Dai sistemi ai processi, dalle strutture ai flussi, siam sempre lì a combattere la grande battaglia dei cambiamenti culturali, quelli di larga portata epistemica, provando a porre attenzione alle relazioni piuttosto che ai nodi per riorientarci quando tutto traballa.
E la tecnologia galoppa, lo sapete, in tanti campi del sapere; le conseguenze dell’introduzione di manufatti come il computer e la Rete nelle pratiche umane possono essere mostrate con il grafico delle scoperte e delle innovazioni scientifiche e tecnologiche di questi ultimi trent’anni, dove il repentino incremento della curva è indice della progressiva diffusione di strumenti digitali nella ricerca.
Ma tutta la società è molto cambiata, guardate la differenza tra un telefilm anni ’70 e uno anche solo degli anni ’80. Tra il 1977 e il 1983 c’è un fiume di modernità che irrompe, e mi vengono in mente le radio e le tv libere, il vhs, e il personal computer, guarda un po’. E proprio le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono diventate centrali nella vita di ognuno, web e cellulare ora insieme, e guardando il flusso di relazioni mediato che pian piano ci è cresciuto intorno ci accorgiamo di essere persone che praticano forme di socialità sconosciute alle generazioni precedenti, tutto qui.
Forme mediate, che ora esondano dagli schermi.
Abbiamo nostri valori etici “generazionali”, per giudicare cosa è meglio e cosa è peggio. Ad esempio, meglio la rete orizzontale che la gerarchia verticale per affrontare tempi di rapido rimescolamento sociale, avvalendosi di molte opinioni. Meglio la varietà e le sperimentazioni sociali, che scommettere tutto su un’unica interpretazione del cambiamento, visto che per banali limiti umani non possiamo conoscere le pieghe del futuro. Meglio agevolare la libera diffusione delle conoscenze, anziché ragionare per steccati. Da una cultura dello scambio conversazionale in rete, dagli anni litigosi o amorosi di bacheche e forum e chat e blog abbiamo appreso alcune regole del comportarsi dignitosamente nel dialogo con gli altri, nell’ascolto e nel rispetto, che vorremmo vedere anche nel rapportarci ad esempio con attori istituzionali come le Pubbliche Amministrazioni. Siamo cambiati noi, ma molte cose della società sono rimaste lente.
Se non c’è la volontà, non passa niente. Prima ancora: se non c’è una curiosità, un briciolo di meraviglia, un coinvolgimento in qualche modo affettivo, le novità non vengono nemmeno percepite, altroché ponderate.
Speriamo che i cinquantacinquenni che sono ora arrivati ai posti di comando senza aver mai spedito una mail siano abbastanza svegli da capire che il mondo sta cambiando in direzioni che non possono capire, e si circondino e dìano fiducia ai trentenni e ai quarantenni.
Ecco: anziché come al solito stabilire che i sessantenni dicono COSA fare, i cinquantenni COME fare le cose, e poi tutti gli altri dietro sono semplici esecutori, facciamo che per stavolta, in un riconosciuto momento storico di cambiamento, siano le generazioni attive più basse a indicare la direzione da prendere, e i più anziani mettano la loro esperienza nell’ottimizzare le strutture sociali esistenti in vista del risultato. Anche se si trattasse di ristabilire il significato di città, territorio, diritti, qualità della vita, delle relazioni e dell’ambiente.
Vado a raccontar qualcosa, in un convegno che si chiama proprio “Occasione perduta? La società dell’informazione e della conoscenza in un Paese anormale“, che avrà luogo vicino a Pisa sabato prossimo. Qui trovate il programma.
Spero di imparare qualcosa, poi ve lo racconto.
… e noi speriamo di imparare qualcosa da te!
A domani!
F.