A metà degli anni Novanta vedeva la luce Encyclomedia, l’enciclopedia multimediale su CDrom curata da Umberto Eco. Ogni curatissima uscita editoriale prendeva in considerazione la storia della cultura europea organizzandola secondo criteri temporali (il Cinquecento, il Seicento), conteneva migliaia di voci relative alla filosofia e all’arte e alla letteratura e al pensiero scientifico, ma soprattutto offriva la possibilità di seguire i collegamenti tra idee e autori in modo finalmente ipertestuale, sfruttando thesaurus di parole-chiave e cronologie interattive: le nuove tecnologie informatiche abilitavano una fruizione radicalmente nuova, un nuovo modello di lettura e studio, dove con pochi click si poteva accedere a tutti i materiali documentali dei vari campi dello scibile inerenti all’argomento che intendevamo approfondire.
Oggi Encyclomedia abita sul web. Essendo nata da subito digitale e ipertestuale, non dev’essere stato difficile liberarla dall’ambito angusto del CDrom per lasciarla vivere su queste pagine online, libera di allungarsi e di sgranchire le gambe nello spazio infinito della Rete.
L’editore Laterza promuove in questi giorni il progetto Encyclomedia per la Scuola, lo trovate qui http://scuola.encyclomedia.it/.
Umberto Eco in persona ha presentato il progetto, dando come al solito magnificamente corpo e parola a quella visione della Cultura dove tutto si tiene con tutto, e i nuovi supporti della Conoscenza permettono appunto di costruire delle enciclopedie (opere intertestuali per definizione) dove concretamente lo studente o lo studioso possono indagare i mille percorsi di lettura che nascono seguendo i collegamenti ipertestuali.
Poi Eco dice una frase che non mi piace: “La scuola dovrebbe insegnare, oltre che grammatica e calcolo, anche una tecnica di filtraggio, ma una tecnica del filtraggio non esiste, non si può insegnarla”. Il discorso prende le mosse da un classico ragionamento sulla qualità delle fonti disponibili su Web e sui rischi dell’information overload: le persone con una certa competenza critica nell’analisi delle informazioni disponibili in Rete sono capaci di separare il grano dal loglio, i giovani studenti potrebbero invece incorrere in errori grossolani, se putacaso dovessero svolgere una ricerca sui campi di concentramento nazisti e non sapessero identificare correttamente un sito web che promuove una visione negazionista.
Certo, mancherebbero loro le basi culturali generali per essere in grado di far la tara su quanto incontrano navigando, ovvero sui contenuti pubblicati in Rete, ma soprattutto va visto in loro un deficit di competenze nel saper leggere il contesto dentro cui quell’informazione (errata, o mistificante) si colloca.
Eco stesso nell’articolo dice che i ragazzi magari non sono “esperti in niente” sul piano dei contenuti specifici di una materia o argomento, ma probabilmente – qui vi è una concessione all’idea dei nativi digitali, che sappiamo non significa automaticamente smanettoni o abitanti consapevoli della Rete – possiedono già competenze nella fruizione della Rete superiori a quelle dei loro stessi insegnanti. Velocità, colpo d’occhio, modelli di pensiero desunti da videogames o televisivi che superano i vecchi schemi dell’organizzazione della Conoscenza e del modo di attingervi.
E quelle competenze riguardano a esempio il saper collocare nel giusto contesto quanto si incontra navigando, desumendo informazioni para-testuali dal modo stesso con cui l’informazione viene presentata e allestita sulla singola pagina web.
Anni di navigazione in Rete costruiscono in noi delle grammatiche che ci aiutano nel disambiguare il messaggio. Dalla grafica utilizzata per arredare quella pagina, allo stile del discorso (refusi, sintassi approssimativa, stilistica) al riconoscimento di una autorialità storicamente rintracciabile all’offerta di link di approfondimento, chi abita in Rete matura nel tempo una sensibilità e specifiche competenze di lettura che lo aiutano a individuare quei contenuti pubblicati che valgono davvero la pena di essere letti o studiati.
Purtroppo si tratta di competenze implicite, che molti di noi possiedono ma non sanno di possedere, perché non vengono portate in luce da una seria Media Education. Molte volte abbiamo qui scritto di come almeno un paio di generazioni non abbiano avuto, fin dalle scuole di base, nessuna infarinatura riguardo le grammatiche dei massmedia classici, giornali e televisione, quando la maggior parte della nostra formazione personale da decenni passa attraverso questi strumenti. Lo stesso errore gravissimo lo stiamo facendo rispetto alla Cultura Digitale, affrontata dalla Scuola (e spesso male, senza nemmeno il supporto di una buona Cultura Tecnologica) perlopiù come informatica di base e come istruzione agli applicativi ufficio, senza tenere in considerazione le definizioni e l’analisi delle peculiarità specifiche dei massmedia del nostro tempo, ovvero quell’Internet dentro cui oggi tutto si muove, informazioni e valori di reputazione e di fiducia, aziende e Pubbliche Amministrazioni, giornali online e enciclopedie libere come Wikipedia o commerciali e autoriali come Encyclomedia.
I bambini di sei anni vanno a scuola che sanno già parlare, eppure nessuno pensa di mettere in discussione la necessità di una alfabetizzazione secondaria, ovvero quelll’esplicitare la grammatica della lingua italiana (l’analisi logica, l’analisi grammaticale) che poi permetterà agli allievi già in terza elementare di maneggiare con maggior potenza e raffinatezza il loro scrivere e il loro esprimersi verbalmente. Oggi ci si esprime sul Web, dentro i social network, si traggono informazioni e punti di vista da centinaia di Luoghi digitali, eppure nelle scuole si compie lo stesso errore fatto con la televione e i giornali: non si parla di cittadinanza digitale e di valori di reputazione, non viene insegnato come funziona il sistema dei media, non vengono esplicitati i codici grazie a cui già ora noi tutti, ragazzi compresi, troviamo significatività e senso dentro la nuvola tutta dello Scibile umano, che oggi abita nelle infinite connessioni di Internet, come la mente abita il cervello, come il software abita l’hardware (già questo è un modello di pensiero vecchio, prendetelo con le molle).
Ebbene, io credo che quelle competenze di lettura e di interpretazione relative al web possano e debbano essere esplicitate e formalizzate, al fine di poter essere trasmesse (o suscitate) nelle pratiche scolastiche, come materia di apprendimento.
E’ necessario oggi provvedere a studenti e soprattutto agli insegnanti, ancora preda di una certa ingenuità dinanzi alla Cultura digitale oppure dichiaratamente colpevoli nella sottovalutazione dell’importanza di quest’ultima, delle grammatiche che li rendano in grado di comprendere appieno la profondità e l’estensione dei contenuti in cui si imbattono navigando in Rete, e soprattutto degli strumenti concettuali che permettano di situare le opinioni e l’informazione in un contesto, superando il rischio di essere travolti dall’information overload e di errare nell’attribuzione di valore a quanto vediamo pubblicato, facendo maturare in loro un vero atteggiamento critico indipendente dall’autorevolezza della fonte che non sia comprovata da una visione sociale (il modello mentale della biblioteca è obsoleto) del web moderno, fatto di relazioni tra persone (il vero filtro contro la fuffa, ma dipende da noi il saperle coltivare nella qualità) e non solo di testi che si richiamano l’un l’altro in un universo scintillante ma scarnificato.