Archivi autore: Giorgio Jannis
Quel tumblero di un Obama
You can send us a few paragraphs about how your latest phonebanking gig went or why you’re in for 2012. Share the latest chart you saw that made you go “woah.” Ask a question. Upload a photo of 2012 t-shirts or signs you see out in the wild. Pass along jokes, particularly if they’re funny. And if you’re among the Tumbl-inclined, send us posts you’ve published on your own Tumblr that we should look at re-blogging.
There will be trolls among you: this we know. We ask only that you remember that we’re people—fairly nice ones—and that your mother would want you to be polite.
Dalle idee alle persone, dalle persone alle idee
Giovanni Boccia Artieri riflette su Apogeonline sulla forma storica che assume oggi la partecipazione ai movimenti di massa, e quindi mostra l’attivismo della e-partecipation, lo stile nuovo dell’essere impegnati e le potenzialità a cui le azioni civiche online possono dar luogo, nel dialogare con i vecchi dispositivi e sistemi sociali, con il concreto costruire strategie per meglio amministrare la cosa pubblica.
Il dialogo è difficile, perché mancano le parole per dire cose nuove, e perché molti di quelli che dovrebbero ascoltare non hanno orecchi per intendere. Ma ogni nuovo esperimento è benvenuto, perché arricchisce il nostro vocabolario.
Da un’osservazione dell’articolo, prendo spunto: “non ci sono più i movimenti di massa del ‘900”. Sembra banale, sembra “non ci son più le mezze stagioni”, più che altro perché il ‘900 è finito. Ma non si è ben capito cosa significa. Significa che non c’è più bisogno, com’era sempre successo, di avere delle idee per radunare delle persone.
Cioè, il problema era radunare le persone, ovvero muoverle all’azione. Per innescare un cambiamento – la partecipazione a movimenti di piazza, in questo caso, l’aderire a un’ideologia – bisognava aspettare che due o tre pensatori per ogni generazione riuscissero tramite la filiera editoriale pesante (il cartaceo) e elettronica (la televisione, in tempi recenti) a produrre delle idee-bandiera, attrno alle quali si potesse poi coagulare un sistema di programmi narrativi, un consenso che desse forza.
Le persone erano poche, sparse in giro per il mondo, la diffusione delle idee era lenta, per fare massa critica numerica bisognava avere costanza nell’azione di distribuzione delle nuove ideologie, che però pian piano emergevano, se in grado di occupare bene la loro nicchia ecologica nei sistemi di pensiero di cui ogni epoca si nutre, ciascuna i suoi. Il Cattolicesimo o il Romanticismo o il Sistema della Moda o il brand di un’azienda alla moda (i valori etici e estetici collegati in connotazione, il riflesso sulla nostra identità) sono tutte ideologie, come sistema organizzato di valori e credenze.
E se nel ‘900 avevamo bisogno di ideologie per radunare la gente, e poi sarebbero arrivati i partiti per organizzare il consenso (strutture per la gestione, già forme di “solidificazione” dei movimenti), oggi abbiamo milioni di persone che partecipano con la mente, essendo connessi a Luoghi digitali sociali, e poi magari mettono in moto anche il corpo e si recano alla manifestazioni di piazza, ma in origine è partecipazione “al netto”, non ancora orientata a uno scopo, a una tematica.
Noi abitando in Rete siamo già lì. Pubblicando e commentando qua e là sui social gli accadimenti, replicando a un twit e mettendo un like, già partecipiamo, al punto che è possibile misurare le aggregazioni spontanee, a esempio registrando il successo di iniziative di comunicazione informali come trendingtopics su Twitter o gruppi su Facebook.
Abbiamo la gente, e non abbiamo l’ideologia.
Il sistema sociale che nei secoli abbiamo raffinato per fare emergere idee di miglioramento della qualità del vivere (chiamatelo Progresso, se volete) si è sviluppato tenendo ferma come costante del ragionamento la dimensione geografica del nostro abitare, le distanze dei paesi e delle nazioni, ora caratteristica superata dal nostro essere connessi.
