Un paio di riflessioni su due articoli recenti, argomento ebook e editori e forme narrative.
Il primo post è quello di Letizia Sechi, su FinzioniMagazine, intitolato La pratica degli ebook.
C’è una suggestione iniziale, dove si ragiona su come un editore sia originariamente uno che usa i libri, come lettore, e quindi comprendendone la tecnologia specifica organizza il suo fare professionale poggiando sulla comprensione del funzionamento del supporto. Cartaceo.
E l’esposizione delle scelte implicite è molto netta e chiara, nel tradursi nella qualità della fruizione che intrattengo con il libro, nella relazione che ho con l’oggetto in quanto interfaccia.
Sono secoli che libro e lettore e contenuto ballano tutti insieme, e insieme si evolvono, e il libro via via s’inventa formati caratteri interlinea materiali copertine.
Quindi si parla di ebook, e si ripercorre il ragionamento, stabilendo come le nuove potenzialità tecnologiche offerte dal supporto non potranno che dar luogo a nuove forme/formati.
E quindi c’è in corso una rivoluzione che stavamo aspettando (e siamo già nel campo delle aspettative del lettore rispetto al testo offerto dalla narrazione dei supporti alla narrazione) nei settori dell’editoria elettronica, e una “rivoluzione narrativa”, perché dice Sechi che quelli di noi che sanno cosa sono le narrazioni ipermediali aspettano qualcosa (sempre orizzonte di attese: siamo già calati nell’interazione lettore-testo) di più dall’ebook, un po’ di fuochi d’artificio per salutar la nuova era della narrazione e mostrare modi nuovi.
Alla domanda “se la tecnologia dell’ebook è tanto simile al Web, perché usarla in modo così depotenziato?” la replica è persino troppo ovvia: se il Web è il mezzo adatto per realizzare il genere narrativo del futuro, perché hai bisogno degli ebook (e degli editori) per iniziare a narrare storie in modo nuovo?
Qui mi sembra che ci siano più piani che si intersecano.
La contrapposizione web-ebook è ancora forse prigioniera (esagero i termini per esposizione) di un punto di vista che al massimo li integra, ma non riesce a pensarli insieme.
Anzi, credo servirebbe una bella matrice, per affrontare tutti i casi possibili.
Scrivere un testo lineare che vive da solo su qualsiasi supporto (fosse anche scritto sulla sabbia), scrivere un testo che in sé è organizzato ipertestualmente, ma senza apporti contenutistici esterni, scrivere un testo che prevede connettività esterna a sé stesso e sullo stesso supporto mostra l’extratestuale, scrivere un testo che invece proprio nella sua forma narrativa prevede l’irruzione di altri testi già in rete, scrivere un testo che non abita in forma conchiusa su un dispositivo ma anzi è da subito pensato come webbico, e talvolta diventa qualcosa che si muove dentro i dispositivi, ma la sua narrazione e il lavoro di noi lettori avviene dentro e fuori il dispositivo, oppure tramite il dispositivo ma fuori dal testo, e quindi assomiglia come da qualche parte già dicevo a una polla d’acqua di risorgiva, che fa sgorgare in superficie qui e là (nei dispositivi ebookreader, in luoghi web) delle messinscena del testo, ne fa emergere certi aspetti che richiamano una narrazione più ampia e dislocata e multicodice.
La questione della connettività è cruciale.
Non credo proprio in futuro verranno prodotti ebookreader che NON potranno connettersi, sprovvisti di browser.
Quindi nasceranno testi da parte di Autori che prevedono la classica lettura lineare, solo che sono fruiti su schermo elettronico e non su schermo cartaceo (la pagina, che fisicamente comunque perde senso come unità di misura e va articolata).
Poi nasceranno testi che invece sono costruiti secondo un’idea “aumentata” di sé e corrispettivamente (ma anche qui la dislocazione imporrebbe alcune ridefinizioni di questi concetti che stiamo usando) della pratica della lettura, dove alla linearità si aggiungono ipertestualità e ipermedialità. Ma siamo ancora dentro il libro, o dentro l’ebookreader.
