Del convegno ne parlano Noa Carpignano, Antonio Fini, Maria Grazia Fiore, Marina Boscaino, Maurizio Chatel e Gianni Marconato, Mario Guaraldi ha lasciato sul post precedente e altrove un commento che qui mostrerò come reportage, e saluto anche Agostino Quadrino, Marco Guastavigna, Francesco Mizzau, Alberto Ardizzone, Elisabetta Tramacere, Filippo Cabiddu e l’assessore (per ora) Massimo Dadà, del Comune di Fosdinovo.
In un barcamp classico, per quanto simposio destrutturato, esiste comunque il tabellone degli interventi, dove la novità sta nel fatto che i post-it con le presentazioni dei selfpromoting relatori vengono affissi la mattina stessa del convegno, quando il tutto prende letteralmente forma.
A Fosdinovo lo SchoolbookCamp è stato invece impostato basandosi su libere discussioni dei partecipanti, inizialmente suddivisi in due gruppi, per continuare poi in plenaria. Questo necessariamente ha provocato la suddivisione dei discorsi in mille rivoli, a volte si regrediva a posizioni già espresse, a volte improvvise fughe dialettiche portavano il gruppo ad arrotolarsi su tematiche non strettamente pertinenti all’argomento del convegno, nonostante l’ottimo lavoro di Maurizio Chatel e di Mario Guaraldi quali “moderatori” delle discussioni.
D’altra parte, questa modalità gruppale di affrontare le implicazioni dell’e-book a scuola ha permesso da subito l’emergere di nette posizioni personali espresse con vivacità, ha portato i punti di vista di insegnanti editori e operatori culturali a confrontarsi direttamente, ha lasciato trapelare i colori forti delle emozioni rispetto a un tema capace di coinvolgere appassionatamente le persone, talmente prese dalla discussione da saltare anche una pausa caffè a metà mattinata, pur di non perdere il filo del ragionamento.
Ma la portata degli annessi&connessi al ragionamento intorno all’editoria elettronica in relazione ai testi scolastici andava regolamentata, delineata.
Si sarebbe dovuto ad esempio illustrare bene il processo editoriale di ideazione e produzione degli e-book, fino al momento della loro pubblicazione; altro filo di discussione avrebbe a quel punto dovuto essere “il destino” degli e-book scolastici, ovvero la loro vita effettiva negli ambienti formativi, il loro utilizzo più o meno rivoluzionario rispetto alle necessità didattiche attuali della scuola.
Ponendo l’attimo della pubblicazione come discrimine, molti ragionamenti sulla Cultura Digitale, sui modelli economici del funzionamento delle moderne case editrici (pregevole Agostino Quadrino di Garamond per le sue idee sul significato odierno della proprietà intellettuale e sulla necessità di conversazione con gli attori sociali, segno di sicura cultura di Rete), sulla visione di sussidi didattici come ambienti e non più come semplici strumenti, sui dispositivi di lettura come Kindle o iLiad, sui nativi digitali e risvolti sociologici, sulle tematiche dell’apprendimento e sulla centralità dei discenti avrebbero trovato una giusta collocazione nel palinsesto del convegno, fatta salva poi la possibilità che i feedback continui tra progettazione e pratiche di utilizzo, come tra discorsi inerenti l’oggetto libro elettronico e le metodologie d’insegnamento possano contribuire a migliorare la percezione e la comprensione di questa ulteriore rivoluzione nella Società della Conoscenza.
Quando diciamo e-book o libro elettronico, la nostra mente oscilla tra il supporto tecnologico in grado di riprodurre testi (il libro cartaceo o il reader) e l’oggetto di conoscenza così veicolato.
