Archivi autore: Giorgio Jannis

Decalogo per una Carta Etica Digitale

L’Associazione INNOVATORI promuove una Carta Etica Digitale alla quale si può aderire via mail: tutti i dettagli sono sul sito di Innovatori, presenti in Rete anche con una community “di lavoro” presso questo indirizzo Ning innovatori.ning.com

Il Decalogo prende atto dei cambiamenti sociali profondi avvenuti negli ultimi 25 anni e cerca di stabilire una visione aggiornata delle modalità interattive e delle implicazioni personali – in termini di diritto del cittadino, nonché di comportamenti attenti all’ecologia umana digitale – che possa tutelare e promuovere una certa qualità degli ambienti di comunicazione online.

Si tratta quindi di una indicazione di una condotta etica, la linea delle nostre azioni in questo fare tutto sociale che è abitare la rete, i cui valori sono espressi dall’appello alle “libertà di internet” (trasparenza delle fonti, approccio ecologico rispettoso dell’ambiente tecnologico e interumano, diffusione della Conoscenza, libertà sovrana di espressione) e dalla sua indipendenza da poteri forti ad esempio di tipo commerciale, per garantire Luoghi antropici digitali di socialità dove la discussione collettiva abbia libertà di azione per elaborare la Cultura e progettare il futuro.

Le leggi degli Stati dovrebbero magari aver cura di tenere liberi e puliti questi spazi conversazionali proprio in rispetto della libertà di espressione, anziché cercare a loro volta impauriti dalla Transizione di chiudere cingere stringere normare e controllare un cambiamento troppo veloce e liquido per essere maneggiato con i vecchi strumenti.
Questo Decalogo sembra fin troppo sintetico, ma dietro ogni articolo si può cogliere un preciso problema da comprendere e risolvere, in direzione del’apertura, dello scambio e del rispetto.

Fossi un insegnante delle Superiori passerei una bella ora di lezione a discutere la Carta Etica Digitale in classe.

CARTA ETICA DIGITALE
ottobre 2009
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Art.1 (Opportunità digitale)
A chiunque deve essere universalmente garantita l’opportunità di accedere ad Internet per la diffusione del proprio libero pensiero

Art.2 (Sviluppo)
I Governi favoriscono l’accesso locale ad Internet quale sviluppo democratico della Societa’ dell’Informazione.

Art.3 (Promozione)
I Governi sostengono l’utilizzo di Internet sviluppando procedure di governance che assicurino trasparenza, efficacia e tempestività nei rapporti tra Stato e cittadino.

Art.4 (Rispetto)
Chiunque nell’utilizzo di Internet e’ chiamato al rispetto della risorsa tecnologica nell’interesse proprio e della collettività.

Art.5 (Verifica)
Chiunque nella diffusione di informazioni deve accertare e verificare, prima delle divulgazione delle stesse, la veridicità della fonte.

Art.6 (Segreto)
Chiunque condivide informazioni in Internet non è tenuto a rivelare la fonte dell’informazione se non su richiesta dell’autorità giudiziaria.

Art.7 (Anonimato)
Chiunque può ricorrere a sistemi di anonimizzazione etica qualora il Governo del proprio Paese ponga in atto azioni lesive verso i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo.

Art.8 (Compilazione)
Chiunque scrive ed esegue un codice o un algoritmo informatico deve rispettare i diritti personali e patrimoniali altrui.

Art.9 (Standard)
Chiunque scrive ed esegue un codice o un algoritmo informatico deve porre ogni azione affinchè sia possibile garantire l’interoperabilità dei sistemi.

Art.10 (Gratuità)
Chiunque produce e diffonde liberamente la propria conoscenza non è tenuto alla corresponsione di alcuna tassa o esser sottoposto a vincoli di controllo.

Vogliamo il wifi libero: no alla proroga del decreto Pisanu

Sergio Maistrello propone una riflessione collettiva riguardo quel famoso decreto Pisanu, ne parlavo en passant qui e qui, che in italia in pratica soltanto ostacola pesantemente la connettività dei cittadini negli spazi pubblici o semipubblici cagionando rallentamenti notevoli nella comunicazione tra le persone, proprio oggi che in epoca di cambiamento sociale abbiam più bisogno di far circolare le idee per scoprire come abitare dignitosamente questo Mondo 2.0.

Tornerò sicuramente sull’argomento in un prossimo futuro: si tratta di sostenere pacatamente ma in modo concreto e puntuale (proprio come Maistrello) una posizione di civiltà rispetto alla necessaria diffusione di una Cultura Digitale in italia.

Quest’anno no: lasciate scadere la legge Pisanu

[…] Mentre altrove internet si rafforza come diritto riconosciuto all’interazione con l’altro, un’infrastruttura per il progresso sociale ed economico da favorire e da proteggere, per le classi dirigenti italiane – complici leggi miopi o leggi d’emergenza protratte nel tempo, come la Pisanu – si è trasformato nel luogo comune dell’inutilità, della devianza e del reato diffuso. Non abbiamo sconfitto i nostri fantasmi, in compenso abbiamo perso tempo e opportunità, che oggi costerà molto più caro recuperare. Abbiamo perso anche diritti, lasciando che oggi in determinate circostanze gli estremi delle nostre navigazioni parlino per noi con un’intimità che mal si concilia con la legislazione sulla privacy di un paese civile. Questa legge ha contribuito a trasformare un paese spaventato dai mantra delle sue stesse leadership in un paese più arretrato, più rinchiuso in se stesso, più complicato, più pessimista di quanto il mondo d’oggi consentirebbe. La legge Pisanu non garantisce di fermare la pazzia di un estremista, in compenso sta contribuendo alla strage quotidiana delle aspettative e delle opportunità di una intera nazione.

Alzare la voce

L’eccezionalità delle richieste d’urgenza presentate nel 2005 dal ministro Beppe Pisanu si spiegano in virtù del loro carattere dichiaratamente provvisorio: sarebbero dovute scadere il 31 dicembre 2007. Se non fosse che prima il governo Prodi II (con il milleproroghe del 31 dicembre 2007) e poi il governo Berlusconi IV (col milleproroghe del 18 dicembre 2008) ne hanno garantito fino a oggi la piena efficacia. È inutile recriminare sulle scelte fatte, ma è nostro dovere influire come cittadini su quelle che possono ancora cambiare. La prossima scadenza utile, sulla quale sarebbe opportuno si aprisse questa volta in tempo utile un dibattito sereno e costruttivo, è il 31 dicembre 2009.

Fanno 85 giorni a partire da oggi. 85 giorni in cui chi ha a cuore il futuro della rete in Italia è chiamato a far sentire la propria voce.

Fonte: Apogeonline (leggete tutto l’articolo!)

Politiche energetiche a Udine

Il 26 settembre alla Fiera di Udine si è tenuto il convegno “Il ruolo dei Comuni nella promozione del risparmio energetico”, dove si è cercato di approfondire le scelte sulle politiche energetiche a partire dall’esperienza di Udine, visto che qui dal primo giugno, prima amministrazione comunale in Regione FVG, è in vigore il nuovo regolamento edilizio che prevede la certificazione CasaClima per tutti i nuovi edifici.

Nel corso del convegno sono intervenuti il sindaco di Udine Furio Honsell, il presidente dell’Ape di Udine Loris Mestroni, l’assessore all’Energia della Provincia di Udine Stefano Teghil, il dirigente del ministero dell’Ambiente Antonio Lumicisi, il direttore dell’agenzia CasaClima di Bolzano Norbert Lantschner, l’arch. Stefano Fattor, già assessore al Comune di Bolzano, l’amministratore delegato della Fantoni spa Paolo Fantoni, il presidente di Legambiente FVG Giorgio Cavallo, Vitto Claut del Codacons di Udine, Claudio Pantanali di Confindustria Udine e Adriano Savoia, presidente della Federazione Italiana Agenti Immobiliari.

Honsell ha presentato il PEC Piano Energetico Comunale, parlando di riduzione di CO2 e di tecnologie per i sistemi di risparmio soprattutto per edifici di una certa età quale via maestra per ottemperare alle indicazioni europee, ovvero il “Pacchetto Energia” del gennaio 2009, definite 20-20-20 (arrivare entro il 2020 a produrre il 20% dell’energia da fonti rinnovabili e ridurre del 20% le emissioni di anidride carbonica), nonché esponendo la filosofia stessa dell’impegno sul risparmio, ragionando a esempio sul kilometro zero.
Interessante il Patto tra i Sindaci europei (a riprova di iniziative “dal basso”) per il raggiungimento di simili obiettivi, firmato come protocollo recentemente dal Comune di Udine e da altre novanta municipalità in Italia.

