Ecco qua, adesso ho la mia bella età più sei mesi.
L’altro giorno, non vi sarà sfuggito, era il Solstizio d’inverno. Il giorno in cui il Sole sta fermo, raggiunge una stazione, arresta il suo cammino verso il basso (misurato a mezzogiorno come distanza verticale dall’orizzonte, non come movimento da est a ovest, sennò significherebbe che la Terra ha smesso di girare su sé stessa e vi garantisco non sarebbe una bella cosa) e riprende a salire nel cielo.
L’altro giorno, non vi sarà sfuggito, era il Solstizio d’inverno. Il giorno in cui il Sole sta fermo, raggiunge una stazione, arresta il suo cammino verso il basso (misurato a mezzogiorno come distanza verticale dall’orizzonte, non come movimento da est a ovest, sennò significherebbe che la Terra ha smesso di girare su sé stessa e vi garantisco non sarebbe una bella cosa) e riprende a salire nel cielo.
Un momento dell’anno che tutte le culture hanno reso significativo, in una semiotica del mondo naturale. Quest’ultima presuppone che per rendere
il mondo significante sia necessario porre su di esso una griglia (la
cultura), uno schema di rappresentazioni che ci consenta di
identificare le figure come oggetti, classificarle e collegarle, ed il solstizio d’inverno e d’estate è fuori di dubbio siano elementi forti della grammatica dei moti siderei.
In un mondo agricolo, narrativamente circolare, siamo nell’anti-climax, siamo nel minimo dell’azione, dove tutto sta immobile eppure tutto ricomincia, il momento in cui scocca una scintilla profonda nel cuore dell’Essere: andiamo verso la Luce.
Siate politeisti.