L’ economia ai tempi del web

L’ economia ai tempi del web
di GIORGIO RUFFOLO
Repubblica — 07 agosto 2008

L’ impatto delle tecnologie cosiddette digitali sulle relazioni sociali e in particolare lo sviluppo prodigioso del fenomeno Internet sono oggetto ormai da tempo di una intensa attenzione. Non altrettanto e stranamente, almeno nel grande dibattito pubblico, il loro carattere specificamente economico, che riguarda in particolare le implicazioni della «economia digitale» sul mercato, cioè sul sistema economico largamente dominante nelle economie capitalistiche del nostro tempo.

Si da in genere per scontato che il vendere e il comprare su Internet, non solo sia in accordo con la natura e le regole del mercato, ma ne rappresenti una esaltazione. Questa è almeno l’ opinione espressa dalla corrente di economisti americani cosiddetta «californiana», secondo cui la rete costituisce l’ istituzione che incarna concretamene l’ altrimenti astratta teoria della concorrenza perfetta che sta alla base del credo liberista, escludendo lo Stato da ogni possibile interferenza nel suo funzionamento.
Ora, una analisi non fortemente intrisa da motivazioni apologetiche dovrebbe portare a conclusioni opposte: che sono infatti sostenute da altri economisti (per esempio, quelli del Centro Hypermedia dell’ Università di Westminster, che fa capo a Richard Barbrook). Si fa notare che l’ esplosione della rete, nonché esaltare la logica del mercato, ne mina alcuni presupposti essenziali e per converso apre nuove prospettive a una economia della reciprocità, libera dai vincoli sia del mercato che dello Stato.

Nel caso di Internet si verifica una condizione ben nota agli economisti, di produzione di beni non esclusivi che possono essere utilizzati simultaneamente da più utenti: un classico bene pubblico.

Inoltre, il bene prodotto (l’ informazione) a differenza di un bene fisico, non si separa dal produttore (come si dice: se ci scambiamo un dollaro, restiamo con un dollaro; se ci scambiamo un’ idea restiamo con due idee). In tali condizioni, è assai difficile esigere un prezzo.
Il problema è stato risolto in questi casi con i canoni di abbonamento. Il produttore fornisce un servizio e riceve un canone standard, indifferenziato.

Ma che succede se l’ utente del servizio diventa a sua volta fornitore «scaricando» l’ informazione dalla rete e vendendola o regalandola in concorrenza col produttore? Nel caso Internet proprio questo succede. Ciò provoca danni ingenti ai fornitori del servizio, contraendo le entrate pubblicitarie. Per evitarli, essi non possono far altro che ricorrere alla legge: alla polizia e alla magistratura, il che rende manifesta la dipendenza del mercato dallo Stato, la falsità della sua pretesa «autoregolazione».

Ma poiché è molto difficile accertare le violazioni da parte dei «free riders» (dei parassiti di Internet) emerge la proposta di istituire un sistema di spionaggio permanente detto Panopticon (in memoria della famosa proposta di Jeremy Bentham) che permetta di controllare permanentemente tutte le operazioni degli utenti. Ecco un divertente esempio di regolazione staliniana del mercato autoregolato.

Esiste, fanno notare gli economisti di Hypermedia, un’ alternativa. Lo Stato assume il compito di fornire l’ infrastruttura della rete Internet che non è più finanziata dalla pubblicità (col beneficio di una diminuzione dell’ inquinamento dovuto alla contrazione dei consumi «indotti» da quella); ma dalle tasse, che la collettività decide democraticamente di pagare per massimizzare il bene pubblico dell’ informazione. In tal caso non esiste più un problema di free riders. La libera circolazione dell’ informazione fornita dalla rete, anziché costituire un danno per i fornitori privati, soddisfa pienamente lo scopo del fornitore pubblico.
Si apre un nuovo spazio dove allo scambio valorizzato (informazione contro pubblicità) subentrano prestazioni reciproche gratuite. Economia del dono? No, non c’ è nessun dono. C’ è la decisione della comunità di trasformare il valore di scambio dell’ informazione in valore d’ uso, affidandolo alla libera gestione della comunità stessa: né allo Stato, che si limita a fornire l’ infrastruttura, né al mercato.

Il lato più interessante di questa riforma non sta solo nel rendere possibile la libera fruizione dell’ informazione contenuta nella rete, ma di promuovere l’ aspetto più innovativo di Internet: la partecipazione attiva dell’ utente allo sviluppo dell’ informazione. Contribuendo alla creazione di nuova informazione, egli non è più un consumatore passivo, ma un produttore attivo di idee: un prosumatore (prosumer), come con geniale anticipazione lo definiva Alvin Toffler.

Internet sta producendo una vera e propria rivoluzione nel mondo del lavoro e della produzione generando una nuova classe di lavoratori-imprenditori che non esalta il momento dello scambio valorizzato ma quello della libera creatività.

E’ bene che queste idee circolino liberamente senza essere protette da copyright. Le prestazioni effettuate sulla rete non sarebbero soggette ad alcun vincolo di proprietà riservata (copyright). I soli limiti riguarderebbero la sicurezza e la moralità. Ma in quei casi si tratta di perseguire casi concreti e manifesti, e non capacità potenziali e diffuse di violazione delle regole.
Come Richard Barbrook osserva, non si tratta affatto di sostituire il mercato e lo Stato con una economia caratterizzata dal principio della reciprocità, ma di integrare economia di mercato, economia amministrativa ed economia digitale in un sistema più ampio e articolato. Lo Stato fornirebbe l’ infrastruttura, il mercato promuoverebbe le innovazioni tecnologiche, per esempio sviluppando la griglia delle fibre ottiche, la rete promuoverebbe la diffusione e lo sviluppo dell’ informazione attraverso un immenso dialogo sociale.
Dunque, Internet rappresenta, non, come sostiene l’ ideologia californiana, la suprema esaltazione dell’ economia di mercato ma una macroscopica premessa del suo superamento, nel campo dei beni sociali.
Quanto ai beni autenticamente privati il mercato è insostituibile, come rivelatore delle preferenze individuali (ricordiamo la lezione di von Hayek). In tal senso esso costituisce uno strumento prezioso del benessere sociale. Uno strumento, però, non uno scopo. Uno strumento che affianchi l’ altrettanto insostituibile presenza dello Stato e quella delle nuove istituzioni associative e volontarie, delle quali Internet è un felice esempio. –

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