Dopo altri interventi di Mestroni (il ruolo di APE Agenzia Provinciale per l’Energia di Udine) e di Lumicisi (ha mostrato un po’ di grafici sulle fonti energetiche, sulla necessità del rinnovabile) ha preso la parola Lantschner di CasaClima di Bolzano, il quale ha esordito preannunciando il suo dover fare necessariamente la parte del “cattivo”, perché qui non si è ancora capito bene il dramma a cui stiamo andando incontro, nell’insistere con petrolio e carbone senza comprendere l’ormai superato picco della produzione e la non-economicità dei sistemi attuali.
L’Italia, ha detto esplicitamente, è messa male: continua a fare gli stessi errori da 40 anni, nel campo edilizio.

Dove sbagliamo? Oltre alla dipendenza dal petrolio, e alla stoltezza dell’attuale sistema di distribuzione dell’energia, la gravità sta nel non tenere in considerazione l’efficienza energetica, vera chiave di volta di tutti questi ragionamenti, in ogni settore.
Aiutandosi con dei grafici, Lantschner ha illustrato come il problema vero sia l’edilizia, non i trasporti: a causa dell’inadeguatezza delle costruzioni presenti oggi in Italia abbiamo uno spreco incredibile, non giustificabile.
E bisogna cambiare subito strategia: se ti accorgi di essere su un treno sbagliato, non serve a molto correre verso la coda, devi scendere il prima possibile.
I Comuni non devono “prescrivere” delle iniziative o delle migliorìe, devono piuttosto “premiare” chi fa le case meglio delle leggi attuali… in questo modo, introducendo un sistema premiante, diventa fondamentale il problema del certificato energetico.

Sempre da Bolzano, dove sono veramente all’avanguardia con simili pratiche edilizie (le case “popolari” vengono costruite in fascia B, e questo obbliga anche l’edilizia privata ad alzare la qualità dell’offerta), Stefano Fattor docente di architettura e già assessore a Bolzano mostra come in italia i sistemi di certificazione (caso unico, come al solito) non seguano i criteri europei, cosicché può capitare di acquistare o di poter costruire case che vantano una bassa “impronta” ecologica, ma la cui manutenzione energetica in realtà non appartiene affatto alla categoria di assegnazione, risultando più dispendiosa.

Il prossimo 9 ottobre a Udine verrà presentato il Piano energetico Comunale.

Pianificare l’energia, comunicare l’energia

Il giorno 9 ottobre 2009 alle ore 16.00 presso la sala Ajace del Comune di Udine, si terrà l’incontro pubblico “Pianificare l’energia, comunicare l’energia” per presentare il Piano Energetico Comunale 2009 e il progetto di comunicazione ambientale “Cyber-Display” a co-finanziamento europeo.
L’evento sarà l’occasione anche per raccogliere valutazioni e punti di vista sul nuovo Piano Energetico comunale, che saranno utili per pianificare i futuri interventi in ambito energetico.
Il PEC vuole inoltre implementare le funzioni della pianificazione territoriale e delle politiche di sviluppo sociale a livello locale, valorizzando la variabile energia quale fattore chiave di sviluppo. Viene pertanto assegnata alta priorità alla promozione delle fonti rinnovabili ed al risparmio energetico come mezzi per una maggior tutela ambientale.
Il PEC analizza le caratteristiche del sistema energetico locale alla data odierna, e definisce gli obiettivi di sostenibilità al 2020 coerentemente con gli indirizzi e gli obiettivi della commissione Europea nel settore dei consumi, delle emissioni di gas climalteranti e delle azioni individuate in ambito internazionale per il loro raggiungimento.

Il Piano Energetico è costituito da due documenti:
1. Bilancio Energetico;
2. Piano d’Azione.
Il Bilancio energetico restituisce l’immagine della domanda/offerta di energia sia per quanto riferibile all’Amministrazione che per il Territorio comunale. Il risultato è un documento che prevede una struttura flessibile ed adatta ad essere aggiornata con facilità.
Il Piano d’Azione è suddiviso in proposte di intervento a breve-medio termine e proposte a lungo termine, volte a promuovere l’uso razionale dell’energia ed il contenimento delle emissioni climalteranti. L’intento è duplice: da un lato sono state programmate iniziative per il contenimento dei consumi negli edifici e negl i impianti di proprietà comunale; dall’altro verranno realizzate campagne per la sensibilizzazione ed il coinvolgimento fattivo di soggetti di varia natura (pubblici e privati).

In termini pratici, la caratteristica del PEC è quindi quella di costituire uno strumento operativo, condiviso, chiaro, semplice, che coinvolge i diversi settori che hanno competenza indirettamente su aspetti energetici, e integrato con gli altri strumenti di programmazione e governo del territorio, evitando sovrapposizione tra essi.
L’incontro presenterà inoltre le prime attività svolte nell’ambito del progetto “Cyber-Display” a co-finanziamento europeo, per la comunicazione ambientale nelle scuole e ai cittadini dei temi del risparmi energetico.
All’evento, oltre all’Ass. Lorenzo Croattini in rappresentanza dell’Amministrazione Comunale, parteciperanno alcuni responsabili di Ecuba srl (la società affidataria dell’incarico di redazione del Piano) e Agnese Precotto in qualità di responsabile di una delle campagne di comunicazione sui temi dell’energia attualmente in corso. Sono stati inoltre invitati i rappresentanti di Confartigianato, Legambiente, dell’Agenzia Provinciale per l’Energia di Udine e di AMGA SPA al fine di fornire il punto di vista di diversi portatori di interesse operanti sul territorio.

TIC e apprendimento

Qualche giorno fa, in questo post qui intitolato “Le tecnologie non servono”, Gianni Marconato ha provato senza menar troppo il can per l’aia a riassumere il suo approccio e le sue riflessioni rispetto all’adozione delle TIC a scuola, nella didattica quotidiana.
Quella che va tenuta ferma in questi ragionamenti è l’efficacia dell’apprendimento, non solo l’efficienza dell’insegnamento: ci viene propinata una facile equazione (strumenti migliori = maggiori garanzie di successo delle azioni formative) che può essere facilmente falsificata a esempio dal non confondere i mezzi con i fini, evitando di rivestire quindi le tecnologie didattiche di un’aura di potenzialità e di malintesa modernità che le renderebbe di per sé in grado di fare la differenza rispetto agli obiettivi scolastici.
L’affermazione di Marconato è chiarissima: un bravo insegnante ottiene successo e provoca apprendimento significativo nei suoi allievi anche usando solamente la tecnologia della parola, mentre un insegnante mediocre potrà circondarsi di mille diavolerie (ehehe) elettroniche ma comunque il suo fare risulterà inadeguato.

“Le tecnologie non servono… se non sai insegnare”.

Peggio ancora, c’è in giro una cultura dell’innovazione strumentale che offusca e distoglie lo sguardo dai veri obiettivi educativi, e forse questa è il vero nemico da combattere.

Non si tratta quindi di demonizzare le TIC, anzi importantissime oggi per fare scuola in modo coerente e sintonizzato al mondo in cui viviamo, ma di ragionare sul significato di insegnamento e apprendimento.
In Rete la posizione espressa in quel post ha provocato (su Facebook, nei commenti sul blog) notevoli reazioni da parte di persone, magari docenti, che senza aver ben compreso il nòcciolo della questione si sono indignate per la pochezza con cui veniva trattata la professione dell’insegnante oppure per il sacrilegio di aver parlato male delle salvifiche tecnologie TIC.

Incollo qui l’articolo di risposta di Marconato a queste critiche e osservazioni, da cui emergono in maniera puntuale le diverse posizioni di pensiero sull’uso didattico delle tecnologie, la necessità di pensare prima all’apprendimento, e poi alle tecnologie che servono per ottenerlo (e non viceversa, come troppo spesso si fa oggi).
Interessantissima (più volte discussa in questo blog) la visione secondo cui è importante giungere alla trasparenza delle TIC nel setting e nel processo educativo.

