Archivi autore: Giorgio Jannis

Cybercensura

Ma quanto può dare fastidio ai Governi che in rete si parli liberamente, al punto da censurare la pubblicazione di contenuti o impedire la navigazione?
Reporters Senza Frontiere ha diffuso un documento che fotografa la situazione mondiale, Stato per Stato, e c’è molto da imparare, molto a cui stare attenti.
Il documento completo è qui, trovate una sintesi presso il Nichilista.

Factchecking a Udine, Quintarelli, Canciani e le antenne dei cellulari

A Udine da qualche settimana si parla molto di antenne per la telefonia. Ne hanno messe un paio un po’ troppo vicino a delle scuole, nel tempo di una mattinata arrivano i tecnici e tirano su un mostro, nessuno nei quartieri ne sa niente, il sindaco Honsell prova a sostenere le ragioni dei cittadini a parole ma poi deve capitolare perché “il Comune ha le mani legate”, ci sono direttive legislative precise che stabiliscono che una volta che i Comuni hanno offerto alle aziende di telefonia le mappe con i luoghi possibili di instalazione delle antenne, parere dell’ARPA favorevole, queste possono procedere senza indugio. 
La Regione FVG ci aveva provato a normare meglio la proliferazione selvaggia delle antenne, ma il TAR bocciò l’iniziativa, vinsero le aziende.
Poi oggi sul Messaggero Veneto prende la parola Mario Canciani, noto medico pneumologo, che cavalcando il malcontento popolare (il dottore è anche consigliere comunale di maggioranza a Udine, un po’ di visibilità non fa mai male) sproloquia su risonanze magnetiche effettuate su persone mentre utilizzano un cellulare, la qual cosa non può semplicemente essere possibile, in termini scientifici. Non può essere presente un pezzo di metallo dentro la camera della Risonanza Magnetica, tutto qui, stop. Uscisse i casi di studio, per cortesia.
Di questo serious fact-checking vengo a conoscenza nientemeno che da Stefano Quintarelli, il quale pubblica oggi sul suo blog le parole di Canciani riportate dal Messaggero Veneto, avendo evidentemente a cuore il controllo delle informazioni pseudoscientifiche, spesso utilizzate pro domo di qualcuno, che vengono qua e là affermate con troppa leggerezza. 
Siam mica tutti allocchi, qui, ognuno sa un pezzetto di qualcosa e tutti insieme in Rete sappiamo tutto, più di quello che qualsiasi enciclopedia potrà mai riportare.
Il dottor Canciani ha anche un sito professionale dignitoso, adesso vado a segnalargli l’articolo di Quintarelli e vediamo cosa risponde, poi vi faccio sapere.
Per la cronaca: qui non stiamo disquisendo di cellulari sì o no, di inquinamento elettromagnetico… sto parlando di etica comunicativa da adottare nel pronunciare parole ai mezzi stampa da parte di un luminare della medicina, che per il fatto della autorevolezza della fonte vengono magari prese per buone da molti, senza che si inneschi una capacità critica nel recepire l’informazione.
Inoltre: chiaro che personalmente sono anche preoccupato dai livelli di inquinamento elettromagnetico, fondamentalmente perché non sappiamo bene con cosa stiamo giocando e perché come al solito qui si fanno le cose tenendo all’oscuro la cittadinanza, senza utilizzare strumenti per la progettazione partecipata di iniziative comunali, a vantaggio di aziende di cui per principio non mi fido.
In ogni caso, meglio avere molte antenne a bassa emissione, che poche molto potenti.

Lessig: l’umiltà dei Governi e il rispetto per le nuove generazioni

Il discorso di Lawrence Lessig alla Camera dei Deputati, su La Stampa

… quando ci rendiamo conto che questa guerra che facciamo a Internet è la guerra che facciamo contro ai nostri figli, dobbiamo essere umili e riconoscere che più poniamo vincoli su come loro usano Internet e più loro si oppongono queste restrizioni e in modo sempre più distruttivo. Non possiamo impedire ai nostri ragazzi di essere creativi in un modo in cui noi non eravamo alla loro età, se facciamo ciò allora non faremo altro che renderli, spingerli a diventare pirati. Nel mio Paese i ragazzi vivono in un’era di proibizione, la loro vita la vivono sempre contro la legge e questo è corrisivo, corrode alle basi la democrazia e lo Stato di Diritto. 

