Spreconi punto itdi Federico Ferrazza e Letizia Gabaglio
Un sito turistico da 45 milioni. Altri 37 per un portale culturale. Più centinaia di costosissime iniziative locali. E migliaia di pc regalati agli onorevoli. Così la pubblica amministrazione getta i soldi on line
Per favore, visitate il sito Web, per favore visitate l’Italia. Per favore, visitate il nostro paese: noi vi accoglieremo calorosamente… Il tormentone corre sul Web con un video in cui il vicepremier Francesco Rutelli, in un inglese non proprio da Oxford, invita gli stranieri a venire in Italia. Il leader della Margherita parla dall’ultimo sito della pubblica amministrazione: Italia.it, il portale del turismo italiano pensato per ospitare tutte le indicazioni utili per visitare il nostro paese. Indicazioni che l’Italia pagherà a peso d’oro: 45 milioni di euro è la somma stanziata per il progetto, la cui piattaforma tecnologica (7.850.040 euro, Iva esclusa) è messa a punto dalle tre aziende che si sono aggiudicate il bando per la sua realizzazione Ibm, Its, e Tiscover. Una cifra impressionante soprattutto se si considerano i prezzi di mercato: con alcune centinaia di migliaia di euro al massimo si realizzano portali Internet con i fiocchi.
Il webmostro Italia.it è nato nella scorsa legislatura quando, nel 2003, all’allora ministro per l’Innovazione Lucio Stanca venne affidato il compito di sostenere progetti ‘di rilevanza strategica e di preminente interesse nazionale’. Così fu istituito il Fondo di finanziamento per i progetti strategici nel settore informatico. Per il periodo 2002-2004 il fondo ebbe 154,938 milioni di euro e nella finanziaria del 2004 si autorizzò la spesa di ulteriori 181 milioni e mezzo di euro per il 2004-2006. Con un decreto ministeriale del 28 maggio 2004, il progetto ‘Scegli Italia’ (poi divenuto Italia.it) venne finanziato: 45 milioni di euro, appunto.
Ma è in questa legislatura che il portale vede la luce. E il 20 febbraio 2007, ancora in fase di realizzazione, viene messo on line, in tempo per presentarlo alla Bit (Borsa internazionale del turismo), come fortemente voluto dal ministro per i Beni culturali Rutelli. Immediate le reazioni su Internet: molti blogger parlano di un progetto poco interattivo, con contenuti obsoleti e con evidenti errori di programmazione. Sul blog Scandalo Italiano (scandaloitaliano. wordpress.com), nato per l’occasione, ci sono gustosi resoconti di chi ha intrapreso un viaggio in Italia attraverso le pagine del portalone, pieno di errori, di traduzioni sommarie e con alcune stranezze (fra i personaggi toscani sono citati sullo stesso livello Dante Alighieri e il campione di scherma Aldo Montano…). E per il prossimo 31 marzo è stato organizzato un evento pubblico presso l’Università Bicocca di Milano (www.ritalia.eu) dove chiunque (programmatori, project manager, grafici, creativi etc) potrà intervenire per proporre migliorie al sito.
Ma Italia.it, in nome dello spreco digitale, ha pure un fratello gemello. Anzi, tanti fratellini. Infatti mentre nelle stanze del Ministero dell’Innovazione si preparava il sito turistico nazionale, nove regioni – poi diventate 12 – si mettevano d’accordo per realizzare, con le sovvenzioni dello Stato (legge 135/2001 “per il co-finanziamento di progetti dei sistemi turistici locali interregionali e sovraregionali”), un portale interregionale di promozione turistica. Capofila la Liguria, partecipanti: Basilicata, Calabria, Campania, Friuli, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto. La domanda delle regioni venne accolta nella Dgr n.3304 del 21 novembre 2003 che stanzia i primi 200 mila euro. Praticamente un doppione di Italia.it, realizzato inoltre con un approccio quindi esattamente contrario a quello del sito ministeriale che prevedeva un sistema di prenotazione gestito a livello centrale. Il progetto per il portale interregionale è stato preso molto sul serio dalle regioni coinvolte, che hanno investito milioni di euro nella realizzazione di quei siti regionali che dovevano essere veicolati dal portale sovraregionale. Così, per esempio, la Puglia a novembre 2006 ha presentato solo agli operatori del settore (ma si può vedere all’indirizzo http://138.66.34.243/turismo/) il suo portale, finanziato con 3.273.719 euro, come si evince dal documento di programmazione per il turismo della regione che destina per l’anno 2007 ulteriori 900 mila euro. Anche la Campania nel frattempo ha fatto il suo sito (www.turismoregionecampania.it) per un costo di 3,719 milioni (più altri 3,5 milioni di euro per un portale “di supporto all’Internazionalizzazione nel bacino mediterraneo”, finora non realizzato).