… a meno che
di Gianni Marconato

Il mio ultimo post “Le tecnologie non servono” ha suscitato un buon dibattito in rete (anche se non ampio come “La scuola Gelmini – Israel non serve a nessuno”), con espressioni di accordo e di disaccordo su quanto affermo.
Il post mi è, anche, costato l’accusa di revisionista, passatista…
Evidentemente non mi sono spiegato bene, soprattutto per coloro che mi hanno considerato, per il post, una persona contraria all’uso didattico delle tecnologie.
Capisco che chi non conosce la mia storia professionale (di cui il mio blog dà ampio rendiconto) si possa essere fatto questa idea e capisco che il titolo possa aver tratto in inganno, ma una attenta lettura avrebbe, forse, reso comprensibile il mio pensiero nella sua articolazione.
Nel post in questione dico, al di là delle frasi forti (nessuna provocazione Francesco), dico:

  • Spesso l’uso didattico delle tecnologie è stato confuso/spacciato come innovazione tout-court e con non poche mistificazioni, vuoi in buona fede, vuoi in perfetta malafede
  • Non si può far credere (agli insegnanti, agli studenti, alle famiglie, alla società) che la nostra scuola stia migliorando grazie a massicce iniezioni di tecnologie
  • Il mero uso delle tecnologie non produce necessariamente ed automaticamente buona scuola (buon insegnamento, buon apprendimento)
  • La questione del valore aggiunto delle tecnologie è ben più complessa di quello che a tutti i livelli si fa credere
  • Un cambiamento profondo, autentico e stabile si attiva con una strategia (anche politica) e modalità operative differenti di quelle che si stanno adottando
  • In parecchi di coloro che lavorano nella filiera delle tecnologie c’è molta ingenuità e/o approssimazione (quando non furbizia)
  • Dopo tanti anni di ingenuità, sperimentazioni più spesso mal riuscite che ben riuscite, “lezioni” imparate da molti di noi, è ora pensare ad approcci organizzativi e didattici maturi, non a ripetere quelli della prim’ora

Una affermazione, forse estremistica, fatta nel post è relativa al fatto che solo un “bravo” insegnante può trarre beneficio dall’uso delle tecnologie. (Francesco Leonetti mi ha fatto notare che avrei potuto titolare “Le tecnologie non servono … se non sai insegnare). Un tempo non lo credevo, ma ne sono sempre più convinto (ed in P.S. lo argomento)

Concludevo il post “incriminato” con una proposta di ordine metodologico sulla base di questo ragionamento: “Considerato che le tecnologie dovrebbero migliorare insegnamento ed apprendimento, considerato che le tecnologie sono strumenti come tanti altri, perché non partire da problemi/obiettivi di didattica e trattare, nel contesto della loro soluzione, anche le tecnologie? Perché prima si devono imparare le tecnologie e poi il loro uso? In questo modo, a mio avviso, si rimette al centro la didattica.

Esplicitando, se ancora ce fosse il bisogno, il mio pensiero è che, oggi (non 10, 5 anni fa) le tecnologie si accrediteranno autenticamente come utili strumenti didattici se scompariranno in quanto “oggetto” in bella evidenza e diventeranno uno dei tanti tools a disposizione di insegnanti e studenti.
Le tecnologie si accrediteranno e si insedieranno stabilmente, ed i tempi sono maturi, solo quando non si parlerà più di didattica con le tecnologie ma solo di didattica, con e senza le tecnologie.
Non vi sembra giunto il tempo di rendere normali le tecnologie in classe? O almeno comportarci come se lo fossero?
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P.S. su “il bravo insegnante
Perché solo il “bravo” insegnante potrebbe tratte beneficio (= aggiungere valore aggiunto) dall’usare le tecnologie in classe e non il “mediocre”? Forse potremo dire “insegnante esperto” ed “insegnante novizio”; forse così non si offende nessuno.
Per me il “bravo insegnante” (relativamente alla variabile “tecniche didattiche”)è colui/colei che:

  • Conosce ed ha una comprensione profonda di un’ampia (meglio se vasta) gamma di tecniche didattiche
  • Sa diagnosticare, dalla prospettiva dell’apprendimento e dell’insegnamento, la situazione in cui vuole intervenire
  • Sa scegliere, in coerenza con questa, la tecnica che per lui è la più adeguata
  • Sa argomentare il perché della scelta
  • La sa implementare efficacemente

Solo un insegnante “evoluto” o “esperto”, un insegnante che ha mestiere può trovare il senso di questo ulteriore strumento (uno strumento tanto divertente quanto difficile da usare didatticamente), un insegnante competente che in virtù delle tecniche che padroneggia potrebbe, anche, fare a meno delle tecnologie (anche se credo che le tecnologie possano dare qualcosa in più).
Ma se non le ha, quell’insegnante, non sa perché usa le tecnologie e lo fa solo perché …. le tecnologie esistono, …. perché i nativi digitali, …. perché non se ne può fare a meno, …. perché altrimenti non si è al passo con i tempi, … perché, altrimenti, si fa la figura degli scansafatiche, …. perché che direbbe il dirigente.

Con il risultato di continuare a fare la solita mediocre lezione, di deprimersi dopo un po’ perché non vede risultati e di dare la colpa alle tecnologie.

Allora, il “novizio” (c’è chi rimane novizio per tutta la vita perché “fare esperienza” non vuol dire “avere esperienza”) non potrà mai accedere alla gioia delle tecnologie? Dico di si, ma questa è un’altra storia

Quindi chi ha a cuore la buona immagine ed il buon uso delle tecnologie didattiche (io sono tra questi), sia severo, sia esigente, abbia elevate aspettative e non si accodi al gregge delle pecore che belano tontamente dietro l’ultima tecnologia.

Al barcamp di Venezia, 23-25 ottobre

Parliamo di Venezia.
Il convegnone su VeneziaDigitale (vedi qui il sito VeneziaCamp, oppure qui per il wiki dell’iniziativa) avrà luogo da venerdì 23 a domenica 25 ottobre, all’Arsenale.
L’isola del Lazzaretto, precedente location, andava già bene, ma considerata la prevista alta affluenza di persone (oltre mille) il trovarsi tutti all’Arsenale andrà ancora meglio, permettendo di recuperare anche la valenza simbolica del Luogo rispetto ai temi del convegno.
Cioè, l’Arsenale è dove i veneziani costruivano le navi, l’hardware su cui far girare quel software chiamato “commercio”, e i veneziani eccellevano nell’uno e nell’altro. E il commercio è una “tecnologia abilitante”, perché oltre alle merci fa viaggiare le idee, la cultura, modifica la visione del mondo, scommette sul futuro.
L’Arsenale è forse la prima “fabbrica” storicamente esistita, in un mondo ancora artigianale (l’energia veniva dal vento, dall’acqua, dalle braccia), che riesce a pensare se stessa in termini protoindustriali: qual posto migliore per incardinare la Cultura Digitale (abitare i mari della Rete) se non un vero tempio della Cultura Tecnologica, da risvolti territoriali così forti da riuscire a connotare di sé l’intero “fare” di Venezia, per secoli, e quindi la sua identità.

Questo convegno rappresenta la prima esplicita presa di coscienza vissuta da Venezia del proprio ruolo futuro, del proprio essere città digitale; qui ragioneremo, ancora brancolando ed esplorando, sui significati dell’abitare connesso, di Cittadinanza Digitale, delle conseguenze per le prossime generazioni del praticare socialità in rete, dell’evolversi dei sentimenti di appartenenza territoriale delle collettività per la prima volta slegate dalla fisicità dei corpi, dei campielli.
Un convegno che come mi dice Andrea Casadei (insieme a Gigi Cogo e Roberto Scano, promotore dell’evento) ormai assomiglia più a un rave dell’innnovazione che a un convegno vero e proprio, il che è abbastanza in sintonia con l’idea di creatività “Woodstock” che emergeva dai primi incontri organizzativi.
Anzi, se ci fossero strumenti musicali nelle stanze di decompressione, mi metterei volentieri alla batteria o al basso durante le blogger-jamsession, mentre su uno schermo vengono proiettati gli spartiti e le parole delle canzoni (da Orietta Berti “Fin che la barca va” ai Red Hot Chili Peppers “Under the bridge”, va bene tutto) in stile karaoke per chi volesse cimentarsi nel canto.

Dentro il convegno, nella giornata di sabato, avrà luogo un barcamp, ovvero una conferenza destrutturata. Detto en passant, visto che durante i barcamp gli spazi “slot” dei relatori vengono decisi il giorno stesso, nella mia testa ormai i barcamp si definiscono come “slot-machine”, e l’alone semantico di “alea” veicolato dal gioco d’azzardo riguarda l’efficacia stessa dello strumento barcamp. Rispetto alla sua capacità di veicolare idee e conoscenza, la formula della de-conferenza può funzionare molto bene oppure molto male. Spesso funziona male perché, tradendo la sua impostazione storica, si tratta in realtà di una conferenza classica (“lezione frontale”, palchetto ergo relazione comunicativa asimmetrica, nessuno risvolto conversazionale) camuffata da barcamp.