Fondare arrogantemente la democrazia della Rete

Leggo fantascienza da quando ero alle medie, centinaia di Urania comprati usati in un negozietto buio strabordante di carta impilata, gestito da una matrona settantenne vagamente somigliante a Moira Orfei.
Negli anni Ottanta il cyberpunk di Gibson e di Sterling si innesta su Dick e Ballard, e tutto si avvita saldamente nel mio cervello adolescente.
Quando all’università Bifo mi faceva leggere Pierre Levy, prima metà Novanta, le visioni fluivano liberamente, visioni concrete e per nulla sorprendenti di una realtà imminente. Un mondo connesso, biblioteche ubique, intelligenza collettiva, rivoluzioni dei sistemi mediatici, economici, culturali, e quindi sociali.
Sono passati diciotto anni da allora, la stessa distanza che separa Woodstock da We are the World, giusto per parlare degli abissi, e anche perché mi ha sempre colpito che i ventenni fricchettoni del 1970 siano diventati i trentacinquenni cocainomani armani-paninari del 1985.
Quindi, sono decenni che mi girano per la testa certi pensieri, e comunque chiunque abbia letto quei cinque libri sulla Rivoluzione digitale usciti a metà Novanta non può essersi sorpreso poi molto di ciò che è successo nel mondo da allora a oggi, perché là dentro è tutto ben descritto. Bravi certo i guru storici (Kelly, Negroponte, Barlow, Levy, etc.), ma non era difficile prevedere certi sviluppi del web e delle forme culturali e tecnosociali, una volta compresa dall’interno la portata e la forza di quello che stava accadendo.
Quelli che nascevano diciotto anni fa oggi li chiamiamo nativi digitali, e non sono bambini, sono persone che votano.
Oggi alla Camera dei Deputati si è svolto un convegnone, sapete, intitolato “Internet è libertà”.
Dopo diciotto anni di moti carbonari, finalmente la Cultura digitale emerge alla luce del sole, nel riconoscimento ufficiale delle parole pronunciate da cariche istituzionali nei luoghi di Governo di questa italia sempre buon ultima nel prendere sul serio le innovazioni sociali, specie se propagandate da eterni ragazzini che passano il loro tempo attaccati al computer, come vogliono le barzellette che giornali e tv continuano a propinare.
Guardo lo streaming del convegno sulla webtv della Camera (tre anni fa questa sembrava fantascienza), e ascolto Gianfranco Fini, anfitrione dell’evento, parlare di diritto di accesso a internet come diritto di cittadinanza, e penso che forse sì, qualcosa è sgocciolato attraverso la roccia. Poi tutti gli altri raccontano la loro, un po’ mi annoio, un po’ rido per le inevitabili baggianate pronunciate da chi queste cose non le ha imparate vivendole, ma gliele hanno raccontate, poi penso che quello che dice sciocchezze è un viceministro che sta legiferando proprio sulle libertà di internet e già rido meno. Leggete Boccia Artieri per una rapida visione critica dell’evento.
L’ospite d’onore del convegno è Lawrence Lessig, che tiene da par suo una lectio encomiabile di trequarti d’ora. Mi colpisce il suo far riferimento un paio di volte alla generazione futura, alle differenze “antropologiche” che ci separano dai giovani. Tant’è che alla fine del convegno, interpellato per un rapido intervento conclusivo da Riccardo Luna riguardo l’impressione che ha avuto della situazione italiana, Lessig sottolinea come negli States il dibattito politico non abbia ancora preso in carico tutti i risvolti “legislativi” e di diritto personale messi in fibrillazione dai comportamenti su web, come gli sembra invece che gli Stati europei stiano facendo, guarda un po’.
E poi aggiunge qualcosa di importante, secondo me. Parla esplicitamente, dopo i soliti battibecchi italiani sulle leggi e le censure governative, di una nostra generazionale “presunzione di democrazia”, nel voler stabilire oggi per l’oggi quali siano i comportamenti giusti e sbagliati da normare, sempre concentrandoci su un presente ormai sorpassato, quando intorno a noi c’è appunto una nuova generazione che abita altre realtà mentali e culturali, perfettamente indifferente alle regole dei padri in quanto semplicemente non adeguate al loro mondo. Questa generazione non avrà nessun rispetto per la nostra presunzione di voler stabilire una democrazia, se questa democrazia non sarà costruita insieme a loro, che dovranno vivere dentro quelle regole nel loro tempo 
e in un mondo radicalmente differente dal nostro.

Update dopo la provavideo

Lessig, più meno letterale: “vi incoraggio a prendere sul serio la rabbia, riconoscere che la vostra presunzione di democrazia non è una presunzione che si tutela da sola. Si può proteggere quest’idea di democrazia se si ascolta la generazione dei nativi, in un dialogo che rispetti questa generazione”.

Comunicazione, informazione e nuove tecnologie

Giovedì 18 marzo alle 20.45, presso il Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone avrà luogo un incontro pubblico di assoluto rilievo dal titolo “Comunicazione, informazione e nuove tecnologie”, nell’àmbito del festival Dedica 2010 quest’anno centrato sulla Metamorfosi del mondo della conoscenza e sulla figura di Hans Magnus Enzensberger.
La conversazione pubblica, presente lo stesso Enzensberger, prevede la partecipazione di Derrick de Kerckhove, Luca De Biase, Mario Perniola
Imperdibile.

Ulteriori informazioni qui.


Società della conoscenza a Pordenone

Giovedì 18 marzo alle 20.45, presso il Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone avrà luogo un incontro pubblico di assoluto rilievo dal titolo “Comunicazione, informazione e nuove tecnologie”, nell’àmbito del festival Dedica 2010 quest’anno centrato sulla Metamorfosi del mondo della conoscenza e sulla figura di Hans Magnus Enzensberger.
La conversazione pubblica, presente lo stesso Enzensberger, prevede la partecipazione di Derrick de Kerckhove, Luca De Biase, Mario Perniola
Imperdibile.

Ulteriori informazioni qui.

I classici italiani su Google

“Un primo passo importante verso la realizzazione del sogno che ha guidato i fondatori di Google: la creazione di una biblioteca universale”. Così Nikesh Arora, presidente Global Sales Operations and Business Development del gigante di Mountain View, ha definito la neonata cooperazione tra Google Books e il ministero per i Beni e le Attività Culturali. In base all’accordo, presentato oggi nella sede del MiBAC, nei prossimi due anni verranno catalogati e poi digitalizzati circa un milione di libri non coperti da copyright conservati nelle Biblioteche Nazionali di Roma e Firenze. Un’operazione che consentirà a chiunque nel mondo di accedere alle opere dei più grandi intellettuali, scrittori e scienziati italiani: il tutto a titolo gratuito e senza esclusive, tanto che i testi saranno disponibili anche sui siti web delle biblioteche stesse e su altre piattaforme, come ad esempio quella del progetto Europeana.