Tutto il calderone della comunicazione complessiva di una società (di nuovo, scegliete voi il grado di pertinenza: se osservare le collettività iperlocali, o i mille rivoli dell’opinione pubblica a livello nazionale, o planetario) è oggi molto più caldo: molto più veloce è il cuocere delle pietanze. Le culture umane nel pentolone, ma sotto abbiamo acceso un fuoco notevole, inventando Internet che tutti e tutto connette simultaneamente, abolendo le distanze.
Ora siamo qui, cosa facciamo? Viviamo di memi? La notiziola che ci fa parlare tutti per un pomeriggio, l’argomento grosso che si trascina in una tregiorni di querelle sui socialnetwork e rimpiattino sulla TV, che poi parla della Rete e quindi la Rete reagisce alle critiche?
Il nostro essere in Rete, l’aver espresso con la nostra presenza (identità digitale riconosciuta) la nostra partecipazione a un’idea o a una proposta di azione legislativa, il nostro aver costituito con le nostre firme o i nostri like un “movimento di massa digitale” che va riconosciuto nella sua efficacia di modificare la narrazione sociale, deve aver la possibilità di incidere sulle scelte della gestione della cosa pubblica.
Bisogna attribuire il ruolo di “parlante ratificato” alla voce che emerge da iniziative organizzate in Rete, sancirne la legittimità del suo dire e essere ascoltato. Fuori da logiche partitiche, perché il modello storico dell’organizzare il consenso tramite queste strutture “solidificanti” dei valori e degli atteggiamenti – su cui poggerebbe poi l’azione politica parlamentare, secondo meccanismi elettorali e criteri di rappresentatività, è appunto ormai storia passata, espressione di un’epoca non connessa.
Il ‘900 aveva sviluppato i suoi sistemi di innovazione sociale, con i suoi tempi e le sue distanze. Noi siamo tutti qui senza geografie e dobbiamo inventare i nuovi modi e modelli per facilitare la partecipazione civica, organizzarla in consenso per darle rilevanza democratica significativa rispetto alle collettività interessate al cambiamento, scoprire per prove e errori come progettare il software sociale che meglio interagisca con l’hardware dei territori e delle collettività che li abitano. Progettazioni sociali che grazie al contributo di tutti ottimizzano l’ingegneria del nostro abitare.
Vieni a imparare
Udine, un convegno sulla Media Education
Il convegno è aperto a tutti, in particolare a insegnanti, educatori, operatori dei media, studenti, genitori.
Per scaricare il programma: http://www.mediaeducationmed.it/component/docman/doc_download/69-brochure-med-udine.html
Fonte: Altrascuola
Cartografie e narrazioni per la promozione territoriale
Cartografie e narrazioni per la promozione territoriale
Il sito di riferimento del progetto sopradescritto, denominato Mex, è reperibile al seguente indirizzo http://www.mexproject.it/http://www.mexproject.it/
Abitare la Rete
Massimo Mantellini pone a Sergio Maistrello alcune domande riguardo l’abitare la Rete. Originariamente qui, per la rubrica Eraclito di Mantellini su TelecomItalia.
Bricks. Ebook e Scuola
Mario Rotta, Marco Guastavigna, Noa Carpignano, Agostino Quadrino, Maria Grazia Fiore, Francesco Leonetti, Paola Limone e molti altri.
Per chi vuole leggere belle riflessioni riguardo l’ebook e il suo utilizzo scolastico, qui http://bricks.maieutiche.economia.unitn.it/?page_id=1127
ScuolaMia, comunicazione scuola-famiglia
Cos’è e a chi è rivolto
Il progetto “Servizi scuola-famiglia via web” rientra nell’ambito delle iniziative condivise tra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Dipartimento per la Digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Tecnologica.
Obiettivo del progetto è quello di mettere a disposizione strumenti e servizi online volti a favorire la comunicazione tra Scuola e Genitori, semplificare le relazioni amministrative tra famiglie e le istituzioni scolastiche, facilitare la partecipazione delle famiglie alla vita scolastica dei propri figli attraverso la realizzazione di un insieme di servizi innovativi, tra i quali la pagella digitale, le comunicazioni relative alla vita scolastica degli studenti e ai risultati degli apprendimenti, l’agenda di ricevimento dei docenti, la notifica alle famiglie in tempo reale delle presenze/assenze degli studenti e le comunicazioni scolastiche, erogati in modalità multicanale (tra cui web, e-mail e messaggistica sms).