E poi ci sono quei testi che nasceranno dislocati, indifferenti al supporto inteso come palcoscenico della loro messinscena, e la sfida nostra sta nel riuscire rapidamente a impossessarci e acquisire stabilmente nella nostra competenza di lettori una “mappa ecologica” che ci permetta di percepire e apprezzare esteticamente un oggetto che vive sulla Nuvola.
Qui c’entrano maggiormente i ragionamenti di Granieri, in questo pezzo “In difesa del libro tecnologicamente povero“, dove vengono trattati quelli che sono conosciuti come “movimenti cooperativi del lettore”, ovvero il lavoro attivo che siamo chiamati a svolgere nel decodificare un testo sempre concepito come una “macchina per produrre senso”, però appunto da riempire con le emozioni e i contenuti che noi e solo noi, con la nostra enciclopedia personale, possiamo riversarci dentro, mentre leggiamo e costruiamo nella nostra testa il “film” dell’esperienza.
Granieri, con Cerami da lui citato, insiste su un ragionamento classico di McLuhan, quello relativo ai massmedia “caldi” e “freddi”, che riprende il discorso di Letizia Sechi sull’ebook lato produzione per portarci a riflettere sul lettore e sulla sua interazione con il contenuto e il supporto.
Il libro è un media “freddo”. Su un solo canale, quello della vista, usando un solo codice, quello del Sistema Fonologico e codici della scrittura, allestisce dei segni (una singola parola, o un intero libro, o un’enciclopedia tutta, o una biblioteca considerata come insieme dei testi) che ci chiamano a interpretarli, e questo nostro riversare i nostri contenuti (esperienziali, emozionali, come immaginarci lo scenario e la fisionomia dei personaggi di un libro giallo, e ognuno di noi in realtà legge un libro diverso) nella macchina del testo avviene in quantità elevate, nel confronto di media “freddi”, che chiedono di essere scaldati.
Un libro narrativo da questo punto di vista è un diagramma di flusso, un algoritmo, un protocollo per direzionare l’immaginazione, un set di regole e procedure per la messinscena mentale, a cui poi appiccichiamo i giudizi estetici, a seconda di quanto ha saputo intrattenerci e sfidarci e giocare con noi, e con più sottigliezza ci chiama a giocare, incastrandosi meravigliosamente con le mie esperienze di vita e di lettura di altri testi, con più favore sono disposto a considerarlo.
E come dice Granieri, la forma classica e lineare della scrittura narrativa occidentale è ottima. E’ la forma che ha assunto l’algoritmo nel tempo dei secoli, nell’interazione tra opera e lettore e meccanismi editoriali. E’ perfetta per veicolare storie che si dipanano e emozioni da suscitare abilmente, nella capacità che la forma offre all’Autore nel progettare la propria narrazione.
Quindi il discorso cade su: le nuove forme di narrazione aumentata rese tecnologicamente possibili dai nuovi dispositivi di lettura, e conseguentemente le nuove modalità interazionali che come Autore devo prevedere tra il testo e il Lettore, sapranno ricreare quell’esperienza così coinvolgente e totalizzante, che è la Lettura?
Seguendo McLuhan, a parte il fatto che parlando di multimedialità esco un po’ dai suoi ragionamenti che sono più concentrati sulla densità informativa potenzialmente veicolabile dal media in considerazione (e paragonare la Radio con il Cinema è operazione da compiere con le molle), il fatto di avere a che fare con un media più caldo – il libro aumentato, ricco di apporti, diversamente organizzato, indifferente magari alla linearità – modifica radicalmente la nostra partecipazione alla costruzione del senso, limitandola.
Non sono più chiamato a “immaginare” molte cose, visto che posso “vederle” direttamente sulla “pagina”. Video, grafici, bacheche, sitiweb, applicazioni specifiche, gallerie fotografiche, audio musicale e parlato, recitazioni in video.
La soluzione è nel tempo: come è già successo per gli altri media via via inventati, vedremo delle innovazioni linguistiche, vedremo la nascita di alcune poetiche (pensate al cinema del Novecento), vedremo un giorno la nascita di un’opera che romanticamente nasce perfetta nel suo sapersi allestire sui nuovi supporti, nei nuovi linguaggi, nei nuovi Luoghi in cui il testo abiterà.
