza forte sia ai luoghi di ricorrente frequentazione ambientale e sociale, sia ambienti digitali in cui si esplicita una frequentazione per temi e campi di interesse e ricerca della proprio stile abitativo, variamente nomade o stanziale.

L’assimilazione di questo cambiamento paradigmatico capace perfino di ridefinire il sentimento dell’Abitare ci porterà auspicabilmente all’aver cura dei territori biodigitali percepiti come casa, all’arredamento degli spazi della socialità: l’urgenza di cartografare i territori digitali in particolare dovrà intrecciarsi con la consapevolezza di avere a che fare con reti di persone e pratiche sociali che si creano e si disfano continuamente, con flussi di simboli e immagini mediatiche dal valore emergente e folksonomico grazie a cui avviene – spesso in maniera conflittuale, quando il cambiamento porta a rinnovare le metafore e le visioni culturali con cui edifichiamo l’immaginario – l’allestimento degli scenari identitari abitati dagli attori individuali e gruppali di questa modernità.

Colpisci più forte

Ecco un blog dal basso, vero o malizioso non si sa, tutto dedicato a bastonare i politici e i dirigenti amministrativi dell’Ente Regione del Friuli Venezia Giulia.
Chiaramente, una volta che la Donzella d’Orleans ha esplicitamente aperto il rubinetto dello sfogo, livore rancore e astio e tutte robe così si riversano fuori (molti scrivono in maniera simile?) e tutto degenera. Ma si vengono a sapere parecchie cosette sul carattere di certe persone, su come funzionano le dinamiche interne dell’organizzazione lavorativa pubblica, si ravana pesantemente nel gossip del Palazzo raggiungendo profondità da decadenza tardoimpero, pasolinianamente.
Chissà come sarà il secondo post, chissà se i giornali locali ne parleranno.

Credo che ne vedremo sempre di più, di luoghi anonimi di sputtanamento o di sfogo, via via che migliaia di persone al giorno capiscono come usare Blogger. Prevedo fiammate colossali, guerre ideologiche, sciacalli e troll.
Sarebbe da aprire subito il blog “La giunta della Provincia è tutta marcia”, poi bisogna pensare anche agli Enti locali e picchiare duro contro l’assessore finto povero con il suv (la categoria peggiore), alle parrocchie, all’allenatore dei giovanissimi della squadretta di calcio del quartiere, al supermercato all’angolo (“Ipercoop ladra”) e via sputtanando e litigando. Torneranno di moda i nicknames, come nel 1999, davanti a tutto questo anonimato, proprio come la Donzella

Perché credo che statisticamente tutti quelli che interverranno su questi blog malmostosi futuri non abbiano molta pratica di discussione online, non hanno in vita loro mai litigato sui newsgroup o sui forum, probabilmente mancherà loro una certa sensibilità nella lettura del pensieroscritto degli altri, che li porterà facilmente a radicalizzare le proprie e le altrui opinioni (tipico da batti-e-ribatti) e a non saper più riconoscere una frase ironica, detta per alleggerire la situazione, nemmeno se vicino ci sono le faccette sorridenti e l’indicazione *sto scherzando* scritta per esteso.

Saranno anni di rumorosa gavetta e apprendistato, fino a quando per prove ed errori i molti che ora si riversano in Rete (ma come hanno fatto certi cinquantenni, seppur attenti e svegli, a schivare il web per dieci anni?) non avranno fatto loro o reinventato le competenze dialogiche necessarie per condurre o partecipare ad eventi di websocialità, con lo spirito di quelle netiquette che son vecchie come la rete stessa, e funzionano benissimo.

Friul.tv

I mezzi di comunicazione oggidì al tempo del web conversazionale permettono e sollecitano partecipazione; la partecipazione suscita in noi sentimenti di appartenenza (alle collettività, ai Luoghi), l’appartenenza a sua volta diventa una delle dimensioni della nostra identità personale e sociale.