Lo strumento che permette di concretizzare tali obiettivi è il “Portale ScuolaMia”, un contenitore all’interno del quale saranno disponibili i servizi “online” che via via saranno implementati.
Innovatori Jam 2011
C’è un articolo interessante di Riccardo Luna su Repubblica, dove l’ex direttore di Wired elenca i tentativi e le sperimentazioni che negli ultimi mesi hanno riguardato le pratiche italiane e europee di costruire democrazia grazie al web.
Meccanismi comunicativi nuovi, prese di coscienza, piattaforme online per la wikicrazia, Open Data. Partecipazione libera di cittadini che contribuiscono con le idee a migliorare il funzionamento concreto dello Stato, la sua efficienza come macchina amministrativa e la sua efficacia nel provvedere qualità della vita.
“… passare dall’e-gov, il governo che si mette in rete per dare servizi; al we-gov, i cittadini che diventano cocreatori delle politiche pubbliche.”
A un certo punto Luna dice che “non è dai Governi che arriva la wikicrazia”. Nell’ultimo paragrafo dell’articolo si legge che “il governo italiano è assente per ora” nella promozione di simili iniziative partecipative, benché attivo.
La prima frase, a ben vederla, è un capovolgimento logico, perché sono i Governi che arrivano dalla democrazia. I popoli hanno combattuto per avere sistemi di potere sempre più giusti e adeguati alle esigenze e ai diritti dei singoli e delle collettività: se a esempio mancasse la democrazia, quella forma di governo si chiamerebbe dispotismo. Nella parola wikicrazia è poi esplicitamente contenuto il concetto di “partecipazione paritetica”, come condivisione e scambio libero e a tutti accessibile.
I Governi possono promuovere la democrazia, confidando nel miglioramento del sistema. Possono affinare gli strumenti dell’amministrazione del territorio, possono studiare il modo per incrementare la circolazione delle informazioni e delle opinioni (come la Scuola, come la libertà di espressione e di stampa). E possono oggi imparare a ascoltare sempre meglio i cittadini, coinvolgendoli attivamente nella produzione di soluzioni e proposte.
E’ come nel caso degli Open Data: se i governi (Open Government) pubblicassero *tutto*, tutti i dati statistici e tutti gli atti amministrativi etc., i singoli potrebbero utilizzare quei dati per ricavarne delle analisi, degli studi comparativi, perfino delle applicazioni software con cui ottimizzare l’Abitare concreto e quotidiano sul territorio.
Pubblicare i dati sarebbe per i Governi un segnale di apertura alla conversazione, tanto quanto sollecitare la pubblica partecipazione dei cittadini dentro “contenitori di wikicrazia”, affinché possano nutrire con idee e contenuti il dibattito pubblico. Perché i contenuti (le idee) sono di tutti, e offrire dei contenitori governativi per ospitare queste idee è una buona idea, se non vogliamo finire a parlare di queste cose su Facebook, che è un luogo privato e commerciale, mentre questi discorsi devono avvenire in piazza e non nei salotti di qualcuno, e le piazze sono pubbliche.
Ci sono stati in passato esempi di “call for ideas” governativi. La Riforma Brunetta è stata pubblicata lo scorso anno sui siti istituzionali in forma “provvisoria”, sono stati aperti dei forum su cui chiunque poteva intervenire per apportare commenti e suggerimenti, e dopo qualche mese è stata promulgata in maniera definitiva.
Sempre per smentire bonariamente Riccardo Luna sull’assenza del Governo italiano nella promozione di “contenitori di wikicrazia”, segnalo anche una importante iniziativa che si terrà il 13 e il 14 settembre prossimi, a cura dell’Agenzia per la diffusione delle tecnologie dell’Innovazione.
L’iniziativa si chiama Innovatori Jam 2011, sul sito viene descritta come un evento di massa gestito on-line che, attraverso la partecipazione e la collaborazione di migliaia di persone, consente l’emersione e la contemporanea condivisione di idee, valori, best practice e soluzioni ovvero quell’insieme di elementi che costituiscono l’”intelligenza collettiva” di una comunità.
Come in una jam session musicale, L’Agenzia governativa (con IBM) mette a disposizione di 20.000 persone una piattaforma online di discussione, dalla partecipazione libera.