L’e-book, come in una relazione sfondo-figura, assume molteplici sensi a seconda del contesto dentro cui viene percepito/pronunciato. E lo sfondo offerto dall’intero sistema editoriale moderno porta necessariamente a considerare il testo elettronico come un terminale, forse una terminazione nervosa, una attualizzazione di forme di sapere che ormai vivono stabilmente e felicemente nel loro ambiente “naturale”, quel web fatto solamente di idee e di opinioni e di relazioni interumane, tutte cose immateriali, che oggi trovano modi diversi di essere narrate. Un e-book letto sopra un e-book reader connesso, come ieri un powerpoint che contenesse anche un solo link verso il web, non è più un libro, ma è un pezzo di web. Non abita più tra le vostre mani, ma sulla Rete. E a dirla tutta, nemmeno i contenuti di ieri (Sofocle o Leopardi, formule matematiche o cartine geografiche) hanno mai avuto vita sui supporti cartacei, ma sempre e solo nella mente e nelle parole di chi li pronunciava. Oggi i contenuti, immateriali come sempre sono stati ovvero oggetti di conoscenza indipendenti dal supporto, abitano dove stanno più comodi, su web.
Persistere a considerare, nella sua progettazione e nella sua fruizione, il libro di testo come oggetto chiuso, autosufficiente, nel momento in cui questo viene reso fruibile tramite supporti aperti e connessi con l’intero scibile umano, impedisce di comprendere la rivoluzione in atto.
Se poi lo sfondo contro cui si staglia il libro elettronico è quello dato dall’intero sistema scolastico, come Luogo sociale deputato all’educazione formale, dove i muri le lavagne di ardesia i libri i professori e i curricoli e la stessa organizzazione dei tempi seguono una logica loro costitutiva non più adeguata ai tempi, giocoforza le innovazioni tecnologiche vengono innanzitutto affrontate come una minaccia all’ordine precostituito, anziché essere valutate nelle loro potenzialità educative. Ma questo significherebbe (ne parlo qui e qui su Apogeo) rimettere in discussione tutta l’organizzazione scolastica, il ruolo dei docenti e la loro preparazione, riconsiderare necessariamente le pre-conoscenze possedute dagli allievi in termini di competenze digitali al fine di meglio programmare la didattica, re-impostare le finalità stesse della scuola attuale in direzione di una formazione ai cittadini che sia sintonizzata rispetto alla modernità.
La scuola è un luogo chiuso, autoreferenziale, incapace di conversare con il territorio. Se prendete una scuola media friulana e la trasferite mattoni e personale in Sicilia, il suo funzionamento rimarrebbe identico, indifferente al mutato contesto. La scuola non è trasparente, figuriamoci osmotica. E pensare che a me piacerebbe che le scuole fossero aperte fino a mezzanotte, dove i cittadini potessero entrare e uscire liberamente come da una biblioteca o un altro luogo della socialità e della partecipazione, una scuola che racconta se stessa e pubblica documenti facendo sentire la sua voce e si pone come parlante ratificato, attore sociale rispetto alla collettività di riferimento, cui appartiene e da cui trae il proprio senso, la propria postura rispetto alla situazione conversazionale con il territorio.
La scuola assomiglia a un libro cartaceo, ecco, mentre preferirei assomigliasse a un e-book. Dove la scuola di mattoni assomiglia a un e-book reader, e la didattica ai contenuti.
Come gli editori non possono, nell’organizzare il proprio fare, tenere in considerazione solamente l’oggi come oggi, ma devono saper porre sé stessi in una prospettiva futura attraverso sperimentazioni e nuove proposte, così la scuola (che peraltro non può far altro che abitare il futuro, nel comprendere la propria dimensione rispetto alle nuove generazioni) deve acquisire la capacità di porsi in termini comunicativi rispetto al mondo.
E la sperimentazione può essere anche fine a sé stessa, se come effetto collaterale produce un rinnovamento delle pratiche. Sappiamo che per come sono state presentate le lavagne interattive, i netbook tipo il JumpPc oppure gli e-book, difficilmente otterremo dei risultati immediati, adeguati alle finalità concrete dell’apprendimento, visto che i nuovi strumenti vengono utilizzati secondo vecchie metodologie di addestramento e pochi insegnanti possiedono competenze in grado di far loro sprigionare tutta le potenzialità aumentate permesse dalle tecnologie della connettività e dell’interattività.
Ma credo che la frequentazione quotidiana con e-book, LIM, blog e aggregatori possa modificare la percezione che gli educatori hanno del loro stesso ambiente di lavoro, li possa portare a saggiare ed esplorare le tecnologie abilitanti, a patto che siano professionali nel loro essere professionisti della formazione.
