Spicciolame

Pasteris dice che

CriticalCity ha vinto i Kublai Awards 2009
CriticalCity è una piattaforma di riqualificazione urbana ludica e partecipata. E’ un progetto innovativo per mettere al centro i cittadini e trasformarli in motore attivo della trasformazione sociale, culturale e fisica del territorio urbano. Molti cittadini non sono soddisfatti della condizione della propria città, molti la vivono a fatica, la subiscono ma non sanno da dove cominciare, non hanno a disposizione uno strumento semplice per poter agire direttamente sulla propria città e fare qualcosa – anche di piccolo – per cambiarla, per renderla più vivibile, migliore. CriticalCity risponde al bisogno di potersi impegnare per la propria città e pensa che il modo più efficace per riuscire in questo sia di trasformare questa attività in un gioco.

Mi sono iscritto come Solstizio, dalle mie parti non c’è nessuno, proverò a capire come funzia.

Poi c’è questo brano di McLuhan del 1963, pubblicato da repubblica.it e arrivatomi via ValterBinaghi. C’è tutta una critica iniziale, sulla natura depauperante delle tecnologie di connettività – il sistema nervoso extracorporeo, nato con il telegrafo. Poi distingue

“… La nuova tecnologia elettronica, però, non è un sistema chiuso. In quanto estensione del sistema nervoso centrale, essa ha a che fare proprio con la consapevolezza, con l’ interazione e con il dialogo.”

E qui McLuhan, diciamolo, è eccezionale per la lucidità con cui riesce a rendere pertinenti le peculiarità dei new media dei suoi tempi (frutto di precise innovazioni tecnologiche) rispetto alle considerazioni sul funzionamento delle collettività umane. Con una visione moderna, di sistema e di processo – anche se ci sento dentro una figuratività metaforica un po’ ottocentescamente organicista o hegeliana, mah – riesce a cogliere l’emergere della consapevolezza collettiva nei sistemi mediatici planetari, proprio come un sistema nervoso sufficientemente complicato ad un certo punto sviluppa forme di coscienza, come strumento per meglio gestire quella complicatezza che ormai si può chiamare complessità. Si giunge all’autocoscienza, anche per il fatto che le tecnologie fulcro del cambiamento sociale attuale sono proprio le tecnologie della comunicazione e dell’informazione.

“Nell’era elettronica, la stessa natura istantanea della coesistenza tra i nostri strumenti tecnologici ha dato luogo a una crisi del tutto inedita nella storia umana. Ormai le nostre facoltà e i nostri sensi estesi costituiscono un unico campo di esperienza e ciò richiede che essi divengano collettivamente coscienti, come il sistema nervoso centrale stesso.”

Sta parlando di internet, è chiaro. Considerando evolutivamente il sistema televisivo come sviluppo degli organi di senso del corpo sociale (e negli Stati Uniti dei primi sessanta c’era già un sistema rediotelevisivo paragonabile all’italia degli anni Ottanta, per varietà di voci e capillarità), ad un certo punto si arriverà alla nascita di un sistema nervoso centrale, un Luogo di elaborazione dei flussi informativi, e si tratta di un Luogo sociale. Sul problema della scrittura e dell’oralità potremmo confrontarci con letteratura più recente, ma porre l’accento sui gruppi in relazione ai media è mossa notevolissima.
“La scrittura, in quanto tecnologia visiva, ha dissolto la magia tribale ponendo l’accento sulla frammentazione e sulla specializzazione, e ha creato l’ individuo. D’ altra parte, i media elettronici sono forme di gruppo.”

“Siamo diventati come l’ uomo paleolitico più primitivo, di nuovo vagabondi globali; ma siamo ormai raccoglitori di informazioni piuttosto che di cibo. D’ ora in poi la fonte di cibo, di ricchezza e della vita stessa sarà l’ informazione.”

“Quando nuove tecnologie si impongono in società da tempo abituate a tecnologie più antiche, nascono ansie di ogni genere. Il nostro mondo elettronico necessita ormai di un campo unificato di consapevolezza globale; la coscienza privata, adatta all’uomo dell’era della stampa, può considerarsi come un cappio insopportabile rispetto alla coscienza collettiva richiesta dal flusso elettronico di informazioni. In questa impasse, l’unica risposta adeguata sembrerebbe essere la sospensione di tutti i riflessi condizionati.
Penso che, in tutti i media, gli artisti rispondano prima di ogni altro alle sfide imposte da nuove pressioni. Vorrei che ci mostrassero anche dei modi per vivere con la nuova tecnologia senza distruggere le forme e le conquiste precedenti. D’altronde, i nuovi media non sono giocattoli e non dovrebbero essere messi nelle mani di Mamma Oca o di Peter Pan. Possono essere affidati solo a nuovi artisti.”

