Ieri sera ero già sulla poltrona, mi stavo gustando la prima mezz’ora di Indipendence Day, da lì in poi è tutto tramaticamente scontatissimo e infatti siamo dentro una parodia americanona, ma mi preme sottolineare che io vivo fondamentalmente per veder arrivare gli alieni, ché veder spuntare quelle astronavi grandi come province tra le nuvole mi scancella la mente di ogni punto di riferimento come lo scancellino scancella la lavagna, e a quel punto facciano pure quel che vogliono, compreso spazzar via la Terra perché di qua deve passare un’autostrada galattica da lungo tempo progettata (cit.).
Ma il cellulare fringa, perché se sono sulla poltrona non posso mica alzarmi e fare tre metri per andare alla scrivania, e in chat mi arriva da due diversi contatti la segnalazione di una dichiarazione del Ministro Brunetta (quello zippato) relativa alla prossima futura distribuzione di netbook personali a tutta la popolazione scolastica, e la cosa va da sé mi incuriosice alquanto.
Io non penso che quegli esseri abbiano fatto migliaia e migliaia di anni luce solo per venire qui e iniziare una guerra… Non sono mica degli attacca brighe! (citazione dal film di cui sopra, fonte wikipedia, non sto parlando del governo, neh)
Ci penso su, mi faccio una mappa mentale – in senso letterale, dentro la mia testa – delle solite inventio, dispositio, elocutio (la prima talvolta offre nuovi spunti, le altre due seguono il solito metodo del “come viene, viene”), mi soffermo sulle possibili conclusioni da trarre, e ovviamente trattandosi di argomento già da me più volte affrontato nelle discussioni che trovate in giro riguardo le tecnologie didattiche e l’apprendimento e il senso del fare scuola oggi, decido che posso lasciar perdere e ricado mollemente sulla poltrona a valutare l’efficacia patemica dei doppiatori italiani.
Ma la pulce alligna (?), gli ingranaggi girano, continuo a visualizzare mentalmente scàmpoli di frasi da accostare come pezzi di domino. Alle 23.32 vado al computer e comincio a scrivere, alle 2.00 spedisco a Maistrello, oggi trovate l’articolo su Apogeonline.
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Brunetta, il JumPC e la scuola in rete
Ecco una notizia che dovrebbe rallegrare chi, genitore o professionista della formazione, ha a cuore la modernità dell’insegnamento e la promozione di tecnologie educative aggiornate in àmbito scolastico. Mi riferisco alle dichiarazioni del ministro Renato Brunetta sulla futura diffusione di netbook ai giovanissimi studenti delle scuole primarie, dichiarazioni espresse in occasione della conferenza stampa tenutasi a Roma presso il circolo didattico Walt Disney per illustrare gli esiti di una sperimentazione condotta in questi mesi dalla Fondazione Mondo Digitale (presieduta da Tullio De Mauro), insieme a Intel e Olidata, in diverse regioni italiane, riguardante la distribuzione gratuita a circa 150 bambini e a 15 docenti di un computer personale denominato JumPC.
Le domande certo sarebbero molte, a partire dalle implicazioni “etiche” del progetto nella scelta dei partner commerciali, alla preferenza per software proprietario, fino alle modalità di funzionamento dei filtri alla navigazione installati da Olidata sul JumPC mediante l’applicativo Magic Desktop, ma le informazioni sono ancora troppo lapidarie per poter comprendere i piani di utilizzo e i risvolti sociali dell’introduzione dei pc in classe, ovvero le modificazioni effettive della pratica d’insegnamento nel contesto di attuazione del progetto. Perché un insegnante che vede dinanzi a sé quindici o venti “coperchi” alzati a nascondere il viso degli studenti, che convive cinque ore con il ronzìo soffuso ma penetrante delle ventole, che abita con gli allievi dentro reti relazionali sostenute da collegamenti wifi e ha sotto la freccina del mouse tutto lo scibile umano non può continuare a concepire i processi dell’apprendimento come prima che tutto questo accadesse, come se nulla fosse successo.
Ma esperienza e pragmaticità già mi dicono che inesorabilmente i primi anni di questa Scuola 2.0 saranno connotati da utilizzi bassamente strumentali delle ex-nuove tecnologie – come già abbiamo visto, tranne poche coraggiose iniziative, accadere ieri con la famigerata aula multimediale e oggi con le lavagne interattive, utilizzate appunto quali mere succedanee dell’ardesia senza prendere in considerazione le innovazioni didattiche che questi ritrovati tecnologici potrebbero apportare all’insegnamento in quanto supporti interattivi e connessi, in grado di lasciar emergere quelle dimensioni gruppali di condivisione di informazioni e scambio dialogico importantissime in una concezione sociale e socializzata dell’apprendimento.
Si tratta di qualcosa che doveva succedere, e che stavamo aspettando. Qui in Occidente molti di noi utilizzano i computer per lavoro, per produrre quel bene economico intangibile che è informazione e distribuzione delle conoscenze, mentre i ragazzini a scuola, knowledge worker per eccellenza, sono ancora lì a ricopiare il problema di matematica dalla lavagna sul quaderno.
Molti insegnanti rimarranno favorevolmente sorpresi dai concreti risultati scolastici che otterranno dalle pratiche didattiche “aumentate”, rese più potenti dai pc personali e dalla spinta motivazionale e dal “peer-to-peer” delle conoscenze nel gruppo-classe.
Questo non si può certo chiamare fallimento, né dal loro punto di vista (seppur ancora legato alla percezione di risultati valutati secondo ottiche da mondo analogico) né dal mio, che in questo rito di passaggio epocale noto comunque una opportunità per una educazione informale della classe insegnante nazionale, che si troverà di qui a qualche anno a riconoscersi cambiata senza accorgersene, e in molti casi senza neppure volerlo.
Per questo confido e auspico che qualche milione di euro venga nell’immediato futuro destinato alla promozione ministeriale di corsi intelligenti di aggiornamento per gli insegnanti e per i dirigenti scolastici: usando la metafora dell’automobile, ora che le macchine quattoruote vengono distribuite a tutti sarebbe il caso di provvedere una seria educazione al comportamento su strada, magari concentrandosi un po’ meno sulla tecnica del carburatore e della frizione e un po’ di più sul rispetto della segnaletica (guidare l’auto è azione sociale) e sulla scelta qualitativa degli itinerari da percorrere.