Con le nuove tecnologie il concetto di Abitanza (e forse anche quello di nazione, da interpretare sempre però in divenire, come flusso e processo) può attagliarsi a realtà non più caratterizzate da riferimenti geografici, da contiguità fisica degli individui e dei gruppi sociali: diventa possibile ad esempio concepire e realizzare forme consistenti di socialità – con annesso scambio di valori, atteggiamenti, competenze – tra persone lontane eppure accomunate da interessi specifici.

Un esempio concreto, e assai interessante per le sue implicazioni quasi antropologiche e per le indicazioni per l’agire futuro, è dato dalle nuove forme di riunificazione mediatica (che poi diventa collaborazione)delle comunità planetariamente diffuse di emigranti con la terra di origine; nel caso del Friuli Venezia Giulia, si tratta di potenziare le reti relazionali che intercorrono tra realtà locali e le comunità dei friulani e giuliani nel mondo.

In particolare, segnalo un convegno intitolato “Lenghis minoritariis, media, emigrazion“, promosso dalla Comunità Collinare del Friuli e dalla Cooperativa di Informazione Friulana, che si terrà oggi, venerdì 14 marzo, a Colonia Caroya in Argentina, città nota per essere stata fondata da popolazioni friulane alla fine dell’800, e dove tuttora si parla correntemente in friulano, perfino attraverso le frequenze delle radio locali (che grazie alla Rete, diventano glocali).

Il convegno potrà essere seguito in videoconferenza su www.friul.tv e in diretta radiofonica su Radio Onde furlane (90.00/90.20 Fm in Friuli, 96.60 Fm Argentina, www.friul.it per lo streaming).

Un NuovoAbitante della prima ora, Luca Peresson, si trova al momento proprio in Argentina, in quanto personalmente coinvolto nel progetto: ecco cosa dice riguardo alle nuove dimensioni della socialità praticabili grazie ai moderni strumenti offerti dal web:

«Un prin cambiament – al sclarìs Luca Peresson, espert di gnovis tecnologjiis e president dal Centri Friûl Lenghe 2000 – al è leât aes pussibilitâts dai gnûfs imprescj: chê di jessi informâts su chel che al sucêt te tiere di origjine (mert di television satelitâr, web, radio on line…), di colaborâ a distance a progjets comuns, di fâ rêt. Parie, i gnûfs mieçs a permetin di inlaçâ contats cu lis secondis e tiercis gjenerazions de emigrazion regjonâl, judant a ripuartâ la lôr atenzion viers la culture e la storie di provenience. No ultin – al zonte –, al è di considerâ ancje cemût che al podarès mudâ il rûl des associazions dai emigrants, se chestis a savaran doprâ lis oportunitâts dai gnûfs mieçs di rivâ in dut il mont».

La citazione è presa dal blog di Andrea Venier, ilFurlanist, dove oltre al programma completo del evento-convegno e delle tematiche dibattute troverete anche dei ragionamenti interessanti sulle implicazioni sociali del “Friuli in Rete”.

WRU, non ci siamo

Bene, è online la radio dell’Università di Udine, WRU e la trovate qui webradio.uniud.it.
Tutto caruccio, angoli stondati, grigi e arancione; due colonne, interattività e navigabilità ok.
Il tutto ottimamente fatto con Joomla.

Però in fondo alla pagine c’è scritto “Copyright © 2008 Web Radio Uniud. Tutti i diritti riservati.” e questo mi piace poco o punto.

Tra l’altro, la scritta che proclama il copyright, e fa parte del sito, è anch’essa soggetta al copyright? Ho forse citato ciò che non potevo?

Nella pagina dedicata all’équipe scopro che questa webradio in realtà “è un progetto didattico e di ricerca con proiezione tecnico-pratiche deciso con decreto del Magnifico Rettore”, ma assume giuridicamente le forme di una testata giornalistica di quelle vere, regolarmente iscritta al tribunale di Udine con un direttore responsabile, e anche questa cosa mi sembra una contraddizione.

