L’articolo parla del balletto che avviene tra la Redazione di un giornale online e l’insieme dei lettori.
A ogni mossa sul piano delle tematiche trattate corrisponde un passo di danza da parte dei fruitori, e viceversa ogni spostamento dell’attenzione corale di questi ultimi modifica la percezione dei redattori riguardo la notiziabilità degli eventi nonché la loro rappresentazione attraverso le forme storiche dell’industria dell’informazione (il concetto stesso di “giornale quotidiano”, il carattere tipografico prescelto, la “prima pagina”, l’organizzazione semantica degli spazi di scrittura, il tipo di relazione tra giornalista e editore).
Questo balletto, uguale per secoli, oggi è costretto a imparare nuovi passi di danza, perché i lettori non si fanno solo trascinare passivamente, ma interagiscono attivamente con la creazione e la distribuzione delle notizie, costruiscono la propria realtà in modo autonomo con percorsi di lettura personali e idiosincratici, pronunciano pubblicamente commenti e osservazioni che insieme all’atto-degno-di-menzione originale costituiscono il testo completo, l’universo locale di discorso su un determinato argomento o su un comportamento di fruizione.
E sul digitale, posso misurare molte cose.
Mi ha colpito quell’immagine della redazione giornalistica, che alla riunione di primo mattino osserva sui monitor in tempo reale le statistiche di fruizione del sito web giornalistico, potendo facilmente tracciare i trend dei comportamenti dei lettori, la predilizione cangiante per questa o quell’area di contenuti nel corso dell’ultimo mese o dell’ultimo anno.
Pensate a questa comunicazione bidirezionale, dove feedback e messaggio non han più senso forte di differenziazione (non ha senso azione e reazione) perché sul puntuale potrei stabilire una linea cronologica degli eventi, dalla notizia ai commenti e quindi la parola di nuovo ai giornalisti, ma in realtà se solo provo a pensare in termini “ambientali” quello che emerge è il dialogo incessante nel tempo dell’opinione pubblica, il calderone di quello che val la pena sia narrato, una scena dove il pubblico che fino a ieri poteva solo sbraitare o spedire lettere al direttore, ma certo non argomentare dignitosamente, è diventato un autore e un attore a tutti gli effetti.
Di gusti pessimi, peraltro, perché madimmiunpotu a guardare quelle statistiche sui monitor del traffico web pare emerga che il popolino sia soprattutto interessato a puttanatine, boxini morbosi, gossip finto ma comunque flamboyante e bombastico (che parole strane), caratteri cubitali, strilloni e imbonitori.
Qui va a finire, questo il problema evidenziato dall’articolo di Sabadin, che la Redazione segue pedissequamente le aree tematiche più visitate, moltiplicando le percentuali delle puttanate, e quindi si innesca la spirale nera, il gorgo della mediocrità che trascina tutto verso il basso. Il balletto si avvita in un corpo a corpo prevedibilissimo, stereotipato e sguaiato.
Certo, il ragionamento dice che siccome è tempo di crisi gli editori dell’informazione fanno spallucce alla deontologia professionale, vedono branchi di pesce, buttano la rete a strascico che tira su tutto, usano esche facili per lettori di bocca buona. Così fanno traffico, e si fregiano e ottengono soldi per quei numeri da vantare presso gli inserzionisti, si concentrano sulle tette della sciantosa di turno e di quelle tette raccontano fotograficamente le gesta sui palcoscenici mediatici.
Per una volta, non sto qui a ragionare di cosa si potrebbe fare per migliorare la qualità di vita di una collettività, portandola a leggere e commentare cose più nobili e utili a tutti come l’economia o la politica o i ragionamenti per aumentare il benessere del nostro abitare i territori; per queste cose esiste la Scuola e l’educazione, e sono cambiamenti profondi da concepire in ottica generazionale.
Quello che non si può confutare è la fotografia della società italiana, per come emerge dai flussi di frequentazione e partecipazione al mondo dell’informazione, e stiamo parlando di milioni di persone, delle loro scelte e dei loro comportamenti.
