Da un bell’articolo su Apogeonline, dove Eleonora Pantò intervista Antonio Calvani, vengo a sapere di progetti anche piuttosto avanzati per la misurazione delle competenze digitali, dove queste ultime hanno poco a che vedere con lo smanettamento del pc e riguardano piuttosto il
saper esplorare e affrontare in modo flessibile situazioni tecnologiche nuove, saper analizzare selezionare e valutare criticamente dati e informazioni, sapersi avvalere del potenziale delle tecnologie per la rappresentazione e soluzione di problemi e per la costruzione condivisa e collaborativa della conoscenza, mantenendo la consapevolezza della responsabilità personali, del confine tra sé e gli altri e del rispetto dei diritti/doveri reciproci.
Chiaramente, l’argomento tratta di Cittadinanza digitale. Anzi, poiché lo Stato qui c’entra poco, parlo come al solito di Abitanza digitale, richiamando il Ben-Stare sul territorio indifferentemente biodigitale e la tessitura di relazioni interpersonali stabili nei nuovi Luoghi dell’Abitare, dove le nuove distinzioni di privato e pubblico, di diritti e doveri, di proprietà intellettuale e licenze di distribuzione, di organizzazione del tempo in modo decisamente non-lineare, postindustriale, ci mettono seriamente in crisi nel pensare cosa possa significare essere moderni.
Anzi, lo Stato potrebbe entrarci molto, se mosso da afflato illuministico intendesse seriamente prendere in considerazione una realtà scolastica in grado di formare Abitanti consapevoli della loro responsabilità e delle loro potenzialità dinanzi alla maggiore o minore qualità del vivere su un dato territorio.
Anzi, lo Stato potrebbe entrarci molto, se mosso da afflato illuministico intendesse seriamente prendere in considerazione una realtà scolastica in grado di formare Abitanti consapevoli della loro responsabilità e delle loro potenzialità dinanzi alla maggiore o minore qualità del vivere su un dato territorio.
Dunque: lo Stato si premura di stabilire quali siano le competenze digitali per una buona cittadinanza digitale, senza troppo incagliarsi su problemi tecnologici relativi alle TIC (eppur recependo fin dalla parola “digitale” la rivoluzione in atto), propone un gruppo di ricerca sulla Digital Competence Assessment nell’ambito del progetto PRIN del Ministero “Internet e scuola: problematiche di accessibilità, politica delle uguaglianze e gestione dell’informazione”, e chiaramente si trova nella necessità di elaborare un sistema di valutazione delle competenze digitali.
Conosciamo i rischi: lettera morta, burocratizzazione, inadeguatezza dei parametri valutativi, le odiose “patenti”. Si tratta di misurare cose sfuggenti, ancor oggi difficilmente percepibili per chi vive poco la rete. La frequentazione, la partecipazione, le reti amicali, la consapevolezza critica sull’uso degli strumenti TIC, la facilità alla collaborazione con altri in remoto, la capacità di reperire e produrre e distribuire informazioni.
Conosciamo i rischi: lettera morta, burocratizzazione, inadeguatezza dei parametri valutativi, le odiose “patenti”. Si tratta di misurare cose sfuggenti, ancor oggi difficilmente percepibili per chi vive poco la rete. La frequentazione, la partecipazione, le reti amicali, la consapevolezza critica sull’uso degli strumenti TIC, la facilità alla collaborazione con altri in remoto, la capacità di reperire e produrre e distribuire informazioni.