Chissà, credo di averne parlato anni fa qui o su altri blog dove scrivo.
Una distinzione tra diverse posture mentali, relativa all’educazione, allo Stato, all’etica, ai comportamenti.
Puoi educare con il senso di colpa, come noi latini, oppure utilizzando la vergogna.
Il primo è un fatto privato, intimo, e richiede un confessionale (cultura cattolica), il secondo è un fatto sociale, non ci si può vergognare da soli, e sociale è anche l’espiazione del “peccato” (orrenda parola), dell’errore commesso. Morale vs. etica.
Nel nord europa vige la disseminazione di un’etica della responsabilità, ovvero si fa in modo che gli individui diventino con l’educazione consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni, qui da noi si pone un limite, perché lo Stato è una mamma italiana che ti dice di non fare quella cosa e poi quando tu adolescente ribelle la fai lo stesso la mamma sotto sotto è compiaciuta dell’intraprendenza del figlio, un rabbuffo sorridendo e via, è uno scugnizzo taaaanto simpatico. Incongruenza tra le parole severe e i gesti affettuosi, e quale vuoi che sia il messaggio che passa ai giovani, sul piano educativo? Di fare le cose, soprattutto senza pensare alle conseguenze.
Quindi al nord le autostrade tendenzialmente non hanno limite di velocità massima, da noi sì. E poi nella pratica (fino al tutor, che ha modificato i comportamenti, ovvero con politiche sanzionatorie e non educative) tutti andavano lo stesso a 170 km/h.
E’ proprio una forma mentis, sia chiaro. Della collettività, dell’epoca storica, delle istituzioni. Lo Stato mammone che deve pensare maternalisticamente ai noi poveri adolescenti ribelli, e pone dei limiti per il nostro bene, senza responsabilizzarci, senza fornirci strumenti concettuali metacognitivi che ci rendano in grado di giudicare noi stessi e i nostri comportamenti, rispetto alla socialità, all’etica. Non cresciamo mai, restiamo impaludati nell’osservanza bigotta della regola e l’anelito alla ribellione fine a sé stessa.
Come nota giustamente Mantellini, anche l’ultimo bisticcio sull’app di SWG e il parere dell’AGCom di cui parlavo qui risente di questa postura mentale novecentesca (secolare, direi io, e andrei tanto indietro) dello Stato-Mamma.
Ma fino a ieri le modalità di funzionamento della società (i processi di formulazione di leggi, i meccanismi della loro applicabilità, la creazione e diffusione di opinione pubblica, i flussi informativi, i percorsi praticabili di partecipazione civica, etc.) erano broadcast, e se spengo un ripetitore su una montagna lascio all’oscuro tutta una valle. Oggi abitiamo in Rete, se non passo per lì arrivo all’informazione da un’altra parte, da un altro nodo, da un altro server, da un’altra persona. E non funziona più.
La par condicio è figlia di un concetto di democrazia non matura che nella seconda metà del secolo scorso ha dominato il pensiero del legislatore: una elite illuminata (o presunta tale) che segnava nella notte il sentiero al popolo verso il buono ed il giusto; una forma di intrusione gentile nelle vite dei cittadini che l’etica cattolica ha molto favorito.
(nella foto, mio padre che fa un backup su carta. Dentro il suo universo di discorso, ha ragione)