In fondo alla stessa pagina, trovo una deroga al copyright totale che c’è su tutto il sito: infatti le immagini prese da archivi online tipo FreeDigitalPhotos, in seguito editate dalla redazione di WRU, possono essere sì riutilizzate liberamente ma solo in progetti scolastici, e il tutto è scritto in inglese. Mah.

Allora vado a vedere quali trasmissioni sono disponibili: scopro che non esiste la radio in diretta (una verbosa spiegazione retorica racconta che forse non avere la diretta è una virtù, lasciando comunque intendere che in futuro ci sarà) e che fondamentalmente il sito della WebRadio è un archivio di podcast. Personalmente un sito di podcast non lo chiamerei “radio”, come Youtube non la chiamo “televisione”, ma queste sono paturnie mie.
Tra l’altro le singole trasmissioni registrate non sono tutte disponibili, ma quelle archiviate sono da richiedere spedendo una mail alla redazione, il che fa pensare che UniUd compri o disponga di spazio web a 50mega per volta, come nel 2002.

Finalmente clicco sul bottone “Ascolta”, e Seamonkey – il mio browser Mozilla – mi chiede se voglio lanciare un’applicazione esterna in formato proprietario (WindowsMediaPlayer) per ascoltare le trasmissioni in formato ovviamente .wma. Rispondo picche, non ho mediaplayer installato.
Figuriamoci il tutto: una Università statale che fa comunicazione pubblica fregandosene delle minime norme etiche alla base di una moderna circolazione delle idee, e disattende le stesse indicazioni ministeriali riguardo all’utilizzo di OpenSource; se si trattasse di editoria privata e commerciale, potrei anche capire (ma direi loro “stupidini” ugualmente, a privarvi di fette di audience), ma credo l’Università debba orientare le proprie scelte tecnologiche e le proprie logiche distributive di Oggetti di Conoscenza secondo obiettivi diversi da un’azienda. Uno straccio di licenza CC mi farebbe guardare al tutto già con occhi più benevoli, e invece sono qui a guardare un’altra occasione sprecata.

Un blocco laterale mi informa di quali software dovrei installare per ascoltare tutto con i vari sistemi operativi. Anche qui mi viene da pensare che gentilezza e usabilità dovrebbero consigliare ai webmaster la possibilità di provvedere modi alternativi di ascolto delle trasmissioni, anziché basarsi sulla buona volontà dei fruitori, ad esempio incapsulando l’audio in un Flash o simili o rendendo almeno possibile scaricare tutto anche in formato .mp3 aperto… non ci vuole poi molto.

Mi diranno che non si può.

All’interno di un sistema fatto di brevetti e di furbi spin-off universitari e di finanziamenti dati secondo logiche mercantilistiche a quelli che dovrebbero essere i liberi e pubblici Luoghi sociali della Ricerca e dell’Innovazione, io sono dell’idea che tutto ciò che le Università producono debba essere di pubblico dominio, patrimonio dell’umanità, distribuito in GPL o quello che volete, pubblicato su Wikipedia. La ricerca la pagano tutti, che i frutti siano di tutti. Bello, eh? Dentro questo sistema, impossibile. Messaggio e contesto non amoreggiano, non s’incontrano nemmeno.

Ma lasciamo perdere l’analisi del sistema economico università-aziende; mi piacerebbe però che almeno il Luogo web dove l’Università racconta sé stessa fosse uno spazio di libero scambio di conoscenze, altrimenti il messaggio che passa mi farà sempre pensare a “chiusura” e “possesso”, valori tipici di un’epoca ormai tramontata. Viviamo nella Società della Conoscenza, i mercati sono conversazioni, ma non potrò riportare in questo blog qualche interessante notizia appresa dalla webradio dell’Università di Udine (magari la notizia di un importante convegno sulla Società della Conoscenza promosso dalla stessa Università). Che contraddizione.