Allora al contempo noi avremo sviluppato nuove competenze come lettori, saremo meno spiazzati dinanzi alle nuove forme della narrazione possibili, verrà emergendo un’estetica che ci saprà orientare nella valutazione delle nuove opere letterarie (che più tanto letterarie non saranno, quindi urge trovare anche nuove parole o nuovi sensi di vecchi significati, al mutar delle situazioni enunciative, ma siam qui per quello).
Rimane validissimo l’accenno di Granieri alla “facilità” con cui avverranno le interazioni tra testo e lettori, ovvero alla trasparenza delle interfacce, siano esse forme linguistiche o ergonomia dei dispositivi o codici interpretativi diffusi nell’Enciclopedia delle comunità linguistiche.
Il libro è molto trasparente, ci rapisce e ci dimentichiamo di tenere in mano un chilo di carta con sopra dei piccoli segni a inchiostro: ci educano da piccoli a leggere, e via via maturiamo un’abitudine alla lettura che si innerva, diventa automatica.
Quando leggiamo una frase, noi non leggiamo ogni singola lettera che compone il testo, piuttosto abbiamo maturato delle capacità che ci permettono di volare sulle parole scritte, e trattenerne/costruirne il senso. Siamo dimentichi del media.
Se però incontriamo un refuso, ecco che rapidamente vengono richiamate in superficie delle competenze linguistiche grammaticali che di solito facciamo girare in background: da qualche parte interrompiamo il meccanismo automatico, e ci concentriamo su quello che di solito non notiamo, la forma della parola e la sua adeguatezza formale.
Questo è qualcosa che comunque dovremmo raggiungere, a patto che si intenda costruire delle opere narrative che intendano catturare il lettore proprio con strumenti quali il farlo cadere in un’esperienza totalizzante, che sappiano allestire un mondo narrativo che ci coinvolge al punto di dimenticarci di essere seduti su una poltrona in salotto.
E prestare continuamente attenzione ai meccanismi di narrazione, ai refusi, al link che non funziona, al dispositivo che fa le bizze o riproduce malamente un inserto multimediale, o semplicemente un forma della narrazione che ci costringe a essere più attenti che rapiti difficilmente riuscirà a catturarci nello stesso modo in cui ci cattura un libro.
E’ come su un libro, lo abbiamo visto negli esperimenti delle Avanguardie, cambiasse continuamente disposizione del testo scritto, o scrivesse in verticale con tipografie differenti, o cambiasse sempre la qualità della pagina e dell’inchiostrazione, insomma quei libri che non vogliono farsi dimenticare mentre vengono letti, e continuano a dirti “guarda che stai leggendo un libro, eccomi qui”, si fanno notare, portano la nostra attenzione sul processo di lettura e sul funzionamento del media piuttosto che sul contenuto che intendono veicolare.
Ma spesso in quei casi storici il contenuto di quel testo era proprio farti riflettere sul processo di rappresentazione (come ingarbugliare tipograficamente il testo, oppure tagliare la tela di un quadro e metterlo in mostra, oppure Brecht che voleva che gli spettatori a teatro fumassero liberamente e faceva girare dei cartelli didascalici su quanto stava succedendo in scena, proprio per evitare che avvenisse eccessivamente l’immedesimazione con gli attori, e quindi venisse persa una visione critica che sempre doveva restar vigile), e quindi possiamo considerarli testi “riusciti” nel loro intento, di coinvolgerci secondo certe modalità esperienziali, dove è buona cosa che il flusso venga spezzato, l’esperienza interrotta per dislocare la nostra attenzione su altri livelli di contenuto.
Qui invece si cerca di ricostruire l’esperienza classica della fruizione di un libro di carta però secondo forme di narrazione radicalmente diverse. Progettare l’immersione, ma essere sempre distratti.
Messa così, non funziona. Piuttosto nasceranno nuove categorie estetiche di ricezione, nuovi tipi di esperienza di letture. “Leggere un buon libro davanti al caminetto” non è qualcosa che è sempre esistito, e si tratta di qualcosa che ha significati diversi nel tempo.
Stiamo aspettando abitudini, ecco.
ps. tutti i refusi qui dentro sono per non farvi distrarre, vadasé.