Più che Diaspora, che ha il vantaggio di connotare il fenomeno come movimento e processo ma aggiunge un lato disforico, parlerei di colonizzazioni. C’è gente che fa terraforming, crea Luoghi dove andare a abitare, li arreda con facilities e commodities (doppi servizi), videocitofoni efficientissimi, panorami sulle cerchie sociali.
Allora un po’ di noi vanno a vedere com’è, se si tratta di un ambientino confortevole, e avvengono migrazioni e poi comportamenti stanziali e fondazione di villaggi.
Chissà quanti social abiteremo nei prossimi vent’anni, ciascuno che aggiunge un qualcosina in più per meritarsi la colonizzazione di milioni di persone, sul piano della facilità della conversazione orientata tematicamente o geograficamente, chissà se tra un po’ i social più antichi che però riescono a stare vivi&vegeti aggiungeranno nell’header un “Fondato nel 2003” come le assicurazioni o le case vinicole, come i quotidiani dell’Ottocento.
La teoria dei social network sarà quella che vedremo volgendoci indietro, in prospettiva. Vedremo le case, o i loro ruderi. Brandelli di miliardi di conversazioni, sapremo se ci hanno arricchito come persone, oppure se han saputo far emergere un’idea o un fenomeno sociale che ha migliorato la qualità del nostro vivere come collettività.
giorgiojannis@joindiaspora.com, comunque, è il mio indirizzo là dentro, ma non c’è nussuna fretta, nessuno parte con alti lai o panegirici immaginifici, siamo all’alpha, una propagazione iniziale dei contatti – quante volte da noi già ripetuta, ormai? – e un allestimento identitario minimal. Quell’opensource scritto per realizzare l’ambiente ci conforta, sì, è bello poter controllare come collettività l’intero terraforming o socialforming dei Luoghi dove abitiamo, almeno è garanzia di aver potenzialmente sempre voce in capitolo nel decidere come organizzare l’ambiente sociale.