Fonte: il Sole 24ore
E-government, la strada è ancora lunga
di Giuseppe Caravita
Ma meno, molto meno, per superare ostacoli burocratici, per i cosiddetti servizi pubblici online o di e-government.
Nel 1999 l’e-gov era di gran moda. Tutti i governi d’Europa, Usa e Asia lanciavano progetti: l’obbiettivo sembrava a portata di mano, una pubblica amministrazione meno costosa, servizi più accessibili, tempo e denaro risparmiato dai cittadini. Non è andata così: l’e-gov, un po’ ovunque nel mondo, ha deluso tutti. Certo, con qualche eccezione (anche europea), ma questo filone di internet è rimasto il fanalino di coda della rete, agli ultimi posti nelle statistiche d’uso. Perché?
I ricercatori informatici convenuti in questi giorni a Torino alla Dexa 2008 questo problema, tra le righe, se lo stanno ponendo. Per esempio Jorg Becker e Bjorn Niehaves che, per conto del Governo tedesco, hanno sviluppato un’indagine sull’effettivo uso dei servizi pubblici in rete. Risultato: pur nella grande Germania, perno d’Europa, con il 45% di popolazione stabilmente connessa alla rete, l’uso dei servizi di e-government non supera il 20%, di cui l’11% per semplici informazioni e solo il 9% per servizi transattivi completi. Per contro, in Italia, le cifre, rilevate da Accenture, appaiono dimezzate: 30% di italiani online, di questi solo l’8% utenti abituali dei servizi pubblici informativi e solo il 3% dei pochi transattivi completi.
A confronto il 60% degli utenti internet tedeschi usa abitualmente le pagine di Wikipedia, il 30% fa e-commerce, e una percentuale analoga condivide files (legalmente o meno) sui circuiti peer-to-peer.
E’ un gap che si riduce solo nei paesi scandinavi, in Olanda (dover un servizio di autenticazione nazionale, base dell’e-gov, è attivo e ampiamente usato) in Austria e in Estonia, campione europeo grazie a un’agenzia pubblica dedicata e a un massiccio programma di marketing dei servizi.
Per il resto regna la delusione. Le nuove carte digitali vengono usate, nel caso spagnolo, tedesco e anche austriaco, prevalentemente come sostituti plastificati dei vecchi documenti cartacei. E solo in piccoli numeri come sistemi di autenticazione sul Web. La firma digitale stenta a decollare, un po’ ovunque.
Che fare? I punti chiave che emergono dalla quattro giorni di Dexa 2008 paiono tre: organizzazione, incentivi, apertura.
Laddove hanno potuto operare agenzie pubbliche realmente motivate e focalizzate sullo sviluppo dei servizi i risultati si sono visti. Non solo in Estonia, ma anche in Austria, Olanda e persino in Italia. Qui per esempio vale il caso del più antico operatore di servizi pubblici online italiano, il Csi Piemonte, che, unico nel Paese, è riuscito a diffondere a centinaia di piccoli comuni della regione i suoi servizi, grazie anche a finanziamenti centrali che hanno reso l’operazione a costo zero. In pratica il Csi Piemonte funziona da centro servizi anche per la Liguria e la Val d’Aosta. E dispone, già rodato da anni, di un sistema di autenticazione (cruciale per l’e-gov evoluto) che potrebbe essere rapidamente diffuso a livello nazionale.
Secondo: incentivi. Quando i piccoli comuni piemontesi si sono accorti che, con i nuovi piani governativi, l’adozione dei servizi telematici sarebbe stata di fatto gratuita li hanno adottati. E in Italia la dichiarazione dei redditi online (forse l’unica vera bandiera dell’e-government italiano) viene usata da centinaia di migliaia di commercialisti, patronati e altri intermediari per ridurre sostanzialmente i propri costi operativi.
Terzo: apertura. La comunità europea da tempo (anche qui tra le righe) si è resa conto del fallimento sostanziale dell’e-government. Servizi complicati, portali astrusi e ricalcati sulle precedenti procedure burocratiche, mai verificati con gli utenti, costruiti più per salvaguardare le amministrazioni che per risolvere i problemi della gente. Un esempio. La ricerca tedesca mostra tre gruppi di esclusi dalla rete: anziani, piccoli paesi rurali, disoccupati. I primi lamentano la complicazione della burocrazia online, i secondi la scarsità di collegamenti a larga banda, e i terzi sembrano refrattari a ogni forma di internet. Però, quando si tratta di accedere ai servizi informativi federali sui posti di lavoro disponibili, ecco che la media d’uso di questi “disconnessi” balza al 110% sulla media nazionale. Sintomo di un fenomeno già notato sulla rete: quando un servizio colpisce realmente un problema civico reale, e vitale, non c’è digital divide che tenga. «Vanno negli uffici federali a consultare internet per le offerte di lavoro – osserva Niehaves».
E così per siti civici pubblici creati spontaneamente negli ultimi mesi, come CrimeChicago (una comunità che si scambia informazione sui posti più o meno sicuri della città) oppure “Rate Your Doctor”, sito australiano (e inglese) che indica, a suon di esperienze reali, i medici e gli ospedali migliori, o da evitare.
Il cosiddetto Web 2.0 (ovvero l’internet partecipata dei Blog, dei Wiki e dei web scritti a più mani) sta rapidamente approdando ai problemi civici vitali e di ogni giorno (cosa diversa dai servizi pubblici) e una ricercatore italiano, David Osimo, ne ha recentemente censiti un centinaio, per le nuove strategie di ricerca della Commissione Ue.
E poi il connubio pubblico-privato. «Negli Usa stanno nascendo startup come la Nic che offrono gratuitamente alle Amministrazioni servizi di e-government -spiega Enrico Ferro del Politecnico di Torino- salvo riservarsi piccole fees su alcuni servizi più complessi. E solo con queste si ripagano le attività e fanno profitti».
Modelli di business di questo tipo se ne possono inventare diversi. Forse con l’annunciato federalismo fiscale anche le Amministrazioni locali italiane potrebbero porsi il problema di far rendere realmente l’e-government, sia in termini di minori costi interni che di ricavi aggiuntivi. Mettendo in moto un circolo virtuoso di investimenti. Aprendosi, magari tramite reali e provati specialisti, alla cooperazione con nuovi intermediari e, soprattutto, con gli utenti. Di quelli che hanno bisogno di un cambio di residenza veloce, di sapere se c’è lavoro, di una cura di qualità per una malattia grave di un familiare.
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