Ci sono anche cose sulle quali non transigo, le lascio per ultime: l’errore ortografico nel blocchetto del menù principale. Che gente laureata scriva (e non chattando, ma in homepage) “perché” con l’accento sbagliato, mi rende isterico. Ma son paturnie mie.

 

 

Deché? Decrescita

Da un paio d’anni provo a tenermi informato sui temi della Decrescita; Conviviale, possibilmente, ma anche Felice, se volete.
Qualcuno mi ha fatto intravvedere questi aspetti di “filosofia dell’economia”, e mi piacciono parecchio… insomma, per uno che guarda il come più che il perché, cercare di capire come le cose stanno in piedi (se stanno in piedi, ma qui non sembra proprio) economicamente ha un fascino terribile, perché si tratta proprio di chiedersi come funziona il mondo degli Umana.

E funziona male, lo sapete. A parlare solo di ottimizzazione ingegneristica dei sistemi produttivi e distributivi, di Cultura tecnoterritoriale, di impronta ecologica, di sfruttamento risorse naturali, di spreco diffuso e generalizzato, ci si stupisce di essere così tonti, tutti noi, e rimaniamo sorpresi anche solo dal venir a sapere quanto bene farebbe al pianeta rinunciare alle borse della spesa in plastica, per dire.


Sono stato a vedere Pallante qualche mese fa, dentro una serie di conferenze dedicate esplicitamente al tema della Decrescita presso l’UniUd, e non mi è piaciuto il tono divulgativo-sorrisone dell’evento. Vabbè che metà del pubblico erano delle siore sessantenni udinesi attente e annoiate, però uno si aspetta anche qualche indicazione su come glocalmente provare a mettere in atto dei processi virtuosi sul territorio, non catastrofismo spicciolo.

Poi sono andato a vedere Riccardo Petrella, e il tipo è sorprendente: conduce tutto il discorso sul filo di una ironia fatta di lampi veloci, una cosa toscana credo, mostra bene il problema, si diverte e diverte, e lascia dentro una certa voglia di fare. Ho linkato la pagina in francese della Wikipedia, perché nessuno è profeta in patria, e quindi su it.wikipedia la voce non c’è, ma se ho un attimo la creo io almeno traducendo quello che trovo in giro, ché Petrella si merita questo e di più, per quel che ne so. Qui su Idearum trovo qualche altra indicazione su un suo libro che non conoscevo, così a naso assai interessante, intitolato “Una nuova narrazione del mondo”.

Poi l’altro giorno è arrivato il turno del guru, Serge Latouche, e purtroppo anche lui secondo me ha impostato il discorso su un taglio troppo basso, con l’immancabile preambolo catastrofista, qualche grafico, il discorso per cui se tutti consumassero come gli statunitensi ci vorrebbero nove pianeti come il nostro per sostenere questa muffa umana. Un collega l’ha definito démodé, e rende l’idea.

Non so. Mi sembra come se gli ultimi fricchettoni, raggiunta l’età in cui quello che dicono è comunque ammantato di saggezza, provassero a convincerci di cose giuste, ma con il tono sbagliato. La mia generazione ad un certo punto si è presa il “no future” del punk e dell’eroina come un colpo alla nuca, quella dopo di me è fuggita negli immaginari di plastica pop e paste, i nativi digitali vivono altrove… credo occorrano approcci diversi per far vivere l’idea e promuoverla. E ne approfitto per segnalare sembraincredibile, perché un pubblicitario per lavoro fa proprio questo, costruisce mondi narrativi dentro cui riposizionare assiologie – oggi finalmente folksonomiche – ad esempio di valori di socialità. E mi sembra più rivoluzionario di molti altri, almeno dice tutte le cose giuste in dieci post.

