C’è un candidato alla carica di Sindaco in una città del nordest che dichiara in pubblico di non essere credente, qualcun altro della parte avversa monta in video un confronto tra quella asserzione e le sue info su Facebook, dove invece il candidato si dichiara cattolico. Poi ovviamente si continua, le campagne elettorali sono calde, si arriva a insinuare che il candidato non conosca la coerenza, sia opportunista nell’adeguarsi ai diversi contesti.
Il video a sua volta circola su FB, e lì la riga di commenti, e gli argomenti spaziano dall’esistenza di Dio alle politiche di innovazione all’importanza dell’essere onesti su Facebook (?) al metteteci voi quel volete, avete presente, in un thread ovunque esso sia, fosse un forum dieci anni fa o una riga di commenti su un social, si può sempre arrivare a parlare di qualsiasi cosa partendo da un argomento random.
Emergono visioni. Contano molto le cose che scrivi su facebook, la gente ti va a vedere e poi si ritiene ingannata, a esempio. Oppure ci sono quelli che provano a avere uno sguardo sempre un po’ consapevole sulla discussione stessa, e cercano continuamente di riportare in carreggiata il discorso. Pochezza e fastidio, ben disseminate.
Eppure quella è una discussione politica, colta nel momento in cui i partecipanti all’evento comunicativo rivendicano per le posizioni espresse dai propri argomenti una liceità a essere prese in considerazione come proposte effettive in una dimensione civica, come linee programmatiche, come espressione di un sentire collettivo.
O meglio, qui siamo dove un io pronuncia “noi” per aderire proprio a una linea.
In questa situazione c’è un moto verso l’esterno, un espandersi. La morale di un personaggio s’ingigantisce nelle sue parole, i termini vengono generalizzati, e subito quella morale diventa un’etica.
Immaginate il tipo che parla a voce alta al bancone del bar: quella è la dimensione minima della comunicazione politica. Due che parlano in pubblico, è già sufficiente. Lì vengono esposte prese di posizione rispetto alle tematiche, lì per la prima volta rispondendo a qualcuno affermiamo qualcosa che poi ci connoterà per gli altri e ai nostri stessi occhi; lì nel palcoscenico dell’informazione e della relazione troviamo conferme oppure le novità che nutriranno le nostre idee, le nostre credenze, i nostri atteggiamenti.
Questo succede da sempre. Ci sono sempre i capannelli di persone che chiacchierano nelle piazze di tutto il mondo. Dentro un gigantesco meccanismo planetario (con tempi di funzionamento pluriennali, fino a ieri) di elaborazione dell’opinione pubblica le posizioni individuali di quel personaggio al bar o di quei capannelli convergeranno dentro una retorica pubblica già organizzata secondo consorterie e linee di discorso storiche, quegli elenchi di cose di cui parliamo da sempre, come Dio Anima Mondo e il culo delle donne e degli uomini.
C’è tutto un rimescolio dentro il calderone della socialità.
Che adesso vediamo, possiamo osservare, porre dinanzi a noi come oggetto di analisi. Nella parole scritte sullo schermo, che hanno diverso impatto rispetto a quelle pronunciate in presenza (non c’è memoria) oppure scritte sulla carta (lentezza della discussione). Esponiamo i visceri della pubblica conversazione, dove sta ancora avvenendo l’assimilazione delle informazioni e delle opinioni, dove le idee germinano e cominciano a scorrere nel flusso della socialità.
Facebook è un social. Lì dentro (purtroppo è FB, ce ne vorrebbe un altro migliore, ma al momento siamo lì) la gente si esprime normalmente. Fate i distinguo, ma rimane che quelle discussioni nei bar e nei salotti che da sempre accompagnano la specie umana diventano visibili. Avevamo sempre potuto guardare soltanto la chioma degli alberi, ora possiamo scrutare anche nel sottobosco. Oppure gorghi, vortici su uno specchio d’acqua continuamente rimescolata, l’insieme delle conversazioni, l’attrazione.
Molti dicono appunto “la pancia”, per dire che forse questo osservare il farsi non è di qualità, molto meglio aspettare che dal pentolone affiorino configurazioni di discorso più strutturate, riconoscibili, quelle che poi diventano l’opinione pubblica in quanto ufficialmente versione narrata dai media.
Ma lì, in una discussione al bar o nei commenti di un video su Facebook, c’è la scintilla del cambiamento, lì costruiamo noi stessi, ci esprimiamo, siamo e diamo voce e inneschiamo azioni.
Poco da dire: questo osservare i momenti aurorali di una situazione comunicativa interpersonale, l’allestimento dei ruoli, le rispettive posture, le strategie linguistiche, le scelte lessicali, la stilistica del discorso social, mi rapisce sempre.