Mettiamo il caso specifico delle tecnologie didattiche.
Lavagne interattive, pc in classe, videocamere, registratori. La buona letteratura sull’argomento ci dice che potrebbe essere perfino controproducente rispetto all’apprendimento considerarle come qualcosa di aggiunto al normale flusso comunicativo tipico delle mattinate a scuola.
Per l’insegnante l’utilizzo di edutic in classe dovrebbe essere un gesto fluido, a tempo con il dialogo o multilogo del gruppo classe; se invece devo spostarmi in aula multimediale, oppure collegare lavagna o videoproiettore, trovare le chiavi dell’armadio per tirar fuori la macchina fotografica, spezzo il flusso e va ricostruito l’ambiente mentale dell’apprendimento.
Per questo qui si dice che le tecnologie in classe vanno pensate come ambienti, non come strumenti, in particolare se parliamo di Luoghi di apprendimento digitali come i blog di classe, le piattaforme FAD, le community.
Un insegnante non pensa “adesso uso la lavagna”, “adesso uso il libro”. Per motivi storici, vi è naturalezza nel suo disporre dei sussidi. Lo stesso dovrebbe avvenire con il computer o con la LIM, se quegli strumenti abitassero già, in modo nativo o naturalizzato, nella sua mente e nel suo pensare la propria attività professionale. Gli strumenti ci abitano, noi abitiamo in un ambiente mentale che contempla gli strumenti, quando li usiamo abitiamo le potenzialità che quegli strumenti ci offrono.
“Quando impugno un martello, tutto assomiglia a un chiodo”. L’affermazione spiritosa coglie bene proprio questo aspetto: la relazione tra il mio pensare (percepire, progettare, prevedere, esplorare, predispormi all’azione) e le potenzialità dello strumento. Non vedo nessuna difficoltà a dire “il martello mi abita”, ovvero “io abito il martello”.
Il discorso vale anche per la tecnologia tutta, la quale non va vissuta come corpo estraneo rispetto alla cultura umana, nemmeno l’avessero portata gli alieni, ma va concepita come propria della specie umana. La tecnologia non è uno strumento, è l’ambiente dentro cui /grazie al quale progettiamo le trasformazioni del territorio per sopravvivere come specie.
Per questo dovremmo essere tutti un po’ tecnologi (mica tecnici), essere consapevoli del mondo costruito in cui viviamo, senza bloccarci dinanzi a questi ragionamenti molto umani, e la Scuola dovrebbe riuscire a rendere consapevoli le nuove generazioni della tecnologia che ci abita.
Noi tutti quindi abitiamo nella tecnologia (guardatevi attorno), e con essa dialoghiamo, quotidianamente. E lo facciamo da millenni, e siamo cresciuti insieme, siamo ibridati con la tecnologia, la tecnologia cambia la natura umana, e Frankenstein è un libro del primo Ottocento. “Cambia il modo di fare figli, di allevarli e di educarli. Cambia il modo di comunicare, di apprendere e di insegnare”, dice Giuseppe O. Longo. La tecnologia cambia la nozione di tempo, la percezione dello spazio, il concetto di realtà, e conseguentemente cambiano le forme sociali, i tribunali e gli ospedali e le scuole, le case e le città, i modi con cui ci relazioniamo agli altri.
Ma torniamo nello specifico, parliamo di supporti tecnologici della conoscenza, parliamo di libri.
Sono millenni che ci accompagnano, i libri, cinque secoli in formato a stampa.
Ma adesso ci sono gli e-book, e alla specie umana succederà qualcosa, come sempre accade quando si modifica la forma e le funzionalità degli strumenti base dell’apprendere.
Matureremo nuove modalità di accesso all’informazione, ora che sono cambiate le interfacce. Sì, un libro è un’interfaccia, una porta per lo scibile, visto che ogni libro parla di altri libri. E noi interagiamo con il libro, secondo l’usabilità che l’oggetto tecnologico ci permette. E con gli e-book il libro si fa abitare in modo diverso, e accende scintille nuove nella nostra testa.
E se un e-book è testo elettronico, che appare e scompare, che possiamo manipolare, già oggi è possibile fare un passo in più, se a esempio il libro ci guarda mentre leggiamo.
Se il libro fosse provvisto di una videocamera che segue il movimento dei nostri occhi e modifica ciò che appare mentre leggiamo, aiutandoci a potenziare l’esperienza, mostrandoci immagini o collegamenti ipertestuali, perché il libro (su un tablet, su un iPad) sa dove stiamo puntando lo sguardo, se ci soffermiamo su una parola, ci segue nel nostro ritmo di lettura.
Dialoghiamo con la tecnologia, è cosa tutta umana, non può esserci estranea.
Qui su Wired.com trovate l’articolo (in inglese), qui sotto metto il video.