Ieri ho partecipato telefonicamente a una trasmissione di Radio1 che riguardava i social network.
Mi ha chiamato una tipa il giorno prima, mi ha chiesto cosa facevo, mi ha chiesto qualcosa sui soliti argomenti.
La trasmissione era una pagliacciata. Il filo del discorso era già stabilito, era un discorso “a tesi” dal profilo basso, molto basso. Ragionamenti obsoleti, disinformazione, scandalismo spicciolo.
Solite sciocchezze: rischi e pericoli della Rete, la diffamazione online, i giovani che signora mia passano le ore davanti al computer e poi vivono del delirio. Sarebbe stata imbarazzante nel 2002.
Anzi, nel 2000/2001/2002 ho organizzato convegni che erano già in grado di porre concretamente il problema educativo rispetto ai minori e alla loro frequentazioni web, senza fermarsi alle chiacchiere da mercato e agli aspetti eclatanti.
Prima di me hanno intervistato Sergio Maistrello e Enrico Maria Milic, e su loro metterei la mano sul fuoco: siamo tutta gente che abita qui dentro da almeno una dozzina d’anni, e che professionalmente prova a riflettere su queste cosucce da molto tempo… sarebbe sufficiente leggere quello che abbiamo scritto in giro, con rapida ricerca.
Non ho sentito tutta la trasmissione. Io ho provato a demolire l’uso continuato della parola “virtuale”, connotandola come obsoleta e inadeguata, nonché a accennare qualcosa di educazione alla cittadinanza digitale. Prima di me parlava un avvocato che sottolineava gli aspetti legati alla diffamazione online, dopo una domanda dai toni preoccupati. Dopo di me sono stati chiesti dei pareri a un medico, che si è subito prodigato nel renderci edotti delle “patologie di Internet”, gli stati di allucinazione (sic) in cui cade chi sta troppe ore davanti al computer e poi a cena coi genitori non è ben sintonizzato col mondo, e addirittura udite udite si è dilungato nello spiegarci che online, signora mia, può capitare che qualcuno assuma una finta identità, e poi sotto quelle mentite spoglie vada sui socialnetwork a tacchinare il proprio partner, per vedere come quest’ultimo reagisce.
Robe da matti, eh, questa strana internet.
Magari Simona Regina, che conduceva il programma qui su RadioRai da Trieste, potrebbe contattare me o Sergio o Enrico, la prossima volta: una bella consulenza non si nega a nessuno, e si potrebbe cercare di imbastire una trasmissione radiofonica che perlomeno abiti nel 2010, e sappia centrare le tematiche di cui oggi val la pena trattare (e magari non utilizzi gli ospiti come puntello per il proprio discorso, dal filo già stabilito).
Simona, se ti fai domande vecchie non capirai mai cosa fanno diciassette milioni di italiani su facebook, credimi.
L’unica cosa positiva è che abbiano chiamato uno come te, sembra quasi strano …
Vai Giorgio, vai e parla … ovunque …
wow. Lo copioincollo.
E’ figo perché quando scrivi Enrico non sai mai se intendi me o milic, lol.
sicuro milic.
BTW alla trasmissione di ieri dovevo partecipare sia io sia enrico milic ma io sto lavorando a nova e milic è impegnato.
con simona ho lavorato parecchio volte oltre a essere una splendida amica con cui ho condiviso i miei anni di università. è molto preparata e da anni si occupa di comunicazione scientifica, davvero strano che sia incappata in queste ingenuità.
mi informerò personalmente, te l’assicuro
Yep, intendevo Milic, che come scrivevo era anche lui ospite telefonico della trasmissione. Credo “allucinante” sia stato il suo sintetico commento ehehhe.
Ma di te mi fido, EdTv, conoscendoti: magari Simona non ha avuto tempo di fare un lavoro giornalistico ben fatto, magari lei stessa era mentalmente allertata su alcune tematiche e non su altre.
Fammi sapere.
A dire il vero la puntata non era dedicata ai rischi e ai pericoli della rete, alla diffamazione online, e ai giovani che passano le ore davanti al computer e poi vivono del delirio.