Gli argomenti sono stati suddivisi secondo dieci aree tematiche:
1- Innovazione e internazionalizzazione: Italia degli Innovatori
2- Giovani, talento e merito nella ricerca e nell’innovazione
3- Start up, incubatori, venture capital
4- I ranking dell’innovazione
5- Accessibilità, apps e nuovi canali
6- Digital agenda: open data, cloud computing e banda larga
7- e-commerce & e-tourism
8- Il Codice dell’Amministrazione Digitale
9- Informazione e nuovi canali
10- Le Smart Cities del futuro?
Personalmente curerò in veste di facilitatore le discussioni sull’area di discussione n. 7 (avendo interesse all’innovazione relativa ai sistemi di rappresentazione – cartografia digitale – del territorio) e sull’area 10, sulle Smart Cities. nelle mattine del 13 e del 14 settembre. Magari andrò a sbirciare anche negli altri forum: come NuovoAbitante, sono decisamente curioso.
Per partecipare occorre iscriversi, è gratis; poi il 12 Settembre via e-mail direttamente dai promotori di Innovatori Jam 2011 riceverete tutte le info per contribuire a questa iniziativa.
Su twitter l’hashtag è #ij11.

Se l’Italia va in fallimento
Trovato qui.
Default. Ok, ma cosa comporterebbe per me?
Forse sarà il caso di cominciare a rifletterci. I nostri politici non sembrano un granché consapevoli di ciò che sta accadendo. Ma anche i cittadini paiono abbastanza distratti. E c’è perfino chi invoca il default come una manna che risolverebbe tutti i problemi del paese. Dunque, forse, è giunta l’ora di porsi seriamente la domanda: cosa succede a me se l’Italia va in default?
Difficile rispondere, salvo dire che sarebbe l’evento più traumatico affrontato dal paese dai tempi della seconda guerra mondiale. Non perché non vi siano esempi in età contemporanea di paesi che non sono stati in grado di onorare i propri impegni finanziari (Corea del Nord, Argentina, Russia solo per citarne alcuni), ma perché il default sul debito italiano sarebbe veramente un evento epocale, una crisi finanziaria come il pianeta non ha conosciuto dai tempi dei grandi conflitti mondiali. L’Italia possiede il primo debito pubblico in Europa per un valore pari a circa 1900 miliardi di euro. Il mercato BTP era considerato, fino a non poco tempo fa, come uno dei più liquidi su cui investire. Dunque nelle grandi istituzioni della finanza vi sono depositati enormi quantità di titoli pubblici italiani che, a Wall Street, senza tanti giri di parole, vengono già apertamente paragonati ai tanto famigerati titoli tossici di tre anni fa (i subprime, ricordate?). Ed infatti già è partita la gran corsa a liberarsene il più in fretta possibile. I record registrati dallo spread del BTP decennale sull’equivalente bund tedesco stanno a rappresentare proprio questa corsa alla salvezza dal rischio di un default dell’Italia. Nessuno sa di preciso cosa accadrebbe. Tutti però sanno che sarebbe devastante.
Ma aldilà delle ripercussioni sulla finanza globale (come, ad esempio, la fine dell’euro e una crisi finanziaria globale senza precedenti) che già di per se dovrebbero destare enormi preoccupazioni (una tale crisi infatti avrebbe immediate e devastanti ripercussioni sull’economia globale con l’avvio di una crisi economica che colpirebbe tutte le principali economie del mondo, in particolare la nostra), cosa accadrebbe ai cittadini normali? Ripeto, difficile rispondere, ma sarà meglio cominciare a farsi un’idea, anche a costo di essere brutali.