Leggi la notizia su Repubblica

Accade a Udine

Due rapide notizie di cronaca locale, su fatti che riguardano la Rete.
Marco Belviso, tenutario del blog udinese Il Perbenista, è stato querelato dal coordinatore locale PdL Massimo Blasoni per 1,5 milioni di euro. Anche qui in periferia abbiamo qualcosa da raccontarci, eccheccazzo :)
Il bello è che Belviso è a sua volta “animale politico” del centrodestra, quindi abbiamo a che fare con faide interne. Il Perbenista è blog dichiaratamente “irriverente”, a volte satirico, ma la cosa buffa è che gli viene imputato un realto di diffamazione a partire dai commenti, spesso anonimi, lasciati dai frequentatori.
Già la lettera di diffida dell’avvocato parte lesa, denominando Belviso quale “direttore responsabile” del blog, fa chiaramente capire che chi ha mosso la causa non ne capisce poi molto di internette, visto che un blog non è testata editoriale registrata e non ha quindi né obblighi né tutele simili a quelle della stampa cartacea. 
Il giudice non sarà vincolato, certo, ma esistono già sentenze in italia, Cassazione compresa, che stabiliscono nettamente gli àmbiti e la portata della libera espressione personale su web.
Il politico sensibilone chiederà e otterrà di veder rimossi i commenti ritenuti lesivi, ma si arriverà facile alla remissione della querela, e non ci farà una bella figura.
Qui la notizia sul Messaggero Veneto, qui e qui il blog di Belviso.
La seconda notizia riguarda il lancio da parte dell’Amministrazione pubblica del Comune di Udine di un vero e proprio giornale online, denominato Udinè, lo trovate qui www.udin-e.it.
L’ho aggregato, l’ho “sfogliato”, mi sembra un giornale-vetrina, una cassa di risonanza delle comunicazione istituzionale, modello broadcast uno-a-molti, come al solito.
Il che è strano, perché Udine si sta muovendo abbastanza bene nell’interpretare correttamente e dar Luogo a strumenti di comunicazione verso la cittadinanza, utilizza i feed rss, possiede un canale youtube per alcune dirette di webtv, abita su facebook, offre siti istituzionali abbastanza ben disegnati, promuove innovazione nel backoffice utilizzando redazioni interne basate su applicativi web20 e GoogleApps, tanto per dire.
Ma qui c’è il problema: se i contenuti della comunicazione del giornale Udinè spesso ricalcano quelli già pubblicati sul sito del Comune di Udine e sul “portale Cultura“, quale bisogno c’era di questo nuovo Luogo web istituzionale?
Certo, è stato appena lanciato, auspicabilmente nel futuro vedrà meglio implementate delle aree dedicate all’interazione diretta con la cittadinanza (blog urbani, forum, bacheche interattive, mappe), vedremo.
Ne parla un consigliere comunale di Udine, Fabrizio Anzolini, uno che sta con l’Unione di Centro di Casini e di cui spesso non condivido i contenuti, mentre sul piano della forma gli potrei consigliare di scrivere sul suo blog in prima persona, con tono conversazionale e non sempre tramite dei comunicati-stampa… ne guadagnerebbe la qualità del dialogo con i cittadini.
Ma questa volta devo dire che ha perfettamente ragione nell’interrogarsi sul significato di questo nuovo strumento comunicativo dell’Ente locale.

Cucinare la democrazia

Come sapete, i cuochi studiano le tecniche di cucina. E un ragionamento di culinaria è da ascrivere al pensiero tecnologico.
C’è un progetto, ovvero uno sguardo sul futuro, e c’è la modificazione dell’ambiente, ovvero la trasformazione di materie prime in un manufatto, mettiamo sia una torta.
C’è l’acqua, la farina e le uova, e tutto sommato conviene conoscere le loro caratteristiche fisiche e chimiche per saper come si comporteranno in certi frangenti, tipo dentro un forno. Una questione di prevedibilità in relazione al contesto, questione squisitamente tecnologica tanto quanto progettare una diga senza che crolli dopo due giorni.
C’è il forno, ovvero il calore che innesca le reazioni trasformative.
E c’è la ricetta, le istruzioni procedurali, quell’informazione che costituisce il terzo elemento della famosa triade tecnologica, insieme appunto a materia e energia.
Bene, inventarsi un sistema di governo assomiglia al cucinare una torta.
Perché come più volte qui detto, la democrazia è una tecnica, e ragionare di forme di governo è una sorta di riflessione tecnologica. Poi nel parlare comune identifichiamo la forma con i contenuti, la democrazia con i valori, ma la prima è uno schema, una struttura, una procedura, un sistema, un meccanismo che garantisce l’esistenza dei secondi, e quindi traslatamente diventa valore in sé, in quanto desiderabile.
Più di duemila anni fa la Storia per come viene descritta nei sussidiari vuole che a Atene qualcuno si sia posto la fatidica domanda: ma quale forma di governo riteniamo migliore, per la nostra collettività, che soddisfi le nostre esigenze etiche di convivenza civile?
I valori sono già tutti presenti: giustizia sociale, libertà della persona e di espressione, rappresentatività delle classi sociali. Altri secoli aggiungono riflessioni, il Rinascimento italiano, il Seicento inglese, la Rivoluzione francese, gli statuti ottocenteschi, le Carte universali del Novecento.
Quali meccanismi, che tecniche, quali procedure adottare per garantire la democrazia? Separazione dei poteri, organi di controllo, una serie di leggi che dicono come fare le cose per farle nel rispetto dei valori che a esempio una Costituzione esprime.
Il rispetto formale delle procedure è una questione sostanziale della democrazia, perché le regole sono la democrazia.
In un tribunale, anche se l’imputato è stato considerato colpevole, una virgola sbagliata su un verbale può annullare il processo, che va ripetuto nel rispetto delle procedure e delle formalità. Ed è giusto così, se ci pensate, perché simili cose non possono essere arbitrarie.
Dati i valori individuali e delle collettività (la materia), dato il forno e il calore della dinamica realtà sociale, devo seguire le istruzioni (lle procedure, le tecniche di rappresentatività democratica, le forme di governo) per riuscire a cuocere per bene, nel modo che abbiamo tutti stabilito come desiderabile, questa torta che si chiama Società e convivenza civile.
Il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky nell’intervista oggi su Repubblica (da qui)

