Un brano di Alberto Cottica, l’ho preso qui: il ragionamento comincia valutando la consistenza dell’impegno economico sui progetti europei di promozione della e-partecipation, ne sottolinea l’insostenibilità indagando cause e metodi, e continua mettendo a nudo le inefficienze del sistema delle Pubbliche Amministrazioni, per quanto queste siano costutivamente inadeguate a proporre innovazioni nel rapporto tra Istituzioni e Cittadini – il difetto è nel manico, si direbbe. Oppure come dice Cottica parlando della burocrazia: “il suo potere discrezionale è molto limitato by design“. E propone un patto di fiducia, su cui concordo. E’ dai valori relazionali, dal clima affettivo che si intende instaurare negli ambienti di lavoro che discendono la motivazione, l’enpowerment degli individui e delle organizzazioni, la diversa postura da adottare per poi ottenere risultati visibili e consistenti.
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550 euro per un post: il fiasco inevitabile dell’e-participation
“Pedro Prieto-Martin, ricercatore spagnolo e occasionale commentatore di questo blog, ha pubblicato un saggio in cui fa il punto sull’e-participation in Europa. La sua diagnosi è impietosa:
- la Commissione Europea è stata il primo motore della disciplina, lanciando diversi programmi di ricerca dedicati.
- dal 2000 sono stati finanziati almeno 74 progetti in questa direzione, per un costo totale di circa 187 milioni di euro; una rete di eccellenza per altri 6; e, più tardi, una serie di iniziative di valutazione e di messa in rete delle esperienze fatte. Questo ha consentito l’emersione di una comunità di ricercatori che lavora sul tema.
- uno di questi programmi, eParticipation Preparatory Action, è stato oggetto di una valutazione sistematica. Progetti finanziati: 20. Costo medio: 715.000 euro. Numero medio di utenti per progetto: 450. Numero medio di contributi user generated (post o firme a petizioni) per progetto: 1300. Costo medio del post o della firma alla petizione per il contribuente europeo: 550 euro.
Temi di questo tipo sono come il proverbiale elefante nel soggiorno di casa: trattarli è problematico, perché la loro stessa esistenza tende a essere negata a causa della loro complessità e dell’imbarazzo che causano. Il risultato è che non si riesce nemmeno a riconoscere che esistono e a discuterli, figuriamoci a risolverli.
[…] vedo solo una possibilità: un new deal tra la pubblica amministrazione e le donne e gli uomini che lavorano per essa. Il new deal funziona così: la PA deve dare fiducia e spazio per lavorare ai suoi servitori; e poi valutarne i risultati, premiare chi fa bene e punire chi fa male. Se ci sono abusi, si affronteranno caso per caso: progettare un intero sistema con l’obiettivo di prevenirne i possibili abusi rischia di renderlo rigido e disfunzionale.