Prendo una frase da un post di Zambardino.
Ecco il problema che si pone per la rete: la libertà è indisponibile, non è regolata dal “sentimento delle masse”.
La qual cosa agita in me questa idea: se continuiamo a parlare di quanto la Cultura digitale cambierà il mondo, cominciamo a pensare seriamente che tutto cambierà. Compresi ideali platonici come il concetto di libertà, che poi sono sempre pratiche concrete del vivere, situate, materiali. C’è sempre un contratto originario nella narrazione, che innesca l’eroe e l’azione senza la quale non c’è storia. Qui parlavo di come fosse da preferire piuttosto l’indipendenza alla libertà, ma è un’altra storia.
Ma il senso delle cose è dato da coloro che quelle cose le vivono. Attraverso le epoche.
E allora vediamo che le idee e i concetti, anche i più basilari per la nostra cultura, sono sempre storici e storicizzabili. E quindi mutano nel tempo.
Fino a ieri c’erano dei valori – reputazione, decoro, libertà, proprietà – resi stabili nel tempo, in quanto nati in una conversazione lenta e secolare fatta da poche persone con strumenti pesanti, i libri e le riviste accademiche e i quotidiani, i motori comunicativi che agitano il calderone della pubblica opinione di una data collettività.
Occorrevano pensatori e produttori di opere eccezionali, per smuovere la solidità di quei concetti, forzarne l’aggiornamento ai tempi correnti, diffondere le nuove accezioni nella società.
Il discorso dei poeti come avanguardia della specie, insomma.
Ma già da qualche decennio i poeti erano copywriter, o registi, o dj o giornalisti, gente che pubblica veloce. E già il calderone cominciava a ribollire.
Ora noi siamo il web, che non è quotidiano, è istantaneo, continuo. Dove tutto viene ripreso e traghettato e riconsiderato, e non da mille intellettuali sparsi per il pianeta, come nel 1952, ma da centinaia di milioni di persone.
E siamo destinati a attraversare la peggiore interpretazione possibile di “power to the people”, perché avverranno cose aberranti. Una risacca emozionale può scuotere una collettività intera, un’indignazione o l’onda di uno scandalo qualsiasi, e ecco che milioni di persone negano o permettono qualcosa che fino a ieri non poteva essere facilmente toccata, come un valore. Proprio grazie a quel tasto Like di Facebook, come racconta Zambardino.
E cosa dovremmo fare? Indicare alcune stelle fisse del firmamento etico, e pretendere che milioni di persone ne facciano punto fermo della propria rotta, nel proprio lifestreaming? L’educazione, che sola può agire in questi casi, è un processo generazionale.
Dovremmo fare un wiki ufficiale, magari garantito dall’ONU o trovate voi un’autorità autorevole planetaria, dove sono esposti i cardini della civiltà occidentale? Dai Greci al Rinascimento all’Illuminismo al pensiero contemporaneo? Capisaldi del pensiero che ora vivono in forma scritta dentro supporti della Conoscenza offline, esterni alla Rete della socialità?
Se tutti fossimo connessi e partecipi, il senso di un valore è dato dal suo essere vissuto dalla collettività. Punto per punto, attimo per attimo. L’esperienza è valore di chi vive quell’esperienza, nel suo modo unico e originale.
E ora dobbiamo fare i conti con la sanzione sociale. Il fatto che noi tutti sanciamo il significato di un concetto, abitandolo quotidianamente, valorizzando e mettendo in luce un lato piuttosto che un altro, conferendogli senso situato in un qui e ora. Un qualsiasi fatto di cronaca che ci obbiga a schierarci; e stiamo ragionando di quei concetti che sono valori. Reputazione, per esempio.
Il fatto che blocchi alla circolazione delle idee avvengano dentro Facebook, che è un luogo privato, accentua il problema. Perché poi avvengono dei pateracchi tra la Polizia di uno Stato (l’Italia, in questo caso) e un’azienda commerciale (vedi Gilioli, che però sbaglia appunto a considerarlo uno spazio pubblico) che decisamente non sono rispettosi della collettività, e sono mossi da valori non più accettabili (il fare subdolo).
Se qualcuno su FB (e anche in altri posti) segnala inappropriato un contenuto, questo scompare. Quanta gente ci vuole per far sparire un qualcosa? La libertà di espressione dipende dal numero, o dall’umore della collettività? Quello che oggi è no domani potrebbe essere sì.
Serve, come su Wikipedia, una “proposta di cancellazione”, a cui fa seguito discussione e votazione corale? Per ogni potenziale contenuto della Rete? Cioè, dovrebbe essere possibile segnalare ogni contenuto della Rete, e sottoporlo a valutazione di tutti?
Ma Facebook è un luogo privato, è un salotto e non una piazza. E ci sono cose che non dici a casa di altri, se sei accorto e consapevole, perché il padrone di casa delle tue parole può fare ciò che vuole.
Per dire, se esistesse il social network di Stato, l’ambiente online governativo (a scala e portata diversa, georeferenziata) per la socialità digitale della collettività italiana e portatori d’interesse annessi, non è che mi piacerebbe tanto se due persone che dicono “Non mi piace” facessero sparire un contenuto che io ho pubblicato in quanto cittadino digitale che partecipa alla pubblica conversazione.
E se le persone che dicono nonmipiace fossero milioni?
Non vedo soluzione, vedo sprazzi di comportamenti futuri, un’infosfera continuamente spazzata da venti emotivi, click di pancia, fuffa mediatica, guerre tra verità locali, meccanismi di attacco-fuga.
Lentamente, e a guardar dal punto di vista dell’oggi in modo ineffabile, sorgeranno nuove opinioni, insieme ai nuovi contenitori d’opinione.
Tra una generazione tutto questo traghettamento sarà metabolizzato: i valori civili forgiati pre-Internet saranno adeguati ai nuovi ambienti di socialità e di espressione di sé, la maggior parte delle persone ci sarà cresciuta dentro, maturando altre posture esistenziali, altre gerarchie di valori, diversi orientamenti.
Insomma: credo proprio che il “sentimento delle masse” inciderà sull’idea di libertà, senza dubbio. E siccome viviamo tempi di pancia, potrebbero avvenire cose brutte, riguardo la pratica della libertà, se qualche Principe nel suo pensare lo Stato ritiene lecito manipolare l’opinione pubblica a proprio vantaggio.
Ma sono ottimista: non posso certo irrigidire i concetti e i valori storici, perché non sopravviveranno in quella forma dall’essere maneggiati da milioni di persone, ma confido che i mutamenti dell’ambiente tutto che contiene quei concetti (la socialità digitale) saprà inventare nuovi modi e garanzie per vivere la libertà di espressione, per difenderla e farsene vanto in quanto segno di civiltà.
In questo momento storico in cui, come mai fino ad ora, “il cambiamento sta cambiando”, la grande speranza per me è che la vera democrazia, quella autentica voluta da ciascuno di noi, sopraffaccia il disgustoso metodo oligarchico (figlio di cultura ormai becera) di “vaporizzazione” dei pensieri altrui … nel vago tentativo di prevalere … Ma i veri valori vinceranno sempre, anche se dopo dura lotta ;)
Grazie, Giorgio
CarlaG.