“Il diritto di tutti è perfettamente garantito dalla legge. Naturalmente, chi intende partecipare all’elezione deve sottostare ad alcuni ovvi adempimenti circa la presentazione delle candidature. Qualcuno non ha rispettato le regole. L’esclusione non è dovuta alla legge ma al suo mancato rispetto. È ovvio che la più ampia “offerta elettorale” è un bene per la democrazia. Ma se qualcuno, per colpa sua, non ne approfitta, con chi bisogna prendersela: con la legge o con chi ha sbagliato? Ora, il decreto del governo dice: dobbiamo prendercela con la legge e non con chi ha sbagliato”.

Chi si indigna?

Benissimo, egregio elettore di destra, dopo questa cosa incivile del decreto interpretativo per la riammissione delle liste escluse dalle Regionali non ti restano molti alibi.

O hai la testa, o hai la coscienza, o nessuna delle due.
Se hai testa e coscienza, è già un bel po’ che non voti questa destra.
Se hai la testa ma non hai la coscienza, opportunista mascalzone, voterai comunque destra per qualche tuo infimo e egoistico tornaconto personale.
Se hai una coscienza ma usi poco la testa, confido stavolta non voterai destra, perché anche un bambino di otto anni conosce l’importanza del rispetto delle regole del gioco. Puoi farcela, puoi astenerti.
Se non hai né testa né coscienza sei un animale da cortile, continuerai a votare come hai sempre fatto senza farti domande, quasi certamente voterai destra perché ti sfuggono i ragionamenti più lunghi di venticinque sillabe e questa cosa complicata che chiamano democrazia, a te che ti aspetti di essere comandato, in fondo ha sempre dato fastidio.

Non potendo quindi per certe personali scelte di vita porre le mie speranze di miglioramento sociale nella stupidità imprevedibile e incontrollabile di cui molti italiani danno segno quotidianamente, non mi resta che aver fiducia nel senso di nausea che i comportamenti degli attuali governanti auspicabilmente suscitano nei loro stessi elettori.
“Aver fiducia nella nausea” è esattamente la misura dell’inciviltà in cui ci dibattiamo.

Internet è libertà, perchè dobbiamo difendere la rete

Giovedì 11 alle 15 alla Sala della Regina, Montecitorio.
Lectio magistralis di Lessig.
Diretta in streaming sulla webtv diMontecitorio.Giovedì 11 marzo alle 15, presso la Sala della Regina di Palazzo Montecitorio, si terrà il convegno “Internet è libertà, perchè dobbiamo difendere la rete”. I lavori saranno aperti da un intervento del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Seguirà la Lectio magistralis su “Il web e la trasparenza tra ideali e realtà” di Lawrence Lessig dell’Università di Harvard.

Successivamente, interverranno Franco Bernabè, Amministratore delegato di Telecom Italia, Umberto Croppi, Assessore alle Politiche culturali e della comunicazione del Comune di Roma, Fiorello Cortiana, Responsabile Innovazione della Provincia di Milano, Juan Carlos De Martin, Responsabile Creative Commons Italia, Paolo Gentiloni, Deputato del Partito Democratico, Stefano Quintarelli, Presidente di Reeplay, Paolo Romani, Viceministro allo Sviluppo economico.

Moderatore sarà Riccardo Luna, Direttore di Wired. Il convegno sarà trasmesso in diretta sulla webtv di Montecitorio http://webtv.camera.it/.

Il sondaggio è mio, lo gestisco io. Anzi, lo cancello.

C’è questo sito del Club della Libertà, uno di quei siti col sorrisone di Berlusconi nella testata, che io spero scompaia come lo Stregatto e rimanga solo il sorriso e poi sparisca anche quello.
Su quel sito, la segnalazione correva in rete ieri e stamattina, avevano pubblicato un sondaggio che diceva “Trovi giusto impedire ai lettori del centrodestra di votare i loro candidati per formalità burocratiche?” e tralascio le considerazioni sul modo di porre la domanda.
La risposta più votata, da subito, era stata “Sì, le regole sono regole”. 
Ora, io non credo che tutti i “comunisti eversivi” d’italia passino il loro tempo a frequentare i siti berlusconiani per sfotterlo; con buona probabilità chi ha espresso il proprio giudizio nel sondaggio è un elettore del Popolo della Libertà che con buon senso considera il rispetto della forma e delle regole una delle caratteristiche fondanti della democrazia, a differenza degli eletti in quello stesso partito e altri affini che non temono invece di delirare nel definire vuota burocrazia l’attenersi alle procedure.
Stamattina rileggo la notizia in questione da Sofri: il 97 percento dei votanti diciamo che non segue quello che i promotori del sondaggio si aspettavano in termini di sostegno alla versione “ci vogliono impedire di votare”. Clicco e vado a controllare anch’io il sondaggio. Mi accorgo che è cambiata la data di scadenza delle votazioni, anticipata dal 7 marzo al 4, come si può vedere nell’immagine sopra. Il tutto è successo verso mezzogiorno di oggi.
Poi il sito ha cominciato ad avere problemi ahi ahi ahi di visualizzazione, non risultava raggiungibile, fino a quando intorno alle 14.00 il sondaggio risultava terminato (!), e le percentuali indicate erano ferme all’86% a favore di chi riteneva giusto impedire di votare dei cialtroni che non solo non sanno consegnare le firme ma soprattutto non si vergognano di aprire bocca in seguito ai loro insostenibili errori. Qui su Friendfeed la discussione minuto per minuto.
Ulteriore colpo di scena: il sondaggio alle 17.00 risultava cancellato, come pure gli oltre 400 relativi commenti. Percentuali azzerate.
Ma che belle personcine. Che stile. Vabbè, è un sondaggio loro, su un loro sito, possono fare ciò che vogliono. Ma che non sanno comportarsi nel comunicare, glielo voglio proprio dire.