E’ notorio come in italia, a guardare le percentuali di analfabetismo di ritorno, la propensione a fruire cultura (libri o eventi, cinema o quotidiani) sia ridicolarmente bassa, da vergognarsi, e il cittadino medio italiano è più stupido e ignorante di quanto pensate. Ok.
Mi preoccupo più di questa deriva al peggio da parte dei professionisti, mutuata dai meccanismi profondi dell’ambiente stampa-televisione (broadcast) che però oggi su web non si rivelano adatti, e anzi fanno scorgere in loro l’incapacità di pensare i nuovi Luoghi della socialità e in particolare quelli dell’informazione e della narrazione del mondo in modo adeguato ai tempi e al mutato contesto ecologico.
E quindi il giornale deve parlare di tutto, come se noi frequentassimo solamente l’edicola del paese e avessimo soldi e tempo solo per un quotidiano, dove il supporto cartaceo continua a pre-ordinare la mentalità dei confezionatori di notizie con le sue regole, dove le dinamiche televisive portano ancora l’attenzione alla quantità.
Ma non abitiamo più, noi e i contenuti culturali, in un ambiente dove le risorse sono limitate, e quindi in una economia che strutturalmente precondiziona l’esistenza solamente di un certo numero di attività editoriali, di testate giornalistiche, lasciando al tempo e alle pratiche umane l’individuazione di quel punto di equilibrio tra domanda e offerta di contenuti culturali o riguardanti gli accadimenti.
Il gradino del cartaceo, ovvero quel salto che separa le parole pronunciate dalla loro diffusione di massa su un supporto più performante della voce, non costituisce più un ostacolo, e scomparendo rende obsoleto il proprio essere una sorta di filtro selezionatore, che nelle cose determina cosa meriti la pubblicazione e cosa possa restare flatus vocis.
Oggi tutto può essere pubblicato, ogni singolo pensiero dell’umanità, ogni chiacchiera ogni conversazione, ogni atto videoripreso, spontaneo o costruito; siamo tutti autori e lettori, il nostro fare contribuisce alla realizzazione collettiva dell’arazzo della società e della socialità, variopinto come mai e sempre cangiante.
E c’è oggi lo spazio per alloggiare tutta questa massa di contenuti, non siamo limitati a qualche migliaio di pagine di giornale. Non abbiamo limite.
Quindi è inutile, come in tempo di carestia dei supporti della conoscenza, che ciascun nodo si senta in dovere di coprire molte aree tematiche, per poi baruffarsi i clienti e ingraziarseli con manovre di basso ventre.
In una visione ecologica, possono esistere diverse realtà, specializzate in differentissime nicchie, e il lettore nelle sue traiettorie di partecipazione mediatica soggiornerà qui e là, nel suo abitare nomade.
Ma una cosa i giornali potrebbero fare, quelli che intendono fare informazione e nutrire l’opinione pubblica in maniera seria e consapevole: togliere tutti i boxini morbosi.
Rosamaria Guido
L’articolo mette il dito nell piaga e mi fa considerare che il problema è, in realtà, più intricato di quanto non sembri.
Se ai giornali on line é dato di fare “cassetta”, é la scuola che deve informare correttamente. Ma, a questo punto, la …scuola non può mettere i paraocchi a chiunque, per serendipità, capiti su un post avvincente, perché arricchito da frasi sensazionali, tag di successo, video accattivanti, immagini capaci di catturare l’attenzione, eppure pieno zeppo di input dannosi per i giovani.
Si dice che il lettore, col suo intervento, può aggiustare il tiro.
Ma perché non esigere per il web la stessa deontologia che si richiede alla carta stampata? Perché all’autore del post che, in alcune occasioni, si limita a riportare pezzi altrui, accompagnandoli con una sommaria spiegazione, non si chiede di controllare l’attendibilità delle informazioni rilanciate?
E’ giusto che certi autori si trincerino dietro un nuovo modo di fare giornalismo, senza lasciarsi sfiorare dalle conseguenze che affermazioni superficiali, se riferite ad argomenti di una certa importanza, potrebbero avere su un pubblico giovane?
Rosamaria Guido