Qui credo emerga un problema. Noi non conosciamo le potenzialità della nostra coscienza, nella sua abilità di coordinare flussi informativi, di farci restare attenti rispetto all’umwelt, come fossimo scimmie che in una foresta cercano sempre il profilo della tigre tra le foglie. Per il nostro essere animali, questa è facoltà necessaria per la sopravvivivenza (al punto che uno che legge il giornale in autobus è visto con un po’ di riprovazione, diceva Goffman, perché non può svolgere la funzione sociale di “sorvegliante” della situazione), e la coscienza come meccanismo serve anche a questo. En passant, sia chiaro che la coscienza per come ce la raccontano Hofstadter e Dennett può essere anche caratteristica di un formicaio, se non delle singole formiche, in relazione ai comportamenti adottati, quindi evitiamo di antropomorfizzare il discorso come al solito.
Ma il fatto è che se dentro un mondo virtuale in 3D, magari con visore e guanto, se mi dimezzano la forza di gravità ci metto un attimo ad adeguarmi. I bambini precocissimi non fanno fatica a interagire con flussi informativi, anche attraverso interfacce non pensate per loro (un telecomando del decoder o un software che si chiama Ufficio).
Se guardate i flash giornalistici di notte alla tv, vedrete uno schermo pieno zeppo di informazioni su molti flussi diversi (la voce dello speaker, le immagini alle sue spalle, i boxini con le quotazioni dell aborsa e il meteo in parte, nel sottopancia scorrono veloci altre news) eppure non facciamo fatica a seguire tutto. La nostra coscienza sembra essere sovradimensionata, capace di gestire anche quello per cui non è nata. Oppure semplicemente le sue facoltà non vanno pensate in termini di quantità, ma di algoritmi di funzionamento. Oppure meglio ancora, cerchiamo di capire che specie umana e tecnologie sono in simbiosi, da secoli. La pensabilità della tecnologia determina le direzioni verso cui la troviamo, spesso serendipicamente facendo lo sgambetto alla prevedibilità – d’altronde, la realtà notoriamente non ha nessun obbligo di essere verosimile, non siam mica a teatro qui – allo stesso modo in cui gli artefatti che ci circondano determinano le direzioni del nostro pensare. Perché stiamo dialogando con l’ambiente, e le tecnologie sono le parole dei nostri discorsi, dove traggo identità di me dal loro risuonare.
E guarda caso, nel mutuo reciproco evolversi degli Umana e dell’ambiente di vita, si scoprono facoltà cognitive che non si pensava esistessero (sì, sto ancora pensando al bambino di quattro anni che vi maneggia il MediaCenter in salotto con la stessa dimestichezza di un bibliotecario con un master in digital library) che si rivelano adeguate a fronteggiare le nuove forme di complessità degli ambienti mentali, fisici e digitali.
Nel parlare di coscienza privata e collettiva, McLuhan non poteva che pensare da dentro l’orizzonte della pensabilità del 1961, anche se in maniera eccezionale nella sua capacità di tratteggiare scenari futuri a partire da pochi segnali deboli. Qui forse ha tenuto ferma nel suo ragionamento una costante, la forma e le funzioni di quello che chiama coscienza, che invece è da considerarsi anch’essa una variabile, per il suo evolversi e mostrare nuove facoltà quando chiamata a fare il suo lavoro di “centro regìa” nel gestire flussi provenienti da ovunque, dentro e fuori su molti canali diversi.
Ma la coscienza e il mondo co-evolvono, non c’è bisogno di ipotizzare tragiche morti di coscienza individuale a favore di coscienze collettive. L’interazione dialogica tra sistema nervoso e oggetti è cosa sottile. Ad esempio, tutta la folksonomia è una risposta concettuale e operativa (forse addirittura non-pensabile nel 1961) che prova a fare luce su certi fenomeni socioculturali che si collocano su faglie di confine tra contesto individuale di significazione e i comportamenti degli oggetti culturali negli ecosistemi della conoscenza.

Gli artisti che scavano sotto i riflessi condizionati mi puzza ancora di romanticismo, mi sembra il solito Picasso che “dipinge quello che vede, non quello che sa”. Poi vengono gli straniamenti, poi le installazioni come indagine sul contesto di rappresentazione, i meticciamenti e le sinestesie. Questo ci porterebbe sui linguaggi della creatività, e via andare. Ma resteremmo ancora bloccati in una dialettica di contesti di pensabilità degli oggetti e dei comportamenti impostata su vecchie concezioni del mondo e della socialità e dello scambio informativo. Al momento, i migliori artigiani che conosco sono la sterminata massa anonima di sviluppatori software che di notte, nel buio dei profondi anni Ottanta o primi Novanta, hanno sviluppato il mondo digitale che ora abitiamo. Dell’arte parliamo più avanti.

E infine questa recensione di Tito Vagni ad un libro di Piero Vereni, “Identità catodiche. Rappresentazioni mediatiche di appartenenze collettive” che è un titolo di quelli giusti densissimi ma “catodiche” non mi piace, ma non credo che parli solo di tecnologia digitale, quindi figuriamoci se posso giudicare un libro dal titolo, toccherà fare un salto in libreria. La recensione è interessante, incollo anche qui alcuni concetti con la normale colla CtrlV.
… Esiste però un filo conduttore costituito dal ruolo determinante che i mezzi di comunicazione hanno assunto nella vita quotidiana e la necessità, per le scienze sociali, di guardare ai media come al luogo privilegiato dell’analisi sociale.

… ricostruzione dettagliata dei lavori di “antropologia dei media”, termine con cui individua un filone di studi derivante dalla contaminazione tra antropologia linguistica e cultural studies, che tenta di comprendere il rapporto tra sistema dei media e sistemi culturali

… “di fronte ai nuovi media siamo tutti primitivi, dato che tutti abbiamo bisogno di elaborare strategie d’uso e di significazione originali che abbiano e producano un senso dentro il sistema culturale che viviamo”

… mostra particolare attenzione al modo in cui l’introduzione di un mezzo di comunicazione ridisegni l’organizzazione dello spazio o, utilizzando le parole di Meyrowitz, riesca a proiettare l’abitare “oltre il senso del luogo”.

… la presenza della tecnologia nella vita quotidiana si è fatta talmente massiccia da rendere impertinenti alcune analisi sociali che eludono il ruolo dei media

Tutto interessante.

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