Update: Metilparaben illustra lo svolgersi della vicenda.

Inverosimile come la realtà

Ci sarebbe da delineare la differenza tra immaginazione e fantasia, prima di andare avanti a scrivere cose taglienti come un coltello per il burro che però ciurla nel manico, e il manico sarebbe questo blog.
Wikipedia non aiuta, [fantasia] rimanda a [Fantasia_(filosofia)] la quale altro non è che la voce [immaginazione] con un altro titolo, e qui si trovano un po’ di solite cosette filosofiche, trattate con leggerezza. 
Ma io volevo parlare dell’oramai proverbiale frase “la realtà supera l’immaginazione”, che ricorrendo alla nota diatriba “è la Natura che imita l’Arte, o viceversa?” può essere in buona misura ridimensionata sottolineando che la realtà se ne frega di essere verosimile.
Infatti, quando un bimbo di 4 anni inventa una storia per nascondere una marachella o un omicida di qualunque età inventa una storia per nascondere una maraca (che immagino essere il non-vezzeggiativo di marachella), cercherà comunque di tessere una trama verosimile, perché ne va di mezzo la credibilità. 
Questo mi porterebbe a indagare la correlazione tra verosomiglianza e credibilità, e quindi a discettare di universi di discorso, attese del lettore, orizzonti di senso, contesti narrativi, disgiunzioni isotopiche e enciclopedie echiane, sociologie della ricezione, dell’interpretazione come negoziazione tra i parlanti, ma in questo momento ho in mente solo il panino speck e stracchino che sto mangiando.
Il fatto è che quando raccontiamo una storia, o ci immaginiamo qualcosa che possa accadere o essere accaduto, cerchiamo di essere verosimili. Pensiamo già da dentro un’orizzonte di verosomiglianza, ci diamo delle regole e siamo creativi dentro le regole del vero. Che poi non è vero per niente, essendo pur sempre una storia che ci raccontiamo a noi stessi. 
Roba vecchia, eh, ci pensò quello scettico insuperabile di Cartesio col suo dubbio radicale quattrocento anni fa a stabilire che noi possiamo avere certezza di quello che pensiamo, ma nessuna verità di come il mondo là fuori sia messo.
Poi arriva la Natura che ci mostra un ornitorinco, e la reazione fu è incredibile, perché è inverosimile che un’animale faccia le uova e allatti i piccoli eccetera eccetera. 
Ahimè, la Natura, la Realtà se ne sbatte altamente le chiappe con una zampa palmata di ornitorinco femmina della nostra incredulità. 
La realtà non ha bisogno di essere verosimile, tutto qui. 
Il verosimile è cosa umana, la realtà no, ahah. Evviva gli universi del discorso. “Realtà” e “verosimiglianza” abitano in posti diversi, sia fuori di noi sia dentro i linguaggi che usiamo. E cerchiamo di uscire da questi angusti pensieri antropocentrici, suvvia.
Prendiamo spunto dalla cronaca, invece, per allargare il nostro concetto di realtà possibile.
Dice Metilparaben: “Per un attimo ho avuto la tentazione di fare un altro generatore automatico, ma l’idea del capo del Consiglio superiore dei lavori pubblici arrestato per corruzione nell’ambito di un’inchiesta sul G8 che organizza incontri omosessuali occasionali avvalendosi della collaborazione di un nigeriano appartenente al coro San Pietro è praticamente inarrivabile anche adoperando tutta la fantasia possibile.
Mi sa che per questa volta passo.”

A inventarla, ti direbbero non è credibile, è inverosimile. E invece.
Essì, è proprio bella la realtà quando ti fa inciampare, e sbatti il ginocchio contro la credenza.

Pubbliche Amministrazioni reticenti, ovvero “I furbetti della trasparenza”

Non intendo indignarmi, né rincorrere scandalismi.
Ma alla base c’è un fatto: i siti istituzionali governativi nascondono informazioni ai motori di ricerca. Ah, italietta.
PA – Certo che abbiamo pubblicato i dati!
GJ – Ma con Google non trovo niente!
PA – Certo, li abbiamo resi difficilissimi da trovare!!
GJ – …
E tenete presente che proprio l’Operazione Trasparenza promossa da Brunetta prescrive che certi dati debbano essere pubblicati sui siti delle Pubbliche Amministrazioni:
La legge n. 69 del 18 giugno 2009 (“Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”) impone, all’art. 21, comma 1, che tutte le pubbliche amministrazioni debbano rendere note, attraverso i propri siti internet, alcune informazioni relative ai dirigenti (curriculum vitae, retribuzione, recapiti istituzionali) e i tassi di assenza e di presenza del personale, aggregati per ciascun ufficio dirigenziale.

Pubblicati sì, ma non rintracciabili. Se seguite il link sopra per l’Operazione Trasparenza, trovate che nella stessa pagina del sito innovazione.gov vi è un collegamento per un file in .pdf intitolato “Accorgimenti tecnici per impedire l’indicizzazione nei motori di ricerca”.

E’ sufficiente modificare il file robots.txt del sito, e tutto diventa impermeabile. Che ridere.