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Giusto per non lasciarlo “affogato” tra i commenti di questo blog, incollo qui le parole di MArio Guaraldi.
Salute a Giorgio, Maurizio, Noa, Fulvio, Gianni e a tutte le dozzine di editori, redattori, insegnanti, free-lance, blogger (ma quanti eravamo, in realtà? una marea… ) che hanno condiviso questa full-immersione nel futuro del libro scolastico (e non), con livelli di adrenalina capaci di sciogliermi i calcoli che mi angustiavano.
Bella, bella esperienza davvero, passione, voglia di ascoltare oltre che di parlare, narcisismi ben shakerati con senso di responsabilità: dimostrazione che il metodo collaborativo paga, che professionalità e gratuità possono andare a braccetto quando ci sono in ballo valori autentici. E nel nostro caso, ha ragione Maurizio (Chatel) a indicare che la concorde valutazione di tutti è stata quella che di ripensare tutto intero il progetto educativo e didattico, senza fermarsi ai suoi “strumenti” più o meno tecnologici; allargando anzi il dibattito al mondo della rete.
La dice lunga il fatto che i partecipanti abbiano tutti rigettato la logica dei singoli gruppi di discussione originariamente proposti per convogliare in un unico confronto collettivo i problemi, le domande e le proposte che ciascuno di noi si portava appresso.
Bella, grande esperienza di “democrazia”: anche rispetto alle caterve di circolari e disposizioni ministeriali che da subito gettano un’ombra sinistra sulla legittimità stessa della originaria norma fascista che IMPONE l’adozione del libro di testo e lo vincola a “contenuti didattici” precisi, alla faccia dell’autonomia didattica dell’insegnante. Geniale trovata mussoliniana di organizzazione precoce del consenso a cascate successive: degli insegnanti, degli allievi, delle famiglie (che pagano, e come se hanno pagato, carissima, quella geniale imposizione di contenuti scelti da altri…).
Anche questo è emerso, una dolorosa pillola rossa che ha improvvisamente mostrato come la stessa sinistra sia non solo caduta in questa trappola, ma addirittura l’abbia cavalcata divenendo fisiologicamente “reazionaria” e “conservativa”… Ma anche al rischio di “buttarla in politica” si è giustamente sottratta un’assemblea scafata e tutta protesa al nocciolo della questione educativa.
Non mi azzarderò a tentare una sintesi del molto detto: ma mi piacerebbe che tutti assieme riprendessimo il filo delle proposte “positive” e “creative” bruscamente reciso da uno sconsiderato intervento di una dirigente scolastica (che non aveva partecipato ai lavori) che pretendeva di delegittimare l’assemblea a discutere di scuola e di didattica. Come dire: la scuola è “cosa nostra”, a noi il libro va bene così com’è, di che vi impicciate? Ho chiesto scusa pubblicamente a quella Dirigente scolastica per il modo eccessivamente aspro con cui ho reagito alla sua offensiva dichiarazione. Ora voglio pubblicamente ringraziarla per avermi mostrato direi quasi fisicamente il volto vero del “pensiero burocratico” ripiegato su sé stesso, dalla didattica fine a sé stesso, de-finalizzata da ogni vera vocazione educativa, che forse ogni insegnante combatte in sé stesso, nelle proprie fibre più intime. Aveva davvero ragione San Paolo: ogni guerra, ogni violenza nasce dal cuore stesso dell’uomo. E’ questo il nemico vero da battere…
Attendevo il tuo post. Concordo sulle osservazioni relative all’organizzazione ma l’effetto dirompente/rimescolante di questo brainstorming in versione maxi :-) non mi è dispiaciuto e ha avuto il merito di mettere tutti nella stessa arena.
Le menti più aperte se ne gioveranno moltiplicando i punti di vista.
Forse ora ci tocca fare online ciò che non abbiamo fatto in presenza: tipo lavorare in parallelo pur conservando la visione globale del tutto.
Aggiungo la mia convinta sottoscrizione al tuo parallelismo tra forma-libro e forma-scuola e sulla chiusura del sistema scuola (anche se le falle ;-) ci sono…)
Ciao