Traendo spunto dal saggio “Delete, il diritto all’oblio nell’era digitale”, di cui si parlava anche sull’Internazionale della scorsa settimana nell’articolo “Il web non dimentica mai” – articolo del New York Times Magazine http://www.nytimes.com/2010/07/25/magazine/25privacy-t2.html – la puntata è iniziata con una riflessione sulla memoria di internet, ovvero su come tutto quello che pubblichiamo online – foto, video, testi – lasci tracce, tracce digitali.
Da qui il discorso si è ampliato ai principali siti di social networking, per cercare di capire come condivisione e partecipazione siano diventate le parole d’ordine di quella parte abitata della rete, dove amici, colleghi, vecchi compagni di scuola, organizzazioni no profit, politici ecc. danno vita a nuovi spazi collettivi. Di comunicazione, partecipazione, condivisione appunto.
Ovviamente con l’avvocato in studio a più riprese si è cercato di capire come cambia il concetto di riservatezza/privacy in rete, perché si parla di diritto all’oblio, come vengono trattati i nostri dati personali proprio su FB ecc.
Grazie comunque alla partecipazione di Sergio Maistrello ed Enrico Maria Milic abbiamo cercato di far conoscere anche a chi non usa nella quotidianità Facebook & Co. cosa siano i più diffusi siti di social networking: Facebook, Anobii, Twitter, Linkedin, Youtube ecc.
Parlando appunto di persone connesse non solo a internet ma anche tra di loro, Milic ci ha illustrato i principali risultati di Diario Aperto per capire proprio perché milioni di persone nel mondo abitano la rete, chi utilizza maggiormente i social network e per quali scopi.
Ovviamente con Maistrello, a proposito di social media, si è parlato anche di giornalismo partecipativo.
Ma a proposito degli utilizzi dei social network, l’intervento di un ricercatore dell’Università di Udine ha illustrato il ruolo che hanno – e FB in particolare – per portare avanti battaglie civili e politiche. Dall’onda universitaria al popolo delle carriole: il ricercatore ci ha fatto conoscere per esempio il modo in cui FB si è sostituito alla piazza, fisicamente distrutta del capoluogo abruzzese, per mettere in contatto le persone dopo il terremoto di L’Aquila.
A proposito di questo, si è ricordato come anche le istituzioni ormai si siano rese conto che i social network stanno trasformando il panorama mediatico, creano comunità online dove giovani e meno giovani scambiano idee… Quindi inevitabilmente anche chi fa politica non può permettersi di non prendere in considerazione FB e i suoi fratelli se vuole essere dove sta la gente, rafforzare la partecipazione dei cittadini e costruire una sfera pubblica. Del resto possono essere un’opportunità per una comunicazione più orizzontale. Basta pensare alla campagna elettorale di Obama.
Ma parlando di FB & Co. non si può negare che a torto o a ragione c’è chi continua a paventare il rischio di rimanere intrappolati dentro una bolla digitale, di essere “connessi con tutto ma non con se stessi” (così titolava per esempio un quotidiano nazionale un articolo sulle schiavitù digitali qualche settimana fa e sempre qualche settimana fa di IAD si parlava su un settimanale), ecco allora che la parola è stata data allo psichiatra che coordina l’ambulatorio del Policlinico Gemelli di Roma dedicato proprio alla cura delle diverse forme di dipendenza da internet, e a te per parlare proprio di educazione alla cittadinanza digitale, a una maggiore consapevolezza dell’espressione del sé on line, e per cercare di chiarire che – in particolare oggi che la rete si popola sempre più di cittadini digitali, persone che fanno rete, comunicano, scambiano idee, foto, video, organizzano eventi e tanto tanto altro ancora attraverso le potenzialità dei social network – non ha senso contrapporre uno spazio “virtuale” a uno reale.
Questo solo per fare una panoramica sull’ora e un quarto di trasmissione, e non solo sui dieci minuti a cui – forse – fai riferimento.
Per quanto riguarda il fatto che “Mi ha chiamato una tipa il giorno prima, mi ha chiesto cosa facevo, mi ha chiesto qualcosa sui soliti argomenti”: sai benissimo che mi ha dato i tuoi recapiti l’ospite che sarebbe dovuto intervenire in trasmissione, ma che proprio il giorno prima – scusandosi per non poter più partecipare – mi ha suggerito di contattarti, specificandomi tra l’altro che aveva verificato la tua disponibilità per sostituirlo nell’intervento telefonico.