Trovate la notizia da Vittorio Pasteris, da .mau., su Noisefromamerika, leggete anche i commenti.
I furbetti della trasparenza, sì, abbiamo.
Chiramente, ho provato subito a vedere quanto dell’attuale sito della Regione Friuli Venezia Giulia sia “oscurato” all’indicizzazione da parte dei motori di ricerca.
Beh, praticamente tutto. http://www.regione.fvg.it/robots.txt
Metto anche uno screenshot, ‘spetta.
UPDATE: smanettando un po’ con le opzioni di ricerca di Google, sono infine riuscito a trovare le retribuzioni dei dirigenti regionali FVG. Evidentemente la directory “amministrazione” non è tra quelle inibite all’indicizzazione. Beh, meno male.
Resterebbe da sapere il motivo di quel file robots.txt che vedete qui sopra, ma posso capire che ci possano essere motivi di privacy, di qua o di là.

UPDATE 2 – 19 marzo
Il sito governativo mostra modifiche nell’architettura, gli indirizzi url sono cambiati. Leggete i commenti.

Zambardino: la narrazione del cambiamento

Lo scorso 15 febbraio si è tenuto a Milano un incontro pubblico con Vittorio Zambardino, Massimo Russo e Marco Pratellesi, nell’ambito di Meet the Media Guru.
I temi affrontati – la crisi del giornalismo tradizionale, i molti pericoli che corre il web, il contrasto tra apologeti della rete e neo-luddisti – hanno contribuito a fare emergere alcune delle aree grigie disseminate all’interno della rete e a evidenziare i dogmi e gli stereotipi per combattere i quali Zambardino e Russo pensano siano necessarie le nuove eresie raccontate nel progetto Eretici Digitali: un manifesto, un blog e un libro edito da Apogeo. (da MeettheMediaGuru)
Era possibile inviare delle brevi domande da porre ai relatori, in formato video, cosa che ho prontamente fatto. Non penserete mica che un cellulare serva solo per telefonare, oggidì.
Comprensibilmente, per chi legge questo blog, il focus del mio intervento riguardava la narrazione del cambiamento, quindi le possibili strategie comunicative (le retoriche, le argomentazioni, lo stile) da adottare per veicolare una promozione della Cultura digitale nella società italiana, al di là di quelle solite banalizzazioni e dei soliti toni scandalistici o terroristici utilizzati nel passato e ancor oggi dai media tradizionali che di fatto impediscono la diffusione nell’opinione pubblica di una serena presa di coscienza rispetto alle potenzialità offerte da questa nostra Era digitale.
E Vittorio Zambardino mi ha anche rapidamente risposto, qui trovate i video, proprio sottolineando come questo sia il momento di tener duro, per evitare che vecchie logiche di potere, vecchie narrazioni molto interessate tentino di mettere un loro sigillo, soffocante e normativo e paralizzante, al rapido fluire delle nuove forme di Cittadinanza digitale.
Dopo aver visto i video, date con calma un’occhiata a Eretici digitali: credo veramente si tratti di uno dei luoghi eccellenti italiani nell’elaborazione di una consapevolezza riguardo alla Transizione digitale.

