In un liceo, un diciassettenne mi ha detto la frase quella là.
– Ma, guru (seh), sarà ben meglio alla fine incontrarsi al bar?
Stavo parlando di chat, di FB, di bacheche social da Myspace in qua con gente che cinque anni fa era in seconda media. Tutto questa velocità d’innovazione del web di cui noi qui dentro da anni (liberateci) parliamo, il fatto che FB e Youtube siano roba del 2005, vive in una dimensione prospettica radicalmente diversa dentro le menti dei fanciulli. Che ci son cresciuti dentro, conoscono FB e gironzolano un po’ qua e là in internet, si scocciano forse. Immagino siano esistite persone che hanno sempre guardato le automobili con un po’ di meraviglia, per tutta la loro vita, essendo nati e cresciuti in un mondo senza automobili.
E forse io guardo ancora con meraviglia cose che accadono qua dentro, robe di socialità o dispositivi che permettono di accedere meglio alla conoscenza depositata o a quella che insieme stiamo ora tutti costruendo.
Magari per loro tutto è dato. Ci son cresciuti dentro, la Rete c’è. E’ lì da quando sono nati, a metà Novanta. Millennials.
– Certo che alla fine è meglio incontrarsi in un bar – gli ho detto a quel tipo. Si arriva sempre lì, e la Rete ha permesso incontri tra persone. Forse l’errore è pensare che UNA chat, UNA serie di commenti su un social sia la novità, l’evento puntuale dentro cui tutta la novità dei new media si sprigiona. Mentre bisogna anche pensare un po’ lungo, nel tempo. Fino a ieri potevo solo telefonare a una persona a casa, o scriverle una lettera (tutto un universo) o incontrarla, per avere esperienza di lei. Adesso mi arriva un twit, vedo un suo status, chatto con lei, le mando una mail a cui mi risponde subito, un sms e poi un altro. Dopo un anno, son successe cose. Centinaia, migliaia di cose. E la mia conoscenza di quella persona è ora sostenuta da questa nuvola fitta di scambi interpersonali, che non può non contribuire a edificare la mia idea di lei. Sfaccettature.
Non subito, ma dopo mesi, anni, cosa succede?