“Portali come Italia.it”, spiega Marco Calvo, amministratore di E-Text, azienda che realizza siti Internet, “possono essere messi a punto al massimo con un milione di euro. Il problema sta nelle gare per l’assegnazione del progetto che richiedono fatturati minimi (dell’ordine dei 100 milioni di euro) sempre più alti da parte dei proponenti. Possono partecipare quindi sempre aziende molto grandi che fanno pagare anche il loro marchio. Ma la storia dell’informatica dimostra che i prodotti migliori arrivano da aziende molto piccole: Google, Skype, Kazaa e altri software che hanno rivoluzionato Internet sono nati dalla testa di un paio di persone”.
Se il turismo genera sprechi pubblici in Rete, anche la cultura non scherza. Il caso di Internet Culturale (www.internetculturale.it) ne è un esempio. Nella scorsa legislatura per il sito vennero stanziati 37,3 milioni di euro (7,1 dal comitato dei ministri per la Società dell’informazione e 30,2 dal ministero dei Beni culturali) per un progetto di un motore di ricerca (che quindi rimanda ad altri siti) per versioni digitali di opere di pubblico dominio (libri, musica e così via). Un intento lodevole se non che la Rete è piena di iniziative pubbliche e private che già assolvono questo ruolo. Forse era sufficiente un semplice accordo con una di queste realtà per risparmiare un bel po’ di denaro. A realizzare la piattaforma del portale è stata la cordata formata da Ibm (azienda di cui era top manager Lucio Stanca prima di diventare ministro, e presente anche in Italia.it), Finsiel (società che dalla fine del 2005 ospita nel suo Cda Paolo Vigevano, ex capo della Segreteria Tecnica e consigliere politico di Stanca) e Società Servizi Bancari.
Mentre lo Stato spendeva 37 milioni, la Campania si faceva il suo sito culturale ad hoc (www.culturacampania.rai.it) costato altri tre milioni di euro. Peccato sia solo in italiano e per la promozione del patrimonio culturale campano non pare una scelta lungimirante.
Altrettanto antieconomico è il modo in cui sono stati realizzati i 657 siti Web che fanno riferimento ai 25 ministeri e alla Presidenza del Consiglio. Se infatti 300 appartengono al ministero degli Esteri con le sue ambasciate, gli altri 357 hanno i compiti più disparati e sono realizzati ciascuno con una grafica diversa e con tecnologie diverse: se si fosse usato un solo modello per tutti si sarebbero potuti risparmiare milioni di euro. Peraltro i siti non sono neanche costruiti nel modo migliore. Usando lo strumento di valutazione del W3C (il consorzio internazionale che fra l’altro detta le linee guida per realizzare siti Web accessibili anche ai disabili) ‘L’espresso’ ha per esempio osservato che 15 siti (14 ministeri più quello del governo) non rispondono a tutti i requisiti del W3C: fra questi ci sono quello del ministero degli Esteri, della Giustizia, della Difesa, della Salute, delle Politiche comunitarie e dell’Ambiente. Ci sono poi tutti gli strafalcioni e le sviste sui contenuti. Una per tutte: il sito del ministero delle Infrastrutture ha le informazioni sulla viabilità stradale, ferroviaria, aerea e marittima ferme al settembre 2006.
E pensare che nel 2002 il ministero per l’Innovazione e le Tecnologie aveva introdotto dieci obiettivi sui quali orientare le attività negli anni successivi. A distanza di cinque anni solo uno è stato raggiunto (firma digitale); cinque hanno superato il 60 per cento di realizzazione (servizi on line prioritari, trasparenza, mandato di pagamento, uso dell’e mail e alfabetizzazione informatica), due hanno superato il 30 per cento (Carta di identità elettronica e Carta Nazionale dei servizi e servizi dotati di un sistema di soddisfazione dell’utente); dell’obiettivo di svolgere un terzo dell’attività di formazione via Internet (e learning) non c’è traccia e dell’e procurement (acquisto-vendita di beni) il Cnipa (Centro nazionale per l’informatica nella Pubblica amministrazione) consiglia una revisione in toto del progetto.
Se poi dai siti passiamo alle stanze dei ministeri, si va di in male in peggio. Secondo il Cnipa per l’acquisto di beni e servizi informatici nel 2005 lo Stato ha speso 1.676 milioni di euro. La spesa si concentra sulle grandi amministrazioni: sei (Economia e Finanze, Tesoro, Giustizia, Interno, Difesa, Inps e Inail) hanno impegnato il 66,5 per cento della dotazione informatica. Guardando poi il numero di computer per dipendente ‘da ufficio’ (cioè con una scrivania e a cui un pc può dare una mano) si scopre che in quasi tutti i ministeri ci sono più terminali che lavoratori, con picchi degni di una azienda che sviluppa software. Al ministero delle Politiche agricole ci sono per esempio 2,4 pc per dipendente, agli Esteri 1,6, al Lavoro 1,4 e alla Salute 1,4. E, come se non bastasse, molti di questi computer vengono usati solo come macchine da scrivere: solo il 48,3 per cento delle postazioni della Pubblica amministrazione centrale è collegato a Internet. Ma anche se fossero connessi, quanti sarebbero stati in grado di usarli? Pochi, molto pochi. Fra tutte le amministrazioni centrali solo tre (Agenzia delle Entrate, Carabinieri e Presidenza del Consiglio) hanno più del 50 per cento dei dipendenti a bassa formazione informatica.
