Cosa volete mai che Alice scopra al di là dello specchio? La Matrice, ovvio (a pensarci dopo averlo visto). Oh, qual squisito mash-up letterario. In fondo, un centone. Blob, è un altro sinonimo. Ma non confondiamo il titolo dell’opera con il tipo di opera, se non nei casi di vampirizzazione. Anche il titolo può essere parte del lavoro di rimescolamento, in effetti, e non solo essere appiccicato in seguito. Beh, però di quest’opera un titolo non c’è, non lo trovo sulle fonti – io l’ho trovata da Phonkmeister. Through the Looking-Glass, and What Alice Found There, come il titolo originale, o “Squarciare il velo di Maya”, van tutti bene. E se fossimo tutti chiamati a contribuir all’opra, intitolandola per come ci racconta? Che vita, eh? In fondo il cucchiaio non esiste, il problema è chiamarlo cucchiaio… ve lo dice un nominalista di mille anni fa come sono io, o se vi piace Protagora tuffatevi negli abissi. Misuro quel che non è, perché non sono. Sono il mio non-essere la matrice, ma neanche la facoltà del Senso. Poi per alcuni proprio questo potrebbe già essere un problema, perché “l’uomo non è il centro della vita, la misura delle cose, ma è totalmente e soltanto parte della natura“. Tanto, la vera Matrix non può essere detta. E purtuttavia mi tocca metterci un nome, maledetta nominatio rerum. E quella che può essere detta non è la vera Matrice, maledetto Tao. Anche se dico “la trama del caos” non cambia niente, se non che al mondo esiste un’affermazione in più, un suono in più che muove molecole d’aria secondo una forma, quindi il mondo è cambiato.
Per l’appunto gangherologico, l’interfaccia è lo specchio, sappiamo. Che non è un segno, a quanto pare. Conoscenza irriflessa.
Io la chiamo Alix, ‘sta tipa. Eh, che sintesi.