Ecco, a Venezia mi sono proposto per due interventi nel barcamp del sabato, oltre a partecipare domenica all’incontro dedicato alla Cittadinanza digitale.

Il primo intervento riguarderà le “Narrazioni mediatiche per una identità territoriale“, il secondo tratterà di “Didattica aumentata: competenze digitali a scuola

Nel primo caso proverò ad esporre rapidamente tutte quelle idee che da un po’ mi girano in testa e che provo a scrivere qui su questo blog, ovvero di come siano necessari strumenti concettuali e operativi nuovi per cogliere il farsi ormai quotidiano delle pratiche di partecipazione e relativa emersione dei sentimenti di appartenenza territoriale (territorio 2.0, però) nei processi autopoietici delle collettività umane. Il raccontare se stessi da parte degli attori sociali, dagli individui ai gruppi informali alle istituzioni, dentro i media moderni edifica complessivamente l’immagine, intenziona la rappresentazione che poi questa collettività (in questo caso, Venezia) offre al mondo, la quale riflessa e negoziata negli scambi conversazionali del web sociale va poi a costituire l’identità con cui quel territorio fisico, umano e simbolico viene percepito dal mondo intero.
In particolare, tenendo in considerazione l’imprevedibilità di questi fenomeni emergenti dalla complessità del calderone conversazionale (immaginate tutti i Luoghi massmediatici e della rete dove si parla di Venezia in tutti i suoi aspetti, siano essi blog personali o geoblog o urban blog o community o i siti delle PA o quelli della Biennale o del Festival del Cinema o di Ca’Foscari o delle imprese commerciali o il tg regionale o i canali youtube dedicati) e la necessità conseguente di provvedere in questo momento storico della nascita del web sociale forse non tanto i contenuti quanto i contenitori dove la socialità possa trovare spazi di scambio e confronto, pubblicazione e visibilità (da qui vengono poi i contenuti, “dal basso” e mashuppati e socialmente negoziati), mi piacerebbe poter scambiare delle idee con i partecipanti all’intervento su come possono essere impostati dei ragionamenti e degli strumenti capaci di cogliere appunto l’identità di una collettività, la qualità unica del suo abitare la Rete allo stesso modo in cui è unico e originale è il dialogo che quella intrattiene con il territorio che storicamente la ospita, e che oggi è anche territorio digitale.
Insomma, io parlerò dieci minuti, poi i restanti venti potrebbero giocarsi come gruppo di brainstorming: l’importante sarà uscire da lì con dei contenitori di idee (approcci, prospettive, fughe immaginifiche, squarci di futuro, scintille di netizenship), semi di progettazione sociale che poi germoglieranno quando troveranno un ambiente favorevole per diventare idee di marketing territoriale, di educazione civica, di abitanza concreta.

L’altro intervento in cui intendo spendermi riguarda il mondo della scuola.
Riguarda la necessità di superare rapidamente delle impostazioni vecchio stampo relative all’introduzione delle nuove tecnologie TIC in classe, per puntare risolutamente verso una Educazione alla Cittadinanza digitale.
Riguarda la necessità di passare dal ragionare di abilità informatiche alle competenze digitali (sul blog dei NuoviAbitanti trovi alcune riflessioni: qui, qui, qui, qui e qui, giusto per aver qualcosa da leggere), perché tra il sapere cosa sono la RAM e il discofisso e ragionare di reputazione online o di fiducia o di identità digitale sui socialnetwork o di diritti di cittadinanza nell’e-democracy vi è una certa differenza, e ogni volta che qui in Rete si parla di didattica sembra quasi obbligatorio dover ripartire da Adamo ed Eva (o Charles Babbage e Ada Byron Lovelace, se volete), senza tenere in considerazione almeno quindici anni di discussioni nazionali (Maragliano, Rotta, Calvani, Rivoltella, to name just a few), sulle tematiche dell’apprendimento mediato dalle nuove tecnologie, e sulle indicazioni di una corretta Media Education.
Mi piacerebbe fossero presenti all’incontro degli insegnanti capaci di tra-guardare lo strumento (lavagna interattiva o e-book, netbook per ogni studente o wifi in classe) per giungere a parlare, sempre in modalità conversazionale allargata e con approccio problem-posing, prima ancora che solving, di come il concreto fare in classe potrebbe essere potenziato da un uso intelligente dei dispositivi elettronici da intendere quali porte per portare la didattica e il gruppo classe ad abitare sul web (e quindi il web dentro la scuola) dentro gli ambienti di apprendimento online già ora disponibili.
Google Earth, perché fare geografia oggi senza mappe satellitari ha poco senso, come pure un blog di classe, dove rendere sociali e condivisi i processi dell’apprendimento.
Un wiki per la scrittura collaborativa e la creazione di nodi di Conoscenza, come un canale youtube di classe per ragionare di grammatica visiva, di learning-by-doing, di capacità critica di decodifica di linguaggi complessi.
Ragionare di Educazione alla Cittadinanza digitale, appunto, come parte di una Educazione civica in grado di rendere i giovanissimi attori protagonisti della società futura, consapevoli dei propri diritti e doveri rispetto all’accesso e alla pubblicazione di informazioni, dei problemi sulla proprietà intellettuale delle opere, dei risvolti della democrazia elettronica, delle battaglie in rete per la libertà di opinione, della tutela della propria identità e reputazione online, della natura intimamente conversazionale dell’ecosistema della Conoscenza, della propria partecipazione al dibattito pubblico mediante i Luoghi istituzionali di consultazione e di decisionalità nell’e-government, nonché di espressione personale sulla gestione della cosapubblica in quelli di e-democracy.
Insomma, vorrei mettere da parte quello che già tutti sappiamo per provare a parlare di quello che continuiamo a dire “è dietro l’angolo, sta per arrivare” e invece è già qui, nel linguaggio e nei comportamenti dei tredicenni, nei loro connessi telefonini/videocamera e nei loro profili sui socialnetwork.

Questo post, linkato dentro il wiki del convegno di VeneziaCamp, va considerato come luogo di propulsione rispetto alle tematiche da affrontare in presenza, all’Arsenale: usate pure i commenti per suggerire o discutere di approcci e contenuti, poi provvederò a distillare il meglio (sì, ci penso io) da portare sui tavoli del barcamp.

Scuola digitale al via

Tutti insieme in un colpo solo stanno per arrivare nelle scuole italiane quei dispositivi digitali e quelle tecnologie per la didattica intorno alle quali proviamo da molti anni a ragionare, per capire le modalità più adeguate del loro utilizzo in relazione all’apprendimento effettivo degli studenti.

Si fossero introdotte in classe con gradualità queste novità tecnologiche nel corso degli ultimi dieci anni (non è poco; e bastava restare sintonizzati con il “mondo reale”) sarebbero potute emergere direttamente dal concreto “fare scuola” le pratiche migliori, le metodologie più adeguate, i contesti d’uso più appropriati. L’auto-formazione degli insegnanti e l’innovazione della stessa organizzazione lavorativa scolastica avrebbe avuto il tempo di adeguarsi alla modernità, di elaborare le conoscenze e le abilità di tipo informatico in competenze digitali (vedi qui e qui), le quali non sono “contenuti” che si possono trasmettere con un corso di aggiornamento professionale, trattandosi di modificazioni profonde degli atteggiamenti personali dei docenti – e della situazione di apprendimento – rispetto all’attuale Ecosistema della Conoscenza e all’impellente necessità di fornire indicazioni di Educazione alla Cittadinanza Digitale alle giovani generazioni.
Se attualmente ci sono in Italia insegnanti che usano il computer alla stregua di una macchina per scrivere e una lavagna elettronica come semplice supporto per mostrare le immagini, senza comprendere appieno le effettive potenzialità di una “didattica aumentata”, una simile massiccia introduzione di tecnologia in classe produrrà un marasma notevole, innescherà dinamiche di repulsione, costringerà la scuola per ancora molti anni a rielaborare gli approcci metodologici e a fomentare dibattiti interni sui massimi sistemi, perdendo tempo prezioso rispetto ai passi che il mondo sta facendo in direzione di una socialità connessa.