La spesa informatica per postazione è in media, fra le amministrazioni centrali, di quasi 4.500 euro, anche qui con dei picchi interessanti: l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura ha speso (nel 2005) 199 mila per postazione, un cifra da sommare ai 123 mila euro del 2004; alle Politiche fiscali hanno speso (nel 2005) 21mila euro, al Tesoro 11 mila e all’Istruzione 9 mila.
Non contento, lo Stato regala soldi a deputati e senatori per dotarsi di strumenti informatici: i primi hanno la possibilità di spendere fino a 3 mila euro in una legislatura, i secondi 4 mila. Denari pubblici con cui gli onorevoli si fanno un paio di ottimi pc portatile, presumibilmente, visto che in Parlamento hanno tutte le postazioni fisse che vogliono. Gli acquisti informatici della Pa vengono effettuati con trattativa privata per il 32 per cento del volume di spesa, con gara nel 30 per cento, e intorno al 28 per cento con affidamento ‘in house’, cioè tramite società di proprietà pubblica con cui le amministrazioni hanno un accordo (per esempio Sogei e Aci Informatica) e in convenzione solo per circa il 10 per cento della spesa. Per favorire la razionalizzazione della spesa il Consip, una società per azioni del ministero dell’Economia, è stato incaricato di stipulare delle convenzioni con fornitori scelti da esperti dell’ente sulla base del rapporto qualità-prezzo oppure attraverso un mercato virtuale (www.acquistiinretepa.it) dove i fornitori, una volta registrati, possono pubblicare i loro listini. Molto attivi su beni e servizi tradizionali, gli esperti del Consip non si sono però ancora misurati a pieno con il reparto informatico. Poche le convenzioni stipulate, ma anche sfogliando queste poche si può capire come il sistema di acquisto in convenzione, se solo fosse sfruttato a pieno, si tradurrebbe in un risparmio. Un pc da tavolo di ultima generazione con schermo piatto, per esempio, non costa più di 550 euro, stesso prezzo che si paga per un portatile. Il pacchetto Office di Windows, l’unico fornitore di software per ora considerato, costa intorno ai 300 euro. Ma senza convenzione, come vengono fatti la maggior parte degli acquisti, i prezzi schizzano. E, per esempio, per un pacchetto Office più antivirus si possono spendere quasi 800 euro.
Da queste cifre è facile intuire che i costi informatici potrebbero essere abbattuti. E di molto. Soprattutto guardando il software. Un’associazione di Caserta , la Hacklab, ha lanciato in merito una petizione on line (http://81100.eu.org/petizione/) che ha già raccolto quasi 5 mila firme per chiedere al governo di puntare più sul software open source (gratis e replicabile per tutte le amministrazioni a costo praticamente nullo) per abbattere gran parte dei costi degli applicativi che nel 2005 hanno toccato quota 474 milioni di euro. “Guardando le spese informatiche nella pubblica amministrazione”, dice Giorgio Sebastiano di Adiconsum, “viene da chiedersi: perché non c’è un unico software per tutti i comuni che per esempio gestisca l’operatività standard? Perché ogni comune ha fatto una gara per comprare un programma che sarebbe potuto essere acquistato a livello centrale consentendo risparmi notevoli?”. Un esempio sono i cosiddetti software Gis (Geographic Information System) utili per la navigazione. Ogni amministrazione, centrale o locale, ne acquista uno a un prezzo variabile, nella maggior parte dei casi, da circa 10 mila a 20 mila euro. Senza contare che ne esistono di gratis in Rete, lo Stato ne potrebbe acquistare uno da girare a tutte le amministrazioni. E invece ogni regione, provincia o comune conduce una trattativa separata.
Intanto le amministrazioni locali producono nuovi portali a suon di milioni. In Lombardia, per esempio, il sito della Regione (www. regione.lombardia.it) è costato 1.291.513 euro (790 mila finanziati dallo Stato). L’Italia è poi il paese delle piccole comunità ed ecco allora i progetti delle reti civiche. In Sicilia queste iniziative sono 46 per un totale di 33 milioni di euro di finanziamenti. Il valore unitario è variabile: da poco più di 160 mila euro del progetto per la rete civica di Alcantara presentato dal Comune di Roccella Valdemone al piano del Comune di Castrofilippo che, insieme ad altri 13 municipi della provincia di Agrigento, ha dato vita al progetto Mercurio per una sovvenzione di un milione. Oppure c’è il progetto Eureka del Comune di Siracusa, valutato 1,2 milioni di euro e oggetto di gara a gennaio 2006 aggiudicata per una cifra superiore agli 800 mila euro. Ma del sito, per ora, non ci sono tracce.
Da Espresso
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