Com’è facile leggere il disprezzo dell’altrui comprensione, in questo fare comunicativo.
Anche se sei prigioniero di una retorica stantìa, mio caro comunicatore pubblico, anche se in te vive e intendi consapevolmente o meno trasmettere una ormai vecchia concezione dell’autorevolezza fondata sulla rigidità della postura (gli immutabili cerimoniali della comunicazione ufficiale, indifferenti ai nuovi paesaggi mediatici) e un’idea di serietà e di decoro che evidentemente non possono che trovare manifestazione in grammatiche oscure e contorte, non puoi non tenere in considerazione la comprensione del destinatario, e su questa basarti per organizzare le strategie del tuo dire.
Gramsci nei Quaderni scriveva “A differenza dei funzionari francesi e inglesi, che scrivono per il popolo, quelli italiani scrivono per i propri superiori”.
Italo Calvino parlava spesso della Antilingua degli uffici della Pubblica Amministrazione, di come da decenni avvocati e funzionari, ministri e amministratori, e anche giornalisti, traducano tutto in questa lingua inesistente, un gergo professionale costituito da burocratese e giuridichese e locuzioni desuete, e dal “terrore” di usare le parole comuni, per cui /fare/ si dice /effettuare/ e /convalidare/ si dice /obliterare/.
De Mauro combatte da anni per un “dovere costituzionale di farsi capire” da parte della Pubbliche Amministrazioni; Cortellazzo combatté per anni con l’antilingua, nel promuovere fin da tempi degli ammodernamenti voluti da Bassanini nei primi Novanta un “Manuale di Stile” per la semplificazione del linguaggio amministrativo. Plain language, linguaggio piano.
E rinnovo i miei incitamenti per tutti quelli che di lavoro fanno proprio i comunicatori pubblici dentro le Pubbliche Amministrazioni, a restare sintonizzati alle modernità mediatiche (non confidando in addestramenti da acquisire in corsi di aggiornamento professionale, ma coinvolgendosi in prima persona con curiosità e passione) e talvolta a osare qualcosa, a sperimentare nuovi approcci per l’ottimizzazione della comunicazione interna e esterna delle PA.
Questa immagine qui sopra è una foto del sito governativo americano recovery.gov dedicato alle strategie per il salvataggio economico degli Stati Uniti dinanzi alla crisi attuale, dove è possibile restare informati in tempo reale sulla destinazione dei soldi dei contribuenti, che il Governo sta ridistribuendo secondo un Piano con nuove e diverse priorità.
Se sapete anche poco l’inglese, già comprendete di cosa tratta il sito. Perché il linguaggio utilizzato è linguaggio piano, perfino colloquiale.
“Tracciabilità e trasparenza. Questi sono i tuoi soldi. Hai il diritto di sapere dove stanno andando e come vengono spesi. Scopri quali passi stiamo facendo per assicurare che tu possa tracciare i nostri progressi in ogni momento”
C’è Obama in video che spiega tranquillamente questo concetto della tracciabilità pubblica degli investimenti governativi, ci sono grafici e mappe realizzati con attenzione al punto di vista del destinatario, viene espressamente richiesta una valutazione feedback ai fruitori (“Raccontaci in che modo il Recovery Act ti riguarda. Cos’è che funziona? Cos’è che non funziona? Vogliamo sentirlo da te”).
E in una vera conversazione, questo comunicare contenuti nuovi e concreti con un linguaggio nuovo e concreto fa nascere quel rispetto e quella fiducia che mille paroloni aulici e complicatissime matrioske sintattiche non riescono più a suscitare in me (da quando avevo quindici anni).
Buona parola Recovery.
Nell’informatica intesa come interfaccia “persona”/macchina, piuttosto che in quella intesa come fornitrice di soluzioni e di piattaforme, sono fondamentali le procedure di Recupero degli errori.
Adesso dovremmo preoccuparci di recuperare l’errore di non aver mai divulgato l’importanza di essere in grado di recuperare errori