Recentemente in Friuli Venezia Giulia la Pubblica Amministrazione regionale (politicamente schierata a destra) ha proibito la navigazione su Facebook dei propri dipendenti, impedendone tecnicamente l’accesso dai computer degli uffici.
La Provincia di Udine (politicamente schierata a destra) dal canto suo non ha mai avuto simili problemi, avendo sempre inibito pesantemente la navigazione libera sulla Rete durante l’orario di lavoro.
Il Comune di Udine (politicamente schierato a sinistra) invece lascia completamente libero l’accesso a Internet, avendo fiducia nei propri impiegati e considerando la frequentazione della Rete come un’opportunità di auto-formazione alla socialità digitale, nonché come concreta risorsa professionale. Inoltre, i sistemi di valutazione non segnalano alcuna flessione negativa del rendimento lavorativo dei dipendenti comunali (intervista sul Gazzettino Udine del 16 maggio all’assessore Paolo Coppola).
Proibire non è una soluzione duratura.
Domani nasceranno altri socialnetwork o situazioni simili, e altri problemi si presenteranno, visto che non viene presa in considerazione né la grammatica specifica della socialità online dentro i nuovi ambienti digitali, né la stessa Internet viene compresa nella sua natura tecnica e quindi nelle nuove potenzialità offerte alla Società della Conoscenza, in cui tutti noi viviamo.
Pochi giorni fa, sempre su Facebook, sono state pubblicate da un’incauta infermiera dell’Ospedale di Udine delle fotografie che ritraggono normali momenti lavorativi in corsia, con i medici in posa vicino a dei pazienti, ledendo sicuramente il diritto alla privacy di questi ultimi, impossibilitati a firmare liberatorie.
L’infermiera era in buona fede, non credeva che le fotografie potessero essere viste da qualcuno esterno alla propria rete digitale di amicizie (in realtà quelle foto non potrebbero essere nemmeno essere affisse su una bacheca di sughero nell’atrio dell’Ospedale, né mostrate a nessuno nel proprio salotto senza ledere il diritto alla privacy dei soggetti ritratti), non aveva adeguatamente impostato le opzioni di pubblicazione e di condivisione dei propri materiali, ripresi poi da altri e quindi resi disponibili a tutti.
Il problema qui è la mancanza di educazione ai comportamenti da tenere nei Luoghi di socialità digitale, e purtroppo le stesse sensate indicazioni del Garante della privacy che trovate in apertura di questo post non sono affatto rese note alla popolazione, non sono illustrate a scuola o sugli ambienti di lavoro, né mostrate a chi si iscrive ai socialnetwork.
Educare è una soluzione duratura.
L’educazione alle nuove grammatiche dell’abitare digitale permette l’instaurarsi in noi di punti di vista in grado di prendere in considerazione anche eventi futuri non ancora immaginabili, permette di sviluppare competenze, in questo caso di cittadinanza digitale, che poggiano sulla consapevolezza delle persone rispetto all’adeguatezza dei comportamenti nei Luoghi pubblici.
Qui sotto trovate questa mia posizione espressa sul Gazzettino Udine 16 maggio, in seguito a intervista telefonica fattami da Lorenzo Marchiori.
Educare costa, Jojo.
Proibire è facile e porta consensi.
L’Italiano è attratto dall’uomo forte e vigliacco, perchè è proprio come Lui.
Daniele (Macca, quello di “Transit”).
Condividendo la tua tesi sull’educazione all’abitanza digitale, ti aggiorno sulla posizione del comune di Pordenone (orientamento di centro-sinistra) il quale, come si legge da Il Gazzettino di Pordenone del 16 maggio, http://tinyurl.com/oozap3, ha da tempo interdetto ai dipendenti l’accesso a Facebook dal computer dell’ufficio.
Per contro, se il Comune ha oscurato Facebook, non lo ha fatto la Provincia (orientamento di centro-destra) dove si ha “fiducia nei dipendenti“.
Come vedi, le differenze tra le amministrazioni di Pordenone e Udine sono perfettamente speculari.
ciao giorgio,
spero che tu stia bene.
condivido tendenzialmente quanto scrivi (e ho dato delle dichiarazioni simili, seppur più fuffose, sull’ansa).
mi pare che , però , posizioni come le nostre, restino molto molto poco pragmatiche. l’uomo della strada piuttosto che il politico o l’amministratore, secondo me non percepisce il senso di quanto diciamo perchè non ha un risvolto utile o pratico.
inoltre, vietare l’accesso a determinati servizi on-line temo sarà sempre più facili per gli amministratori di network… in questo senso non sono d’accordo con te.
ciao,
enrico
ciao, e grazie per i commenti :)
@polisnaonis: ero al corrente delle diverse scelte in relazione allo schieramento politico, e chissà che pandemonio troviamo se indaghiamo (sarebbe simpatico) tutte le PA d’italia.
Questione di persone, va da sé, di cultura personale di politici o dirigenti.
Ma le scelte compiute magari anni o mesi fa da PA di destra o di sinistra sul come regolare l’accesso ai socialnetwork oggi diventano titoloni sui giornali, e ci si costruiscono sopra strategie politiche e visibilità e consenso.
Francamente, non so come continuerà questa storia, ma sta scalando posizioni nell’agenda dei politici.
@enrico: le persone non capiscono il senso di tutto questo (il senso del mondo a venire), e infatti molti di noi bloggano e scrivono e pubblicano cose che possano contribuire alla compresione di questi fenomeni.
Ma politicamente non veniamo ascoltati, come dice Daniele “proibire è facile e porta consensi”, e a me non rimane che continuare a bloggare.
Massì, che chiudano e proibiscano tutto, mi sono stufato di stare qui a scrivere, arriverà il momento di scendere in piazza.