Intervento, di cui tra l’altro, ovviamente ti ringrazio!
Beh, grazie.
A dir la verità io ho ascoltato una mezz’oretta, e stavo con l’orecchio teso proprio per cercare di capire il tono della trasmissione, la quale, fatta la tara (giustissima) della finalità divulgativa, mi sembrava veramente a volte prendesse le pieghe che giudico negativamente nel post.
Sarò prevenuto, e avrò colorato eccessivamente la mia interpretazione; troppe volte però ho riflettuto anche pubblicamente su alcune “colpe” del giornalismo italiano nel narrare negli anni il fenomeno Internet, in particolare calcando i toni dello scandalismo o dell’aneddotica, e mi sembrava paradossale caderci in mezzo io stesso!
Dopo il “reportage” che mi hai scritto qui come commento, devo dire che sul piano dei contenuti la trasmissione è stata sicuramente interessante, e come dicevo di Milic e Maistrello mi fido ciecamente.
Se il tono della trasmissione poi è stato appassionato come quello di questo tuo commento, benissimo :)
Ma lo psichiatra lo avrei lasciato perdere: magari lui è in buona fede (potrei contestargli punto su punto molte sue argomentazioni come infondate, o non basate su fatti), ma in generale qual è il profumo che la trasmissione lascia dietro di sé?
Certo “il dottore” nella narrazione complessiva è un attore forte, la solita signora di Voghera capirebbe che stiamo parlando di cose serie, e insieme a un cluster di idee riguardanti innovazione e potenzialità si porterebbe a casa anche una certa visione della Rete come luogo per disadattati (ragionamento che cadrebbe come conferma di quello che lei ha già a spizzichi e bocconi ascoltato dalle fonti giornalistiche di cui dicevo sopra).
E non va bene.
L’atteggiamento giornalistico deve essere un altro, necessariamente. Perché mi sta a cuore l’effetto di quella comunicazione, le conseguenze nell’opinione pubblica, il diffondersi della cultura digitale nelle collettività.
E non serve a nulla o è addirittura controproducente, nel ritardare la modernità in italia, continuare con questo stile.
Stile che ripeto, forse per esigenze giornalistiche, io ho colto nella parte ascoltata, e magari ho indebitamente esteso all’intera trasmissione. Ne faccio ammenda.
Parliamone quando vuoi :)
Cara Simona,
ho ascoltato con interesse tutta la trasmissione. E ho letto la sintesi da te scritta.
Le due cose non “battono”.
La trasmissione è certo degenerata nella parte finale ma ha mantenuto un profilo non certo alto scivolando spesso sull’immagine superficiale di una Rete “pericolosa”.
Come Giorgio afferma (in trasmissione) dovremmo favorire la nascita di una competenza digitale; di ricette banalotte orientate all’aumento delle abilità o peggio ancora all’addestramento all’uso corretto di questo o quello strumento non ne abbiamo bisogno.
Ma non mi interessa discutere di questo; sono opinioni.Ti vorrei -invece- far notare una cosa che, mi sembra, rappresenti splendidamente la contraddizione tra l’abitare questo spazio e rappresentarlo (seppure in modo assolutamente competente):
1) Radio Spazio 103 ha un sito con tanto di podcast ed emissione in diretta;
2) Radio Onde Furlane podcast, quattro canali in diretta/differita su quattro diversi fusi orari e un ripetitore in Argentina (una radio “locale” con un ripetitore in Argentina!!!);
3) Radio Fragola ha podcast e il segnale in diretta.
E allora domandiamoci: perché Simona Regina è costretta a RACCONTARE la trasmissione su questo blog?
Semplice: perché, alla fine 2010, la RAI del Friuli Venezia Giulia non esiste in rete. Come possiamo interrogarci sul significato di abitare la rete quando -ripeto, NEL 2010!!!- non esiste un podcast di RAI FVG?
Sarebbe facile chiudere la discussione riascoltando tutti la trasmissione ma una trasmissione messa in onda dalla RAI, una trasmissione che si interroga sull’importanza delle nuove tecnologie, non può essere ascoltata in rete. E’ andata persa. Come lacrime nella pioggia.
Io ho visto cose che voi umani…
Con grande simpatia.