Se non altro, stiamo parlando di cambiamento. Un cambiamento forzato, che non potrà non modificare profondamente le attuali pratiche didattiche e i meccanismi di funzionamento della scuola come organizzazione lavorativa. Un cambiamento epocale che avrebbe dovuto essere meglio accompagnato nel corso degli anni, e che per molti anni ancora avrà bisogno di potenti enzimi (competenze professionali esterne al mondo della scuola, se quest’ultima si degnasse di aprirsi al mondo e lasciasse entrare – non per decreto ministeriale – il mondo in sé) per digerire e metabolizzare questa massa di innovazione tecnologica da ingurgitare rischiando l’indigestione.

Un ultimo appunto: era proprio necessario fare business anche in questo campo, stipulando contratti commerciali tutti da chiarire con i principali colossi dell’informatica e dell’elettronica mondiali, nonostante precise indicazioni legislative europee e italiane sull’utilizzo di tecnologie opensource nelle pubbliche amministrazioni, nonostante le raccomandazioni per l’utilizzo di OpenCulture nei processi educativi?

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Scuola digitale: il governo sigla intesa con Microsoft, Telecom, Intel e Ibm. eBook, lavagne iTech, sms e pagelle online per Cl@ssi 2.0
di Raffella Natale, fonte Key4biz

Forse non a breve, ma gli eBook potrebbero sbarcare nelle scuole italiane. Intervenendo alla presentazione dei risultati del progetto “La scuola digitale”, il Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha infatti spiegato che “l’eBook non è sostitutivo del libro di testo, ma per alcune tipologie come i libri di esercizi i volumi si prestano benissimo a essere digitali”.
La Gelmini, presentando con il Ministro della Pa Renato Brunetta lo stato di avanzamento dei progetti per la digitalizzazione del mondo dell’insegnamento, ha informato che entro il prossimo giugno arriveranno quasi 30.000 lavagne interattive multimendiali installate in altrettante classi con 100.000 insegnanti in formazione.
E ancora: didattica digitale al posto dei tradizionali metodi di apprendimento in nuove 156 scuole delle primarie e secondarie superiori; servizi scuola-famiglia via web, con pagelle e certificati on-line, registro elettronico di classe, notifica tramite sms alle famiglie delle assenze degli studenti. “E’ una responsabilità di tutti – ha detto la Gelmini – offrire ai nostri ragazzi una scuola sempre più aperta e moderna”.
Con il piano eGov 2012 ed il protocollo d’intesa dell’ottobre 2008, il Miur e il Ministero della Pa hanno avviato una serie di interventi coordinati per l’innovazione digitale della scuola.


Il Miur ha messo a punto il piano ‘La scuola digitale’, che si articola in due fasi: la prima (operativa dallo scorso gennaio) prevede l’introduzione in classe delle lavagne interattive multimediali (Lim), l’altra chiamata Cl@ssi 2.0 ha come obiettivo l’utilizzo delle ICT nelle scuole. Secondo i dati di viale Trastevere, ad oggi sono state già installate 7.697 Lim, che si aggiungono alle 3.300 fornite dal Ministero per la P.A.. Sono inoltre iniziati i corsi di formazione per 30.000 docenti. Parte ora una seconda fase, che ha come obiettivo l’installazione entro giugno di altre 20.000 Lim con complessivamente 100.000 insegnanti in formazione.
Il progetto Cl@ssi 2.0, invece, mira a trasformare l’ambiente di apprendimento tradizionale attraverso le ICT e la didattica digitale: nei prossimi mesi anche le scuole primarie e secondarie superiori (dopo quelle secondarie di I grado) sperimenteranno il progetto, con nuove 156 scuole e 1.404 insegnanti in formazione.
Le nuove tecnologie modificheranno anche la vita scolastica e i rapporti scuola-famiglia: con il progetto ‘Servizi scuola-famiglia via web’, coordinato tra i due ministeri, in molti istituti le pagelle saranno online, il registro di classe diventa elettronico, le prenotazioni dei colloqui con i docenti e le richieste di certificati si faranno sulla Rete e le scuole notificheranno alle famiglie via sms le assenze dei figli.
Sempre più difficile, quindi, marinare la scuola: “E’ finita un’era”, ha scherzato Brunetta mentre per Gelmini “così si vuole ripristinare l’alleanza scuola-famiglia: sono tutti aiuti che consentiranno ai genitori di tornare protagonisti dell’educazione, senza rinunciare al loro lavoro”.

Gelmini e Brunetta hanno anche annunciato alcune intese con Microsoft, Ibm, Intel e Telecom Italia, che si presteranno a diffondere e promuovere l’utilizzo delle nuove tecnologie nella didattica, sviluppando il piano di innovazione digitale.
Stamani infatti le quattro società hanno firmato a Palazzo Chigi una serie di Protocolli d’intesa per la diffusione delle tecnologie digitali nella scuole. Con la firma del presidente Umberto Paolucci, Microsoft Italia si impegna, tra l’altro, a ridurre il digital divide nelle scuole anche fornendo gratuitamente software operativo e/o applicativo finalizzato all’innovazione della didattica.

Il superamento dei fenomeni di esclusione causati dal digital divide è anche l’obiettivo indicato dall’amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè.
Il gruppo tlc metterà pertanto a disposizione degli studenti offerte agevolate per parlare, video-chiamare, inviare messaggi e navigare su internet, oltre a specifici piani di ricerca e sperimentazione orientati ai processi di insegnamento e apprendimento.
Luciano Martucci, presidente di Ibm Italia, ha annunciato la collaborazione di un Centro di competenza internazionale mentre la collaborazione con Intel Italia, ha anticipato l’amministratore delegato, Dario Bucci, si concentrerà sull’adozione della piattaforma di formazione Intel Teach Advanced Online per l’aggiornamento professionale dei docenti. Proseguono intanto, ha assicurato la Gelmini, altre iniziative. In arrivo mini pc portatili per gli studenti delle scuole medie. Il governo metterà, infatti, a disposizione 150 euro a pc e sta cercando sponsor che ci mettano il resto. “Il nostro obiettivo – ha spiegato Brunetta – è dotare 1.000 classi al mese per i prossimi 4 anni e arrivare entro la fine della legislatura a dotare tutti gli studenti di un pc”.

Il Grande Fratello siamo noi

Certo, viviamo tempi paranoici.
“Help, the paranoids are after me!!” era una battuta di trent’anni fa, la vedevo scarabocchiata sugli astucci alle medie.
E se cammino per strada nella mia cittadina, il saper di essere osservato da centinaia di videocamere potrebbe indurmi a comportamenti sospettosi, il che mi rende sospetto, quindi chi ti sorveglia a ragione direbbe “A-ha! Ecco quello lì che nasconde qualcosa, manda una Volante a controllare”, ed ecco che mi mordo la coda. Anzi, sto proprio deviando le linee del destino, mettendo in scena una profezia che si autodetermina, visto che se penso che mi controllino così allora mi comporto colà e quindi mi notano e quindi mi controllano etcetcetcetc.
Se vedete nelle serate dei finesettimana dei gruppetti di persone di mezza età che si guardano in giro con il naso all’insù, non preoccupatevi, sono i soliti amici avvocati architetti medici docenti universitari o psicologi che per fumarsi con tranquillità due canne in centro devono giocare a nascondino con gli occhietti elettronici che dovunque, a Udine come in molte altre città italiane, sorvegliano il territorio. Gente che si preoccupa, professionisti seri, che li sgami subito per la paranoia che hanno di essere beccati, appunto. Encomiabili, quelli, ci vuole un coraggio da leoni oggidì, mentre l’approccio corretto sarebbe fottersene platealmente dell’intero problema, visto che problema non è (tranne che per le stolti leggi italiane al riguardo).
E se tu che leggi qui sei contro l’uso ricreativo della canapa, sappi che con buona probabilità le persone intorno a te, il tuo avvocato o il benzinaio o il tuo medico o il bancario o la commessa del negozio di scarpe sniffano cocaina, e qui il problema c’è (tranne che per le stolte leggi italiane al riguardo, che non conoscono la differenza).