Come prima cosa partirebbe la corsa agli sportelli delle banche. In verità, come ci raccontano le cronache, questa corsa è già partita in sordina, soprattutto per portare fuori dalle filiali tutta quella liquidità che è a maggior rischio di essere soggetta ad imposte di emergenza come i patrimoni evasi. Partita la corsa, le banche si ritroverebbero presto a corto di liquidità e i cittadini finirebbero rapidamente per trovare le serrande alle filiali con la scritta “chiuso fino a data da destinarsi”. A questo punto, i risparmiatori, finalmente resisi conto della serietà della cosa, correrebbero ai supermercati per fare provviste, salvo rendersi conto che le loro carte di credito e i bancomat non vengono più accettati. E mentre il commercio andrebbe in tilt, le banche si vedrebbero costrette a chiudere le linee di credito verso le aziende. Come noto, le nostre aziende sono straordinariamente sottocapitalizzate e dipendono in modo essenziale dal credito. Comincerebbero a saltare i pagamenti. Prima si tagliano i fornitori con aggravio ulteriore della posizione di cassa delle aziende. Ma ad un certo punto, arriverebbe il giorno degli stipendi, e sarebbero fortunati coloro che si trovassero a ricevere solo una decurtazione nella busta paga. Peggio andrebbe ai dipendenti pubblici e ai pensionati. Con lo stato incapace di reperire liquidità sui mercati, si andrebbe a raschiare il barile e sarebbero in tanti a rimanere completamente a secco. Nel frattempo l’Italia sarebbe già fuori dall’Euro, costretta a reintrodurre la lira. Evviva, grideranno in molti, soprattutto le imprese esportatrici, a partire da quelle manifatturiere che costituiscono il nerbo dell’economia nazionale. Con il ritorno alla lira, in automatico partirebbe la svalutazione che renderebbe più competitivi i nostri prodotti sui mercati internazionali. Certo! Peccato però che il debito pubblico, oggi al 120% del PIL, è stato in buona parte emesso in euro. Quindi, altrettanto automaticamente, si assisterebbe ad una rivalutazione del debito che non farebbe fatica a raggiungere il 200% del PIL, rendendo, a quel punto, qualsiasi futura azione di ristrutturazione l’equivalente di una carneficina. E non parliamo del peso che graverebbe sulle generazioni future.
E tutto questo non sarebbe che l’inizio. Con il commercio in tilt, le aziende a secco e lo stato incapace di pagare anche la cancelleria, seguirebbe una crisi devastante con un’inflazione a due-tre cifre, milioni di nuovi disoccupati, il crollo dei valori immobiliari e i risparmiatori sul lastrico. Ed un giorno avremmo anche la notizia di pugliesi sui gommoni che schivano le vedette della guardia costiera albanese per raggiungere le coste di quel ormai prospero paese….
Ripeto, si tratta di una brutalizzazione. Molti di questi eventi comincerebbero a manifestarsi già prima di un default. Ma che dite? Vogliamo provarci seriamente ad evitare questo scenario?

Fuori dal 900
Veltroni in un suo discorso descrive (male) la Rete dal suo punto di vista, e Giovanni Boccia Artieri gli dice che sta sbagliando, che la sua percezione è quantomeno parziale, e potenzialmente fuorviante.
Solo che per dirglielo deve spiegare cos’è tutto questo nostro abitare in Rete e intrecciare conversazioni, e lo fa piuttosto bene, as usual. Qui il post.
Svelare e rivelare
Un gioco di faccia
Il lavoro di domani
User Experience ManagerIl ‘manager dell’esperienza-utente’ gestisce la valutazione della progettazione centrata-su-l’utente (user-centered design), esegue analisi sull’architettura dei contenuti, agisce come Esperto di Usabilità su progetti online, pianificando, eseguendo e documentando test di usabilità di vario tipo. Avendo come responsabilità massima l’analisi e l’ottimizzazione dei percorsi di navigazione dei fruitori online dentro l’Online Marketplace, lavora a stretto contatto con i manager di Prodotto e di Contenuto aiutando a identificare aree di miglioramento e possibili soluzioni di sviluppo. Cerchiamo una persona con la passione di identificare schemi (patterns) dentro i dati e usare queste informazioni per ridurre i fattori di attrito tra i siti istituzionali di e-commerce e info-commerce della Compagnia, le campagne mediatiche online, gli strumenti di cura digitale (digital caring tools).
Just on time
Aver costruito reti di contenuti, aver costruito reti di conversazioni e relazioni, aver costruito ambienti sociali digitali, enpowerando individui e collettività, facendo emergere una strutturazione a nicchie ecologiche, dando visibilità e parola a rappresentazioni mediatiche del territorio, modificando il territorio secondo le indicazioni della mappa.