Alfabetizzazione e competenze per il XXI secolo

Premessa
Oltre infatti a definire una capacità di base skill dell’individuo, ovvero l’acquisizione di una padronanza su un codice semiotico riferito in questo caso alla lingua scritta (l’alfabeto, la produzione linguistica base), literacy in inglese reca con sé delle indicazioni sulle competenze del parlante, ovvero sul suo saper trasferire quelle abilità in altri campi di applicazione, sul suo saper astrarre da quella conoscenza delle regole di funzionamento grammaticale più ampie: oltre a un fare la parola “alfabetizzazione” andrebbe anche in italiano compresa per la sua capacità di denotare un certo saper fare del parlante.
Tant’è che in inglese questo insieme di abilità e competenze (marcato dal suffisso -acy) quando è riferito alla lingua scritta e parlata può essere denominato appunto literacy, e restando dentro questa concezione può essere esteso a altri campi dello scibile: ragionando di abilità e competenze di tipo matematico può essere coniata e utilizzata la parola numeracy, mentre dovendosi riferire all’insieme “grammaticale” della Tecnologia (dagli artefatti ai sistemi, dal martello agli impianti industriali) ci si può riferire al termine Technacy.
In italiano, a meno di non voler coniare dei neologismi, dobbiamo aggiungere degli aggettivi: abbiamo l’alfabetizzazione letteraria, l’alfabetizzazione matematica, l’alfabetizzazione tecnologica (e si potrebbe continuare ragionando di Media Literacy, Emotional Literacy, Visual Literacy).
Interessante inoltre notare come il parallelo con la secolare articolazione della grammatica linguistica e letteraria permetta anche nel caso della Cultura tecnologica la descrizione di determinati Generi tecnologici (altra voce di Wikipedia che ho ritenuto utile tradurre dall’inglese), sulla falsariga di quanto ragionando di lettere viene fatto con i Generi letterari.
Agli occhi di un semiotico, non vi è nessuna differenza tra la grammatica di una lingua e la “grammatica” di un territorio: si tratta sempre di testi scritti dalle collettività umane, di cui bisogna individuare gli elementi semantici, sintattici e morfologici di base, e comprendere i codici di funzionamento linguistico.
Alfabetizzazione e competenze per gli abitanti del XXI secolo
Partendo da una segnalazione di Granieri, torniamo a parlare di come la Scuola o comunque i sistemi formali dell’Educazione alle nuove generazioni debbano farsi carico del fornire agli alunni alcune coordinate per la comprensione del mondo in cui si troveranno a vivere.
Granieri è notoriamente scettico sulle possibilità del sistema-Scuola di assolvere a questo compito, in quanto la struttura e l’organizzazione stessa scolastica (a partire dalla forma fisica stessa delle aule, dalla ripartizione storica in obsoleti curricoli delle conoscenze, dai ruoli e dalle competenze dei formatori, dalla notoria lentezza burocratica dell’Istituzione) impedisce nei fatti di preparare i giovanissimi a essere fruitori critici e consapevoli di questa nostra realtà sociale liquida, in rapido cambiamento.
La Scuola, così come è fatta oggi, “non ce la fa a star dietro” alla velocità del mondo moderno, e ovviamente questo si nota maggiormente nel caso della Cultura Tecnologica e Digitale, e nei modi in cui oggi viene promossa una seria Educazione alla Cittadinanza Digitale.
Molte volte ne abbiam parlato su questo stesso blog.
Certo, la “postura mentale” della Scuola, eccessivamente focalizzata sulla cosiddetta “alfabetizzazione informatica” spicciola alle TIC (il solito pacchetto Office, e non invece le mappe satellitari da abitare, i Luoghi di socialità in rete, i Luoghi della comunicazione Scuola-Territorio) e sulla dotazione di hardware come intervento risolutorio (i magniloquenti discorsi sulle LIM, o sul pc in classe, quando mancano connessioni veloci, wifi, competenze aggiornate negli insegnanti a essere innanzitutto Cittadini digitali per essere proficuamente Docenti digitali), impedisce di scorgere chiaramente quali siano gli obbiettivi formativi della persona (e non solo curricolari) che vanno rapidamente tenuti in considerazione, per evitare di dover riconsegnare alla società una volta maggiorenni degli individui pronti per vivere nel Novecento, e non dentro questo XXI secolo radicalmente diverso da ciò che lo ha preceduto.
Ecco alcune indicazioni per le competenze da possedere (non solo abilità!), per chi abita nella modernità e per lavoro si occupa di Educazione. Si tratta di una rapida traduzione di quanto trovato da Granieri qui.
Alfabetizzazioni e competenze del XXI secolo
In questa nostra epoca digitale, gli educatori devono padroneggiare alcune abilità conoscitive cruciali. Quali? Il teorico dei media, nonché concreto professionista, Howard Rheingold ha parlato di quattro “Alfabetizzazioni del Ventunesimo secolo” – attenzione, partecipazione, collaborazione e consapevolezza della rete – a cui dobbiamo orientarci, che dobbiamo comprendere e coltivare nell’era digitale (vedi qui). Tutti conosciamo le tre alfabetizzazioni standard del “leggere, scrivere, far di conto”. Che altro è richiesto nella nostra era digitale? Il futurista Alvin Toffler sostiene che, nel ventunesimo secolo, dobbiamo conoscere non solo quelle tre, ma anche come imparare, disimparare e re-imparare. Ragionando su queste suggestioni, ecco qui dieci alfabetizzazioni che sembrano cruciali per la nostra era digitale. Nessuna di queste è rintracciabile nella “metrica” normale del nostro sistema educativo, tuttavia tutte sono abilità cruciali per il nostro tempo.
Attenzione:  Quali sono i nuovi modi con cui prestiamo attenzione nell’era digitale?  Come dobbiamo cambiare i nostri concetti e pratiche dell’attenzione per una nuova era?  Come impariamo e pratichiamo nuove forme di attenzione nell’era digitale?
Partecipazione:  Soltanto una piccola percentuale di coloro che usano i nuovi media partecipativi contribuisce realmente. Come incoraggiamo l’interazione e la partecipazione significativa?  Con quale obiettivo, a livello culturale, sociale, o civico?
Collaborazione:   Come incoraggiamo forme di collaborazione significative e innovative?  Gli studi indicano che la collaborazione può riconfermare semplicemente il consenso, agendo più come pressione esercitata dal gruppo dei pari piuttosto che come una leva al vero pensiero originale.  Andrebbe forse coltivata una metodologia di “collaborazione per differenza” per potenziare e orientare in modo più significativo e efficace l’apporto che i diversi gruppi possono fornire.
Consapevolezza della rete:  Che cosa possiamo fare per meglio capire sia in che modo prosperiamo come individui creativi sia per comprendere appieno il nostro contributo all’interno di una rete fatta di altre persone?  Come avere una comprensione adeguata di cosa sia una rete allargata, e ciò che possiamo da essa ottenere?
Disegno e progettazione:  In che modo l’informazione è convogliata nelle diverse forme digitali? In che modo capiamo e pratichiamo gli elementi di una buona progettazione in quanto parte delle nostra comunicazione e delle nostre pratiche interazionali?
Descrizione, narrazione:  In che modo gli elementi narrativi modellano le informazioni che desideriamo trasferire, aiutandole ad avere forza in un mondo fatto di flussi informativi moltiplicati e tra loro in competizione?
Consumo critico dell’informazione:  Senza un filtro (quali i redattori, gli esperti ed i professionisti), molte informazioni sul Internet possono essere inesatte, ingannevoli, o inadeguate.  Anche i media tradizionali, naturalmente, risentono di questi difetti che però oggi sono esacerbati dalla diffusione digitale.  Come impariamo a essere critici?  Quali sono gli standard della credibilità?
Digital Divide, partecipazione digitale:  Quali divisioni ancora permangono nella cultura digitale?  Vi sono aspetti basilari dell’economia, della cultura, e dei livelli di alfabetizzazione che dettano non solo chi può partecipare all’era digitale ma anche come partecipiamo?
Etica e tutela:  In che modo etico e responsabile possiamo muovere partendo da partecipazione, scambio, collaborazione e dalla comunicazione in direzione di una maggiore qualità sociale del vivere, grazie agli strumenti digitali?
Apprendere, disimparare e re-imparare:   Alvin Toffler ha detto che, nel mondo in evoluzione rapida del ventunesimo secolo, l’abilità più importante è avere la capacità di fermarsi, vedere che cosa non sta funzionando e conseguentemente scoprire i modi per disimparare i vecchi modelli e reimparare a imparare.  Questo richiede il coinvolgimento di tutte altre abilità, ma si tratta forse della singola capacità che è più importante insegnare.  Significa che, ogni volta che qualcuno pensa in maniera nostalgica, domandandosi se “i bei vecchi tempi” torneranno, un riflesso “disimparante” possa rapidamente forzare quelle persone a pensare che cosa realmente significa una tal comparazione, che vantaggio ci porta, e cosa di buono possa fare provare a invertire il pensiero stesso. Cosa possono portare “questi nei nuovi giorni”?  Proprio in quanto esperimento di pensiero gedanken experiment – il tentativo di disimparare le nostre risposte irriflesse, automatiche, alla situazione del cambiamento è l’unico modo di riflettere veramente sulle nostre abitudini nel resistere al cambiamento.