Di Latouche vi posso raccontare anche questo aneddoto: ad un certo punto durante la relazione il telefonino di un mona ha preso a strillare un simpatico motivetto, e ovviamente il cellulare era seppellito dentro lo zaino e almeno quattro riff completi di suoneria si sono sentiti, e allora Latouche approfittando di un cambio diapositiva ha detto che si poteva validamente cominciare a decrescere sbarazzandosi del telefonino. Cioè, non semplicemente imparando a usarlo (d’altra parte, non sapeva nemmeno dove cliccare nel pc per mostrarci la presentazione), ma proprio evitando di possederlo.
Ecco, se la posizione della decrescita è Luddismo, mi dissocio subito. Della tecnologia, proprio per poter vivere degnamente, non possiamo fare a meno, e l’unica via di fuga è attraverso, come mi piace dire ultimamente. Se poi la gente non applica intelligenza per ragionar sullo strumento, è inutile dare la colpa allo strumento.

Detto tra noi, ed è significativo che il sito estinzioneumana.it a quanto pare si sia estinto, qualcuno dovrebbe dire chiaramente che come vera Decrescita sulla Terra dovremmo essere al massimo un paio di miliardi di persone, e vivere tranquillamente coltivando lo spirito e la conoscenza senza problemi di sostentamento, lavorando ciascuno non più di una ventina di ore alla settimana, giusto per mantenere le cose sane e lottare ingegnosamente contro la sempiterna entropia. Il fatto è che avremmo dovuto pensarci negli anni Sessanta: adesso è tardi, molti stravolgimenti sociali avverranno quasi sicuramente nei prossimi anni (energia, acqua, ambiente, sistemi economici fondati sul nulla), e insomma son qui che aspetto le novità.

Insegnare ai “nativi”

Fonte: Indire

 

Insegnare ai “nativi” nello spazio mediato di rete

Nasce Taccle, un progetto europeo per accompagnare i docenti del XXI secolo negli scenari aperti dalla Rete e dai nuovi media

di Fabio Giglietto

20 Febbraio 2008

Chiunque sia entrato di recente in una classe, ha conosciuto il tipo di nativi di cui si parla in questo articolo. Si tratta dei cosiddetti natives (Prensky 2001), ovvero quei ragazzi nati a partire dagli anni ’80, cresciuti in mezzo a personal computer e Internet: la prima generazione di giovani socializzati all’uso di una tecnologia da una generazione di adulti che non ha avuto il tempo di comprendere pienamente le logiche di questi nuovi media (Jenkins 2006).

Anche questo non può essere sfuggito a chi abbia frequentato di recente le classi di una qualsiasi scuola. Mentre gli adulti hanno fatto esperienza dello spazio geografico dove per spostarsi da un punto all’altro serve tempo e le distanze si misurano in kilometri, i nativi sembrano avere sviluppato la capacità di muoversi con altrettanto agio nello spazio mediato di rete. Uno spazio che, per essere attraversato, non richiede tempo e in cui le distanze non si misurano in kilometri, ma in nodi della rete sociale che bisogna percorrere di link in link per raggiungere la propria meta. Lo spazio mediato di rete non sostituisce per i nativi lo spazio geografico, ma vi si affianca come una nuova dimensione. Una dimensione fatta di bit e non di atomi. Anzi, una dimensione fatta di comunicazione. Una rete di conversazioni che si fanno permanenti, replicabili, ricercabili e spesso rivolte a un pubblico indistinto (Boyd 2007). Conversazioni permanenti nel tempo, come un messaggio scritto su un post-it, un libro o un post su un blog. Replicabili come qualsiasi contenuto digitale soggetto all’inesorabile legge del copia/incolla e ricercabili con Google. Rivolte (o almeno esposte) a un pubblico indistinto, come un articolo di un quotidiano, un romanzo o il proprio profilo di MySpace.