Ma delle ridicole politiche proibizioniste parleremo un’altra volta, torniamo al problema del Grande Fratello, le centinaia di videocamere che ci sorvegliano mentre passeggiamo in centro.
Qui a Udine vogliono metterne un altro centinaio intorno alle scuole, visto che i vandali cagionano 200.000 Euro di danni all’anno, come ci racconta un preoccupato (forse per i soldi) assessore provinciale sul Messaggero Veneto. E la Regione o altri stanzieranno un milione di euro per le videocamere. E a me sembrano tanti, 10.000€ per ogni telecamera e il lavoro di metterla e tutto. Ma vabbè, paghiamo e teniamo sotto controllo i giovani, dài. Vorrai mica e-du-car-li, no? Approccio obsoleto, suvvia. In questo modo poi imparano sul campo l’arte del sotterfugio, italico vanto, e le marachelle le faranno ugualmente, se non peggiori.
E in ogni caso per i prossimi anni non si tornerà indietro, garantito, la tecnologia verrà ampiamente utilizzata per il controllo del territorio e delle persone, in forme sempre più raffinate. Ce lo diceva paradossalmente anni fa Rodotà, da Garante della privacy: se non volete essere rintracciabili, non limitatevi a spegnere il cellulare, togliete proprio la batteria, sennò qualcuno (chi? con quali fini? ovviamente uno incorruttibile e di specchiata moralità) potrebbe sempre facilmente sapere dove siete.

La domanda è: chi le guarda, queste immagini? La Polizia, immagino, oppure i Vigili Urbani. Centinaia o migliaia di videocamere in funzione alle 3 di notte, esiste chi le guarda sui monitor nella centrale operativa? Nelle università e nei centri di ricerca stanno sviluppando software specifico per rilevare comportamenti aberranti di umani e automobili, sappiatelo, tipo riunirsi a capannello in piazza in tre persone. Non credo le immagini nemmeno servirebbero a cogliere i malintenzionati in flagrante, penso piuttosto le registrazioni costituirebbero materiale d’indagine successivo al reato, per l’identificazione degli autori.

Insomma, vengo al punto.
C’è solo un modo per evitare gli atteggiamenti sospettosi, la paranoia sociale, l’ombra del grande Fratello che si allunga minacciosa sulle nostre ridenti cittadine minando la fiducia nel prossimo e nelle istituzioni.
Le immagini riprese dalle videocamere di sicurezza sul territorio pubblico devono essere pubbliche. Tutti devono poter vedere quello che vedono le forze dell’ordine in centrale operativa.
Tutti devono poter vedere tutto, in tempo reale, su un bel sitino web dove posso scegliere camera per camera le varie inquadrature, e le mappe con le ubicazioni dei punti coperti pure devono essere pubbliche.
E grave assai dovrebbe essere il reato di non rendere pubblici questi dati sulle ubicazioni di tutte le videocamere, perché saremmo nel caso di pubbliche amministrazioni che celano dati pubblici.

Magari diamo una mano alle forze dell’ordine, gratis: gli insonni potrebbero buttare un occhio negli angoli bui della città, senza muoversi di casa, e segnalare stranezze.
E soprattutto, per cose che riguardano appunto gli spazi pubblici, togliamo di mezzo questa idea della sorveglianza occulta, dove non posso controllare cosa controllano i controllori.
Ma proprio questo è il problema: chi controlla i controllori? La risposta migliore è oggi tecnologicamente praticabile: tutti noi possiamo controllare i controllori, tutti noi controlliamo noi stessi, ché è meglio tutti che una parte soltanto. Sennò non mi fido, sono paranoico.

Cittadinanzadigitale, il libro

Lo scorso estate* partecipai a un convegno/workshop intensivo in quel di Dobbiaco, vi ricorderete sicuramente, dove per tre giorni provammo a ragionare di Cittadinanza Digitale, di nuove narrazioni, di approcci didattici in grado di tenere in considerazione le novità sociali e culturali del mondo attuale.

Al termine degli incontri la generalessa Luisanna “Fiordiferro” Fiorini, organizzatrice dell’evento per conto dell’Istituto Pedagogico di Bolzano, chiese a noi partecipanti di produrre una relazione scritta di una certa consistenza sugli argomenti trattati, in previsione di una futura pubblicazione cartacea.
Ebbene, dopo un anno quel libro è ora disponibile: si intitola Cittadinanzadigitale, Edizioni Junior, 2009 ISBN 9788884344786. La prefazione è di Antonio Sofi, e oltre ai miei contributi vi sono quelli di Marco Caresia, Isabel De Maurissens, Andreas Robert Formiconi, Maria Maddalena Mapelli, Edoardo Poeta, Mario Rotta.

Qui su Ibridamenti trovate la presentazione del libro da parte di Luisanna.

Dentro c’è un mio ragionamento intitolato Cultura TecnoTerritoriale e Abitanza biodigitale, dove partendo da considerazioni sui risvolti sociali delle TIC, passando per alcune riflessioni sull’allestimento di moderni ambienti di apprendimento e sulla necessità di una moderna Media Education, arrivo a parlare di Territorio, di “borghi digitali”, di democrazia elettronica e di partecipazione delle collettività alla formazione delle identità mediatiche quali originali rappresentazioni emergenti delle peculiarità proprie di ambienti umani oggi indifferentemente corporei o meno. Insomma, se trovo il testo lo pubblico qui.

Insieme a Isabel de Maurissens (qui trovate un suo interessante reportage sul digital storytelling) ho scritto a quattro mani Nomadismo e nuovi abitanti in rete, e anche questo piccolo saggio sui nuovi comportamenti umani nell’Epoca Digitale (spunti da Attali, Levy, Appadurai, Geertz, per ragionare di antropologia e di etnologia dentro l’online) lo trovate nel libro.

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Prefazione a Cittadinanzadigitale
di Antonio Sofi

Per molto tempo sono andato alla ricerca della giusta metafora, che riuscisse a rendere una onorevole percentuale delle molteplici sfaccettature del cittadino nell’era digitale e iperconnessa – che prima se ne stava tranquillo (per modo di dire) dietro le sue cattedre, scrivanie, scranni, divani televisivi, ruoli millenari.
Non l’ho ancora trovata, la metafora.
Perché il “cittadino digitale” (mettiamo le virgolette) non è un esploratore avventuroso, come spesso ama immaginarsi. Non è nemmeno un indagatore del soprannaturale alle prese con mondi pericolosi ed esoterici. Né tantomeno un arbiter elegantiarum che decide ciò che bene e ciò che è male – quale nuova moda o nuovo media indossare. Il cittadino digitale non è un vigile, un direttore d’orchestra, un robot multitasking, e così via.
Forse non esiste una metafora giusta, normalizzante e auto-esplicativa. E questo è un buon segno. Perché vuol dire che tutto è complicatissimo e irriducibile a sintesi. Oppure che, forse per estrema conseguenza della stessa complicatezza, non c’è niente di così complicato.
Le tecnologie connettive, in questo caso, stanno diventando come l’aria che respiriamo: il cittadino digitale è connesso perché vive, e viceversa.
Quale che sia la risposta giusta, questa pubblicazione ottimamente curata da Luisanna Fiorini, attraverso interventi preziosi e multidisciplinari di molti esperti, fa l’unica cosa possibile e utile: tracciare strade di pratiche che colleghino esperimenti ad esperimenti, rifl essioni a rifl essioni, idee ad idee.
La semplice presenza di questi collegamenti produce valore aggiunto – porta soluzioni (contenuti, persone) da una parte all’altra. Crea link che come nelle pagine wiki a loro volta creano magicamente nuove pagine: nuovi progetti, nuovi frame cognitivi. Addirittura inaspettate quadrature del cerchio.
Una cosa ho imparato dopo anni di intensa frequentazione della parte abitata della Rete: ciò che condividi ti ritorna indietro, prima o poi – e con un sovrappiù di qualità e ricchezza di solito imprevedibile e originale. L’interazione tra le informazioni e la conoscenza condivisa tra più persone produce di solito soluzioni più sagge di quelle pensabili da una sola persona: è un elogio (del tutto pragmatico) alla condivisione, all’apertura costi quel che costi – contraltare e insieme sottolineatura dell’individualismo rifl essivo che secondo molti è caratteristico della post-modernità.
Questo giochino virtuoso funziona a patto che ci sia diversità di opinioni, indipendenza e capacità di aggregazione di questi punti di vista indipendenti e originali: è l’intelligenza emergente, insieme ricchissima e disordinata, dei sistemi complessi e connessi di cui parla Steven Johnson. Forse ecco la metafora giusta: il cittadino digitale è un dj che remixa sui piatti suoni di diversa provenienza, campionando e fi ltrando quelli migliori, creando la musica giusta per il momento giusto. Mica facile: perché serve anche saper ascoltare. I suoni che servono sono anche nelle pagine che seguono. Buona lettura!

* per me l’estate è maschile, è così. Un estate fa, lo estate, un brutto estate, lo scorso estate. Mi scherzano tutti (parlo come Miss Italia), ma mi suona meglio.