La Scuola? Ha un futuro alle spalle

Avrei voluto ancora una volta mostrare agli insegnanti la bellezza di una didattica moderna, in grado di utilizzare sapientemente gli strumenti tecnologici già oggi disponibili (e-book, i nuovi tablet come iPad, le LIM); trovate alcune suggestioni qui e qui, in inglese, e molto altro in italiano usando Google appropriatamente. 
Come abbiam capito nel corso degli anni, una singola tecnologia in classe rivoluziona l’intero modo di fare scuola, se intesa e utilizzata in maniera “immersiva”, e non semplicemente come strumento succedaneo di qualcosa già esistente.
Se usiamo una lavagna elettronica come quella in ardesia, nulla cambia, e nemmeno l’insegnante è motivato a indagare (lo imporrebbe la sua professionalità) nuove possibilità per moltiplicare l’efficacia della didattica, avendo come riferimento l’apprendimento.
Ma appunto tutto ciò che ruota intorno a quella specifica tecnologia riceve delle spinte al cambiamento, per adeguarsi alle nuove potenzialità permesse dal dispositivo.
Questo significa che intorno per esempio a “un iPad per ogni studente” avverrà una riprogettazione dell’editoria scolastica, del testo scolastico stesso (modulare, ipermediale), dei flussi conversazionali dentro cui avviene l’apprendimento nelle singole classi ormai connesse,  delle competenze degli insegnanti chiamati a produrre i propri libri di testo da distribuire agli studenti, dell’edilizia scolastica che deve rapidamente adeguarsi alle odierne necessità offrendo connessioni wireless ubique, perfino delle aziende che producono gli zainetti, le quali dovranno mettere sul mercato prodotti pensati per ospitare comodamente un tablet di un chilo, e non più quindici chili di libri.

Poi tutto si blocca, davanti a un dirigente miope, a insegnanti timorosi ignoranti e arroganti, a riforme scolastiche indegne.
Ecco Maragliano, come commento a una discussione sulle LIM:

La fortuna delle LIM è di chiamarsi lavagne. Se venissero usate da individui e individue con buona familiarità con la comunicazione di rete si potrebbe capire che LIM sta a lavagna d’ardesia come cavallo sta ad auto. Nella mia auto ci sono cavalli, che però non nitriscono. Nelle aule italiane ci sono LIM che nitriscono, perché restano lavagne. Come uscirne? In un altro paese, in un’altra cultura, anzi in un’altra antropologia si potrebbe sostenere che il problema non è scolastico o pedagogico, ma civile. Insomma, invece che perdere tempo dietro a diatribe interessate (vedi i paginoni di ieri, domenica 7 febbraio 10, sul Corriere, con i soliti allarmi su Internet che disinsegna a leggere e scrivere) si dovrebbero rendere sempre più attivi e vicolanti i servizi civili sul web (pagamenti, atti amministrativi e burocreatici, fonti di informazione), sempre più vantaggiose le offerte di connessione da qualsivoglia attrezzo, sempre meno eccezionale il ricorso alla rete come luogo di incontro e condivisione. In un altro paese. Diverso dal nostro. 
Allargando giustamente il punto di vista, Maragliano sottolinea come la mancata comprensione dello strumento dipenda dalla mancanza di un retroterra culturale, di una cornice interpretativa dentro la mente degli insegnanti e dei pubblici decisori che permetta di inquadrare appieno le potenzialità offerte in questo caso dalla lavagna multimediale interattiva.
Perché gli insegnanti digitali devono essere innanzitutto cittadini digitali, per poter anche solo concepire la propria professionalità. Ma purtroppo in italia tutto quello che riguarda la Cultura Digitale (dall’alfabetizzazione informatica, alle dotazioni tecniche per sopperire al digital divide, alle competenze digitali da disseminare tra i cittadini e a scuola, all’Educazione alla Cittadinaza Digitale) è stato raccontato dai media tradizionali sempre con toni scandalistici, o terroristici, o aneddotici, incapaci di costruire una adeguata comprensione dei cambiamenti tecnosociali degli ultimi vent’anni, né d’altra parte le politiche governative hanno saputo introdurre innovazione concreta, nei banali processi di funzionamento della Pubblica Amministrazione.
Quindi: volevo parlarvi del magnifico futuro che attende la Scuola e il fare scuola moderno, e invece mi accorgo che nel 2010 non viene nemmeno garantita la possibilità di aver cura delle nuove generazioni con gli stessi livelli qualitativi del secolo scorso.
Le ragioni di tanto magone? Ho visto la puntata di “Presa diretta”, la trasmissione Rai di Riccardo Iacona dedicata alla Scuola, e ho letto questo commento di Mauro Biani. 
E’ disponibile sul sito Rai.tv, oppure su YouTube, nel canale della Rai.
La Scuola per definizione agisce sul futuro: sarà perfettamente inutile lamentarsi nel 2025, quando vedremo ovunque i danni sociali causati dalle miopi scelte odierne.