Oggi lo spazio in cui i nativi digitali passano il loro tempo è questo: si muovono con disinvoltura fra lo spazio geografico dei loro genitori e quello mediato di rete. In questo ambiente ibrido socializzano, fanno esperienze, giocano, apprendono. Ecco, apprendono. È questo lo scenario nel quale alcuni anni fa un gruppo di partner provenienti da Belgio, Inghilterra, Spagna, Austria e Italia hanno deciso di provare ad affrontare (to tackle) da una nuova prospettiva il grande tema dell’alfabetizzazione ai nuovi media degli insegnanti. Oggi, grazie al finanziamento della Commissione Europea, stiamo provando a realizzare questo progetto.

Nasce così Taccle (Teachers’ Aids on Creating Content for Learning Environments), un progetto multilaterale Comenius che alla fine del biennio 2007-2009 produrrà e rilascerà sotto licenza aperta e liberamente modificabile un manuale, un wiki e un corso pilota che mostri agli insegnanti europei come utilizzare lo spazio mediato di rete come ambiente per l’apprendimento. Scrivere per il web, aprire e gestire un blog, comprendere le logiche dei social networks e di Wikipedia, costruire materiali didattici basati sul riutilizzo creativo delle risorse esistenti (mashup) e saper distribuire i propri contenuti in rete applicando a essi le forme di licenza Creative Commons, sono solo alcuni dei temi che il progetto Taccle affronta. È importante formare gli insegnanti su come creare contenuti di qualità che permettano un utilizzo proficuo di questi nuovi ambienti di apprendimento, e questo è lo scopo principale del progetto TACCLE. L’auspicio è infatti quello di contribuire al formarsi di una cultura dell’innovazione nelle organizzazioni educative: nei suoi contenuti, servizi, teorie e pratiche pedagogiche, così come indicato negli obiettivi del programma LLP.

Ma l’innovazione non è solo nei contenuti. I partner hanno infatti concordato sull’idea di utilizzare per lo sviluppo stesso del progetto quegli strumenti e quei principi che Taccle vuole promuovere: ecco perché Taccle utilizza per il proprio sito un sistema di management dei contenuti open source; per scrivere collaborativamente il manuale viene utilizzato un wiki; per raccogliere risorse utili il tag taccleproject su del.icio.us.

Abbiamo deciso di iniziare ascoltando le esigenze dei destinatari del progetto: tutti i processi che porteranno alla realizzazione degli obiettivi di Taccle saranno aperti, trasparenti e condivisi con la comunità dei docenti. Sappiamo che senza il coinvolgimento e la collaborazione degli insegnanti non riusciremmo che a scalfire la superficie di una questione straordinariamente importante per il futuro della nostra società. Per questo chiediamo a tutti i docenti interessati di darci una mano e collaborare a Taccle entrando in contatto con i partner, frequentando e commentando il nostro sito e, soprattutto, dedicando dieci minuti a compilare il questionario online che abbiamo predisposto per iniziare a conoscerci meglio. Il gruppo di partner di progetto ha realizzato il questionario per raccogliere – a livello europeo – informazioni sulle conoscenze, le abilità ed i bisogni dei docenti che utilizzano (o meno) questi strumenti nella loro attività di insegnamento e per comprendere le loro reali esigenze formative.
Sono già tanti gli insegnanti di tutta Europa che in questi giorni lo stanno compilando!

CLICCA QUI PER COMPILARE IL QUESTIONARIO ONLINE

Fabio Giglietto

 

NuoviAbitanti

Mappe concettuali automatiche in Wikipedia

Conosciamo l’importanza dell’impiego di mappe concettuali, nella progettazione sociale o nella didattica, oppure semplicemente per prendere appunti ad una conferenza o per mettere ordine nelle proprie idee, quando si fa brainstorming da soli.

Ora usando wikimindmap.org è possibile generare delle mappe automatiche dei termini contenuti nella Wikipedia, dando rappresentazione visiva ai collegamenti tematici che procedono a partire dall’argomento da noi scelto come punto di partenza.

Decisamente uno strumento da sperimentare nelle aule scolastiche.