Una fattoria per il futuro

Questo interessante documentario (qui su YouTube tutte le sei parti di cui è composto) è stato prodotto dalla BBC e in Inghilterra ha creato un vero e proprio caso, per la sua capacità di muovere l’opinione pubblica a considerazioni che riguardano tutti, da vicino.
Lo spunto di partenza è dato dalla consapevolezza dell’insostenibilità di una economia basata estesamente sull’utilizzo dei derivati del petrolio; lo sviluppo del ragionamento riguarda le modificazioni da introdurre necessariamente nel settore dell’agricoltura, ovvero la progettazione di fattorie ecosostenibili, secondo la filosofia e la pratica della Transizione.

Se trovate il video piacevole e utile, condividete liberamente (riportando la fonte) sui vostri blog e sui vostri social network preferiti.

Ora non avete più scuse, lo splendido documentario di Rebecca Hosking prodotto dalla BBC (ve ne avevo parlato qui e qui) è finalmente sottotitolato in italiano grazie allo splendido lavoro di una squadra di traduttori volontari (santi subito).

Questo film ha creato un vero “caso” in Inghilterra, la BBC ha dovuto mandarlo in onda una seconda volta dopo il primo passaggio perché le richieste ricevute dal pubblico erano davvero tantissime.

Si tratta di un’opera preziosa per la sua capacità divulgativa delle tematiche della Transizione, pensate se potesse andare in onda in prima serata sulle nostre televisioni (succederà?). Guardatelo e fatelo guardare.

Fonte: Io e la Transizione

6 ottobre

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Fare, saper fare, far sapere

Come dire, dall’alfabetizzazione informatica ai linguaggi visivi e cinematografici, dalle competenze digitali all’educazione alla cittadinanza digitale.
Qui sul blog di Claudio Cicali potete leggere un buon esempio di come un’attività didattica in classe, in questo caso la realizzazione di brevi simpatici filmati realizzati con la tecnica dello stop-motion, inneschi nei bambini tutta una serie di apprendimenti relativi al funzionamento attuale della Società della Conoscenza, nei suoi aspetti legati al copyright e alla duplicazione di opere e allo scambio culturale con scuole di altri Paesi.

Historia magistra vitae

Questo articolo sul Corriere è una chiavica. Riguarda la questione della lingua friulana.
Come semiotico, conosco abbastanza la linguistica e discipline affini da saper individuare gli strafalcioni teorici e concettuali espressi. Ma quell’articolo non tratta di linguistica o di politiche linguistiche, quindi NON ho intenzione di rintuzzarne puntualmente i contenuti.

Fight the real enemy. E il nemico non va individuato nella massa di luoghi comuni espressi, né nel tono sardonico con cui ultimamente certi pennivendoli ammantano la loro prosa.
Quello che mi spaventa è il pressapochismo culturale che abita nelle teste di quei due giornalisti, i quali tutti preoccupati di mostrarci i guasti compiuti dalla Lega trinciano grossolanamente i fatti e la Storia, producendo nient’altro che disinformazione.

Le posizioni culturali soggiacenti all’articolo 6 della Costituzione italiana (la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche) e alla legge 482 del 1999 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche) traggono significato dal rispetto dell’alterità. Dal riconoscimento dell’unicità di ogni visione del mondo veicolata da ogni lingua passata o presente, della ricchezza culturale rappresentata dalle varietà umane sul pianeta. L’omologazione, il sincretismo culturale sono idee di destra, con questo intendendo chi promuove politiche antidemocratiche di prevaricazione sociale, spesso usando la forza per imporre la sua visione a scapito dell’esistenza della cultura o della vita stessa degli altri.
La Lega, gli uomini e le donne della Lega non possono vantare nulla, quando si parla di tutela delle lingue minoritarie o dei dialetti. Non votarono al tempo in Parlamento per queste leggi. Non hanno cultura in proposito, non hanno promosso negli anni azioni di ricerca o di conoscenza scientifica o accademica al riguardo, né di documentazione storica o etnografica. Tipicamente, parlano come se qui fossimo tutti al bar a discettare.

Perché i movimenti per la tutela delle lingue minoritarie sono in italia e spesso nel mondo una cosa di sinistra, con questo intendendo chi pone attenzione alla tutela delle diversità culturali, consapevole dell’impoverimento che tutti patiremmo se queste scomparissero. Leggete su wikipedia del riconoscimento giuridico di quella lingua minoritaria che è il friulano, leggete delle battaglie condotte in Parlamento fin dagli anni Settanta da deputati friulani (Andrea Lizzero, Loris Fortuna, Arnaldo Baracetti, Silvana Schiavi Fachin), affinché friulano, ladino, tedesco, sloveno, occitano, francese, francoprovenzale, albanese, greco, sardo, catalano e croato venissero considerate ufficialmente lingue correntemente parlate in italia.

Perché il problema è che una sinistra piccina qui in italia non sa nemmeno difendere le conquiste sociali di cui lei stessa è stata storicamente promotrice, e nel volgere di pochi anni la Lega ha potuto scipparle la bandiera della diversità linguistica per farne facile slogan.
Perché il problema è avere dei giornalisti ignoranti e miopi, che buttando via il bambino (la tutela delle lingue minoritarie) con l’acqua sporca (le posizioni leghiste) fanno esattamente il gioco di quelli che vorrebbero combattere, e non se ne rendono nemmeno conto.

La Matta

Nelle televisioni italiane è vietato parlare di tv, vietato dire che c’è una connessione tra il capo del governo e quello che si vede sul piccolo schermo. La Rai ha rifiutato il trailer di Videocracy il film di Erik Gandini che ricostruisce i trent’anni di crescita dei canali Mediaset e del nostro sistema televisivo. (da Repubblica)

Lo metto qui sotto, il trailer. Poi quasi quasi torno in vacanza.

E io pago (cit.)

via Scorfano

Forse ero l’unico a non saperlo; e voi lo sapevate già tutti. Fatto sta che ho scoperto solo oggi che, datosi che l’Italia non ha rispettato gli accordi del protocollo di Kyoto sulla salvaguardia dell’ambiente, che magari è anche inutile, ma che pure aveva sottoscritto volontariamente, ne ha ricevuto in cambio una multa di 555 milioni di euro. La quale multa, la pagheremo interamente noi, intestatari di contratto con l’Enel, oltre che con l’inevitabile peggioramento del nostro ambiente e del nostro territorio, con un aumento di quaranta euro delle nostre bollette della luce.

Le responsabilità si dividono equamente tra il governo Prodi di ieri e quello Berlusconi di oggi: e nessuno si fa mancare niente. Una spiegazione in dettaglio di quanto è avvenuto e sta ancora avvenendo la trovate qui.

Io, che l’ho saputo solo ieri, mi sento, come si dice da qualche parte, “cornuto e mazziato”; e anche, absit iniuria verbis, un po’ preso per il culo.

Felicità sostenibile

Leggo questo libro, e mi accorgo di come dentro di me vivano schemi interpretativi, gerarchie di valori, meccanismi “automatici” di attribuzione di senso, su cui poi poggiano ipotesi sul funzionamento economico delle società assolutamente non tarate sulla realtà dei fatti.

La visione culturale che l’Occidente ha di se stesso, il macro-codice (non-detto, non narrativizzato) attraverso cui poi interpreta il proprio abitare sul pianeta e la relazioni con le altre culture e con l’ambiente abita da un paio di generazioni almeno dentro una colossale fiction di tipo cinetelevisivo, la stessa in cui i polli crescono direttamente nei supermercati.
Al punto che se qualcosa qui va storto, e vista l’aleatorietà del nostro attuale sistema economico basterebbe il giusto sassolino nel giusto ingranaggio, lo scenario che mi viene in mente è quello de “I sopravvissuti“, quella serie televisiva inglese della fine degli anni Settanta.

Io decrescito.

I Paesi in cui il reddito pro capite è inferiore ai due dollari al giorno sono i Paesi non industrializzati, a cui i Paesi industrializzati tolgono il necessario per alimentare il superfluo delle loro economie che sono obbligate a crescere per evitare di entrare in una fase di recessione. Considerarli poveri perché il loro reddito pro capite è inferiore a due dollari al giorno è una forma di colonialismo culturale e, in ultima analisi, di razzismo. Significa ritenere che le società fondate sulla crescita della produzione di merci sono superiori alle società in cui l’autoproduzione di beni continua ad avere un ruolo determinante. Significa credere che il modo in cui in queste società si soddisfano i bisogni essenziali è il modo migliore per farlo, tanto da diventare la misura a cui rapportare tutte le altre. Con due dollari al giorno si è poveri soltanto se si deve comprare tutto ciò che serve per vivere. Ma se la maggior parte dei beni si autoproduce, due dollari al giorno possono essere sufficienti a comprare ciò che non si riesce, non si può, non si sa, non conviene autoprodurre.
Maurizio Pallante, La felicità sostenibile, pg. 58.

Il contrappasso mediatico di Sua Emittenza

Ecco cosa succederà! Questa blob informe della Sinistra italiana, ma spero tutti noi italiani amanti della verità, capiremo che l’idea che Berlusconi debba essere frontalmente messo a pubblico giudizio per il modo di condurre le attività imprenditoriali prima e per le leggi disinvoltamente da lui fatte approvare sulla sua stessa persona poi è esattamente la cosa da tradurre in pratica.
Senza perder tempo con la fuffa che ci sta intorno, al Fenomeno.
Fuffa che peraltro in altri paesi democratici porterebbe all’impeachment (quindi a processarlo), oppure muoverebbe dei capi di governo, ancora in possesso di una dignità personale, a farsi processare e a mettersi da parte.

Gli italiani vogliono sapere cosa pensa l’italia di Berlusconi, obiettivamente.
Ma questo deve essere frutto di una profonda presa di coscienza della collettività italiana, di tutti quelli che in testa riescono a concepire il pensiero di nazione – senza alcun retrogusto, questa parola, da intendere semplicemente come la forma di collettività che pensano questi italiani contemporanei quando pensano sé stessi come un tutto.

E allora chi ha a cuore la dignità dell’Italia, e qui lo scrivo maiuscolo perché è la mia idea di Italia e non la sua, dovrebbe riuscire a suscitare – magari andando in milioni intorno alle sedi rai, ma dico 15milioni di persone, ché non credo simile comportamento della società possa essere promosso dalle Istituzioni, in quanto esse stesse impegnate a difendersi – a produrre dicevo un colossale giudizio pubblico di tutti noi cittadini su Berlusconi, come una gigantesca nomination di un reality, realizzata per via mediatica prima e concretamente poi, votando. Su tutti i media italiani, e poi nei seggi. Tipo quando abbiam detto monarchia sì o no.
Un evento epocale, collettivo, per toglierlo di lì.

Innanzitutto si rendono gli italiani edotti sul contendere, sottolineando le malefatte del nostro personaggio villain, ed è sufficiente vedere cosa dice wikipedia nel riportare le tappe dell’ascesa, oppure gli elenchi delle sentenze giudiziarie dei processi, poi i vari lodi, spesso descritti in passato anche da giornalisti riconosciuti onesti nella loro visione, ancorati ai fatti, con ragionamenti su cui tutti possono concordare, tranne i fanatici. Tutte informazioni molto concrete, non opinabili.

Ebbene, la tv pubblica, i quotidiani tutti, i siti istituzionali governativi dovrebbero presentare agli italiani tutta la vita di Berlusconi, e dico letteralmente, senza parlare praticamente di altro, per dieci giorni e dieci notti, ripetendo continuamente a vari livelli discorsivi secondo comprensibilità e complessità le sue manovre negli ultimi quarant’anni, di modo che sia possibile fare chiarezza, e che a tutti sia chiaro chi è B. e cosa ha fatto in vita sua. Mostrare i fatti, nudi e crudi, e togliere la fuffa.

Se uno al bar dice “sì, ma forse lui…” gli si mostra subito la foto, un discorso scritto, il documentario, lo spezzone di un tg, il testo di una legge, insomma il documento stick-to-the-fact in cui il suo argomento oppositivo viene smentito.

Si organizza una costruzione collaborativa di una linea editoriale, tanto la linea registica da seguire è mostrare semplicemente i fatti della vita di una persona, e bisogna riuscire a pubblicare un racconto pulito, asciutto, concreto, anche asettico se serve, da parte di tutti i media italiani. Tutti i direttori dei quotidiani d’italia, e quelli delle televisioni, tutti insieme, e si stabilisce la linea per descrivere il Premier. E giornalisti e osservatori stranieri.
Ho ancora fiducia che si possa acclarare pubblicamente cosa sia una fatto reale, e distinguerlo da opinioni e dietrologie e drammi a tesi.

Tutti i media mostrano continuamente cose che parlino di lui, come sequenza ininterrotta di informazioni senza coloriture.
Tipicamente, voglio vedere la sua faccia su tanti televisori dentro le vetrine dei negozi, come in un filmone di una volta, e manifesti per strada che rechino scritta una qualsiasi delle sentenze pronunciate contro di lui, prese proprio da wikipedia.

Voglio che alla tv al posto degli spot pubblicitari, per dieci giorni, vengano fatti passare dei servizi giornalistici dove vengono ripetuti i capi d’accusa e la sentenza completa, viene illustrata la conseguenza delle sue leggi nel voler legittimamente procedere contro di lui.
Ogni pagina web editoriale dovrebbe pubblicare in home in alto un fatto random della berlusconeide, e parlare poi d’altro, dei rituali d’amore della coccinella peruviana.
I blog e i luoghi personali o riportano fatti, o tacciono. Sapere come la pensiamo tutti è più importante di sapere cosa ne pensa tizio o caio, per pochi giorni.
Se qualcuno sgarra, e crea un contenuto mediatico sbilanciato di qua o di là, tutti lo segnaliamo, e viene oscurato il sito o interrotta la pubblicazione per i giorni che mancano ai dieci da fare.
Chi sgarra è uno che vuole intorbidare le acque, che devono restare limpide per la formazione della coscienza, per una nascita di un’opinione pubblica.
La comunità internazionale ci controlla.

Dopo dieci giorni, lo avete capito, si vota. E si vota pubblicamente, con nome e cognome. E votano tutti, perché quelli che non vanno a votare o votano “mi va bene Berlusconi, anche se so che è antidemocratico, corruttore e mentitore” verrebbero subito visti e da tutti additati come persone che non attribuiscono i giusti significati nemmeno all’evidenza dei fatti, quindi o stupidi o persone interessate a negare la realtà, per una loro convenienza ben poco dignitosa.

E questa cosa dovrebbe essere detta di loro in ogni occasione pubblica, che sono esseri meschini.
Con segno di riconoscimento addosso, certo. Con un cartello sulla loro porta di casa, con un RFID nei loro vestiti. Ad esempio, obbligarli a tenere aperto un bluetooth che ti dà l’informazione sulla loro bassezza morale, o mettere un sottopancia quando passano in televisione o sul giornale o camminano per strada, così da sapere sempre che ho a che fare con gente che senza pudore nega la realtà, e che sostenendo una persona antidemocratica eccetera sono imputabili di eversione e apologia di reato. Lo farei per gli stupratori, per i pedofili, che han compiuto reati contro la persona, lo farei con quelli che dichiarano di voler agire contro la collettività, chi in questo caso avesse in sé lo squallore intellettuale ed etico di non voler considerare i fatti nel formulare il suo giudizio.
Una persona così non merita di essere ascoltata, nel suo parlare di come dovrebbero andare le cose. Non può parlare per gli altri, non può stabilire niente che mi riguardi, non la tengo in considerazione, non è un parlante ratificato nella conversazione civica.
Gogna, ma veramente pubblica, non da un potere centrale imposta, ma progettata e praticata collettivamente da tutti, nel segnalare subito (con un click, o chiamando i Vigili) chi esprime e propala una narrazione about berlusconi non conforme allo stile strettamente informativo. Per dieci giorni.

Poi tutta l’italia va a votare se vuole che quest’uomo del biscione abbia potere sull’identità pubblica e sui comportamenti istituzionali.

Perché, e qui sta il cuore del problema, io credo che qualunque italiano dinanzi ai fatti sia in grado di formarsi una propria rappresentazione della situazione, ma i fatti devono essere assolutamente neutri, come il tono di voce di Mike Bongiorno nel porgere la domanda a Rischiatutto.
Sarò ingenuo, ma fiducioso. E non credo che Berlusconi meriti una guerra civile.
Ho fiducia nel fatto che chiunque, indipendentemente dal proprio livello culturale e dalle proprie idee politiche, sappia comprendere i crudi fatti della realtà, e manifesti la propria volontà di abitare in uno Stato democratico.

E Berlusconi vedrete dovrà dimettersi da ogni carica pubblica, accettare di vedersi limato l’impero mediatico, vivere serenamente il suo futuro da imprenditore o da nonno, quietare la propria ambizione.
Se gli italiani si esprimono invece a favore di chi gioca barando, allora o sono stupidi o sono antidemocratici, e in entrambi i casi voglio in italia un commissariamento dell’Onu.